SUDDIVISIONE DELLA COMPETENZA LEGISLATIVA TRA STATO E REGIONI PER I LAVORI
PUBBLICI - SENTENZE CORTE COSTITUZIONALE
Con le sentenze 1° ottobre 2003 n. 303, relativa alla
normativa sulle grandi infrastrutture e sentenza 1° ottobre 2003 n. 302,
concernente i regolamenti di attuazione della legge n. 109/94 la Corte
Costituzionale ha toccato alcuni temi importanti della normativa sui lavori
pubblici ed ha fornito alcuni primi orientamenti sul riparto di competenza
legislativa tra Stato e Regioni in questo settore.
La sentenza n. 303 del 1/10/2003
La sentenza nasce dai ricorsi presentati da sette Regioni e
da due Province autonome avverso la Legge n. 443/2001 (Legge obiettivo) ed il
relativo decreto di attuazione, D.Lgs. n. 190/2002. I ricorrenti censuravano
molte norme contenute nei citati provvedimenti, contestandone sostanzialmente
l'intera impostazione, ed in particolare il potere dello Stato di regolare
l'intera materia in violazione delle prerogative spettanti alle Regioni ed alle
Province autonome.
La questione sollevata offre l'occasione alla Corte
Costituzionale per ricostruire l'attuale assetto costituzionale, con
particolare riguardo alla materia dei lavori pubblici, e fornire
un'interpretazione generale dell'assetto normativo venutosi a creare con le
modifiche al titolo V della Costituzione.
L'attuale art. 117 della Costituzione individua specifiche
materie di competenza esclusiva dello Stato, materie di competenza concorrente
dello Stato e delle Regioni e riconosce la competenza legislativa esclusiva
(residuale) alle Regioni per le materie non comprese nei due elenchi. La
materia ''lavori pubblici" non è letteralmente prevista in nessuno dei due
elenchi: da qui la pretesa delle Regioni che tale materia rientri nella loro
competenza esclusiva.
La prima affermazione importante della Corte è che i ''lavori
pubblici non possono essere considerati una materia a sè stante, poichè la relativa
legislazione tocca materie diverse e quindi si qualifica distintamente a
seconda dell'oggetto al quale afferisce. Pertanto la mancata inclusione
nell'elencazione dell'art. 117 non implica che i lavori pubblici siano oggetto
di potestà legislativa residuale delle Regioni: al contrario, si tratta di
ambiti legislativi che possono essere ascritti di volta in volta a potestà
legislative esclusive dello Stato ovvero a potestà legislative concorrenti.
Tale affermazione è un importante passaggio verso l'interpretazione,
sostenuta dall'Ance, tesa a far rientrare nella potestà esclusiva dello Stato
gli ambiti dei lavori pubblici ascrivibili alla materia della concorrenza,
quali l'ambito della qualificazione e delle procedure di gara, per le quali è
estremamente necessario garantire l'omogeneità sul territorio nazionale.
L'altra affermazione centrale della sentenza, che guida la
Corte nella decisione dei ricorsi, è
quella relativa al principio di sussidiarietà. La Corte sostiene che anche in
un sistema fortemente decentrato compete allo Stato un'attività unificante, che
va aldilà dell'esercizio della potestà legislativa esclusiva e concorrente.
Vanno cioè individuati nell'ordinamento giuridico i meccanismi che consentono
allo Stato di salvaguardare le esigenze di
unità ed indivisibilità. Uno di tali meccanismi è costituito dall'art.
118 della Costituzione, che consente di attribuire allo Stato funzioni
amministrative, normalmente svolte, nell'ordine, dai Comuni, dalle Province,
dalle Regioni, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed
adeguatezza.
In particolare, il principio di sussidiarietà introduce un
elemento di flessibilità nella ripartizione delle competenze legislative
previste dall'art. 117: se infatti allo Stato può essere attribuita in via
sussidiaria una determinata funzione amministrativa, al medesimo Stato va anche
riconosciuta la competenza legislativa diretta a regolamentare lo svolgimento
di tale funzione amministrativa (forza espansiva del principio di sussidiarietà).
Tuttavia, il rispetto dell'assetto di competenze delineato
dalla Costituzione, impone che tale
principio non possa consentire la prevalenza tout court dell'interesse
nazionale, ma va temperato con il principio fondamentale dell'intesa, ossia,
laddove in applicazione del principio di sussidiarietà le funzioni
amministrative e legislative sono attratte nella competenza dello Stato, esse
devono essere esercitate d'intesa con le Regioni interessate.
Sulla base dei due criteri sopra indicati, la Corte esamina
le diverse censure mosse dai ricorrenti, respingendole per la gran parte ed
accogliendole laddove non viene rispettato il principio dell'intesa con gli
enti territoriali.
