PART-TIME - D.LVO N. 61/2000 - PRIME ISTRUZIONI MINISTERO DEL LAVORO
- CIRCOLARE N. 9/2004
Con circolare n. 9 del 18 marzo 2004 il Ministero
del Lavoro ha illustrato la nuova disciplina del contratto part-time (tempo
parziale) così come risulta in seguito alle modifiche apportate dal D.Lgs.
276/2003 alla Legge n. 61/2000.
Di seguito si pubblica il testo della citata circolare.
Il Ministro
del Lavoro e delle Politiche Sociali
Circolare n.
9/04 del 18 marzo 2004
Oggetto: Il lavoro a tempo parziale
1. Il sostegno
legislativo al lavoro a tempo parziale
Il decreto legislativo n. 276 del 10 settembre 2003
ha introdotto, con l’articolo 46 e in adempimento di quanto previsto
all’articolo 3 della legge delega n. 30 del 2003, rilevanti modifiche alla
disciplina del rapporto di lavoro a tempo parziale. Disciplina contenuta, come
noto, nel decreto legislativo n. 61 del 2000, così come modificato dal
decreto legislativo n. 100 del 2001. Come illustrato nella Relazione tecnica di
accompagnamento al decreto n. 276 del 2003, le modifiche introdotte sono volte
a favorire il ricorso a questa tipologia contrattuale, che in tutti i Paesi
europei ha dimostrato di fornire occasione di lavoro di qualità rispetto a
prestazioni flessibile o atipiche prive di tutele adeguate per i lavoratori,
soprattutto per le fasce deboli altrimenti escluse dal mercato del lavoro
(donne, giovani in cerca di prima occupazione e anziani). Tali modifiche sono
attuate principalmente mediante una nuova regolamentazione degli strumenti di
flessibilità del rapporto a tempo parziale, attraverso la valorizzazione del
ruolo della autonomia collettiva e, in mancanza di questa, della autonomia
individuale, fermo restando il rispetto di standard minimi di tutela del
lavoratore secondo quanto previsto dalla direttiva 97/81/CE.
Per facilitare la lettura della nuova disciplina
del lavoro a tempo parziale, si allega alla presente circolare il testo
consolidato del decreto legislativo n. 61 del 2000, così come modificato dal
decreto legislativo n. 100 del 2001 e ora dal decreto legislativo n. 276 del
2003.
Si ritiene, comunque, doveroso puntualizzare come
il lavoro a tempo parziale largamente valorizzato dal legislatore comunitario,
venga ancora utilizzato in Italia in misura ridotta rispetto agli altri paesi a
causa di una regolamentazione eccessivamente rigida e formalistica che si è
inteso superare con le nuove disposizioni contenute nel decreto legislativo
276. Pertanto, nel presupposto che la promozione del lavoro a tempo parziale
passi necessariamente attraverso una notevole semplificazione normativa, la
riforma Biagi agli incentivi normativi già previsti, ne aggiunge di nuovi
-eliminando inutili appesantimenti burocratici e restituendo alla
contrattazione collettiva e individuale piena operatività- al fine di valorizzare
pienamente tutte le potenzialità dell’istituto e consentire allo stesso di
contemperare impegni lavorativi e responsabilità familiari oltre a
rappresentare un canale di accesso al mercato del lavoro regolare.
2. Ambito di
applicazione e modalità tipologiche
Le modifiche introdotte dal decreto legislativo n.
276 del 2003 non si applicano ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche per espressa previsione dell’articolo 3, comma 1,
della legge n. 30 del 2003, nonché in base all’articolo 1, comma 2, del decreto
legislativo n. 276 del 2003. L’eventuale armonizzazione tra settore pubblico e
settore privato, ipotizzata dall’articolo 86 dello stesso decreto legislativo
n. 276 del 2003, è subordinata a un confronto tra Ministero della Funzione
pubblica e organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei dipendenti
delle amministrazioni pubbliche e impone un espresso intervento legislativo di
modifica del quadro previgente. Le modifiche introdotte alla disciplina del
decreto legislativo n. 61 del 2000 trovano dunque applicazione esclusivamente
per il settore privato.
