LAVORI PUBBLICI -
SOLO PER L'AGGIUDICATARIO SI PROCEDE A VERIFICA E CORREZIONE DEI SINGOLI
PREZZI UNITARI - NON RILEVANO LE DIFFERENZE TRA L'IMPORTO COMPLESSIVO E LA
PERCENTUALE OFFERTA
(Consiglio di Stato, sezione VI, 11 luglio 2003, n. 4145)
Tra i poteri della Commissione non rientra la correzione delle
offerte, ma solo la valutazione di congruità di quelle risultate anomale,
restando fermo l'obbligo di aggiudicazione a quella che, superata la verifica
condotta in base alle giustificazioni, abbia offerto il maggior ribasso
percentuale indicato in lettere.
Poiché i criteri dettati dal secondo comma dell'art. 90 del d.P.R.
n. 554/1999 sono preordinati esclusivamente a risolvere le ambiguità ai fini
dell'individuazione dell'offerta aggiudicataria, ma non eliminano dette
ambiguità dal corpo dell'offerta stessa, il settimo comma dello stesso art. 90
si occupa della "chiusura" del sistema, attraverso la rimozione delle
incongruenze, in modo da definire esattamente i contenuti dell'offerta, ai fini
dell'esecuzione del contratto.
Tale operazione - che è affidata alla stazione appaltante e si
svolge in un momento successivo all'aggiudicazione definitiva e prima della stipulazione
del contratto - è disciplinata anch'essa analiticamente con criteri coerenti
con quelli indicati al secondo comma .
Nei confronti della sola offerta aggiudicataria (e perciò non delle
altre offerte) , dopo aver proceduto alla verifica dell'esattezza dei calcoli
dei prezzi unitari, l'Amministrazione, ove riscontri una discordanza fra il
prezzo complessivo (eventualmente corretto) e quello corrispondente al ribasso
percentuale offerto, deve provvedere a correggere tutti i prezzi unitari
"in modo costante in base alla percentuale di discordanza", ed i
prezzi così corretti costituiscono "l'elenco dei prezzi unitari
contrattuali", da valere in sede di esecuzione dell'appalto.
. . . omissis . . .
DIRITTO
1. L'impugnata sentenza del Tribunale amministrativo regionale del
Veneto (resa in forma abbreviata ai sensi dell'art. 26 della legge 6 dicembre
1971, n. 1034, come modificato dall'art. 9 della legge n. 205/2000) ha
annullato, su ricorso della P.C., il verbale della riunione dell'11 ottobre
2002, con il quale la Commissione della gara indetta dall'Università Cà Foscari
di Venezia, per l'affidamento a licitazione privata dei lavori di restauro
dell'ex Convento di San Sebastiano, dopo aver modificato d'ufficio (riducendolo
da 10,19% a 7,511%) il ribasso percentuale offerto dalla menzionata Società, in
quanto non concordante con il prezzo complessivo, aveva aggiudicato l'appalto
alla costituenda ATI formata dalla D. s.r.l. e dalle A.R. s.r.l. e C.E.V.
s.r.l..
1.1. Ha affermato, al riguardo, il primo giudice che l'operato della
commissione di gara aveva violato l'art. 90 del d.P.R. n. 554/1999, che, al
comma 2, prevede che, in caso di discordanza tra prezzo complessivo e ribasso
percentuale, prevale il ribasso percentuale indicato in lettere, e al comma 7, che,
in caso di discordanza fra il prezzo complessivo (eventualmente emendato degli
errori di calcolo nella somma o prodotto dei prezzi unitari) e quello
dipendente dal ribasso percentuale offerto, tutti i prezzi unitari sono
corretti in modo costante in base alla percentuale di discordanza.
2. Con gli appelli in epigrafe - che vanno necessariamente riuniti
ai sensi dell'art. 335 c.p.c. - sia l'Università appaltante sia la D. criticano
le conclusioni del T.A.R., muovendo dalla premessa che, nel sistema di offerta
per prezzi unitari, osservato nella fattispecie, l'elemento cardine sarebbe
proprio l'indicazione di questi ultimi e, quindi, quella del prezzo
complessivo, rispetto al quale la determinazione della percentuale di ribasso
sarebbe operazione meramente aritmetica, con la conseguenza che, in caso di
discordanza, dovrebbe darsi prevalenza, come operato dalla Commissione di gara,
al prezzo complessivo.
