CANONE
DEPURAZIONE ACQUE REFLUE - IMPOSSIBILITA' DI FRUIZIONE DEL SERVIZIO - ESENZIONE
(Corte di Cass. ,
sez. Tributaria, sent. 16/9/04, n. 18699)
Ferma restando la
natura di tributo comunale del canone per i servizi di raccolta,
allontanamento, depurazione e scarico delle acque di rifiuto di insediamenti
industriali, la Corte di Cassazione ha affermato che il sorgere
dell'obbligazione tributaria per effetto dell'accertata esistenza nel
territorio comunale del depuratore trova, come nella particolare situazione
dedotta in giudizio, un ostacolo insormontabile nella accertata impossibilità
materiale di fruizione del servizio svolto, solo ad una parte del territorio
comunale. Ciò, equivalendo alla mancata istituzione di un effettivo servizio di
depurazione per quella parte di territorio, importa il venir meno dello stesso
presupposto legale del potere impositivo dell'ente locale non essendo
imputabile alla contribuente la mancata fruizione del servizio di depurazione.
Nel caso specifico
la Cassazione ha ritenuto non dovuto il contestato canone di depurazione poiché
il Comune non ha istituito il relativo servizio in favore del contribuente.
Corte di
Cassazione, sez. Tributaria, sent. 16 settembre 2004, n. 18699
Svolgimento del
processo Con ricorso notificato al Comune di Finale Emilia il 18 gennaio 2002
(depositato il 28 gennaio 2002) la s.r.l. L. C. di
Motivi
della decisione
1. Con la sentenza
gravata il Tribunale di Modena - sull'assunto fattuale, che "la L. è
titolare di un opificio industriale collegato alla rete fognaria comunale, che
non usufruisce in concreto del depuratore comunale, come tutti gli stabilimenti
insediati sulla sponda destra del fiume Panaro, essendo collegati al depuratore
esclusivamente gli insediamenti sulla sponda sinistra del fiume, ove si trova
detto depuratore, cui potrebbe collegarsi soltanto attraverso la realizzazione
di opere del costo di centinaia di milioni" -, ha, in accoglimento del
gravame proposto dal Comune, affermato che la contribuente, "quale utente
del servizio fognario", è tenuta alla corresponsione del canone da
depurazione delle acque reflue "a prescindere dal fatto che il servizio
non sia in concreto dalla stessa utilizzato e non possa esserlo se non a costo
di rilevanti esborsi economici". A sostegno di tale decisione il Tribunale
ha testualmente osservato che: - "per i servizi relativi alla raccolta,
allontanamento, depurazione e scarico delle acque di rifiuto provenienti dalle
superfici e dai fabbricati privati e pubblici, ivi inclusi gli stabilimenti e
gli opifici industriali, il sistema normativo qui in considerazione (poi
innovato) prevede, per gli utenti, il pagamento di un canone secondo apposita
tariffa che è determinata in percentuale diversa per la parte relativa al
servizio di fognatura e per quella concernente il servizio di depurazione, al
cui pagamento sono tenuti gli utenti del servizio di fognatura quando nel
comune sia in funzione l'impianto di depurazione centralizzato, anche se lo
stesso non provveda alla depurazione di tutte le acque provenienti da
insediamenti civili (artt. 16 e 17 legge n. 319/76)"; - "tal canone
ha incontestabil-mente natura tributaria: la relativa prestazione non è quindi
liberamente contrattata dall'utente del servizio, ma viene determinata
autoritativamente ed obbligatoriamente dall'ente pubblico, risulta senz'altro
dovuta in presenza dei presupposti stabiliti dalla legge ed è irrinunciabile
... Cass., sez. unite n. 300 del 27 maggio 1999 e n. 371 del 30 giugno
1999)"; - "il presupposto legale d'insorgenza dell'obbligo di
corresponsione del canone da depurazione per ogni utente del servizio fognario
è, come detto, l'esistenza, nel territorio comunale, di un impianto di
