CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO - D.LVO 368/2001 - CIRCOLARE
ILLUSTRATIVA DEL MINISTERO DEL LAVORO N. 42/2002
Si fa seguito a quanto comunicato in materia (cfr. suppl.
n.2 al Not. n.10/2001) per pubblicare, qui di seguito, il testo della circolare
1 agosto 2002, n. 42 con la quale il Ministero del Lavoro ha fornito prime
indicazioni interpretative del citato decreto legislativo.
CIRCOLARE 1 agosto 2002, n.42
Decreto legislativo n. 368/2001, recante la nuova disciplina
giuridica sul lavoro a tempo determinato. Prime indicazioni applicative. (GU n.
189 del 13-8-2002).
IL MINISTRO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI
1.Premessa.
Il decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, che
recepisce nell’ordinamento nazionale la direttiva del Consiglio del 28 giugno
1999, n. 99/70/CE relativa all’accordo quadro CES (Confederazione europea dei
sindacati), UNICE (Unione delle confederazioni delle industrie della Comunita’
europea), CEEP (Centro europeo dell’impresa a partecipazione pubblica) sul
lavoro a tempo determinato, non rappresenta semplicemente un atto formale
connesso all’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia
all’Unione europea, ma si configura quale manifestazione normativa di un piu’
generale processo di modernizzazione dell’organizzazione del lavoro gia’ da
tempo avviato.
Ed infatti, la ratio sottesa alla disciplina in commento,
oltre a trovare riscontro nella progressiva previsione di nuove ipotesi di
lavoro temporaneo (quali, il contratto di formazione e lavoro, la fornitura di
prestazioni di lavoro temporaneo, la collaborazione coordinata e continuativa,
le collaborazioni occasionali, i tirocini formativi e di orientamento, ecc...),
trova la sua genesi - come tra l’altro indicato espressamente nel quinto
Considerando della Direttiva qui trasposta, nelle conclusioni del Consiglio
europeo di Essen del 1995, dove si sottolineava la necessita’ di provvedimenti
per “incrementare l’intensita’ occupazionale della crescita, in particolare
mediante un’organizzazione piu’ flessibile del lavoro, che risponda sia ai
desideri dei lavoratori che alle esigenze della competitivita’”.
In questa prospettiva, la direttiva 99/70/CE cit. si
richiama alla risoluzione del Consiglio europeo del 9 febbraio 1999 relativa
agli orientamenti in materia di occupazione per il 1999, dove si invitano “le
parti sociali a tutti i livelli appropriati a negoziare accordi per
modernizzare l’organizzazione del lavoro, comprese le forme flessibili di
lavoro, al fine di rendere le imprese produttive e competitive e di realizzare
il necessario equilibrio tra la flessibilita’ e la sicurezza” (Cfr.: 6°
Considerando).
Ed ancora, la predetta direttiva trova ispirazione nella
piu’ recente Raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea del 19 gennaio
2001, riguardante l’attuazione delle politiche degli Stati membri in materia di
occupazione per il 2001, dove, fra l’altro, viene ulteriormente ribadito
l’auspicio del metodo del dialogo sociale per la modernizzazione e la
riorganizzazione del mercato del lavoro al fine dell’incremento delle
opportunita’ di occupazione regolare e di buona qualita’, anche alla luce dei
mutamenti strutturali in campo economico.
In questo quadro, il decreto legislativo in commento, nel
dare attuazione in Italia alla direttiva comunitaria sopra richiamata, riforma
integralmente la disciplina del contratto a termine, superando in via
definitiva il regime della tipizzazione legale e restrittiva delle situazioni
legittimanti proprio dell’abrogata legge n. 230/1962 (e successive modifiche).
E’ di tutta evidenza la diversa impostazione del legislatore del 2001 ove si
legga l’art. 1 del decreto che consente la generale instaurazione di rapporti
di lavoro a tempo determinato ove sussistano “ragioni di carattere tecnico,
produttivo, organizzativo o sostitutivo” che giustificano l’apposizione del
termine medesimo.
In questo senso, la riforma della disciplina del lavoro a
termine risulta in linea con il 3o Considerando della Direttiva 99/70/CE nella
parte in cui, facendo rinvio alla Carta comunitaria dei diritti fondamentali
dei lavoratori (e, segnatamente, al punto 7 della medesima), auspica che la
realizzazione del mercato interno porti ad un miglioramento delle condizioni di
vita e di lavoro dei lavoratori nella Comunita’ europea, mediante “il
ravvicinamento di tali condizioni, che costituisca un progresso, soprattutto
per quanto riguarda le forme di lavoro diverse dal lavoro a tempo
indeterminato, come il lavoro a tempo determinato, il lavoro a tempo parziale,
il lavoro interinale e il lavoro stagionale”.