In base all’articolo 46, comma 1, lettera q),
del decreto legislativo n. 276 del 2003, che ha abrogato l’articolo 7 del
decreto legislativo n. 61 del 2000, la disciplina del rapporto di lavoro a
tempo parziale è ora integralmente applicabile al settore agricolo.
Nel tentativo di estendere il più possibile il
raggio di azione del nuovo lavoro a tempo parziale è possibile stipulare detto
contratto anche con riferimento ad ogni ipotesi di contratto a termine. Sebbene
il decreto non lo affermi espressamente, non si ravvisa, in linea di principio,
neppure una incompatibilità tra il rapporto a tempo parziale e il contratto di
apprendistato o di inserimento ove la peculiare articolazione dell’orario non
sia di ostacolo al raggiungimento delle finalità – formative ovvero di
adattamento delle competenze professionali – tipiche di questi contratti (1).
3.
Definizioni
L’articolo 1 del decreto legislativo n. 61 del
2000, che contiene la definizione di lavoro a tempo parziale, è stato
modificato(2) alla lettera a) del comma 2 per adeguare le disposizioni
in materia di lavoro a tempo parziale a quelle recentemente dettate in materia
di orario di lavoro con il decreto legislativo n. 66 del 2003. E’ lavoro a
tempo parziale il contratto con orario inferiore a quello normale, come
definito dalle norme di legge e contratto collettivo. Più precisamente, il
lavoro a tempo pieno è ora definito, attraverso il rinvio all’articolo 3, comma
1, del citato decreto legislativo n. 66 del 2003, come orario normale fissato
in 40 ore settimanali ovvero il minor orario previsto dai contratti collettivi.
Per quanto non esplicitamente richiamato deve intendersi come orario normale,
ai sensi del comma 2 del citato articolo 3 del
decreto legislativo n. 66 del 2003, anche quello stabilito dai contratti
collettivi con riferimento alla durata media delle prestazioni lavorative per
un periodo non superiore all’anno. Per l’individuazione dell’orario normale giornaliero,
ex articolo 1, comma 2, lettera c), la contrattazione collettiva ben potrà
dettare, ai sensi dell’articolo articolo 1, comma 3, una definizione specifica
di tale orario che, ovviamente, avrà valore ai soli fini del lavoro a tempo
parziale di tipo orizzontale.
Rimangono, invece, invariate le altre definizioni
contenute nel comma 2 del citato articolo 1 del decreto legislativo n. 61 del
2000.
I contratti collettivi nazionali e territoriali
stipulati da organizzazioni comparativamente più rappresentative, nonché
i contratti collettivi aziendali, non più con la necessaria assistenza dei
sindacati che hanno negoziato e sottoscritto il contratto nazionale applicato,
possono stabilire le condizioni e le modalità della prestazione lavorativa nel
rapporto di lavoro a tempo parziale. Permane la facoltà per i contratti
collettivi nazionali di prevedere, per specifiche figure o livelli
professionali, modalità particolari di attuazione della disciplina rimessa alla
contrattazione collettiva(3).
Tale disposizione consente, quindi, una
regolamentazione differenziata riguardo ai contenuti applicativi degli aspetti
demandati alla contrattazione ad esempio con riferimento al lavoro
supplementare, clausole flessibili ed elastiche e via dicendo.
4. Forma e
contenuto.
Non è stata modificata la norma che disciplina la
forma del contratto a tempo parziale. E’ pertanto richiesta la forma scritta ai
soli fini della prova. Il contratto di lavoro a tempo parziale deve indicare
puntualmente la durata della prestazione e la collocazione oraria della stessa
con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno. Tale ultima
prescrizione può essere derogata solo ove le parti introducano nel contratto
una clausola di tipo flessibile o di tipo elastico, che sono ammissibili nei
limiti previsti dalla legge (vedi infra). Come vedremo successivamente,
la mancanza di tali indicazioni non comporta, così come stabilito già dalla
disciplina previgente, la nullità del contratto(4).
L’articolo 85, comma 2, del decreto legislativo n.