depurazione funzionante, anche se non dedicato a tutte le utenze"; -
"il canone da depurazione è pertanto dovuto da ogni utente del servizio
fognario per effetto della semplice istituzione del servizio di depurazione e
della conseguente obbiettiva possibilità di fruizione, senza che al riguardo
possa aver rilievo il fatto che, per il singolo utente, il servizio non sia
concretamente utilizzato e sia utilizzabile soltanto in seguito a notevoli
esborsi economici";
-
"l'insuperabile dato testuale della norma risulta coerente anche con la
sua ragion d'essere, che riposa nella elaborazione comunitaria in materia
ambientale dell'epoca, tutta fondata sul principio "chi inquina paga"
(e sfociata nell'Atto unico europeo del febbraio 1986, che nel modificare il
Trattato di Roma ha introdotto un titolo dedicato all'ambiente fondato su detto
principio, cui si ispira anche il Quarto Programma di azione comunitaria per
gli anni 1987 - 1992)". Il medesimo tribunale ha anche ricordato che
"tali principi risultano costantemente affermati nella giurisprudenza di
legittimità (si veda Cass. n. 995 del 4 febbraio 1987, n. 2800 del 9 marzo 1992
e n. 9434 del 11 novembre 1994), e non vi sono ragioni per porli in discussione
in questa sede".
2.
Nell'unico motivo di ricorso la contribuente lamenta "violazione e/o falsa
applicazione" degli artt. 16 e
3.
Il ricorso deve essere accolto perché fondato.
A. L'art. 16 della
legge 10 maggio 1976 n. 319 (come sostituito con 11 art. 3 del DL 28 febbraio
1981 n. 38 ed integrato con l'art. 1 della legge, di conversione, 23 aprile
1981 n. 153) dispone testualmente: "per i servizi relativi alla raccolta,
l'allontanamento, la depurazione e lo scarico delle acque di rifiuto
provenienti dalle superfici e dai fabbricati privati e pubblici, ivi inclusi
stabilimenti e opifici industriali, a qualunque uso adibiti, è dovuto agli enti
gestori dei servizi da parte degli utenti il pagamento di un canone o diritto
secondo apposita tariffa (omissis). La tariffa è formata dalla somma di due
parti, corrispondenti rispettivamente al servizio di fognatura ed a quello di
depurazione. La prima parte è determinata in rapporto alle quantità di acqua
effettivamente scaricata. La seconda parte è determinata in rapporto alla
quantità e, per gli scarichi provenienti da insediamenti produttivi, alla
qualità delle acque scaricate". Il successivo art. 17 (sostituito ed
integrato dalle stesse norme richiamate per l'art. 16), poi, prevede, per quanto
rileva ai fini della decisione della presente controversia: "per le acque
provenienti da insediamenti civili la tariffa è così determinata: per la parte
relativa al servizio di fognatura in misura pari a lire venti per metro cubo di
acqua scaricata; per la parte relativa al servizio di depurazione, se
istituito, in misura pari a lire venti per metro cubo di acqua scaricata. La
parte relativa al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti del servizio di
fognatura quando nel comune sia in funzione l'impianto di depurazione
centralizzato anche se lo stesso non provveda alla depurazione di tutte le
acque provenienti da insediamenti civili. (omissis)". Il canone o tariffa
per le "acque provenienti da insediamenti produttivi", poi, è determinato
- giusta il primo comma dell'art. 17 bis della legge n. 319 del 1976
(introdotto dall'art. 3 del medesimo DL n. 38 del 1981 succitato) -, sulla base
della "formula tipo" predisposta dal "Comitato interministeriale
di cui all'art. 3, integrato dal Ministro delle finanze", dalle singole
regioni "per le diverse categorie di utenti con determinazione dei
relativi limiti, minimo e massimo, vincolanti per gli enti gestori del
servizio".
B.