Né a ciò si opporrebbe l'art. 90 del d.P.R. 21 dicembre 1999, n.
554, posto che il comma secondo, richiamato dalla decisione impugnata, si
limiterebbe a stabilire il criterio di prevalenza in caso di discordanza tra
l'indicazione in cifre ed in lettere del ribasso percentuale, mentre, a sua
volta, il 7° comma (laddove prevede che, in caso di discordanza tra il prezzo
complessivo e quello dipendente dal ribasso percentuale offerto, devono essere
corretti tutti i prezzi unitari in rapporto alla percentuale di discordanza) si
riferirebbe solo all'eliminazione di piccole incongruenze, nella successiva
fase di verifica, da effettuarsi dopo l'aggiudicazione.
Nella fattispecie, invece, la discordanza emersa in sede di gara
atterrebbe alla regolarità dell'offerta, onde la stessa o sarebbe suscettibile
di essere emendata a priori, nel senso di attribuirle, attraverso la correzione
dell'errore, il contenuto effettivamente voluto dalla parte, o darebbe luogo,
altrimenti, all'inevitabile esclusione dell'offerta stessa, in quanto
irregolare.
3. Le tesi degli appellanti non meritano condivisione, in quanto,
pur astrattamente dotate di una loro intrinseca logicità, appaiono del tutto
avulse dal sistema delineato dall'art. 90 del d.P.R. n. 554/1999.
4. Quest'ultima norma - che opera in materia delegificata dall'art.
3, comma 1, lett. b della legge 11 febbraio 1994, n. 109 - prevede un sistema
concluso, volto a risolvere, nell'ottica della certezza e della trasparenza
delle operazioni di affidamento degli appalti, ogni incertezza che possa
insorgere in un'offerta articolata quale quella per prezzi unitari, in modo da
prevenire contestazioni circa l'effettiva volontà della parte privata, in caso
di discordanze fra le diverse componenti dell'offerta stessa.
4.1. In sede regolamentare, il legislatore (che pure avrebbe potuto
sanzionare di nullità tutte le offerte contenenti dati non congruenti fra
loro), ha preferito privilegiare, per quanto possibile, la conservazione delle
offerte medesime, risolvendo le ipotesi di ambiguità della manifestazione di
volontà non attraverso una (sempre controvertibile) ricostruzione
dell'effettiva volontà dell'offerente, ma attribuendo alla dichiarazione
equivoca un contenuto legalmente sostitutivo, maggiormente idoneo, per il suo
carattere predeterminato e obiettivo, a garantire la trasparenza della
procedura e la connessa par condicio dei concorrenti.
4.2. A tal fine è preordinato, innanzi tutto, il secondo comma
dell'art. 90, il cui dato testuale è tassativo nello stabilire (dopo aver
indicato le regole per la compilazione dell'offerta) che:
a) in calce al modulo vanno indicati il prezzo complessivo offerto
ed il corrispondente ribasso percentuale rispetto al prezzo posto a base
d'asta;
b) il prezzo complessivo e il ribasso vanno indicati in cifre e in
lettere;
c) in caso di discordanza (quale che sia la causa e l'entità di tale
discordanza) "prevale il ribasso percentuale indicato in lettere".
4.3. A fronte di tale chiara indicazione, è evidentemente
insostenibile la tesi degli appellanti, che vorrebbero limitare l'oggetto della
previsione normativa alle sole ipotesi di discordanza fra l'indicazione in
cifre e quella in lettere, nell'ambito di ciascuna voce (prezzo e ribasso).
E' sufficiente, infatti, osservare che l'espressione "in caso
di discordanza prevale il ribasso percentuale indicato in lettere",
collocata immediatamente dopo quella "il prezzo complessivo ed il ribasso
sono indicati in cifre ed in lettere", ove volesse riferirsi alla sola non
congruenza interna a ciascuna voce, sarebbe formulata del tutto illogicamente,
giacché, per esprimere tale significato, avrebbe dovuto dire soltanto
"prevale l'indicazione in lettere" ovvero (ove si fosse voluta
conservare l'analiticità) "prevalgono rispettivamente il prezzo
complessivo o il ribasso percentuale indicato in lettere".
4.4. La semplice lettura della norma, condotta secondo il suo
significato letterale e le sue concordanze sintattiche, conduce, invece, alla
piana conclusione che con essa si è posto un criterio di chiusura, volto a dare
prevalenza, in tutti i casi di discordanza fra i dati indicati in calce al
modulo di offerta (riferiti sia al prezzo sia alla percentuale di ribasso), al
ribasso percentuale indicato in lettere, sì da precludere alla Commissione di
gara ogni intervento correttivo sull'offerta, ai fini dell'aggiudicazione.