276 del 2003 ha tuttavia abrogato l’obbligo, contenuto nell’articolo 2 del
decreto legislativo n. 61 del 2000, di inviare alla Direzione provinciale del
lavoro competente per territorio copia del contratto di lavoro a tempo parziale
entro trenta giorni dalla sua stipulazione. Si ricorda, peraltro, l’obbligo
generale di comunicare l’assunzione entro 5 giorni dalla stessa, previsto
dall’articolo 9
bis, comma 2, del decreto legge n. 510 del 1996,
convertito dalla legge n. 608 del 1996. Tale obbligo dovrà essere adempiuto
contestualmente alla assunzione con l’entrata in vigore, subordinata
all’emanazione del decreto interministeriale di cui all’articolo 4 bis, comma
7, del decreto legislativo n. 181 del 21 aprile 2000, della nuova formulazione
dell’articolo 9 bis come modificato dall’articolo 6, comma 3 del decreto
legislativo n. 297 del 2002(5).
5. Modalità
del rapporto di lavoro a tempo parziale
Lavoro
supplementare
Il lavoro supplementare è definito, ex articolo 1,
comma 2, lettera e), come il lavoro reso oltre l’orario concordato nel
contratto individuale entro il limite del tempo pieno.
La nuova formulazione dell’articolo 3, comma 1,
prevede espressamente che nel part-time di tipo orizzontale sia consentito il
ricorso al lavoro supplementare e che il lavoro supplementare possa essere
svolto in ogni ipotesi di contratto a tempo determinato.
Ciò non esclude che il lavoro supplementare possa
ipotizzarsi anche nel lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto, tutte
le volte che la prestazione pattuita ai sensi dell’articolo 2, comma 2, sia
inferiore all’orario normale settimanale.
Nel lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale, la
regolamentazione del lavoro supplementare rimane affidata ai contratti
collettivi stipulati dai soggetti individuati dall’articolo 1, comma 3, del
decreto legislativo n. 61 del 2000, così come modificato dall’articolo 46,
comma 1, lettera b). Rispetto alla precedente formulazione, è stato tuttavia
eliminato il riferimento al contratto collettivo effettivamente applicato.
Pertanto, può ritenersi che il datore di lavoro che applichi un contratto che
non regolamenta il lavoro supplementare possa mutuare la regolamentazione
contenuta in un contratto diverso da quello applicato.
Alla autonomia collettiva è conseguentemente
rimessa l’individuazione del numero massimo di ore di lavoro supplementare
effettuabili, le causali nonché le conseguenze del superamento dei limiti
massimi consentiti(6). La nuova formulazione non predetermina il periodo di
riferimento entro cui detti limiti massimi devono essere stabiliti, e non
vincola le parti del contratto collettivo ad individuare causali di tipo
oggettivo di ricorso al lavoro supplementare, di modo che possono essere
previste anche causali di tipo soggettivo.
In ipotesi di superamento dei limiti consentiti al
lavoro supplementare il termine “conseguenze” deve essere interpretato nel
senso che tali conseguenze non devono essere di natura necessariamente
economica (per esempio riposi compensativi).
L’articolo 46, comma 1, lettera i), del
decreto legislativo n. 276 del 2003 ha, inoltre, abolito il comma 6
dell’articolo 3 del decreto legislativo n. 61 del 2000; conseguentemente è
stata abrogata la disciplina legale sussidiaria che prevedeva, in caso di
superamento dei limiti consentiti e in assenza di specifica previsione del
contratto collettivo, una maggiorazione del 50 per cento sulla retribuzione
oraria globale di fatto, nonché la previsione legale che attribuiva alla
contrattazione collettiva la facoltà di regolamentare il consolidamento
dell’orario di lavoro svolto in via non meramente occasionale.
In presenza della regolamentazione collettiva non è
necessario, in base alla esplicita previsione di legge, il consenso al lavoro
supplementare da parte del lavoratore. L’eventuale rifiuto non può in ogni caso
integrare un giustificato motivo di licenziamento.
Il venir meno del riferimento all’illecito
disciplinare, contemplato dalla normativa previgente, deve essere interpretato
nel senso che l’illegittimo rifiuto a rendere la prestazione supplementare può
acquisire rilevanza disciplinare.