Tra l’altro gia’ nella relazione illustrativa al decreto veniva colto ed
evidenziato l’aspetto innovativo della disciplina in commento rispetto al
regime previgente, risultando l’attuale impostazione piu’ semplice e, al tempo
stesso, meno esposta all’aggiramento attraverso comportamenti fraudolenti.
Ed infatti, al regime della generale negazione del ricorso al contratto a
termine tranne in alcuni casi tipizzati, si sostituisce, recependo ormai un
progressivo mutamento della funzione economico sociale riconosciuta a detta
forma contrattuale, il principio in base al quale “il datore di lavoro puo’
assumere dei dipendenti con contratti a scadenza fissa, dovendo fornire
contestualmente e in forma scritta le (note) ragioni di carattere tecnico,
produttivo, organizzativo o sostitutivo” (Cfr.: Relazione illustrativa al
provvedimento) che legittimano l’apposizione del limite temporale.
A tal riguardo, giova, comunque, da subito sottolineare che nella disciplina
delineata dal decreto legislativo in commento appare superato l’orientamento
volto a riconoscere la legittimita’ dell’apposizione del termine soltanto in
presenza di una attivita’ meramente temporanea, cosi’ come, d’altronde, sono
superati i caratteri della “eccezionalita’”, “straordinarieta’” ed
“imprevedibilita’” propri delle precedenti ragioni giustificatrici.
Una corretta interpretazione del disposto di cui all’art. 1, comma 1, decreto
legislativo 6 settembre 2001, n. 368, impone in effetti di rigettare letture
riduttive della lettera della legge - e dell’avviso comune sulle modalita’ e
sui contenuti traspositivi della normativa comunitaria formulato dalle parti
sociali il 4 maggio 2001 - e segnatamente quegli orientamenti volti a
riconoscere la legittimita’ della apposizione del termine soltanto in presenza
di una occasione meramente temporanea di lavoro. Questa impostazione, gia’
largamente superata dalla legislazione previgente (si pensi alle ipotesi di
assunzione a termine di tipo c.d. soggettivo introdotte con il rinvio alla
contrattazione collettiva di cui all’art. 23, legge n. 56/1987), non solo non
trova alcun appiglio normativo di carattere testuale e/o sistematico, ma
risulta addirittura smentita dal raffronto con la disciplina vigente in materia
di lavoro temporaneo. L’art. 1, comma 1, della legge 24 giugno 1997, n. 196,
legittima infatti il ricorso alla fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo
solo in presenza di “esigenze di carattere temporaneo” cosi’ come individuate
ai sensi del successivo comma 2.
Se, dunque, appare plausibile che si ricorra alla stipulazione di un contratto
a termine per l’esecuzione di prestazioni che non abbiano di per se’ il
carattere della “temporaneita’”, non per questo le ragioni giustificatrici non
si dovranno palesare come oggettive, verificabili e, soprattutto, non elusive
dell’intento perseguito dal legislatore volto ad evitare qualsiasi volonta’
discriminatoria o fraudolenta del datore di lavoro.
Alla stregua della nuova disciplina legale, la temporaneita’
della prestazione e, semplicemente, la dimensione in cui deve essere misurata
la ragionevolezza delle esigenze tecniche, organizzative, produttive o
sostitutive poste a fondamento della stipulazione del contratto a tempo
determinato. Il contratto a termine dovra’ pertanto essere considerato lecito
in tutte le circostanze, individuate dal datore di lavoro sulla base di criteri
di normalita’ tecnico-organizzativa ovvero per ipotesi sostitutive, nelle quali
non si puo’ esigere necessariamente una assunzione a tempo indeterminato o, il
che e’ lo stesso, l’assunzione a termine non assuma una finalita’ chiaramente
fraudolenta sulla base di criteri di ragionevolezza desumibili dalla
combinazione tra durata del rapporto e attivita’ lavorativa dedotta in
contratto. Premesso quanto sopra, si procedera’ a svolgere alcune osservazioni
e considerazioni sui principali aspetti della normativa de qua.
2. Clausola generale di legittimazione del contratto a
tempo determinato.