4.5. E che un intervento siffatto sia precluso in radice, in questa
fase del procedimento, è dimostrato dalla previsione del sesto comma dell'art.
90, il quale recita coerentemente: "Nel giorno e nell'ora stabiliti nel
bando di gara, l'autorità che presiede la gara apre i plichi ricevuti e
contrassegna ed autentica le offerte in ciascun foglio e le eventuali
correzioni apportate nel modo indicato nel comma 5; legge ad alta voce il
prezzo complessivo offerto da ciascun concorrente ed il conseguente ribasso
percentuale e procede all'aggiudicazione in base al ribasso percentuale
indicato in lettere ai sensi di quanto previsto all'articolo 89, commi 2 e
4".
Il che conferma che tra i poteri della Commissione non rientra la
correzione delle offerte, ma solo la valutazione di congruità di quelle
risultate anomale, in applicazione delle disposizioni di legge, restando fermo
l'obbligo di aggiudicazione a quella che, superata la verifica condotta in base
alle giustificazioni, abbia offerto il maggior ribasso percentuale indicato in
lettere.
4.6. E del resto, ove si riconoscesse un potere di correzione alla
Commissione dei dati indicati dai partecipanti, per ricondurre a congruenza gli
stessi, secondo la valutazione soggettiva dell'organo, non si avrebbe alcuna
precostituita certezza né circa i contenuti delle offerte né circa la soglia di
anomalia da individuare.
4.7. Ed è già sufficiente tale rilievo per rendere illegittima la
condotta dell'Autorità preposta alla gara e condurre all'annullamento degli
atti da essa adottati, in conformità alle conclusioni raggiunte dal primo
giudice.
5. Ma v'è di più.
5.1. Poiché i criteri dettati dal secondo comma dell'art. 90 del
d.P.R. n. 554/1999 sono preordinati esclusivamente a risolvere le ambiguità ai
fini dell'individuazione dell'offerta aggiudicataria, ma non eliminano dette
ambiguità dal corpo dell'offerta stessa, il settimo comma dello stesso art. 90
si occupa della "chiusura" del sistema, attraverso la rimozione delle
incongruenze, in modo da definire esattamente i contenuti dell'offerta, ai fini
dell'esecuzione del contratto.
5.2. Tale operazione - che è affidata alla stazione appaltante e si
svolge in un momento successivo all'aggiudicazione definitiva e prima della
stipulazione del contratto - è disciplinata anch'essa analiticamente con
criteri coerenti con quelli indicati al secondo comma.
5.3. In particolare, dopo aver proceduto alla verifica
dell'esattezza dei calcoli dei prezzi unitari, l'Amministrazione, ove riscontri
una discordanza fra il prezzo complessivo (eventualmente corretto) e quello
corrispondente al ribasso percentuale offerto, deve provvedere a correggere
tutti i prezzi unitari "in modo costante in base alla percentuale di
discordanza".
Infine, i prezzi così corretti costituiscono "l'elenco dei
prezzi unitari contrattuali", da valere in sede di esecuzione
dell'appalto.
6. Certo, a tali criteri di risoluzione delle discordanze se ne
potrebbero opporre anche altri, ritenuti, secondo l'assunto degli appellanti,
più congrui o razionali.
Ma, così argomentando si finisce con il sostituire valutazioni
soggettive alle scelte regolamentari, che, proprio attraverso l'espressa
abrogazione della precedente disciplina recata dall'art. 5 della legge 2
febbraio 1973, n. 14, hanno mostrato di privilegiare, invece, il perseguimento
della finalità di dare certezza alla procedura di aggiudicazione, sottraendola,
per quanto possibile, da un lato, alla discrezionalità della stazione
appaltante nella individuazione della volontà dell'offerente, dall'altro alle
contestazioni di quest'ultimo (e degli altri partecipanti alla gara) circa
l'effettivo contenuto delle offerte.
7. Stabilita, dunque, l'illegittimità dell'intervento correttivo
della Commissione di gara sull'offerta della P.C., va, a questo punto,
esaminata la censura (già proposta inutilmente in primo grado dalla D.,
attraverso ricorso incidentale e, ora, reiterata in appello), secondo la quale,
la discordanza rilevata dall'Organo di aggiudicazione tra il prezzo complessivo
e il corrispondente ribasso percentuale avrebbe dovuto comportare, in apice,
l'inammissibilità dell'offerta stessa e, conseguentemente, la sua esclusione.