In mancanza di regolamentazione collettiva il
lavoro supplementare è comunque ammesso su base volontaria, ma è venuto meno,
in forza dell’articolo 46, comma 1, lettera e) del decreto legislativo
n. 276 del 2003, il limite del 10 per cento rispetto all’orario concordato,
previsto dalla originaria formulazione dell’articolo 3, comma 2 del decreto
legislativo n. 61 del 2000. In assenza di regolamentazione collettiva, e previo
accordo individuale, il lavoro supplementare è pertanto ammesso senza limiti,
fermo restando quello del tempo pieno.
A fronte del principio di libertà della forma non è
richiesto che il consenso, a differenza che per le ipotesi di lavoro flessibile
ed elastico, sia prestato con una forma predeterminata. Pertanto, il consenso,
oltre che essere manifestato per fatti concludenti, potrà essere anche
preventiva-mente acquisito, ad esempio all’inizio del turno/settimana/mese.
La necessità del consenso, per contro, comporta che
il rifiuto, in questa ipotesi, non può costituire né giustificato motivo
oggettivo di licenziamento né un fatto disciplinarmente rilevante.
La disciplina legale non prevede una maggiorazione
per il lavoro supplementare. I contratti collettivi hanno tuttavia facoltà di
introdurre una maggiorazione per il lavoro supplementare sulla retribuzione
oraria globale di fatto.
I contratti collettivi possono stabilire che
l’incidenza sugli istituti retributivi indiretti e differiti della retribuzione
per le ore supplementari, sia applicata attraverso una maggiorazione forfetaria
della retribuzione oraria globale di fatto.
La nuova disciplina del lavoro supplementare è
immediatamente applicabile. Riguardo alle discipline vigenti nei contratti
collettivi, in considerazione della espressa abrogazione della disciplina
transitoria introdotta dall’articolo 3, comma 15, del d.lgs. n. 61 del 2000,
decadono tutte le clausole dei contratti collettivi (nazionali, territoriali o
aziendali) vigenti alla entrata in vigore del d.lgs. n. 276 del 2003
incompatibili con la nuova disciplina di legge ovvero stipulate sul presupposto
o, comunque, in applicazione della norma legale coeva. Verranno meno, di
conseguenza, anche le clausole dei contratti individuali apposte in
applicazione della disciplina collettiva oramai caducata.
Il
lavoro straordinario
Nel lavoro a tempo parziale di tipo verticale o
misto è ammesso il ricorso al lavoro straordinario(7). E’ possibile il ricorso
al lavoro straordinario anche nella ipotesi in cui il rapporto a tempo parziale
sia stipulato a termine(8).
Il lavoro straordinario è disciplinato dalle regole
vigenti, legali e contrattuali, per i lavoratori a tempo pieno. Sarà possibile
il ricorso al lavoro straordinario solo ove il tempo pieno settimanale sia
stato raggiunto. In caso contrario, la variazione in aumento dell’orario potrà
essere gestita mediante il ricorso a clausole elastiche ovvero mediante il
ricorso al lavoro supplementare.
Come per i lavoratori a tempo pieno non è previsto
alcun obbligo di forma per la richiesta di effettuazione di lavoro
straordinario.
Clausole
flessibili
Nel contratto di lavoro a tempo parziale deve
essere inserita una puntuale regolamentazione della collocazione oraria della
prestazione con riferimento al giorno, alla settimana al mese o all’anno(9).
Il datore di lavoro non può modificare
unilateralmente la collocazione della prestazione lavorativa rispetto a quella
contrattualmente stabilita. Le parti del contratto individuale hanno la facoltà
di stipulare un patto, in forma scritta, avente ad oggetto una clausola
flessibile(10). Il patto può essere stipulato anche quando il rapporto di
lavoro a tempo parziale è stipulato a termine(11).
Il patto può essere stipulato contestual-mente o
successivamente all’assunzione(12). Nella stipulazione di detto patto il lavoratore
può chiedere di farsi assistere da un rappresentante sindacale in azienda da
lui indicato(13).
La regolamentazione del lavoro flessibile è
demandata all’autonomia collettiva che individua le condizioni e le modalità di
esercizio del potere unilaterale del datore di lavoro di variare la
collocazione temporale della prestazione(14).
