CONTROVERSIE INDIVIDUALI DI LAVORO - MODIFICHE ALLE NORME DEL CODICE DI PROCEDURA CIVILE - TENTATIVO DI CONCILIAZIONE -

D.LVO 31/3/1998 N. 80

 

Con decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, pubblicato sul Supplemento Ordinario n. 65/L alla Gazzetta Ufficiale 8 aprile 1998, n. 82, sono state apportate modifiche di rilievo al codice di procedura civile, destinate ad agevolare, in via generale – e quindi anche per il settore privato – la composizione stragiudiziale di tutte le cause di lavoro. Le norme di interesse sono riprodotte in calce.

Il decreto è stato emanato in attuazione della delega prevista dall'art. 11, comma 4 della legge 15 marzo 1997, n. 59 e reca “nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa”.

Il provvedimento sancisce il passaggio dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a quella della magistratura ordinaria, in funzione di giudice del lavoro, delle controversie relative a rapporti di impiego pubblico concernenti questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998. Al fine di evitare, in occasione di tale passaggio, il congestionamento degli Uffici Giudiziari, ha adottato misure che rivitalizzano gli istituti della conciliazione e dell'arbitrato, misure che da un lato sono intese a ridurre i carichi processuali e i tempi della giustizia del lavoro e dall'altro attribuiscono alle parti sociali un ruolo più incisivo nella composizione delle controversie individuali di lavoro.

Le predette finalità deflattive del contenzioso lavoristico sono realizzate attraverso la previsione di un tentativo obbligatorio di conciliazione da espletarsi, a pena di improcedibilità, prima di proporre domanda giudiziale, nonché attraverso l'introduzione di una nuova norma che dà facoltà alle parti di deferire ad arbitri la risoluzione della controversia nel caso di infruttuoso esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione.

 

Tentativo obbligatorio di conciliazione

Le modifiche apportate all'art. 410 c.p.c. hanno reso obbligatorio per tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro previsti dall'art. 409 il preventivo esperimento di un tentativo di conciliazione.

Per il settore si tratta delle controversie relative ai rapporti di lavoro subordinato privato, e ad altri rapporti di collaborazione autonoma che si concretino in una prestazione di opera coordinata e continuativa.

Chi intenda presentare in giudizio una domanda riferita ai predetti rapporti (non ha più solo la facoltà, bensì) ha l'obbligo di promuovere previamente, direttamente o tramite l'associazione sindacale alla quale aderisce o conferisce mandato, un tentativo di conciliazione innanzi alla Commissione nella cui circoscrizione si trova l'azienda o la dipendenza presso la quale il lavoratore è addetto o era addetto al momento dell'estinzione del rapporto.

In alternativa, per il tentativo di conciliazione l'interessato può avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti o accordi collettivi.

Nell'uno e nell'altro caso la comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza.

Il tentativo di conciliazione deve essere espletato entro il termine di sessanta giorni dalla presentazione della richiesta. Decorso inutilmente il predetto termine, il tentatio di conciliazione, ai fini della procedibilità della domanda in sede giudiziale, si considera comunque espletato.

È ammesso che l'accordo conciliativo possa essere parziale: ove le parti riconoscano al lavoratore un credito di ammontare determinato, il relativo processo verbale, ancorché non definisca completamente la materia del contendere, con il deposito in cancelleria e con decreto del Pretore acquista efficacia di titolo esecutivo.

Trova in tal modo applicazione generalizzata a tutte le controversie di lavoro il meccanismo già previsto dall'art. 5 della legge n. 108/1990 relativamente alle sole controversie in materia di licenziamento individuale nell'area della tutela obbligatoria (aziende che occupano fino a 15 dipendenti). Il solo correttivo è dato dall'introduzione dell'obbligo di indicare, nell'eventuale verbale di mancata conciliazione, i motivi della mancata composizione della lite tra le parti. Di tali motivi il giudice è chiamato a tener conto in sede di decisione sulle spese del successivo gudizio.