Si e’ visto in premessa come l’intervento del decreto legislativo n. 368 sia
incentrato sulla sostituzione delle tassative ipotesi di apposizione di termine
con un modello incentrato sulla clausola generale delle “ragioni di carattere
tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”. Trattasi di una norma
cosiddetta aperta, individuativa per grandi linee dei casi in cui la ricorrenza
di esigenze oggettive dell’organizzazione d’impresa determina l’ammissibilita’
del ricorso a rapporti a tempo, con cio’ operando una minore compressione
dell’autonomia privata, le cui pattuizioni restano sottratte al controllo
amministrativo (autorizzazione dei Servizi ispezione lavoro in occasione di
assunzioni a termine per i cosiddetti “picchi stagionali”) e a quello sindacale
(delega di potere normativo ex art. 23, legge n. 56/1987 per l’individuazione
di ulteriori fattispecie di rapporto a termine) poiche’ viene abbandonato il
criterio della flessibilita’ contrattata per rafforzare un regime di
pattuizioni individuali. Inoltre, il provvedimento individua alcune ipotesi di
assunzione a termine (di seguito indicate), in cui non e’ richiesta la
sussistenza di specifiche ragioni ne’, ovviamente, la relativa indicazione nel
contratto. Esse sono:
- l’assunzione a termine nel trasporto aereo e nei servizi
aeroportuali (sul cui merito si rinvia piu’ ampiamente al 1/2 3);
- le assunzioni a termine nel settore del turismo e dei
pubblici esercizi, per l’esecuzione di speciali servizi non superiori a tre
giorni ai sensi dell’art. 10, terzo comma;
- le assunzioni di dirigenti, ammesse con il limite massimo di durata di cinque
anni e senza obbligo di forma scritta in quanto fattispecie contrattuali
unicamente soggette alle disposizioni degli articoli 6 e 8 (art. 10, quarto
comma);
- la prosecuzione del lavoro del personale dipendente che
abbia differito il pensionamento di anzianita’ ai sensi della legge n.
388/2000, art.75 (art.10, sesto comma);
- le assunzioni di lavoratori in mobilita’;
- le assunzioni dei disabili ex art. 11, legge n. 68/1999.
2.a. Ragioni di carattere tecnico, produttivo ed
organizzativo.
L’art. 1, comma 1, del decreto in commento consente
l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a
fronte delle note “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o
sostitutivo”.
Si tratta, come detto, di una clausola generale ed aperta la cui funzione e’
quella di consentire l’utilizzazione flessibile dell’istituto in raccordo con
le specifiche e variabili esigenze concrete di ciascun datore di lavoro.
Tale ragioni, specificate in via preventiva dal datore di lavoro nel contratto
stipulato, devono rispondere ai requisiti della oggettivita’ e, pertanto,
debbono essere verificabili al fine di non dar luogo ad eventuali comportamenti
fraudolenti o abusivi.
A tal riguardo, e’ da rilevare che la ragione addotta,
purche’ concretamente riscontrabile, e’ rimessa all’apprezzamento del datore di
lavoro e deve sussistere e, quindi, essere verificata, al momento della
stipulazione del contratto. La sopravvenuta stabilita’ della esigenza non puo’
incidere sulla legittimita’ del contratto di lavoro e del suo termine.
Ove, infine, la specifica causale di assunzione in concreto
dedotta dalle parti non dovesse essere riconducibile alla previsione dell’art.
1 del decreto, il contratto dovra’ considerarsi ex tunc a tempo indeterminato.
2.b. Ragioni sostitutive.
Fra le causali che il datore di lavoro puo’ addurre, il
nuovo provvedimento comprende anche le ragioni sostitutive.
L’ampiezza della formula utilizzata legittima l’apposizione
di un termine al contratto di lavoro indipendentemente dal fatto che il
personale da sostituire si sia assentato per ragioni imprevedibili e non
programmabili e che, d’altra parte, il sostituito abbia un diritto legale, e
non convenzionale, alla conservazione del posto di lavoro. In proposito, si
rileva che il contratto a termine stipulato per questa motivazione non e’
assoggettato ai limiti quantitativi che verranno eventualmente introdotti dalla
autonomia collettiva (art. 10, settimo comma, lettera b).
Resta da segnalare, infine, che nell’assunzione per ragioni
sostitutive, l’apposizione del termine puo’ risultare direttamente ed
indirettamente, cioe’, anche con un mero rinvio al momento del futuro rientro
del lavoratore da sostituire.
2.c. Limiti quantitativi ed esclusioni da tali limiti.
