L’APPLICAZIONE DELLA “DIRETTIVA PRODOTTI DA COSTRUZIONE”: PRIMI RISULTATI
A
15 anni esatti dalla sua pubblicazione la CPD è ancora al centro del dibattito
tra i diversi operatori del mondo delle costruzioni.Un
po’ per la vastità del suo campo di applicazione (i prodotti considerati da
altrettante norme armonizzate sono circa 500), un po’ per l’impatto che
l’industria delle costruzioni ha sul mondo produttivo, un po’ per la sua
intrinseca complessità e un po’ per la sua particolare caratteristica di
prevedere, benché “direttiva nuovo approccio”, che le norme armonizzate,
laddove esistenti, sono di fatto l’unico strumento normativo di riferimento
utilizzabile per
Molto
comunque è stato fatto, grazie alla partecipazione fattiva di coloro che hanno
inteso cogliere l’occasione come un’opportunità per imporre le proprie capacità
tecnologiche ed imprenditoriali nel regolamentare il mercato. Alla fine del
2004 più di 150 prodotti da costruzione possono essere marcati CE, essere
immessi e circolare liberamente sul mercato comunitario ed essere scelti in
funzione della idoneità all’impiego per loro previsto in fase di progettazione
degli edifici e delle opere di ingegneria civile. Serve però ancora uno sforzo
per completare il processo di implementazione della direttiva. Non solo in
termini di completamento delle norme ancora in fase di elaborazione, ma soprattutto
in termini di adozione delle misure necessarie per consentire il loro completo
riconoscimento ed integrazione nei quadri legislativi nazionali dei vari paesi
membri. E questo vale, per quanto di diretta competenza, per tutti gli
operatori, dall’industria alle Autorità competenti, dai progettisti agli
organismi preposti ai rilascio della marcatura CE e, perché no, anche per
l’UNI, che intende porsi come punto di naturale riferimento per le parti
interessate neÌla definizione di una “qualità
condivisa” delle costruzioni.
I
contributi che seguono sono stati raccolti con l’obiettivo di stimolare un
confronto tra gli attori coinvolti nelle diverse fasi del processo di
costruzione sulle problematiche legate all’entrata in vigore della CPD, in
particolare:
-
i committenti, che dovranno chiedere l’impiego di prodotti marcati CE, pena
subire il ricorso di fornitori in regola esclusi dalle gara di appalto;
-
i produttori, che dovranno immettere sul mercato solo prodotti marcati CE, pena
le sanzioni previste dal DPR 246/93 di recepimento
dalla direttiva 89/106;
-
i progettisti, che per motivi analoghi dovranno prescrivere prodotti marcati
CE;
-
le imprese di costruzione, che sempre per motivi analoghi dovranno realizzare
opere impiegando prodotti marcati CE;
-
gli organismi notificati e i laboratori, che dovranno effettuare prove e
attività di sorveglianza sul controllo di produzione in fabbrica secondo le
norme armonizzate, ove queste prevedano il loro coinvolgimento.
E
più o meno ufficiale che
(da Unione e Certificazione – UNI)
. . . omissis . . .
La direttiva 89/106 e le imprese di costruzione
I
due eventi normativi che, sia pure dopo un iter travagliato, si apprestano
ormai a mutare radicalmente il panorama degli operatori delle costruzioni, sono
l’adozione degli eurocodici strutturali e
l’applicazione della direttiva 89/106 CEE sui prodotti da costruzione.
Dei
propositi e obiettivi iniziali della direttiva, dopo una serie di aggiustamenti
e interpretazioni, ne è rimasto sicuramente in piedi uno che, anche considerato
separatamente, è comunque di grande rilevanza nel mercato europeo delle
costruzioni civili: i requisiti fondamentali da prendere in considerazione
nelle costruzioni civili sono individuati una volta per tutte, e vanno
raggiunti mettendo in opera prodotti, materiali e componenti che, per poter
avere libera circolazione all’interno dello stesso mercato europeo, devono
vedere dichiarate dal produttore, attraverso
II
raggiungimento a regime di questo obiettivo metterà le imprese in grado di
poter scegliere i materiali e prodotti di cui approvvigionarsi basandosi su
prestazioni comparabili per quanto riguarda la grandezza fisica che individua
la prestazione, la unità di misura adottata, la metodologia di prova seguita, e
con lo stesso livello di affidabilità. Quest’ultimo è garantito dalla
uniformità, tra i diversi produttori che appongono
Come
conseguenza di quanto sopra, il raggiungimento degli obiettivi della direttiva
e la loro effettiva pratica attuazione potranno dare una mano consistente alla
adozione e all’applicazione, per le opere civili, di norme tecniche di
carattere esigenziale - prestazionale,
sulla cui opportunità di adozione si presero decisioni positive nel nostro
Paese già negli anni ottanta, ma che hanno poi trovato limiti di applicazione,
anche proprio per il fatto che progettista ed impresa non potevano disporre,
per ogni materiale o componente, della conoscenza e garanzia sulle loro
prestazioni.
