LAVORO
A TEMPO PARZIALE - DISPOSIZIONI INTEGRATIVE E CORRETTIVE D.Lvo 26/2/2001 n. 100 -
CHIARIMENTI MINISTERO LAVORO
Sulla
Gazzetta Ufficiale 5 aprile 2001, n. 80, è stato pubblicato il decreto
legislativo 26 febbraio 2001, n. 100, concernente "Disposizioni
integrative e correttive del decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61,
recante attuazione della direttiva 97/81/CE relativa all'Accordo-quadro sul
lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES".
Le
modifiche introdotte riguardano:
1)
la possibilità per le parti di stipulare direttamente contratti part-time di
tipo misto, risultanti, cioè, dalla combinazione di orari orizzontali e
verticali, senza la necessità che intervengano apposite discipline a cura della
contrattazione collettiva;
2)
la possibilità in sede di contrattazione aziendale e territoriale di derogare
al limite massimo di ore di lavoro supplementare stabilito dal CCNL;
3)
la previsione della retribuzione come ore ordinarie delle ore supplementari
prestate nel limite del 10% dell'orario mensile concordato dalle parti, in
attesa che i contratti collettivi introducano apposita disciplina, nonché la
previsione che le ore prestate oltre tale limite sono retribuite con la
maggiorazione del 50%, ove il contratto collettivo non disponga al riguardo;
4)
la possibilità in sede di contrattazione collettiva di ridurre da dieci giorni
fino a 48 ore il preavviso con il quale il datore di lavoro può esercitare il
potere di variare la collocazione temporale della prestazione lavorativa a
tempo parziale nei casi in cui il contratto individuale contiene il patto di
"clausola elastica";
5)
la possibilità per i contratti collettivi di ampliare la durata del patto di
clausola elastica (rispetto ai cinque mesi stabiliti per legge) entro la quale
il lavoratore non può recedere dal patto stesso, limitatamente al caso in cui
il recesso sia determinato dalla necessità di attendere ad altra attività
lavorativa, subordinata o autonoma, peraltro prevedendo, quale corrispettivo di
tale ampliamento, una maggiorazione retributiva;
6)
un ridimensionamento, inteso in senso spaziale, del diritto di precedenza che
il lavoratore a part-time può esercitare nel caso in cui in altra unità
produttiva il datore di lavoro abbia programmato una assunzione a tempo pieno
per le stesse mansioni o mansioni equivalenti a quelle affidate al lavoratore
part-time. La distanza tra le due unità produttive, agli effetti del diritto di
precedenza, è stata ridotta da 100 a 50 chilometri;
7)
un diverso criterio di arrotondamento nel caso di computo dei lavoratori a
tempo parziale, agli effetti dell'accertamento della consistenza dell'organico.
Di
seguito è fornita l'illustrazione delle novità anche alla luce dei chiarimenti
forniti dal Ministero del Lavoro ed in particolare in ordine alle disposizioni
concernenti le clausole elastiche ed i criteri di computo dei lavoratori a
tempo parziale.
Definizioni
L'articolo
1, commi 2 e 3, del d.lgs n. 61/2000, stabiliva che il rapporto di lavoro a
tampo parziale si poteva anche svolgere "secondo una combinazione"
del part-time orizzontale (lett. C) e di quello verticale (lett. D), sempreché
previsto dalla contrattazione collettiva nazionale, territoriale, aziendale),
la quale doveva provvedere "a determinare le modalità temporali di
svolgimento della specifica prestazione lavorativa ad orario ridotto, nonché le
eventuali implicazioni di carattere retributivo della stessa".
Questa
previsione è stata ora modificata con l'introduzione al comma 2, nell'ambito
delle definizioni di cui al citato art. 1, di una ulteriore fattispecie di
part-time, lett. D-bis), e cioè il "il rapporto di lavoro a tempo parziale
di tipo misto" che è quello "che si svolge secondo una combinazione
delle due modalità indicate nelle lett. C) e D)".
Tale
innovazione garantisce una maggiore certezza applicativa, dal momento che il
datore di lavoro può ora ricorrere liberamente a tale forma di rapporto anche
in assenza di uno specifico accordo sindacale.
Contestualmente
il legislatore ha, altresì, modificato il comma 3 dell'art. 1 rinviando alla
contrattazione collettiva (nazionale, territoriale, aziendale) la possibilità
di determinare "condizioni e modalità della prestazione lavorativa"
per tutte le tipologie di part-time indicate nel comma 2 dell'art. 3
(orizzontale, verticale, misto).
Con
il richiamo operato, nel comma 3 dell'art. 1, alle rappresentanze sindacali
unitarie, il legislatore dà espresso riconoscimento a questa forma di rappresentanza
attribuendo alla stessa una autonoma potestà negoziale.
L'art.