La domanda giudiziale è procedibile solo dopo l'espletamento del tentativo di conciliazione, o, come sopra precisato, decorsi sessanta giorni dalla presentazione della richiesta.

L'art. 412-bis, di nuova introduzione, stabilisce che l'improcedibilità della domanda deve essere eccepita da convenuto nella memoria difensiva con cui si costituisce in giudizio e può essere rilevata dal giudice non oltre l'udienza fissata per la discussione della causa.

Se l'improcedibilità viene rilevata, il giudice sospende il processo ed assegna alle parti il termine perentorio di sessanta giorni per presentare richiesta di tentativo di conciliazione. Trascorsi sessanta giorni dalla presentazione della richiesta, il processo può essere riassunto entro i successivi centottanta giorni a cura della parte che vi abbia interesse.

Il giudice può concedere i provvedimenti speciali d'urgenza e quelli cautelari anche in caso di mancato espletamento del tentativo di conciliazione.

 

Arbitrato previsto dai contratti collettivi

Con nuove disposizioni, che rappresentano il vero fulcro della riforma, il legislatore mostra il suo favore per la definizione stragiudiziale delle controversie di lavoro attraverso l'arbitrato previsto dai contratti collettivi.

L'art. 412-ter, dà facoltà alle parti, qualora il tentativo di conciliazione non riesca o sia comunque decorso il termine di sessanta giorni dalla data di presentazione della richiesta, di concordare il deferimento ad arbitri della risoluzione della controversia, anche tramite l'organizzazione sindacale alla quale aderiscono o abbiano conferito mandato. L'arbitrato è strumento di definizione della controversia alternativo al processo. Tale facoltà può essere esercitata in quanto sia espressamente prevista dai contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro, i quali debbono stabilire le modalità della procedura arbitrale. I contratti collettivi possono, inoltre, prevedere l'istituzione di collegi o camere arbitrali stabili, composti e distribuiti sul territorio secondo i criteri definiti in sede di contrattazione nazionale.

Con l'art. 412-quater il legislatore ha inteso potenziare la stabilità del lodo degli arbitri, rendendolo impugnabile, oltre che per difetto assoluto di motivazione, solo per violazione di norme inderogabili di legge. Resta, quindi, rimessa alla prudente valutazione degli arbitri la “gestione” dei diritti derivanti dalla contrattazione collettiva.

L'impugnazione si propone, con ricorso depositato entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del lodo da parte degli arbitri, davanti alla Corte d'appello nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitrato, in funzione di giudice del lavoro.

La sentenza della Corte di appello è provvisoriamente esecutiva ed è ricorribile in Cassazione.

 

Gazzetta Ufficiale 8 aprile 1998, n. 82

Supplemento Ordinario n. 65/L

 

Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80

Artt. da 36 a 39

 

Art. 36

1. La rubrica e il primo comma dell'articolo 410 del codice di procedura civile sono sostituiti dai seguenti:

“Art. 410 (Tentativo obbligatorio di conciliazione). – Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall'articolo 409 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti e accordi collettivi deve promuovere, anche tramite l'associazione sindacale alla quale aderisce o conferisca mandato, il tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione nella cui circoscrizione si trova l'azienda o la dipendenza alla quale il lavoratore è addetto o era al momento dell'estinzione del rapporto.

La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza”.

 

Art. 37

1. Dopo l'articolo 410 del codice di procedura civile è inserito il seguente:

“Art. 410-bis (Termine per l'espletamento del tentativo di conciliazione). – Il tentativo di conciliazione, anche se nelle forme previste dai contratti e accordi collettivi, deve essere espletato entro sessanta giorni dalla presentazione della richiesta.

Trascorso inutilmente tale termine, il tentativo di conciliazione si considera comunque espletato ai fini dell'articolo 412-bis”.