Un regime cautelativo dell’utilizzo del contratto a termine
si rinviene nella disposizione che affida ai contratti collettivi nazionali
stipulati dai sindacati comparativamente piu’ rappresentativi il compito di
individuare i limiti quantitativi di utilizzazione dell’istituto, fatte salve,
ovviamente, quelle specifiche ipotesi di assunzione espressamente escluse da
ogni limitazione percentuale.
Tali ipotesi sono quelle contemplate all’art. 10, settimo ed ottavo comma. Si
tratta, in generale, di ipotesi di assunzione ascrivibili a fabbisogni
particolari di flessibilita’ degli assetti produttivi e/o di servizio o, per
altro verso, funzionali all’accesso al lavoro dei giovani o degli ultra
cinquantenni. In questi ultimi casi, tuttavia, i particolari requisiti
soggettivi contemplati dalla legge escludono l’operativita’ dei limiti
percentuali ma non superano anche il principio di causalita’ del contratto a
termine.
Da segnalare, inoltre, che ai sensi del comma ottavo
dell’art. 10 del decreto, i limiti percentuali non trovano applicazione nel
caso di contratto a termine di durata complessiva inferiore a sette mesi a
condizione che nei sei mesi precedenti non sia venuto a scadere altro contratto
a termine di durata inferire a sette mesi e, quindi, esente da limitazione
percentuale, avente ad oggetto lo svolgimento di attivita’ identiche.
Da ultimo, e’ utile evidenziare che, fermo restando il
necessario rispetto delle ragioni giustificatrici di cui all’art. 1 del
decreto, la fissazione di tali limitazioni non costituisce un presupposto per
l’instaurazione di contratti a termine, ma solo una facolta’ accordata alle
parti sociali.
3. Assunzioni a termine nel settore del trasporto aereo e
dei servizi aeroportuali.
L’art. 2 del decreto in commento disciplina, in via
aggiuntiva rispetto alla generale operativita’ dell’art. 1, il ricorso al
contratto a termine di breve durata nel settore del trasporto aereo e dei
servizi aeroportuali, riproducendo senza modificazioni la lettera f), art. 1,
legge n. 230/1962 (aggiunta con legge n. 84/1986), sicche’ le imprese di quel
settore possono utilizzare tale tipologia contrattuale nei limiti di tempo
prescritti dalla legge senza pur tuttavia essere tenute a specificarne le
motivazioni. Cio’ si spiega in ragione del fatto che il settore in esame e
caratterizzato da ciclici e ricorrenti incrementi di produttivita’ che il
legislatore ha inteso codificare. Non e’ escluso, peraltro, che le stesse
imprese si avvalgano della norma generale di cui all’art. 1 per ulteriori
necessita’ di implementazione temporanea dell’organico in periodi diversi e/o
maggiori di quelli stabiliti dalla disposizione in esame, la quale - e’
opportuno rilevarlo - non opera in via esclusiva ma e’ limitata a sopperire
alle sole implementazioni stagionali del settore che sono ritenute strutturali.
Ai sensi dell’art. 2 del decreto, dunque, i contratti a
termine:
- con riferimento alla legittimazione delle assunzioni, non
necessitano di causale;
- in ordine alla durata, da intendersi come comprensiva di eventuale proroga,
possono prevedere periodi di lavoro di sei mesi complessivi, tra aprile e
ottobre di ogni anno, e di quattro in periodi diversi;
- non possono superare la misura del 15% dell’organico
aziendale addetto, al gennaio dell’anno di riferimento, ai servizi per i quali
e’ prevista la costituzione di rapporti a termine (servizi operativi di terra e
di volo, di assistenza a bordo ai passeggeri e merci).
Giova sottolineare al riguardo che, fin dal 1995, con nota
del 19 dicembre, questo Ministero si e’ espresso nel senso che, essendo unico e
complessivo il parametro di riferimento sul quale calcolare la
percentualizzazione data, non per questo le assunzioni a termine devono
riguardare tutti i servizi indicati dalla disposizione, restando nella
disponibilita’ dell’azienda di valutare le necessita’ dei settori operativi
maggiormente esposti e conseguentemente provvedere al loro rafforzamento, senza
che il suddetto rapporto tra dipendenti stabili e precari a termine sia
osservato in ogni singolo servizio operativo. Eguale orientamento interpretativo,
vale nell’ipotesi di superamento del 15% a seguito di provvedimento autorizzato
della direzione provinciale del lavoro, su istanza di aziende operanti negli
aeroporti minori.
