CONDONO EDILIZIO -
PER LA CONSULTA E' AMMISSIBILE MA CON PIU’ POTERI ALLE REGIONI
Il 28 giugno 2004, con il deposito di tre sentenze (196, 198,
199/2004) ed una ordinanza (197/2004) la Corte Costituzionale ha sciolto la
riserva sulla questione della legittimità del terzo condono edilizio, varato
dall'art. 32 del Decreto Legge 269/2003, successivamente convertito dalla Legge
326/2003.
La prima sentenza 28 giugno 2004, n. 196, relativa ai ricorsi
presentati da numerose Regioni (Emilia-Romagna, Campania, Friuli-Venezia
Giulia, Marche, Lazio, Toscana, Umbria e Basilicata) contro l'art. 32,
riconosce da un lato l'ammissibilità in linea di principio del condono edilizio
in quanto misura straordinaria, e dall'altro, dichiara l'illegittimità
costituzionale di una serie di norme che ledono le competenze legislative
regionali in materia.
Se infatti il condono edilizio rientra nel governo del
territorio, materia di legislazione concorrente Stato-Regioni, in cui lo Stato
ha il potere di fissare i principi regolatori fondamentali e le Regioni
viceversa sono competenti ad emanare la relativa normativa di dettaglio, l'art.
32 risulta invasivo della sfera legislativa regionale in numerosi punti.
noltre, la Consulta precisa che, stante la competenza
esclusiva del legislatore nazionale in tema di ordinamento penale, sul piano
della sanatoria amministrativa ''i vincoli che possono legittimamente imporsi
all'autonomia legislativa regionale non possono che essere quelli ammissibili
in base al nuovo art. 117 della Costituzione".
Spettano allo Stato: la previsione del titolo abilitativo in
sanatoria; il limite temporale di realizzazione delle opere condonabili; la
determinazione delle volumetrie massime e dei fenomeni condonabili.
Sulla base di questi principi generali, le Regioni hanno il
compito di articolare e specificare le disposizioni sul condono.
Queste, in particolare, le norme dell'art. 32 dichiarate
incostituzionali:
- il comma 26 nella
parte in cui non attribuisce alla legge regionale il potere di determinare la
possibilità, le condizioni e le modalità dell'ammissibilità a sanatoria di
tutte le tipologie di abuso edilizio individuate nell'allegato 1 del D.L.
269/2003 e non solo delle tipologie 4, 5 e 6 (restauro e risanamento
conservativo realizzati in assenza o difformità dal titolo abilitativo nei
centri storici e nelle altre zone omogenee del territorio comunale,
manutenzione straordinaria realizzata in assenza o difformità dal titolo
abilitativi, opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di
superfici o di volume);
- il comma 25 nella parte in cui non attribuisce alla legge
regionale di cui sopra anche la possibilità di ridurre i limiti volumetrici
previsti;
- il comma 14, relativo alla sanatoria delle opere realizzate
su aree di proprietà dello Stato o facenti parte del demanio statale, nella
parte in cui non attribuisce alla legge regionale il potere di applicare i
possibili limiti diversi anche a questi interventi;
- l'inciso ''entro sessanta giorni dalla data di entrata in
vigore del presente decreto" del comma 33: la Consulta ha ritenuto
incongruo il termine perentorio di sessanta giorni accordato alle Regioni per
legiferare e ha dichiarato la conseguente necessità di un nuovo termine
determinato tenendo conto della complessità delle scelte rimesse alle stesse;
- il comma 37 nella
parte in cui non attribuisce alle Regioni il potere di disciplinare in modo
diverso gli effetti del silenzio del comune sulla domanda di condono protratto
oltre il termine di ventiquattro mesi;
- il comma 38 nella parte in cui prevede che sia l'allegato 1
del D.L. 269/2003 e non la legge regionale a determinare la misura
dell'anticipazione degli oneri concessori e le relative modalità di versamento;
- conseguentemente
l'allegato 1 nelle parti in cui determina la misura dell'anticipazione degli
oneri concessori e le relative modalità di versamento.
Lo Stato dovrà inoltre ridefinire i termini entro i quali
dovranno essere presentate le domande di condono e pagati i restanti importi
dell'oblazione e degli oneri di concessione, dando indicazioni anche sulle
domande già presentate ed i relativi effetti.
