GLI ORDINI DEL
DIRETTORE LAVORI NON ESCLUDONO LA RESPONSABILITA’ DELL’IMPRESA PER I DANNI A
TERZI
Corte di cassazione
– Sezione III civile - Sentenza del 10 ottobre 2001, n. 12384
La responsabilità
dell’ente committente non esclude la responsabilità dell’impresa appaltatrice,
che ha il dovere di assumere le dovute iniziative, anche contro il divieto del
direttore dei lavori, atte ad eludere danni a terzi, ivi compresa quella di
interrompere i lavori.
La funzione
direttiva riservata al committente riduce, ma non annulla, l’autonomia
dell’appaltatore, non potendo trasformare costui in un passivo strumento nelle
mani del committente o del direttore dei lavori. Anche quando l’appaltatore sia
tenuto ad eseguire il progetto sotto controllo e la vigilanza del direttore dei
lavori, egli conserva la sua autonomia circa le modalità di esecuzione e le
iniziative da intraprendere per scongiurare che dall’esecuzione dell’opera
derivino danni a terzi.
SVOLGMENTO DEL PROCESSO
Con citazione 23/5/88 Scarpellini Giovanna c Giuseppina,
ottenuti i provvedimenti d’urgenza dal pretore, riassumevano il giudizio di
merito avanti al tribunale di Roma nei confronti del Comune di Subiaco e
dell’appaltatore Coppelli Roberto, diretto ad ottenere il risarcimento dei
danni riportati alla loro villa di Subiaco a seguito dei lavori di costruzione
di un edificio scolastico a monte della medesima.
Il tribunale di Roma con sentenza non definitiva
dell’11/12/92 condannava il Comune di Subiaco e l’appaltatore Coppelli al
risarcimento dei danni alle opere murarie della villa e rigettava l’istanza
relativa alle alberature.
Avverso tale sentenza proponevano appello in via principale
sia il Comune di Subiaco, che negava il nesso causale tra lavori eseguiti ed
evento dannoso e attribuiva, in subordine, la responsabilità all’impresa
appaltatrice, sia lo stesso appaltatore, che sosteneva la tesi dalla forza
maggiore da individuarsi nelle eccezionali precipitazioni piovose verificatesi
all’epoca e, in subordine, quella dell’attribuibilità dell’evento dannoso alla
condotta colposa del comune; in via incidentale, le Scarpellini che chiedevano
il riconoscimento del danno alle alberature.
La Corte d’Appello di Roma con sentenza n. 1132 del 22/1/99,
depositata il 4/4/99 rigettava gli appelli principali e, in accoglimento
dell’incidentale, condannava il Comune di Subiaco e Coppelli Roberto a
rifondere alle Scarpellini la somma di L. 266.390.000, comprensiva di
rivalutazione monetaria, oltre interessi legali a titolo di risarcimento per i
danni alle alberatu re; condannava, altresì, gli appellanti principali a
rifondere alle stesse le spese del grado.
Per la cassazione della decisione ricorre in via principale
il Comune di Subiaco esponendo 4 motivi.
Resiste con controricorso Coppelli Roberto, chiedendo in via
incidentale l’affermazione dell’esclusiva responsabilità del Comune di Subiaco.
Resistono altresì con controricorso le Scarpellini con
salvezza delle spese del grado.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso principale e quello incidentale debbono essere
esaminati congiuntamente attenendo alla medesima sentenza.
Con il primo motivo di ricorso il Comune di Subiaco,
deducend.o violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 2056 Cc, sostiene
che la Corte di merito non abbia tenuto conto delle osservazioni della Ct di
parte in ordine allo stato di abbandono in cui versava la villa delle
Scarpellini e della coincidenza del crollo del muro di sostegno della medesima
con le eccezionali precipitazioni atmosferiche verificatesi in quel periodo ed
osserva che tali circostanze avrebbero dovuto indurre ad escludere il nesso
causale tra i lavori appaltati dal Comune e il crollo del muro della villa,
perchè secondo il principio codificato dall’art. 1223 Cc i danni subiti, per
essere risarciti, devono configurarsi come conseguenza immediata e diretta
della condotta del danneggiante.
L’appaltatore Coppelli, ricorrente incidentale, ha aderito
alla tesi difensiva del Comune di Subiaco, aggiungendo che il muro crollato
null’altro era se non una vecchia maceria a secco, la cui resistenza sarebbe
venuta meno sotto la spinta del terrapieno in occasione di una precipitazione
di particolare intensità.
Il motivo, sotto l’apparente violazione di legge, mira a
rimettere in discussione l’accertamento del fatto nella sua materialità causale
e, per giunta, in base a considerazioni svolte da consulente di parte,
confutate, per quanto riferito in motivazione dell’impugnata sentenza, dai
risultati della consulenza tecnica di ufficio. Di conseguenza, non è suscettibile
di valutazione in questa sede.
Né miglior risultato consegue il secondo motivo di ricorso
del Comune di Subiaco, al quale pure ha aderito l’appaltatore con il ricorso
incidentale: deducendo insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione
al nesso causale tra lavori effettuati e danni subiti dalle alberature della
villa, si sostiene che la Corte di merito sia giunta a conclusioni opposte a
quelle ritenute dal tribunale pur in presenza di un’analisi svolta in proposito
dal Ctu.
Ed invero, il sostrato argomentativo della Corte di merito
su tale punto è costituito da sicuri elementi di riferimento che non consentono
di pervenire a diversa interpretazione del fatto.