4. Requisiti di forma del contratto a termine.
Poiche’ l’indicazione scritta del termine e delle ragioni
che lo legittimano e’ richiesta ad substantiam, la mancanza di detta forma
comporta la nullita’ della clausola relativa al termine, con la conseguenza che
il contratto si considera a tempo indeterminato.
La legge prevede, poi, che copia del contratto, la cui
pattuizione e stesura puo’ essere anteriore o contestuale all’inizio della
prestazione lavorativa, sia fornita al lavoratore a termine entro cinque giorni
lavorativi dall’assunzione in servizio (art. 1, terzo comma).
Trattasi di un adempimento estrinseco ai requisiti del
contratto e, quindi, inidoneo ad incidere sulla validita’.
L’atto scritto non e’ richiesto per le assunzioni con durata non superiore a
dodici giorni di calendario (art. 1, quarto comma) ne’ ovviamente per quelle
dei dirigenti e del personale addetto ai settori esclusi dall’ambito
applicativo della legge stessa.
In ogni caso, il termine finale del contratto puo’ risultare
direttamente o indirettamente, con cio’ confermando il prevalente orientamento
giurisprudenziale per il quale e’ possibile stabilire un termine finale certus
an sed incertus quando.
5. Divieti di stipulazione del contratto a termine.
Dalla previsione contenuta nell’art. 3 in materia di divieti
si ricava a contrario la conferma dell’ampia facolta’ di ricorso all’istituto,
tenuto conto che il divieto e’ tassativo nei casi di cui alle lettere a), c) e
d), ma derogabile per quanto previsto nella lettera b).
Ed infatti, ai sensi dell’art. 3, lettera b), e’ fatto
divieto di assumere lavoratori con contratto a termine presso unita’ produttive
nelle quali si sia proceduto, nei sei mesi precedenti, a licenziamenti
collettivi di personale adibito alle medesime mansioni cui si riferirebbe il
contratto a termine da stipularsi.
Il principio qui descritto soffre, pur tuttavia, di due eccezioni.
La prima, di carattere generale, si riferisce all’eventuale
diversa disposizione di accordi collettivi.
La seconda, sancita espressamente dal medesimo legislatore,
precisa che, anche nell’ipotesi sopra descritta, e’ comunque consentito
assumere lavoratori con contratto a termine ove lo stesso:
- sia volto a sostituire lavoratori assenti;
- sia concluso per l’assunzione di lavoratori in mobilita’
(ed abbia una durata non superiore a dodici mesi);
- abbia una durata iniziale non superiore a tre mesi,
comunque prorogabile nel rispetto delle forme e dei limiti stabiliti dall’art.
4.
6. Contratti esclusi dal campo di applicazione del
decreto legislativo n. 368/2001.
Il provvedimento in esame reca inoltre disposizioni
concernenti l’esclusione dal proprio ambito applicativo di istituti e tipologie
contrattuali, sia in quanto soggetti ad apposito regolamento giuridico (art.
10, comma primo, lettere a), b), c), sia in quanto preordinati al conseguimento
della formazione e all’inserimento al lavoro, quali stages, piani di
inserimento lavorativo, tirocini, che le relative previsioni legislative non
riconducono all’area di cui all’art. 2094 del codice civile.
Sono esclusi inoltre i contratti a contenuto formativo,
quali apprendistato e formazione-lavoro nonche’ quelli di lavoro temporaneo o
interinale.
Quanto ai contratti di formazione e lavoro, e’ appena il
caso di rammentare che in essi la durata del rapporto e’ determinata in primo
luogo dall’art. 16 della legge n. 451/1994 e, nel rispetto del periodo massimo
ivi fissato, dal singolo progetto formativo, senza alcun riferimento quindi ad
esigenze aziendali o motivazioni di cui all’art. 1, decreto legislativo n. 368
cit.