Quanto alla sentenza 198/2004, si segnala la statuizione
della Corte Costituzionale in merito ai rapporti fra Stato e Regioni nel
riparto delle competenze legislative.
I giudici della Suprema Corte hanno affermato infatti
l'illegittimità delle leggi regionali varate al solo fine di disapplicare nel
proprio territorio la legge dello Stato ritenuta illegittima, se non
addirittura solo dannosa o inopportuna, anzichè impugnare la normativa davanti
alla Consulta stessa.
Lo Stato e le Regioni non possono sottrarsi all'ordinamento
costituzionale ed alle procedure da questo predisposte, risolvendo ''in via
diretta" i conflitti insorti fra loro.
Anche alla luce di tali considerazioni, pertanto, le Regioni
le cui leggi sono state dichiarate incostituzionali (Emilia-Romagna,
Friuli-Venezia Giulia, Marche, Toscana, ma anche l'atto di indirizzo della
Campania) dovranno legiferare nuovamente, mentre le leggi regionali che hanno
disapplicato parzialmente il condono dovranno comunque essere sottoposte ad una
verifica in base a quanto statuito dalla Corte e dalle conseguenti modifiche normative.
La Corte pone in risalto la differenza tra il condono
edilizio, avente carattere temporaneo ed eccezionale, e l'istituto a carattere
permanente del permesso di costruire in sanatoria disciplinato dal Testo Unico
Edilizia.
Tale secondo istituto è relativo agli abusi formali, ossia
agli interventi eseguiti in assenza di titolo ma conformi alle prescrizioni
urbanistiche vigenti al momento della realizzazione dell'opera e della presentazione
della domanda di accertamento in sanatoria.
La legge regionale attuativa del condono edilizio non
dovrebbe quindi riproporre tale forma di abuso formale, il quale è già
disciplinato a regime dalla normativa vigente ed in base a presupposti diversi,
per cui non sarebbe giustificata la
sovrapposizione di norme relative al condono.
L'oggetto principale del condono sono, invece, gli abusi
sostanziali, ossia quelli in contrasto con le prescrizioni urbanistiche.
Non a caso, la Corte si limita in proposito ad un inciso nel
quale afferma che ''di fattò' (e quindi non di diritto) il condono esclude o
limita fortemente il permesso di costruire in sanatoria a carattere ordinario,
quasi a voler rinviare alla scelta discrezionale dell'interessato.
Nell'esercizio dei loro poteri le Regioni dovranno
omogeneizzarsi il più possibile e, attenendosi al principio di leale
collaborazione istituzionale, evitare che si crei una spaccatura troppo netta
fra sanatoria penale ed amministrativa.
A tal fine, il legislatore regionale potrebbe opportunamente
introdurre un distinguo tra nuove costruzioni ed ampliamenti.
In considerazione dei contrasti interpretativi già sorti, è
necessario che venga, altresì, individuata ai fini della sua classificazione la
tipologia di abuso cui è ricollegabile il mutamento di destinazione d'uso,
con o senza opere, in presenza o meno
di una legge regionale che abbia disciplinato la materia.
Nelle leggi regionali attuative dovrebbero essere considerati
unitariamente ai fini della condonabilità tutti gli interventi sul patrimonio
edilizio esistente dalla manutenzione straordinaria alla ristrutturazione
edilizia, alla luce anche dell'evoluzione della legislazione statale in
materia.
La rilevata
illegittimità della fissazione da parte dello Stato di un termine
perentorio per l'esame delle domande di condono, non deve indurre le Regioni ad
omettere la previsione di una data
certa per il compimento dell'istruttoria nel rispetto della L. 241/1990.
Ove le Regioni non esercitino la potestà legislativa entro i
termini che saranno loro assegnati, troverà applicazione la normativa statale
con le modifiche ed integrazioni che saranno approvate dal Parlamento a seguito
della pronuncia della Corte.
La Corte indipendentemente dal condono torna anche sulla
nozione di governo del territorio oggetto di legislazione concorrente (già
affrontata con la sentenza n. 303/2003), ribadendo che vi rientrano
l'urbanistica e l'edilizia, ossia tutto ciò che attiene all'uso del territorio
ed alla localizzazione di impianti o attività, cioè tutto ciò che consenta di
identificare e graduare gli interessi in base ai quali possono essere regolati
gli usi ammissibili del territorio.