In particolare, è riconosciuta la legittimità della procedura
di individuazione delle infrastrutture, delineata dall'art. 1, comma 1 della
Legge n. 443/2001, come modificata dalla Legge n. 166/2002. quest'ultima,
infatti, ha introdotto lo strumento dell'intesa con le Regioni. Ne consegue che
il primo programma approvato con delibera CIPE del 21.12.2001 nella vigenza
della disciplina antecedente alla Legge n. 166/2002, cioè senza l'intesa con le
Regioni, non è vincolante per queste ultime finchè su di esso non sia
intervenuta l'intesa con riguardo all'individuazione delle opere.
È legittima anche la disposizione del D.Lgs. 190/2002 che
distingue tra opere aventi carattere interregionale o internazionale e opere
per le quali l'interesse regionale concorre con il preminente interesse
statale. Su questa distinzione si basa il diverso meccanismo normativo previsto
per il superamento dell'eventuale dissenso della Regione in sede di
approvazione del progetto preliminare. Secondo la Corte, poichè la
qualificazione stessa di un'opera come opera ''a concorrente interesse
regionale" è frutto di un'intesa tra lo Stato e la Regione interessata,
ciò garantisce sufficientemente le competenze regionali, potendo la Regione
bloccare l'approvazione del progetto preliminare di un'opera a concorrente
interesse regionale.
La procedura per l'approvazione del progetto preliminare è
giudicata legittima dalla Corte, in quanto il CIPE, che è l'organo competente
all'approvazione, deve essere in composizione integrata dai Presidenti delle
Regioni interessate. Anche il meccanismo, duplice a seconda della summenzionata
tipologia di opera, per il superamento del dissenso delle Regioni è ritenuto
legittimo, sempre sulla base del principio dell'intesa che viene con modalità
diverse assicurato dal legislatore.
È, invece, dichiarato, costituzionalmente illegittimo l'art.
1 comma 3 bis della Legge n. 443/2001, che disciplina la procedura di
approvazione del progetto definitivo. La norma prevede che il progetto possa
essere approvato, in alternativa alla procedura ordinaria (delibera del CIPE in
composizione integrata) anche con decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri, previa deliberazione del CIPE. In sostanza, la decisione viene
rimessa allo Stato ed il CIPE svolge un ruolo non più decisionale, ma
consultivo. Secondo la Corte questa procedura non salvaguarda le attribuzioni
delle Regioni.
Importante statuizione della Corte è quella che concerne
l'incostituzionalità delle disposizioni della Legge obiettivo e del decreto
attuativo che conferiscono al Governo il potere di modificare o emanare
regolamenti (c.d. delegificazione) diretti a disciplinare, attraverso
normazione secondaria, la realizzazione delle grandi opere. In particolare, la
dichiarazione di incostituzionalità riguarda l'art. 1 comma 3 della Legge, che
attribuisce al Governo il potere di integrare e modificare il D.P.R. n.
554/1999 (regolamento generale di attuazione della Legge n. 109/1994), nonchè i
primi 4 commi dell'art. 15 del decreto attuativo, che oltre a prevedere il
potere del Governo di modificare tutti i regolamenti di attuazione della Legge
n. 109/1994, anche il potere di emanare nuovi regolamenti per disciplinare
aspetti specifici della normativa sulla realizzazione delle grandi opere.
La Corte sostiene, infatti, che in base al già visto
principio di sussidiarietà lo Stato può legiferare su materie sulle quali
eserciti una funzione amministrativa, tuttavia non può dettare la relativa
disciplina con una fonte regolamentare secondaria. In questo modo si
consentirebbe a norme di livello secondario di modificare norme regionali di
livello primario, in violazione del rapporto di gerarchia tra le fonti del
diritto.
Questa pronuncia è particolarmente significativa, poichè fa
venir meno la base normativa che giustificava l'emanazione da parte del Governo
di importanti provvedimenti, quali il regolamento di qualificazione del General
Contractor, che ha un iter già avanzato. In sostanza, lo Stato dovrebbe
ricorrere ad un atto avente forza di Legge per disciplinare tale sistema di
qualificazione, pur dovendosi notare che la materia de qua, per i medesimi
principi espressi dalla Corte sulla competenza legislativa riguardante i lavori
pubblici, potrebbe ritenersi rientrante nella materia della tutela della
concorrenza, spettante alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.
Infine, è ritenuta costituzionalmente legittima la procedura
di valutazione di impatto ambientale relativa alle opere di interesse regionale
concorrente, atteso che il provvedimento di compatibilità ambientale è adottato
dal CIPE in composizione integrata con i presidenti delle Regioni interessate. È,
invece, incostituzionale la norma che non prevede che la commissione incaricata
della valutazione di impatto ambientale, per le opere a concorrente interesse
regionale, non sia integrata da componenti designati dalle Regioni interessate.