Analoghe le ragioni dell’esclusione del contratto di
apprendistato, la cui durata, non vertendosi di tipologia di lavoro flessibile,
e’ rapportabile non ad esigenze aziendali da ricondurre all’art. 1 succitato ma
al complesso contenutistico della qualificazione da conseguire. A tal fine il
relativo periodo, normato legislativamente quanto ai limiti minimi e massimo,
viene stabilito dalla contrattazione collettiva di categoria cui la legge
rinvia in ordine alla determinazione oltre che del dato retributivo anche della
durata per le singole qualifiche sulla base delle ravvicinate valutazioni ed
esperienze delle parti sociali riguardo ai percorsi formativi e di lavoro
professionalizzanti. Ed infatti, sia il contratto di formazione e lavoro che
quello di apprendistato si fondano su presupposti del tutto diversi rispetto a
quelli sottesi al rapporto a tempo determinato. Piu’ precisamente, proprio in
ragione della loro peculiare funzione economico sociale, essi non solo sono
esclusi dal campo di applicazione del decreto in commento ma non soggiacciono
nemmeno alla disciplina della successione di piu’ contratti ivi disciplinata
all’art. 5. L’esecuzione del contratto non e’, infatti, ripetibile per la
stessa qualifica e la relativa durata non e’ prorogabile se non per esigenze
connesse al completamento dell’iter formativo. In particolare, il rapporto di
apprendistato e’ unicamente soggetto a soluzioni di continuita’ - ai sensi di
legge - come da art. 8 della disciplina istitutiva del 1955, che dispone la
cumulabilita’ dei periodi di servizio omogenei prestati alle dipendenze di piu’
datori di lavoro al fine del raggiungimento della qualifica. Sul punto, va,
poi, rammentato l’art. 21, legge n. 56/1987, nella parte in cui (comma quarto)
demanda alla contrattazione collettiva di categoria di prevedere specifiche
modalita’ di svolgimento dell’apprendistato nelle imprese con attivita’ in
cicli stagionali.
La casistica legislativa in tema di esclusione comprende
oltre al settore turismo e pubblici esercizi relativamente alle assunzioni a
giornata della quali si e’ gia’ fatto cenno, anche il settore dell’agricoltura
e del commercio non al dettaglio di prodotti ortofrutticoli. Nella prima delle
suddette ipotesi, prevista dall’art. 10, secondo comma, viene ribadito il
principio gia’ contenuto nella legge n. 230/1962 e incisivamente riaffermato
dalla Cassazione (Sent. Cass. S.U. n.265 del 13 gennaio 1997) al cui vaglio si
deve il definitivo chiarimento circa la non assoggettabilita’ dei rapporti a
termine in agricoltura all’area applicativa della generale disciplina ex legge
n. 230 cit. In merito la Corte, interpretando evolutivamente l’art. 6 della
citata legge n. 230, ha ammesso “in generale e senza alcuna limitazione il
lavoro stagionale agricolo” oltre la previsione dell’abrogato regolamento di
esecuzione di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 1525/1963.
La nuova legge accoglie detto principio per connessione
logica estendendolo al settore produttivo nello stesso art. 10, quinto comma,
nell’ottica di non comprimere le possibilita’ occupazionali e lo sviluppo del
settore stesso, collegando le une e l’altro alle vicende produttive
dell’agricoltura con le quali interagiscono.
7. Durata del contratto a tempo determinato.
L’individuazione della durata del contratto, come e’ ovvio,
rappresenta una variabile dipendente dal contesto produttivo nel quale il
lavoratore deve essere inserito e, per questo, il legislatore non ha stabilito
a priori, tranne che per i dirigenti, un limite di durata.
L’unico limite di durata, dunque, e’ in generale quello desumibile, secondo un
criterio di ragionevolezza, in coerenza con la concreta causale di assunzione
dedotta in contratto all’atto della sua stipulazione.
Precisato quanto sopra in via di principio, le disposizioni di seguito elencate
recano, tuttavia, predeterminazioni temporali di alcuni contratti.
Art. 10, comma 3: lavoro a giornata:tre giorni.
Art. 1, comma 4: lavoro occasionale: dodici giorni non
prorogabili in coerenza con la condizione di occasionalità.
Art. 3, lett. b: deroga al divieto di assunzione temporanea:
tre mesi prorogabili.
Art. 2: settore aero portuale:quattro e sei mesi.
Art. 10, comma 8: contratti di breve durata:fino a sette
mesi, non prorogabili, o maggior durata stabilita dalla contrattazione
collettiva.
Art. 3, lettera b: deroga al divieto per assunzioni di
lavoratori in mobilità:dodici mesi non prorogabili.
Art. 10, comma 6: lavoratori anziani in possesso dei
requisiti di pensionamento:due anni, ripetibili.
Art. 4, comma 2: ipotesi di proroga:tre anni complessivi.
Art. 10, comma 4: contratti dei dirigenti: cinque anni.