1, co. 3 stabilisce poi, espressamente, la possibilità di "prevedere, per
specifiche figure o livelli professionali, modalità particolari di attuazione
delle discipline rimesse alla contrattazione collettiva". La
contrattazione collettiva nazionale avrà quindi la possibilità di individuare
"particolari modalità" del rapporto part-time allorquando lo stesso
venga stipulato con lavoratori che rivestano qualifiche di alto livello
professionale, ad esempio dirigenti o funzionari.
Lavoro
supplementare
Innanzi
tutto, è stata abrogata la previsione, contenuta nella seconda parte della
lett. A), comma 2, dell'art. 3, secondo cui il contratto collettivo
territoriale o aziendale doveva rispettare il limite di ore di lavoro
supplementari (effettuabili in ragione di anno) stabilito nel contratto
collettivo nazionale, attribuendo quindi una facoltà di deroga da parte del
livello (normalmente, quello aziendale) dove vi è la effettiva possibilità di
conciliare l'esigenza dell'impresa con le necessità dei dipendenti.
In
esito alle modifiche introdotte ai commi 2, 4 e 6 dell'art. 3, alla
contrattazione collettiva è demandata la possibilità di stabilire:
-il
numero massimo di ore supplementari effettuabili nell'anno e nella singola
giornata lavorativa;
-la
percentuale di maggiorazione (da calcolare sull'importo della retribuzione
oraria globale di fatto) dovuta per il lavoro supplementare;
-anche
convenzionalmente, l'incidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli
istituti retributivi indiretti e differiti mediante l'applicazione di una
maggiorazione forfettaria sulla retribuzione dovuta per la singola ora di
lavoro supplementare.
In
assenza di previsioni contrattuali, il ricorso al lavoro supplementare è
ammesso entro il limite massimo del 10% della durata dell'orario di lavoro a
tempo parziale (concordata dalle parti) riferita a periodi non superiori ad un
mese e da utilizzare nell'arco di più di una settimana. Le ore supplementari
entro il predetto limite massimo del 10% sono retribuite come ore ordinarie,
cioè senza maggiorazione. Per le ore successive, si applica, sempre in assenza
di previsioni della contrattazione collettiva, la maggiorazione del 50%.
Le
modifiche appaiono più formali che sostanziali: infatti, anche se è venuta meno
la previsione che consentiva alla contrattazione collettiva di stabilire la
misura della maggiorazione solo in aumento rispetto a quella legale (50%), il
rinvio alla contrattazione collettiva sembra, di fatto, pesantemente
condizionato dal principio legale della "maggiorazione del 50 per
cento".
Anche
la norma sul "diritto al consolidamento" nell'orario di lavoro
individuale del "lavoro supplementare svolto in via non occasionale",
contenuta nel comma 6 dell'art. 3, è stata solo apparentemente riformulata.
L'identica regola che permette al lavoratore part-time di consolidare nel
proprio orario le ore di lavoro supplementari svolte, permane con il decreto
correttivo, il quale modifica solo formalmente la disposizione non definendo
più la predetta situazione giuridica quale "diritto".
Per
ragioni di opportuno coordinamento temporale, il comma 15 dell'art. 3, proroga
al 30 settembre 2001 l'efficacia della clausole dei contratti collettivi che
disciplinano la materia del lavoro supplementare.
Clausole
elastiche
Minimali
sono anche le modifiche approvate relativamente alle c.d. "clausole
elastiche", giacché non è la sola riduzione del periodo di preavviso entro
il quale il datore di lavoro può esercitare il diritto di variazione
dell'orario concordato, né la possibilità di aumentare il periodo (pari a 5
mesi) decorso il quale il lavoratore può denunciare la clausola elastica, che
risolvono le problematiche relative alla modifica dell'orario di lavoro
concordato nel contratto.
Al
riguardo la disciplina di legge, come risulta dalle modifiche apportate dal
decreto correttivo n. 100/2001, demanda ai contratti collettivi applicati dal
datore di lavoro la facoltà di prevedere clausole elastiche concernenti la
collocazione temporale della prestazione lavorativa, andando a determinare le
condizioni e le modalità a fronte delle quali è consentita al datore la
variazione della collocazione inizialmente concordata con il lavoratore.
L'esercizio
del potere di variazione esige un preavviso di almeno 10 giorni, che i
contratti collettivi possono ridurre fino a 48 ore, con possibilità in tal caso
di prevedere maggiorazioni retributive, presumibilmente compensative del minore
termine di preavviso. Alla contrattazione collettiva è altresì demandato di
fissare la misura della maggiorazione della retribuzione - da calcolarsi sulla
retribuzione globale di fatto - che compete di diritto, ai sensi del decreto
legislativo, in favore del lavoratore che accetti la variabilità della
collocazione temporale dell'orario di lavoro.
E'
previsto che datore di lavoro e lavoratore a tempo parziale formalizzino -
anche contestualmente alla stipula del contratto di lavoro part-time - uno
"specifico patto scritto", in cui deve essere menzionata la data di
stipulazione, la possibilità di denuncia del patto da parte del lavoratore e le
relative modalità di esercizio, nonché la circostanza che il rifiuto del
lavoratore di stipulare il patto e il suo ripensamento non possono in alcun
caso integrare gli estremi del giustificato motivo di licenziamento.