La disciplina legale prevede in favore del
lavoratore un preavviso di due giorni lavorativi(15). Le parti, anche del
contratto individuale, possono stabilire una diversa misura del preavviso ma
non eliminarlo completamente.
In caso di lavoro flessibile il lavoratore ha
inoltre diritto a specifiche compensazioni. La determinazione della forma e
della misura di tali compensazioni è rinviata alla autonomia collettiva tenuto
conto che l’articolo 3, comma 1, lettera b), della legge delega n. 30
del 2003 prevede che sia comunque prevista una maggiorazione di carattere
retributivo da riconoscere al lavoratore.
La nuova formulazione del testo di legge non
ripropone il requisito del contratto effettivamente applicato. Anche, in questa
ipotesi, pertanto, può ritenersi che il datore di lavoro che applichi un
contratto che non regolamenta il lavoro flessibile possa mutuare la
regolamentazione contenuta in un contratto diverso da quello applicato. In tal
caso, occorre tuttavia che il contratto individuale di lavoro indichi
espressamente quale sia il contratto collettivo cui si intende far riferimento.
E ciò per l’evidente esigenza di rendere edotto il lavoratore della disciplina
contrattuale cui è assoggettato.
In mancanza di una regolamentazione per via
collettiva le parti possono, comunque accordarsi per lo svolgimento di lavoro
flessibile(16) ma devono regolamentarne condizioni e modalità, nonché stabilire
le forme e la misura della compensazione.
Il rifiuto del prestatore di lavoro di stipulare la
clausola flessibile non costituisce in ogni caso, e cioè anche
indipendentemente dal fatto che esista o meno regola-mentazione collettiva
della materia, giustificato motivo di licenziamento(17).
L’articolo 46 del decreto legislativo n. 276/2003,
modificando il testo previgente, ha abolito la regolamentazione legale del
diritto di ripensamento con cui era possibile per il prestatore di lavoro
recedere dal patto di flessibilità(18).
Infine, si sottolinea, che non integrano una
ipotesi di clausola flessibile le previsioni dei contratti collettivi,
stipulati dai soggetti individuati dall’art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 61 del
2000 come modificato dall’art. 46, comma 1 d.lgs. n. 276 del 2003, che, nel
determinare le modalità della prestazione lavorativa a tempo parziale,
prevedano che la stessa possa essere programmata con riferimento a turni
articolati su fasce orarie prestabilite di modo che ove tale indicazione sia
recepita nel contratto individuale (per relationem) deve essere considerato
soddisfatto il requisito della puntuale indicazione della collocazione
temporale della prestazione con riferimento al giorno, alla settimana, al mese
e all’anno(19).
Clausole
elastiche
L’articolo 46 del decreto legislativo n. 276 del
2003 ha introdotto, limitatamente al part-time verticale e misto, la facoltà
per le parti del contratto di lavoro di stipulare una clausola elastica
relativa cioè alla variazione in aumento della prestazione lavorativa. Tale
clausola si differenzia dalla clausola flessibile perché non concerne dunque,
semplicemente, la collocazione del monte ore concordato ma attiene invece alla
possibilità – vietata dalla normativa previgente – di ampliare il numero di ore
concordato.
La clausola elastica è regolamentata dalla medesima
disciplina prevista per la clausola flessibile ma all’autonomia collettiva è
demandata, oltre che la regolamentazione delle condizioni e modalità di
esercizio del potere datoriale di variare in aumento la prestazione
lavorativa, anche l’individuazione dei limiti entro
cui è legittimo il ricorso al lavoro elastico.
In assenza di regolamentazione collettiva tali
limiti devono essere previsti dalle parti del contratto individuale che
stipulino il patto avente ad oggetto la clausola elastica.
La clausola elastica determina un incremento
definitivo della quantità della prestazione, a differenza dello straordinario o
del supplementare ove si verifica un aumento temporaneo della prestazione,
riferito ad ogni singola giornata nella quale viene richiesta una prestazione
aggiuntiva. Tale incremento può ovviamente essere delimitato nel tempo e
potrebbe anche essere solo eventuale.
6. La
trasformazione del rapporto.
Datore di lavoro e lavoratore possono accordarsi
per trasformare il rapporto da tempo pieno a tempo parziale o viceversa. Il
rifiuto da parte del lavoratore di trasformare il rapporto non integra in
nessun caso un giustificato motivo di licenziamento(20).
