DEFINIZIONE DI RIFIUTO - SENTENZA DELLA CASSAZIONE
(Corte di Cassazione, sezione III
penale, 10 febbraio 2005, n. 279)
In una recente sentenza (sezione III
penale, 10 febbraio 2005, n. 279) la Corte di Cassazione è tornata a
pronunciarsi sulla nozione di rifiuto e ha applicato nuovamente l’art. 14 del
D.L. 138/2002 in controtendenza rispetto alla giurisprudenza comunitaria (sez.
III penale, 25 giugno - 2 ottobre 2003, n. 37508; sez. III penale 11 febbraio
2003, n. 291).
Si ricorda che tale norma considera
“non rifiuto” tutto ciò che può essere riutilizzato, senza necessità di
trattamento o con limitato trattamento, nello stesso, in analogo o diverso
ciclo produttivo.
Con la sentenza 11 novembre 2004,
causa C-457/02 la Corte di giustizia delle Comunità europee aveva però
affermato la non conformità della definizione di rifiuto dettata dall’art. 14 a
quella fornita dalla Direttiva comunitaria 75/442/CEE e conseguentemente dal
Decreto Legislativo 22/1997 (cd. Ronchi).
La fattispecie all’attenzione della
Corte di Cassazione riguardava uno stoccaggio di rifiuti (asfalto fresato
proveniente da lavori di rifacimento del manto stradale finalizzato alla
produzione di nuovo conglomerato bituminoso) in assenza della autorizzazione
prescritta dall’art. 28 del Decreto Ronchi ovvero della comunicazione di cui
agli artt. 31 e 33 dello stesso Decreto.
In particolare, per qualificare come non rifiuto tale materiale, la
Cassazione ha applicato i criteri dettati dall’art. 14, affermando inoltre che
ciò è in linea con la sentenza comunitaria nella parte in cui dà la definizione
di sottoprodotto.