RISERVE
DI RIVALUTAZIONE PREZZI FORMULATE DELL'APPALTATORE - IRRILEVANZA AI FINI DELLA
DEFINIZIONE DELLE RIMANENZE FINALI
(Corte
di Cassazione, Sez. Trib., 26 aprile 2001, n.6084)
La
Sentenza della Corte di Cassazione, Sez. Trib., 26 aprile 2001, n.6084 ha
riconosciuto la diversità tra le maggiorazioni di prezzo relative alle
rimanenze finali di opere forniture e servizi, di durata ultrannuale, richieste
in applicazione di disposizioni di legge o di clausole contrattuali, e le mere
"riserve" avanzate in sede di sottoscrizione degli atti di
contabilità, le quali saranno assoggettate a tassazione solo a seguito
dell'accettazione da parte del committente.
I
criteri di valutazione delle rimanenze di cui sopra sono indicati nell'art.63
del DPR 597/1973 (attuale art.60 del TUIR) e si basano sui "corrispettivi
pattuiti", ovvero calcolando la quota di compenso contrattuale maturata
durante l'esercizio e corrispondente alla parte di lavoro eseguita.
La
legge detta inoltre regole precise con riguardo alle maggiorazioni di prezzo di
cui si deve tener conto ai fini della valutazione delle stesse rimanenze.
L'art.63 precisa in proposito che si debbono considerare solo quelle in
applicazione di disposizioni di legge o di clausole contrattuali, finché non
siano state definitivamente stabilite, in misura non inferiore al 50% (comma 2
dell'art.63).
Quest'ultima
parte della citata norma pertanto fissa un'implicita distinzione di disciplina
tra le maggiorazioni di prezzo accolte ai sensi di uno specifico disposto
normativo o contrattuale e le cosiddette "riserve" di revisione dei
prezzi, pretese dall'appaltatore nel corso dell'esecuzione dell'opera.
Le
prime rientrano normativamente nella valutazione delle opere alla fine
dell'esercizio, nel caso in cui le stesse siano ancora in fase di lavorazione.
Le seconde debbono invece intendersi sì coerenti ai principi di legge generali
ma estranee a norme mirate del Legislatore o ad accordi tra le parti, e pertanto
escluse dalla valutazione ai sensi del comma 2 dell'art.63.
Se
ad una interpretazione letterale della norma non sembra sorgere alcun dubbio
applicativo sull'esclusione dal calcolo delle rimanenze finali delle
maggiorazioni avanzate unilateralmente dall'appaltatore, al contrario prassi e
giurisprudenza non hanno coerentemente argomentato nel tempo a favore di tale
tesi.
Si
è infatti da più parti ritenuto che le "riserve" potessero in qualche
modo essere formulate in quanto maggior importi dovuti sulla base dell'originario
rapporto tra le parti - che ha per oggetto la realizzazione dell'opera-, quindi
come compensi ulteriori legati a clausole contrattuali, ammettendo così
l'inserimento delle medesime ai fini della valutazione delle rimanenze.
In
questo senso si sono espressi sia il Ministero delle Finanze con la Circolare
22 settembre 1982, n.36 che i giudici tributari, per esempio, con la Sent. 26
giugno 1990 n.8599 della Comm. Trib. Di Milano.
Il
pronunciamento della Cassazione ristabilisce dunque chiarezza sul tema in
oggetto e fissa il principio secondo il quale tali "riserve" di
rivalutazione dei prezzi non rilevano ai fini della valutazione delle rimanenze
finali, nelle opere di durata ultrannuale, quando queste costituiscano mere
pretese avanzate dall'appaltatore le quali assumeranno rilevanza agli effetti
fiscali solo se e quando saranno accettate dal committente.
La
Sentenza si segnala altresì per alcuni importanti principi in materia di
valutazione e gestione delle rimanenze. Il Giudice infatti nella fattispecie
accoglie i motivi di ricorso dell'Amministrazione Finanziaria contro la società
resistente che, negli esercizi di esecuzione dell'opera, aveva operato
valutazioni dei lavori in corso, in misura superiore rispetto ai corrispettivi
pattuiti e maturati con il committente.
La
tesi adottata comporta pertanto l'irrilevanza sia dell'assoggettamento ad
imposizione di redditi più elevati, corrispondenti al maggior incremento delle
rimanenze, operato negli anni di esecuzione della commessa, sia l'irrilevanza
dell'emersione della perdita corrispondente ai maggior compensi attesi ma non
riconosciuti, nell'esercizio di ultimazione della commessa. A questo proposito
il Giudice ribadisce che le perdite che si verificano nel corso dell'esecuzione
dei lavori debbono gravare sul reddito dell'esercizio in cui si realizzano e
non possono essere trasferite negli esercizi successivi, non essendo questa una
facoltà del contribuente che altresì altererebbe la determinazione del proprio
reddito ai fini impositivi.
La
Corte nega inoltre che il dettato dell'art.63 possa in alcun modo intendersi
come limite minimo di valutazione delle rimanenze, non lasciando pertanto al
contribuente possibilità di sopravalutare la suddetta posta di bilancio, senza
fondamento giuridico o contrattuale.
La
Sentenza di cui trattasi fornisce anche ulteriori elementi in tema di autonomia
del periodo d'imposta, affermando che l'Amministrazione Finanziaria può
rettificare poste di bilancio, con riferimento ad uno specifico periodo
d'imposta, senza che ciò abbia riflessi sulle determinazioni di bilancio di
altri esercizi. Il contribuente eccepiva infatti che le constatazioni
dell'Ufficio Imposte si riferissero solo alle rimanenze finali di un esercizio
e non alle esistenze iniziali dell'esercizio successivo.