 

Art. 38

1. L'articolo 412 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

“Art. 412 (Verbale di mancata conciliazione) – Se la conciliazione non riesce, si forma processo verbale con l'indicazione delle ragioni del mancato accordo; in esso le parti possono indicare la soluzione anche parziale sulla quale concordano, precisando, quando è possibile l'ammontare del credito che spetta al lavoratore. In quest'ultimo caso il processo verbale acquista efficacia di titolo esecutivo, osservate le disposizioni di cui all'articolo 411.

L'Ufficio provinciale del lavoro rilascia alla parte copia del verbale entro cinque giorni dalla richiesta.

Le disposizioni del primo comma si applicano anche al tentativo di conciliazione in sede sindacale.

Delle risultanze del verbale di cui al primo comma il giudice tiene conto in sede di decisione sulle spese del successivo giudizio”.

 

Art. 39

1. Dopo l'articolo 412 del codice di procedura civile sono inseriti i seguenti:

“Art. 412-bis (Procedibilità della domanda) – L'espletamento del tentativo di conciliazione costituisce condizione di procedibilità della domanda.

L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto nella memoria difensiva di cui all'articolo 416 e può essere rilevata d'ufficio dal giudice non oltre l'udienza di cui all'articolo 420.

Il giudice, ove rilievi la improcedibilità della domanda, sospende il giudizio e fissa alle parti il termine perentorio di sessanta giorni per proporre la richiesta del tentativo di conciliazione.

Trascorso il termine di cui al primo comma dell'articolo 410-bis, il processo può essere riassunto entro i succesivi centottanta giorni.

Il mancato espletamento del tentativo di conciliazione non preclude la concessione dei provvedimento speciali d'urgenza e di quelli cautelari previsti nel capo III del titolo I del libro IV.

Art. 412-ter (Arbitrato previsto dai contratti collettivi) – Se il tentativo di conciliazione non riesce o comunque è decorso il termine previsto nel primo comma dell'articolo 410-bis, le parti possono concordare di deferire ad arbitri la risoluzione della controversia, anche tramite l'organizzazione sindacale alla quale aderiscono o abbiano conferito mandato, se i contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro prevedono tale facoltà e stabiliscono:

a) le modalità della richiesta di devoluzione della controversia al collegio arbitrale e il termine entro il quale l'altra parte può aderirvi;

b) la composizione del collegio arbitrale e la procedura per la nomina del presidente e dei componenti;

c) le forme e i modi di espletamento dell'eventuale istruttoria;

d) il termine entro il quale il collegio deve emettere il lodo, dandone comunicazione alle parti interessate;

e) i criteri per la liquidazione dei compensi agli arbitri.

I contratti e accordi collettivi possono, altresì, prevedere l'istituzione di collegi o camere arbitrali stabili, composti e distribuiti sul territorio secondo criteri stabiliti in sede di contrattazione nazionale.

Nella pronuncia del lodo arbitrale si applica l'articolo 429, terzo comma, del codice di procedura civile.

Salva diversa previsione della contrattazione collettiva, per la liquidazione delle spese della procedura arbitrale si applicano altresì gli articoli 91, primo comma, e 92 del codice di procedura civile.

Art. 412-quater (Impugnazione ed esecutività del lodo arbitrale) – Il lodo arbitrale è impugnabile per violazione di disposizioni inderogabili di legge e per difetto assoluto di motivazione, con ricorso depositato entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del lodo da parte degli arbitri davanti alla Corte d'appello nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitrato, in funzione di giudice del lavoro.

Trascorso tale termine, o se le parti hanno comunque dichiarato per iscritto di accettare la decisione arbitrale, il lodo è depositato presso l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione a cura di una delle parti o per il tramite di una associazione sindacale. Il direttore, o un suo delegato, accertandone l'autenticità, provvede a depositarlo nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato redatto. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del lodo arbitrale, lo dichiara esecutivo con decreto.

La Corte d'appello decide con sentenza provvisoriamente esecutiva ricorribile in cassazione”.