Occorre fornire un chiarimento relativo alle attivita’
stagionali, in particolare a quelle ricomprese nella voce n. 48, decreto del
Presidente della Repubblica n. 1525/1963, come integrato dal decreto del
Presidente della Repubblica n. 378/1995, che vi ha inserito le aziende
turistiche con periodi minimi di inattivita’ di settanta giorni continuativi o
centoventi non continuativi. Ora, quanto alle causali di legittima apposizione
del termine, il decreto legislativo n. 368 soprarichiamato, nell’art. 10,
settimo comma, lett. b), rinvia alle suddette attivita’ stagionali tabellate a
mero titolo esemplificativo e non esclusivo in ordine alla individuazione delle
relative fattispecie, con la conseguenza che i presupposti applicativi di cui
alla predetta voce n. 48 non sono piu’ richiesti in quanto prevale
l’allegazione della motivazione presentata dall’imprenditore conformemente alla
nuova legge.
Non sembra sussistere, peraltro, alcuna predeterminazione di durata di questi
contratti, la quale rappresenta oggi una variabile dipendente dalle esigenze
dell’assetto produttivo di riferimento, sicche’, per l’effetto abrogativo ex
art. 11 primo comma, nel settore turistico - diversamente dalla prassi di
applicazione della legge n. 230 - sono ora ammesse assunzioni a termine anche
per periodi superiori a sei mesi all’anno se supportate dalle motivazioni
datoriali addotte e, comunque, indipendentemente dai presupposti di
applicabilita’ di cui alla voce n. 48 cit.
8. Proroga del termine.
Il contratto di lavoro a termine puo’ essere prorogato,
secondo quanto stabilito dall’art. 4, anche per un periodo largamente superiore
a quello iniziale, ferma restando la durata complessiva di tre anni ed eccezion
fatta per i contratti di breve durata ex art. 10, ottavo comma. Premesso che
l’istituto della proroga come quello del rinnovo gia’ risultava normato
nell’ordinamento in vista di approntare misure di prevenzione degli abusi, si
osserva che l’attualizzazione della disciplina, mentre conferma la possibilita’
di un indefinito numero di rinnovi sempreche’ separati dagli intervalli
temporali fissati dall’art. 5, terzo comma, e ne sussistano i presupposti,
ribadisce il principio dell’unica proroga senza tuttavia circoscriverne la
durata, purche’ - si ribadisce - nel complesso inferiore a tre anni. Con cio’
stesso, il legislatore esprime un ulteriore segnale circa l’accezione elastica
dell’istituto in commento.
Quanto alla giustificazione della proroga vi e’ infine da
dire che le ragioni oggettive indicate dal legislatore sono prive del carattere
della imprevedibilita’ e/o eccezionalita’ e/o straordinarieta’.
E’, dunque, da ritenersi superata quella previgente
disposizione che subordinava la legittimita’ della proroga alla sussistenza di
esigenze contingenti ed imprevedibili. In particolare, fermo restando che la
proroga deve riferirsi alla stessa attivita’ lavorativa per la quale il
contratto e’ stato stipulato a tempo determinato, cio’ implica la possibilita’ che
le ragioni giustificatrici della proroga, oltre che prevedibili sin dal momento
della prima assunzione, siano anche del tutto diverse da quelle che hanno
determinato la stipulazione del contratto a termine purche’ riconducibili a
ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo di cui
all’art. 1 del decreto.
Quanto alle modalita’ della proroga, il decreto n. 368
richiede anche il necessario consenso del lavoratore, per la validita’ ed
efficacia del quale non necessaria la forma scritta (Cass. 23 novembre 1988, n.
6305).
Peraltro, la nuova disciplina della proroga del contratto a termine e’
destinata a trovare applicazione gia’ con riguardo ai contratti stipulati nel
vigore della previgente disciplina stante l’abrogazione della legge n.
230/1962.
9. Prosecuzione del termine.
L’art. 5 del decreto disciplina, poi, l’ipotesi della
prosecuzione del rapporto individuando un “periodo di tolleranza”. Piu’
precisamente, si stabilisce che, ove il rapporto di lavoro continui dopo la
scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, il
datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore, per ogni giorno di
continuazione, una maggiorazione della retribuzione. Pur tuttavia, nel caso in
cui il rapporto prosegua per piu’ di venti o trenta giorni, rispettivamente,
per i contratti di durata inferiore o superiore a sei mesi, il contratto si
considerera’ a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.
