INAIL - INFORTUNIO SUL LAVORO - AZIONE DI REGRESSO
NEI CONFRONTI DEL DATORE DI LAVORO - LINEE GUIDA
DELL’ISTITUTO
Nell’ambito dei criteri operativi legati
all’istituto del regresso, l’Inail ha per lungo tempo
seguito la prassi di inviare alle aziende una lettera di “prima comunicazione”,
con la quale, a prescindere dal previo accertamento in sede giudiziale di una
responsabilità penalmente rilevante del datore di lavoro, avanzava in modo
sistematico, nei confronti di quest’ultimo,
richiesta di rimborso delle prestazioni erogate e da erogare ai lavoratori
assicurati vittime di infortunio o che avessero contratto una malattia
professionale.
Tale prassi, da
sempre contestata dalla Confindustria in quanto
palesemente volta ad influenzare i destinatari delle richieste, allo scopo di
ottenerne la disponibilità al rimborso delle prestazioni pur in assenza dei
presupposti di legge (cfr. gli articoli 10 e 11 del Decreto del Presidente della
Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124), non teneva conto della necessità, ai fini
dell’esperibilità dell’azione di regresso, del previo accertamento ad opera
dell’autorità giudiziaria (in concreto, in sede penale; in astratto, nel
giudizio civile instaurato in assenza di un accertamento in sede penale) della
imputabilità al datore di lavoro, ovvero ad altri soggetti del cui operato
questi debba rispondere secondo le norme del Codice civile, del fatto che ha
causato l’infortunio o la malattia professionale.
La posizione sostenuta dalla Confindustria - accolta dal Consiglio di Indirizzo
e Vigilanza dell’Inail nella delibera del 9 dicembre
1996 e fatta propria dal Consiglio di Amministrazione dell’Istituto con
delibera n. 809 dell’11 novembre 1998 - ha comportato la sostituzione della
lettera di “prima comunicazione”, in precedenza utilizzata nei confronti delle
imprese, con una informativa, che si limitava ad una mera illustrazione della
disciplina concernente l’azione di regresso e non rispondeva ad una specifica
finalità di recupero, non contenendo alcuna richiesta di somme né la fissazione
di termini di pagamento.
Tanto premesso, si informa
che, di recente,
Al riguardo,
- la prima, conforme alle determinazioni
della citata delibera consiliare n. 809/1998, riassume la normativa in materia
di regresso ed i relativi effetti, senza quantificare la somma dovuta e non
avanzando valutazioni in ordine alla responsabilità
del datore di lavoro (il cui accertamento viene, opportunamente, rinviato alla
sede giudiziale) né richieste economiche di rimborso per prestazioni rese agli
assicurati;
- l’altra comunicazione, al contrario, dà
per provata la responsabilità del datore di lavoro nel determinismo dell’evento
e chiede espressamente il rimborso degli oneri relativi, evidenziandoli in apposito prospetto e fissando un termine per l’adempimento
(trenta giorni).
In molti casi le due comunicazioni
pervengono all’azienda contemporaneamente o a poca distanza di tempo l’una
dall’altra.
Nel merito, Confindustria
pone in rilievo che lo spirito di servizio che caratterizza la prima delle due
comunicazioni - sulla cui base l’azienda è posta in grado di valutare
l’opportunità di un accordo transattivo, ovvero di un integrale pagamento della somma richiesta, così
da evitare il giudizio civile - è invece del tutto assente nella seconda
comunicazione, che, in effetti, risulta non solo priva di fondamento giuridico,
ma anche inutile ed inopportuna, per i motivi in appresso richiamati:
1) La responsabilità civile deve essere provata
in giudizio e non può certo essere affermata o presunta apoditticamente
dall’Inail;
2) La richiesta di rimborso può essere
legittimamente avanzata dall’Istituto solo a seguito dell’avvenuto accertamento
giudiziale di detta responsabilità;
3) L’invio della nota di richiesta non si
presenta quale atto necessario ai fini dell’eventuale interruzione di termini
procedurali: il termine triennale per l’esercizio dell’azione di regresso,
infatti, è stabilito, in assenza di un giudicato penale, a pena di decadenza ed
è, quindi, insuscettibile di interruzione;
4) Diversamente da quanto puntualizzato
nelle menzionate linee guida dell’Inail, la seconda
delle due comunicazioni, prevista per l’ipotesi in cui non sia pendente alcun
giudizio penale (perché mai iniziato, ovvero perché
concluso), non contiene alcuna indicazione circa l’intenzione dell’Istituto di
iniziare l’azione civile, così risolvendosi in un mero sollecito di pagamento,
inidoneo persino a supportare l’eventuale pretesa, comunque infondata, di una propedeuticità dell’atto rispetto alla instaurazione del
giudizio civile;
Le riserve espresse in
ordine alla seconda comunicazione non escludono che l’azienda destinataria
unicamente della stessa e non anche della prima comunicazione possa, ove
ritenga fondata la richiesta dell’ Inail, addivenire
ad un accordo di natura transattiva con l’Istituto
ovvero procedere all’integrale pagamento del debito così riconosciuto.
Fatta salva questa ipotesi,
Peraltro, qualora ne ravvisasse l’opportunità
per eventuali esigenze di correntezza nei confronti
delle abituali Sedi Inail di riferimento, la stessa
impresa potrà dare riscontro alla comunicazione dell’Istituto, sottolineando che:
- contrariamente a quanto affermato dall’Inail, non risulta alcun
definitivo accertamento giudiziale, a suo carico, in ordine alla responsabilità
civile o penale, nel determinismo dell’infortunio/malattia professionale
occorso/a al lavoratore, accertamento che costituisce l’imprescindibile
presupposto per il valido esercizio dell’azione di regresso ai sensi degli
articoli 10, 11 e 112 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124/1965;
-
pertanto, la richiesta di rimborso avanzata dall’Istituto non appare supportata
da alcun titolo giuridico.