7.1. Anche tale doglianza si rivela, però, infondata.
7.2. Le cause di esclusione delle offerte devono essere previste nel
bando e riguardano, in via di principio, o la mancanza dei requisiti prescritti
o l'inosservanza di formalità tassativamente stabilite o la carenza di elementi
essenziali dell'offerta stessa o l'anomalia dell'offerta non adeguatamente
giustificata.
Ora, nella specie, nell'offerta della P.C. non si riscontrava alcuno
degli elementi ostativi dianzi descritti, bensì solo la discordanza tra il
prezzo complessivo e il corrispondente ribasso percentuale.
Sennonché, proprio con riguardo a tale ipotesi, ha provveduto, come
si è detto, il regolamento, il quale, senza distinguere circa l'entità e la
natura delle discordanze, ha configurato un meccanismo idoneo a rendere,
comunque, utilizzabili le offerte; meccanismo che, evidentemente, quale che sia
il giudizio soggettivo degli appellanti, non lascia spazio al potere della
Commissione di disporre, in limine, l'esclusione dell'offerta che presenti una
di siffatte discordanze.
7.3. Va detto, comunque, per completezza, che, anche alla stregua
dei principi civilistici, la discordanza in parola si traduce in un errore
nella manifestazione di volontà, che, a tutto voler concedere, è invocabile, al
fine della richiesta di annullamento del contratto, solo dalla parte che vi
abbia dato causa, onde, anche sotto questo profilo, in assenza di disposizioni
della lex specialis della gara ed in armonia con le disposizioni regolamentari
già esaminate, non si configura un vizio che legittimi la controparte, di sua
iniziativa, all'annullamento dell'offerta.
8. Le considerazioni che precedono recano in sé anche le ragioni per
le quali appare del tutto inaccoglibile l'istanza, avanzata solo all'udienza di
discussione, di disapplicazione dell'art. 90 del d.P.R. n. 554/1999, per
contrasto con la norma di rango superiore di cui all'art. 21 della legge 11
febbraio 1994, n. 109.
Ed invero, in disparte il rilievo che tale istanza si concreta in un
addebito di illegittimità a carico di una disposizione mai censurata né in
primo grado, in sede di ricorso incidentale, né in sede di appello contro la
sentenza che l'aveva posta espressamente a fondamento dell'accoglimento del
ricorso ed anche a prescindere dalla problematica circa l'istituto della
disapplicazione, ad opera del giudice amministrativo, nei confronti di una
fonte regolamentare indipendente, in quanto operante in materia delegificata,
sta di fatto che non si ravvisa alcun contrasto con l'art. 21 della legge n.
109, il quale non si occupa affatto della specifica materia, che è, infatti,
integralmente demandata, dall'art. 3 della stessa legge, alla potestà
regolamentare del Governo.
8.1. Ne consegue che difettano, nella fattispecie, gli stessi
presupposti giuridici della disapplicazione, posto che quest'ultima, anche nei
casi in cui sia riconosciuto, in capo al giudice amministrativo il relativo
potere, postula, comunque l'esistenza e l'immediata applicabilità, al caso
concreto, di una norma primaria, cui sia di ostacolo una, difforme, di livello
secondario, da rimuovere, appunto, mediante disapplicazione.
Viceversa, nella fattispecie, la disapplicazione richiesta
lascerebbe senza alcuna disciplina l'ipotesi concreta (non essendo questa
rinvenibile nell'art. 21 invocato dall'appellante), onde la stessa si
risolverebbe in definitiva nel chiedere, in via giurisdizionale, un intervento
volto a ignorare una norma dell'ordinamento vigente per creare una
regolamentazione diversa asseritamente più aderente all'intenzione del
legislatore primario; il che non può rientrare evidentemente tra le
attribuzioni del giudice amministrativo, ma tutt'al più, potrebbe essere
oggetto, de jure condendo, di intervento del potere regolamentare, volto ad
assumere un indirizzo diverso da quello attualmente seguito.
9. Per tutte le considerazioni esposte gli appelli devono essere
respinti.
La natura della questione trattata rende equa la compensazione delle
spese del grado di giudizio tra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti in epigrafe, li respinge.