L’accordo con cui le parti stabiliscono la
trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale deve essere
stipulato in forma scritta e deve essere convalidato davanti alla Direzione
Provinciale del Lavoro competente per territorio non essendo più prevista la
facoltà per il lavoratore di richiedere l’assistenza di un rappresentante
sindacale in azienda da lui indicato821). L’atto di convalida ben può
intervenire successivamente alla stipula dell’accordo e non presuppone la
necessaria presenza del lavoratore.
Nell’ipotesi di trasformazione a tempo pieno di un
rapporto a tempo parziale, così come nell’ipotesi di aumento o diminuzione
definitivi della durata della prestazione dedotta nel contratto, non sono
previsti obblighi di forma né di convalida in sede amministrativa.
Si ricorda, peraltro, che l’articolo 4 bis, comma
5, del decreto legislativo n. 181 del 2000, come modificato dall’articolo 6,
comma 1, del decreto legislativo n. 297 del 2002, la cui entrata in vigore è
subordinata all’emanazione del decreto interministeriale di cui all’articolo 4
bis, comma 7, del decreto legislativo n. 181 del 21 aprile 2000, prevede
l’obbligo di comunicare, entro cinque giorni, ai servizi competenti, la
trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno(22).
La nuova disciplina legale del rapporto di lavoro a
tempo parziale ha abolito il diritto legale di precedenza per la trasformazione
del rapporto da tempo parziale a tempo pieno nell’ipotesi di nuove assunzioni a
tempo pieno, per mansioni uguali o equivalenti in unità produttive site nello
stesso ambito comunale(23). Tale diritto, però, può essere inserito dalle parti
nel contratto individuale(24).
E’ rimasta invariata la precedente regolamentazione
del diritto di precedenza nel passaggio da tempo pieno a tempo parziale
eccezion fatta per il venir meno dell’obbligo
legale, da parte del datore di lavoro, di motivare
adeguatamente l’eventuale rifiuto a fronte di una specifica richiesta del
lavoratore(25).
7. Computo
dei lavoratori part time
Ai fini delle disposizioni di legge e di contratto
collettivo i lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo parziale devono
essere computati nell’organico. aziendale in proporzione al tempo effettivo di
lavoro. A tal fine dunque occorre considerare anche l’eventuale lavoro
supplementare o quello prestato in virtù di clausole elastiche.
8. Sanzioni
L’articolo 8, comma 1 del decreto legislativo n. 61
del 2000 è rimasto invariato coerentemente con il permanere del requisito della
forma scritta esclusivamente a fini probatori.
In difetto di prova, relativamente alla
stipulazione del contratto di lavoro come contratto a tempo parziale, il
lavoratore potrà chiedere che il rapporto di lavoro sia dichiarato a tempo
pieno dalla data in cui la mancanza della forma scritta sia giudizialmente
accertata, fermo restando il diritto alla retribuzione per la prestazione
effettivamente resa nel periodo anteriore. L’articolo 46, comma 1, lettera r),
del decreto legislativo n. 276 del 2003 ha modificato il secondo comma
dell’articolo 8 del decreto legislativo n. 61 del 2000.
La nuova formulazione ribadisce che l’assenza di
indicazioni puntuali, relativamente alla collocazione e alla durata della
prestazione lavorativa nel contratto a tempo parziale, non comporta la nullità
dello stesso.
Nell’ipotesi di mancata o imprecisa indicazione
della durata, il lavoratore potrà agire per far dichiarare che il rapporto di
lavoro è a tempo pieno dalla data della sentenza. Rimane il diritto alla
retribuzione per la prestazione effettivamente eseguita ma il lavoratore ha
diritto ad un equo risarcimento per il periodo anteriore alla sentenza.