In ordine a tali disposizioni questa Corte, sulla scorta di precedenti pronunce
(segnatamente Cass., I, 11 novembre 1994 n. 9434, considerata anche dal giudice
a quo), ancora di recente (Cass., trib., 24 luglio 2003 n. 11481), ha affermato
il principio di diritto (che, in carenza di qualsivoglia contraria convincente
argomentazione, va pienamente condiviso e confermata) secondo cui poiché
"il canone per i servizi di raccolta, allontanamento, depurazione e
scarico delle acque di rifiuto di insediamenti industriali di cui agli artt. 16
e seguenti della legge 10 maggio 1976 n. 319, modificata dall'art. 3 del DL 28
febbraio 1981 n. 38, convertito nella legge 23 aprile 1981 n. 153, integra,
anteriormente all'entrata in vigore dell'art. 31, comma 28, della legge 23
dicembre 1998 n. 448, che ne ha dato una diversa qualificazione, un tributo comunale"
- dalla natura di entrata tributaria discende "l'obbligatorietà" del
pagamento del canone detto "per effetto della sola istituzione del
servizio e dell'allaccio alla rete fognaria, a prescindere dalla sua effettiva
utilizzazione, trattandosi di un servizio pubblico irrinunciabile, che gli enti
gestori sono tenuti ad istituire per legge ed alla cui gestione i potenziali
utenti sono chiamati a contribuire mediante il versamento del canone, ancor
quando non ne abbiano fruito in concreto, affidandosi a terzi per lo
smaltimento delle acque reflue".
C.
Fermo tale principio, il thema decidendi impone di accertare, per la
peculiarità del caso, se il servizio possa ritenersi giuridicamente istituito
(con conseguente obbligo di pagamento del canone) nel (e dal) Comune di Finale
Emilia anche per gli insediamenti produttivi che, come quello della
contribuente, pur essendo collegati "alla rete fognaria comunale",
sono situati "sulla sponda destra del fiume Panaro" e, quindi, come
accertato in fatto dal giudice del merito, "in concreto" non possono
fruire del depuratore comunale in quanto questo si trova sulla "sponda
sinistra" e serve soltanto gli insediamenti di tale sponda. Al singolare
quesito deve darsi risposta negativa atteso che il sorgere dell'obbligazione tributaria
per effetto dell'accertata esistenza nel territorio comunale del depuratore
trova nella particolare situazione dedotta in giudizio (di separazione del
territorio comunale ad opera del fiume Panaro) un ostacolo insormontabile nella
accertata impossibilità materiale di fruizione del servizio svolto
dall'impianto comunale di depurazione per la limitazione della prestazione di
tale servizio solo ad una parte del territorio comunale e tanto, equivalendo
alla mancata istituzione di un effettivo servizio di depurazione per quella
parte di territorio, importa il venir meno dello stesso presupposto legale del
potere impositivo dell'ente locale non essendo imputabile alla contribuente la
mancata fruizione del servizio di depurazione: la contraria opinione, sostenuta
dal tribunale, si risolve nell'imposizione di una obbligazione per un servizio
di depurazione che l'ente, in effetti, non fornisce né è in grado di fornire
alla contribuente, ovverosia nell'imposizione di un tributo in totale carenza
del genetico presupposto fattuale previsto dalla norma.
D.
In applicazione della specificazione che precede la sentenza impugnata deve
essere cassata perché è effettivamente incorsa nella falsa applicazione delle
norme denunziate. La causa, però, non richiede nessun ulteriore accertamento di
fatto per cui deve essere decisa nel merito ai sensi dell'art. 384 c.p.c.:
dalle esposte considerazioni, infatti, discende de plano la non debenza del
canone di depurazione portato dall'ingiunzione di pagamento ex lege, R.D. n. 639/1910
notificata alla società ricorrente dal Comune atteso che questo non ha
istituito il relativo servizio in favore della contribuente.
4. Per il secondo
comma dell'art. 92 c.p.c. le spese processuali del giudizio di appello e quelle
del presente giudizio debbono essere integralmente compensate tra le parti.
P.q.m.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo
nel merito, dichiara non dovuto il contestato canone di depurazione; compensa
integralmente tra le parti le spese processuali dell'intero giudizio.