La Corte di merito, infatti, poggia il suo convincimento sul
fatto che la Ctu disposta dal pretore in epoca prossima all’accadimento del
fatto, mise in rilievo che l’incrinatura delle piante era da attribuirsi al
crollo del muro e al riversarsi delle acque nella villa; sulla circostanza che
il fenomeno interessò la quasi totalità degli alberi, e sulla considerazione
che le alberature in questione erano di tale specie, quali la sequoia, i pini e
i lecci, per cui era da escludersi che fossero pervenuti a vetustà o ad
eccessivo accrescimento.
Con il terzo motivo di ricorso principale, deducendo
violazione e falsa applicazione degli artt. 1655 e 2043 Cc, si sostiene che la
Corte di merito, nel considerare il Comune di Subiaco, quale committente delle
opere, responsabile dei danni causati alla villa Scarpellini, ha errato nell’interpretazione
delle suddette norme di riferimento, perché l’autonomia dell’appaltatore
sancita dall’art. 1655 Cc, esclude qualsiasi responsabilità del committente per
danni eventualmente causati a terzi nell’esecuzione delle opere appaltate,
danni, di cui, ex art. 2043 Cc, deve rispondere in via esclusiva l’appaltatore,
a meno che il committente non ne limiti l’autonomia, inserendosi nella
realizzazione dell’opera o del servizio, riducendo l’appaltatore a nudus minister ovvero, in via
indiretta, affidi l’appalto ad impresa priva delle necessarie capacità tecniche
ed organizzative per la corretta esecuzione del contratto, ipotesi queste che
la stessa Corte di merito aveva escluso che ricorressero nel caso in esame,
dando atto della professionalità dell’imprenditore e della sua autonomia
nell’esecuzione dell’opera.
Di diverso avviso è l’appaltatore con il suo ricorso
incidentale su tale specifico punto delle controversie, laddove, denunciando
violazione e falsa applicazione delle norme di riferimento, nonchè
insufficiente o contraddittoria motivazione sullo stesso punto, rileva di non
aver posto in essere alcun antecedente causale del fatto dannoso, per avere
continuamente rappresentato al committente il pericolo per la stabilità della
villa costituito dall’esecuzione dell’opera così come era stata progettata, per
essersi adoperato a eseguire ogni accorgimento possibile per limitare il
rischio relativo all’esecuzione dell’opera, di aver ripetutamente chiesto una
variante al progetto, ma di essere stato indotto alla prosecuzione dei lavori
dal Direttore dei Lavori, che aveva escluso qualsiasi situazione di pericolo
per la villa delle Scarpellini per l’esecuzione dell’opera.
Nessuna censura è possibile muovere alla Corte di merito
circa la portata interpretative delle suddette norme di riferimento e la loro
concreta applicazione nel caso di specie.
Ben vero, dopo l’esposizione dei dati tecnici comprovanti il
nesso di causalità materiale tra l’esecuzione dei lavori appaltati e il danno
alla villa e alle alberature delle Scarpellini, la Corte di merito ha rilevato
l’inerzia del sindaco del suddetto Comune di fronte ai ripetuti inviti e
sollecitazioni dell’appaltatore volti ad ottenere la sospensione dei lavori e
l’approvazione di una perizia di variante che tenesse conto della particolare
situazione dei luoghi e del possibile danno a terzi che ne potevano derivare
dalla loro esecuzione così come progettata e raffigurata nel piano esecutivo,
ma non ha potuto esimersi dal considerare che l’appaltatore, nonostante l’avvertito
pericolo, proseguì nell’esecuzione dell’opera fino a quando non avvenne il
crollo del muro di delimitazione della villa.
Giustamente ha osservato che le gravi omissioni che hanno
caratterizzato la riprovevole condotta del sindaco, involgono la responsabilità
del Comune, dato il rapporto organico tra l’ente e chi lo rappresenta, ma che
la conclamata responsabilità dell’ente committente non elude la responsabilità
dell’impresa appaltatrice, la quale aveva il dovere di assumere le dovute
iniziative, anche contro il divieto del direttore dei lavori, atte ad eludere
l’incombenza del pericolo, ivi compresa quella di interrompere i lavori.
Ed infatti, la funzione direttiva riservata al committente
riduce, ma non annulla l’autonomia dell’appaltatore, non potendo trasformare
costui in un passivo strumento nelle mani del committente o del direttore dei
lavori, a meno che lo stesso non sia tenuto per contratto ad eseguire il
progetto senza possibilità d’interferire circa la modalità d’esecuzione del
medesimo; ma al di fuori di tale ipotesi, anche quando sia tenuto ad eseguire
il progetto sotto controllo e la vigilanza del direttore dei lavori, egli
conserva la sua autonomia circa le modalità di esecuzione e le iniziative da
intraprendere per scongiurare che dall’esecuzione dell’opera derivino danni a
terzi, di tal che quando l’appaltatore non agisce qual nudus minister, la sua responsabilità per danni cagionati a
terzi è governata dalle regole dagli atti illeciti extracontrattuali, ipotesi,
che rende compatibili il concorso di colpa dell’appaltatore con quella del
committente, come effettivamente ritenuta nella sentenza impugnata.
Per le ragioni suesposte vanno rigettati sia il ricorso
principale sia quello incidentale ed i ricorrenti vanno condannati in solido
alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione in favore delle intimate
Scarpellini, così come liquidate, in dispositivo.
PQM
Riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale e il
ricorso incidentale; condanna entrambi i ricorrenti in solido alle spese del
grado in favore delle controricorrenti.