Nell’ipotesi in cui manchi o sia indeterminata la definizione della
collocazione oraria questa potrà essere definita in giudizio. Come parametro si
rinvia alle determinazioni dei contratti collettivi in materia di clausole elastiche
o flessibili, in quanto utili a determinare la collocazione della
prestazione. In mancanza dovrà tenersi
conto delle responsabilità fami-gliari del lavoratore, della necessità che
questi possa avere di integrare il reddito derivante dal rapporto a tempo
parziale mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa nonché delle
esigenze organizzative del datore di lavoro. Anche in questa ipotesi, fermo
restando il diritto alla retribuzione per la prestazione effettivamente resa, è
previsto un ulteriore emolumento, a titolo di risarcimento del danno, da
liquidarsi con valutazione equitativa, per il periodo anteriore alla sentenza.
Si preserva la facoltà per le parti di introdurre successivamente clausole
elastiche o flessibili.
Le controversie relative alla mancanza della forma
scritta, ovvero alla omessa o imprecisa indicazione della collocazione oraria
della prestazione o della sua durata, possono essere risolte anche mediante le
procedure di conciliazione e arbitrato previste dai contratti collettivi nazionali
stipulati da organizzazioni comparativamente più rappresentative.
L’articolo 46, comma 1, lettera s) del decreto
legislativo n. 276 del 2003 ha inoltre introdotto nell’articolo 8 del decreto
legislativo n. 61 del 2000 il comma 2 bis. In base a tale norma lo
svolgimento del lavoro flessibile o elastico in violazione delle previsioni
legali nonché, ove esistenti, di quelle contrattuali, attribuisce al lavoratore
uno specifico diritto alla correspon-sione di un ulteriore emolumento a titolo
di risarcimento del danno.
A fronte della nuova regolamentazione del diritto
di precedenza nel passaggio da tempo parziale a tempo pieno, non più previsto
per legge, ma eventualmente solo sulla base del contratto individuale, la
sanzione prevista dall’articolo 8 comma 3, che prevede la corresponsione, in
caso di violazione del diritto, di un risarcimento pari alla differenza fra
l’importo della retribuzione percepita e quella che sarebbe stata corrisposta a
seguito del passaggio nei sei mesi successivi, integra il contratto individuale
qualora le parti, introducendo il diritto, abbiano omesso di predeterminare la
conseguenza della sua violazione. A fronte dell’abrogazione dell’obbligo di
comunicazione alla Direzione Provinciale del Lavoro deve ritenersi implicitamente
abrogata anche la relativa sanzione prevista dal comma 4 dell’articolo 8 del
decreto legislativo n. 61 del 2000.
Per le violazioni antecedenti al 24 ottobre 2003,
trova applicazione il principio di irretroattività delle leggi che prevedono
sanzioni amministrative di cui all’articolo 1 della legge n. 689/1981. Ne
consegue che, anche nel caso di emissione di ordinanza di ingiunzione, avente
ad oggetto violazioni anteriori all’entrata in vigore della nuova disciplina,
troveranno applicazione le sanzioni riferite alla violazione dell’obbligo di
comunicazione alla Direzione Provinciale del Lavoro. A tal riguardo è
significativa la decisione della Suprema Corte n. 16699 del 26 novembre 2002,
la quale stabilisce che “in materia di illeciti amministrativi, l’adozione
del principio di legalità, di irretroattività e di divieto di applicazione
dell’analogia, risultante dall’articolo 1 della L. n. 689/1981, comporta
l’assoggettamento della condotta considerata alla legge del tempo del suo
verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore più
favorevole”; inoltre la medesima pronuncia chiarisce che la nuova
disciplina non opera “limitatamente ai rapporti non esauriti, per essere
ancora in corso i relativi procedimenti, né in relazione alle violazioni
commesse precedentemente, ma per le quali l’ordinanza ingiunzione è stata
emessa dopo l’entrata in vigore della legge, atteso che l’ordinanza ingiunzione
non è esercizio di un potere e provvedimento amministrativo costitutivo, ma
atto puramente esecutivo, preordinato soltanto alla riscossione di un credito
già per effetto della violazione commessa”.
9.
Trasformazione del rapporto in favore di lavoratori affetti da patologie
oncologiche.
Il decreto legislativo n 276 del 2003, valorizzando
il ruolo del contratto di lavoro a tempo parziale come strumento per
contemperare le esigenze di competitività delle imprese con le istanze di
tutela del lavoratore, introduce anche una disciplina promozionale a favore dei
lavoratori affetti da patologie oncologiche.