La sentenza n. 302
La sentenza in esame concerne la estendibilità alle Regioni
ed alle Province autonome dei regolamenti attuativi della Legge n. 109/1994, il
regolamento generale (D.P.R. n. 554/1999) ed il regolamento di qualificazione
(D.P.R. n. 34/2000).
La Corte perviene alla conclusione della illegittimità
costituzionale delle norme dei due provvedimenti che prevedono l'applicabilità
della disciplina in essi contenuta a Regioni e Province autonome, ed in
particolare dell'art. 1, comma 2 e dell'art. 188, commi 8, 9 e 10 del D.P.R. n.
554/1999, nonchè dell'art. 1, comma 2, dell'art. 2 comma 1 lett. b) e dell'art.
5, comma 1 lett. h) del D.P.R. n. 34/2000.
Deve, tuttavia, evidenziarsi da subito che la portata della
pronuncia è notevolmente ridotta dalla considerazione che la Corte si è
espressa, nel senso detto, con riferimento all'assetto costituzionale anteriore
alla riforma del titolo V della Costituzione.
In tale assetto, infatti, la materia dei lavori pubblici di
interesse regionale era attribuita alla competenza legislativa concorrente delle Regioni a statuto ordinario, ed alla
competenza esclusiva delle Regioni a statuto speciale e delle Province
autonome, potendo le prime legiferare nel rispetto dei principi fondamentali dello
Stato e le seconde nel rispetto dei principi fondamentali della Costituzione,
dell'ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali.
La motivazione della declaratoria di illegittimità, rispetto
a tale assetto, risiede nella impossibilità per i regolamenti c.d.
delegificati, cioè atti di normazione secondaria autorizzati dalla Legge a
disciplinare una materia coperta da riserva relativa di Legge, quali sono i due
regolamenti citati, ad incidere su materie di competenza regionale e delle
province autonome non potendo lo strumento della delegificazione operare per
fonti (regolamento statale e Legge regionale) che hanno natura diversa, tra le
quali vi sia un rapporto di competenza e non di gerarchia.
Sulla base di tali presupposti, la Corte ha dichiarato
l'illegittimità costituzionale delle citate norme del D.P.R. n. 554/1999, con
riguardo all'applicabilità del medesimo regolamento in caso di lavori pubblici
di competenza regionale (art. 1, comma 2), finanziati prevalentemente dallo
Stato, nonchè in caso di lavori realizzati nell'ambito di funzioni delegate e
nelle materie che non costituiscono oggetto di potestà legislativa concorrente
(ai sensi dell'art. 117 Cost., nella versione precedente).
Per quanto concerne l'applicabilità del regolamento nelle
more dell'adeguamento della legislazione regionale ai principi desumibili dalla
Legge n. 109/1994, la Corte ha ritenuto incostituzionale tale previsione
soltanto con riguardo alle Province autonome. Per le Regioni a statuto
ordinario il regolamento trova applicazione nelle ipotesi in cui la legislazione
regionale preesistente sia effettivamente in contrasto con i principi
desumibili dalla Legge quadro.
Per quanto concerne
il D.P.R. n. 34/2000, la Corte ha ritenuto incostituzionale l'estensione della
disciplina in esso contenuta alle Regioni e alle Province autonome, oltre che
per i limiti della c.d. delegificazione sopra evidenziati, anche perchè la
norma di delega (art. 8 della Legge n. 109/1994) fa riferimento all'ambito
soggettivo di applicazione della medesima legge (art. 2 Legge n. 109/1994), che
non comprende nel novero dei soggetti tenuti all'applicazione della legge le
Regioni e le Province autonome.
L'inapplicabilità sembra riguardare esclusivamente le opere
appaltate dalle Regioni e non anche le opere, di interesse regionale, appaltate
dagli enti locali.
In ogni caso, aldilà dei contenuti specifici della sentenza
in esame, deve rilevarsi che il mutato assetto costituzionale incide
profondamente sulla rilevanza della pronuncia. Come visto, infatti, la stessa
Corte con la sentenza n. 303/2003, sopra esaminata, esclude che i lavori
pubblici costituiscano materia di competenza esclusiva delle Regioni,
trattandosi viceversa di un insieme di ambiti normativi che possono essere
ricondotti a diverse materie attribuite alla competenza esclusiva dello Stato o
concorrente dello Stato e delle Regioni.
In particolare, il sistema di qualificazione sembrerebbe poter rientrare nella materia della tutela della concorrenza per la quale lo Stato mantiene una potestà legislativa esclusiva, così come la disciplina contenuta nel D.P.R. n. 554/1999 potrebbe in parte rientrare nella stessa materia (soggetti ammessi alle gare, procedure di gara, criteri di aggiudicazione), in parte, per quanto attiene alla disciplina strettamente contrattuale, potrebbe rientrare nella materia, pure di competenza esclusiva dello Stato, dell'ordinamento civile. Senz'altro, la sentenza della Corte n. 303 pare avallare concretamente la lettura proposta.