Come
evidenziato, la norma richiede che il consenso alla variabilità sia
formalizzato attraverso uno "specifico patto scritto". A questo
riguardo la circolare ministeriale precisa che la forma scritta è richiesta per
la validità del patto stesso, e che il consenso deve essere contenuto in
"un atto separato".
Ora,
non v'è dubbio che di atto separato debba trattarsi qualora il patto di
clausola elastica sia concordato successivamente alla stipula del contratto di
lavoro. Ma ove la stipula del patto sia contestuale alla conclusione del
contratto di lavoro, non parrebbe che la lettera della norma esprima la
necessità che il patto di clausola elastica debba essere formato separatamente
dal contratto di lavoro. L'aggettivo "specifico" impiegato dal
legislatore non appare infatti sinonimo di "separato". Sono, in ogni caso, in corso approfondimenti
al riguardo, del cui esito si darà conto non appena possibile.
Come
sopra precisato il lavoratore ha, nel corso di svolgimento del rapporto, un
diritto di ripensamento, può cioè denunciare il patto di variabilità.
La
denuncia può scattare, con preavviso di almeno un mese, decorsi cinque mesi
dalla prestazione del consenso al patto di clausola elastica, in presenza di
una delle seguenti ragioni: - esigenze di carattere familiare; - esigenze di
tutela della salute certificate dal competente servizio sanitario; - necessità
di attendere ad altra occupazione autonoma o subordinata. Per quest'ultimo
ordine di ragioni, il decreto correttivo ha rimesso alla contrattazione
collettiva la possibilità di stabilire periodi superiori ai cinque mesi,
prevedendo però una maggiorazione retributiva di natura obbligatoria con
funzione compensativa.
Sempre
alla contrattazione collettiva è dato determinare criteri e modalità per
l'esercizio della denuncia anche in caso di esigenze di studio o di formazione,
nonché individuare ulteriori ragioni in forza delle quali ugualmente è
possibile denunciare il patto di variabilità.
Ancora
in tema di clausole elastiche si pone in evidenza che la circolare chiarisce
che in caso di variazione della collocazione temporale in corso di svolgimento
del rapporto in attuazione del patto di clausola elastica, ove resti ferma la
quantità complessiva dell'orario di lavoro concordata, l'Azienda non ha obbligo
di comunicare tale variazione all'ispettorato del Lavoro ai sensi dell'art. 12
del R.D. n. 1955/1923 di applicazione del R.D.L. n. 692/1923.
Criteri
di computo dei lavoratori a tempo parziale
E'
stato parzialmente modificato il comma 1 dell'art. 6 ed è stato stabilito che
in tutte le ipotesi in cui, per legge o per contratto collettivo, si rende
necessario l'accertamento della consistenza dell'organico, i lavoratori a
part-time si computano sommando l'orario concordato con ogni singolo lavoratore
e raffrontando la somma con l'orario svolto dai lavoratori a tempo pieno.
Esempio:
tre lavoratori part-time con i seguenti orari: 20, 32, 24 e orario normale
praticato di 40 ore settimanali:
20+32+24
= 76:40 = 1,9
Agli
effetti dell'arrotondamento, mentre la precedente versione della disposizione
chiariva che la frazione di orario superiore alla metà di quello pieno era
arrotondata all'unità superiore, l'attuale non esplicita i criteri con i quali
operare l'arrotondamento.
Soccorre
al riguardo la circolare ministeriale che, nel silenzio della norma e in via
evidentemente interpretava, si pronuncia per il criterio dell'arrotondamento
all'unità superiore della sola frazione superiore alla metà dell'orario a tempo
pieno. Viene sostanzialmente confermato in via amministrativa il criterio che
la previgente versione della norma esplicitava formalmente. Nell'esempio sopra
riportato il quoziente del rapporto (1 unità con il resto di 36 ore) deve
essere arrotondato a 2 unità, poiché la frazione 36 ore è superiore alla metà
dell'orario normale (40 ore).
Tutela
ed incentivazione del lavoro a tempo parziale
Il
decreto legislativo n. 61/2000, all'art. 5, comma 2, attribuiva a favore dei
lavoratori assunti a tempo parziale, ovvero che avevano trasformato il loro
rapporto in tempo parziale nel corso del suo svolgimento, un diritto di
precedenza nelle assunzioni effettuate presso unità produttive site entro 100
km dalla sede di lavoro.
Il
decreto correttivo non ha abrogato tale previsione, ma si è limitato a ridurre
il raggio di azione del diritto di prelazione, da 100 a 50 km; una riduzione
che costituirà, pur sempre, un limite all'organizzazione dell'attività
produttiva, sol che si consideri la situazione rispetto ad unità produttive all'interno
della cerchia urbana nelle più grandi città.