L’articolo 46, comma 1, lettera t), del
decreto ha infatti aggiunto al decreto legislativo n. 61 del 2000 l’articolo 12
bis, tipizzando una ipotesi speciale di trasformazione del rapporto in
favore di lavoratori affetti da patologie oncologiche, per i quali residui una
ridotta capacità lavorativa, anche a causa degli effetti invalidanti di terapie
salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso l’azienda unità
sanitaria locale territorialmente competente, si prevede infatti il diritto
alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo
parziale verticale o orizzontale. La norma prevede, inoltre, che, a fronte
della richiesta del lavoratore, il rapporto di lavoro a tempo parziale debba
nuovamente essere trasformato in rapporto di lavoro a tempo pieno.
[1] Con riferimento all’utilizzo dell’orario di
lavoro a tempo parziale nell’ambito del contratto di apprendistato o di
formazione e lavoro si veda già la Circ. Min. Lav. n. 46/2001.
[2] Articolo 46, comma 1, lettera a), d.lgs.
n. 276/2003.
[3] Articolo 1, comma 3, d.lgs. n. 61/2000 come
modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera b), d.lgs. n. 276/2003.
[4] Articolo 8, comma 2, d.lgs. n. 61/2000 così
come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera r) del d.lgs. n. 276/2003.
[5] Cfr. Circ. Min. Lav. del 24 novembre 2003, n.
37.
[6] Articolo 3, comma 2, d.lgs. n. 61/2000 così
come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera e) del d.lgs. n.
276/2003.
[7] Articolo 3, comma 5, d.lgs. n. 61/2000 così
come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera i) del d.lgs. n.
276/2003.
[8] Articolo 3, comma 5, d.lgs. n. 61/2000 così
come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera i) del d.lgs. n.
276/2003.
[9] Articolo 2, comma 2, d.lgs. n. 61/2000.
[10] Articolo 3, comma 7, d.lgs. n. 61/2000 così
come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera j) del d.lgs. n.
276/2003 e articolo 3, comma 9, d.lgs. n. 61/2000 così come modificato
dall’articolo 46, comma 1, lettera l) del d.lgs. n. 276/2003.
[11] Articolo 3, comma 10, d.lgs. n. 61/2000 così
come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera m) del d.lgs. n.
276/2003.
[12] Articolo 3, comma 9, d.lgs. n. 61/2000 così
come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera l) del d.lgs. n.
276/2003.
[13] Articolo 3, comma 9, d.lgs. n. 61/2000 così
come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera l) del d.lgs. n.
276/2003.
[14] Articolo 3, comma 7, d.lgs. n. 61/2000 così
come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera j) del d.lgs. n.
276/2003.
[15] Articolo 3, comma 8, d.lgs. n. 61/2000 così
come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera k) del d.lgs. n.
276/2003.
[16] Articolo 8 ter, d.lgs. n. 61/2000
introdotto dall’articolo 46, comma 1, lettera s) del d.lgs. n. 276/2003.
[17] Articolo 3, comma 9, d.lgs. n. 61/2000 così
come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera l) del d.lgs. n.
276/2003.
[18] Articolo 3, comma 10, d.lgs. n. 61/2000 ora
modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera l) del d.lgs. n. 276/2003
che esplicita la possibilità di inserire clausole flessibili ed elastiche nei
contratti a termine.
[19] Cfr.
Circ. Min.Lav. n. 37/93
[20] Articolo 5, comma 1, d.lgs. n. 61/2000 così
come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera o) del d.lgs. n.
276/2003.
[21] Articolo 5, comma 1, d.lgs. n. 61/2000 così
come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera o) del d.lgs. n.
276/2003.
[22] Cfr. Circ. Min. Lav. del 24 novembre 2003, n.
37.
[23] Articolo 5, comma 2, d.lgs. n. 61/2000 così
come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera o) del d.lgs. n.
276/2003.
[24] Articolo 5, comma 2, d.lgs. n. 61/2000 così
come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera o) del d.lgs. n.
276/2003.
[25] Articolo 5, comma 3, d.lgs. n. 61/2000 così
come modificato dall’articolo 46, comma 1, lettera o) del d.lgs. n.
276/2003.