10. Limiti alla successione dei contratti a termine.
Quanto alla patologia del contratto, essa e’ contemplata
nell’art. 5, che ne stabilisce la conversione a tempo indeterminato:
- dalla data di stipula del primo contratto, quindi con efficacia retroattiva,
se le assunzioni si siano succedute senza soluzione di continuita’ (quinto
comma);
- dalla data di assunzione di un secondo contratto a tempo
determinato, se la riassunzione sia intervenuta entro un periodo di dieci o
venti giorni dalla data di scadenza del contratto (rispettivamente di durata
inferiore o maggiore di sei mesi [terzo comma]): ritenendo ovviamente che il
termine scadenziale comprenda anche il periodo di eventuale prosecuzione del
contratto e/o di proroga dello stesso;
- (come visto) dal ventunesimo o dal trentunesimo giorno
successivo alla scadenza contrattuale, nel caso di prosecuzione indennizzata
del rapporto (secondo comma).
In applicazione del disposto succitato, si conferma l’orientamento
ministeriale di cui a circ. n. 53/97, concernente la disciplina sanzionatoria
in materia di contratto a tempo determinato, con la puntualizzazione che la
novella legislativa a mente dell’art. 5, terzo comma, chiarisce la regola
applicabile ai fini della conversione di contratti con durata fino a sei mesi,
o superiore a sei mesi, per i quali la terminologia adottata nell’art. 12 della
legge n. 196/1997 aveva lasciato spazio a qualche dubbio.
11. Abrogazioni e regime transitorio.
Il decreto legislativo n. 368, disponendo la regolamentazione giuridica
dell’intera materia del contratto a termine, non ammette intersezioni
applicative con le precedenti disposizioni che nel nuovo assetto normativo
sono, pertanto, direttamente (come la legge 18 aprile 1962, n. 230 e successive
modificazioni, l’art. 8-bis della legge 25 marzo 1983, n. 79, l’art. 23 della
legge 28 febbraio 1987, n. 56) o indirettamente abrogate.
In relazione agli effetti derivanti dalle predette
abrogazioni, l’art. 11, comma 2, del decreto dispone tuttavia che “le clausole
dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulate ai sensi del citato art.
23 e vigenti all’atto dell’entrata in vigore del presente provvedimento
legislativo, manterranno, in via transitoria e salve diverse intese, la loro
efficacia fino alla data di scadenza dei contratti collettivi nazionali di
lavoro stessi”.
La previsione de qua ha, quindi, l’effetto di mantenere, pur se in via
transitoria, l’efficacia delle clausole dei contratti collettivi nazionali fino
alla loro naturale scadenza, in tal modo facendo salve, anche nella vigenza
della nuova normativa, le ipotesi di legittima apposizione del termine ivi
indicate, con la conseguenza che il riferimento alle stesse esonera il datore
di lavoro dal fornire ulteriori giustificazioni. Si ricorda, infatti, che
l’art. 23, comma 1, della legge n. 56/1987 aveva affidato alla contrattazione
collettiva il compito di individuare, accanto alle ipotesi tipizzate dal
legislatore, ulteriori ipotesi in cui ammettere l’apposizione del termine. In
tal senso, disponeva, altresi’, che nei contratti collettivi fosse stabilito il
numero percentuale dei lavoratori che potesse essere assunto con detta forma
contrattuale rispetto ai lavoratori impegnati a tempo indeterminato. Attualmente, dunque, le clausole dei contratti
collettivi nazionali in vigore (ivi comprese quelle relative all’individuazione
dei limiti percentuali) continueranno ad avere efficacia accanto alle altre
ipotesi che la disciplina del decreto n. 368 ricollega alle richiamate esigenze
di carattere “tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo” che, come piu’
volte detto, legittimano ad oggi l’apposizione del termine. Va in ogni caso
precisato, in proposito, come le ipotesi di lavoro a tempo determinato
individuate dalla contrattazione collettiva ai sensi dell’art. 23, legge
56/1987, siano aggiuntive e non sostitutive di quelle indicate dalla legge. Le
clausole dei contratti collettivi nazionali in vigore, in altri termini,
continueranno ad affiancarsi (e non a sostituirsi) alle ipotesi di legge, con
la sola differenza che al numerus clausus di cui all’art. 1 della legge 18
aprile 1962, n. 230 e successive modifiche e integrazioni si viene ora a
sostituire la clausola generale di cui all’art. 1, comma 1, del decreto legislativo
9 ottobre 2001, n. 368. Lo stesso dicasi per le clausole di contingentamento
disposte dai contratti collettivi di cui all’art. 23, legge n. 56/1987, che,
almeno in linea di principio, stabiliscono tetti massimi alle assunzioni a
tempo determinato con esclusivo riferimento alle ipotesi tipizzate dalla
autonomia collettiva e non anche a quelle gia’ legittimate dal legislatore.
Roma, 1 agosto 2002 Il Ministro: Maroni