La
normativa prestazionale, e i relativi progetti e appalti
prestazionali o parzialmente prestazionali,
prevedono infatti che tutti o alcuni dei requisiti indicati in progetto siano
raggiunti attraverso soluzioni tecnologiche e adozione di materiali e di
componenti individuati dall’impresa, che diventano possibili, o quanto meno
proponibili dal punto di vista tecnico-economico, solo quando sia possibile una
conoscenza precisa e affidabile delle caratteristiche tecniche del materiale
che verrà posto in opera, e sia possibile il raffronto fra i materiali e fra le
soluzioni tecnologiche. Questa strada stimola la ricerca di soluzioni
innovative nella impresa di costruzioni e la rende più direttamente partecipe
della realizzazione costruttiva.
Un’altra
conseguenza positiva che potrà derivare alle imprese dalla applicazione della
direttiva, va individuata nel fatto che le responsabilità per i difetti postumi
(“gravi difetti” ex art. 1669 c.c.) dovrebbero essere sensibilmente attenuate
per il costruttore, in tutti quei casi in cui il difetto dipenda, in maniera
certa, esclusivamente dal non raggiungimento di una o più prestazioni da parte
di un materiale, ora che la prestazione del materiale stesso deve essere
dichiarata e garantita dal produttore attraverso l’apposizione della marcatura
CE. Tutto ciò è valido in linea di principio ma, come per tutti gli eventi
normativi, moltissimo dipende dalla applicazione di quanto previsto dalla
norma, dallo spirito con il quale si attua, dalle strutture che la rendono
operativa.
A
livello nazionale, si rileva già una certa difficoltà a gestire con le
strutture esistenti una materia così complessa e articolata, con competenze
suddivise in pratica fra tre dicasteri. Nel caso ad esempio della marcatura CE
degli “aggregati”, terminato con il maggio 2004 il periodo di coesistenza
normativa, gli stati membri, e fra questi l’Italia, avrebbero dovuto recepire
le relative norme armonizzate e stabilire i criteri di conformità e i requisiti
degli aggregati stessi che il produttore deve obbligatoriamente dichiarare.
II
nostro Paese ha svolto solo la prima parte di questo compito, e si è ancora in
attesa del decreto interministeriale contenente l’indicazione dei criteri e dei
requisiti obbligatori (peraltro già suggeriti dal Comitato Costruzioni
dell’UNI).
Questo
stato di cose ha creato, a nostro parere, una situazione di indeterminatezza
normativa, da risolvere al più presto.
Anche
a livello europeo, bisogna evidenziare il non indifferente problema di
garantire un elevato livello di uniformità nella applicazione e gestione della
direttiva, dato che i prodotti da costruzione circolano largamente all’interno
del mercato. Le domande che sorgono spontanee sono, ad esempio, le seguenti. Le
caratteristiche indicate per gli organismi di certificazione e di ispezione e
per i laboratori sono piuttosto generiche: che garanzie si hanno che i diversi
Paesi notifichino gli organismi con gli stessi criteri e con lo stesso livello
di affidabilità? Il controllo dei diversi Stati membri su tutto il sistema che
porta alla marcatura e il controllo del mercato saranno attuati, e lo saranno
con criteri omogenei? Questi ed altri quesiti sorgono spontanei negli operatori
del settore ed alcuni sono stati anche formalizzati in ambito di Federazione
Europea dei Costruttori (Rec) e inoltrati alla
Commissione Europea. Va comunque tenuto presente che il processo applicativo
della direttiva non è facile né tanto meno automatico.
Altri
Paesi se ne sono resi conto e si sono attivati con finanziamenti anche
sostanziosi (vedi la Francia), destinati a rendere operante nel modo più corretto
la direttiva 89/106 CEE e gli Eurocodici strutturali,
attraverso la modifica di norme nazionali e l’attivazione di altre iniziative
di supporto strutturale. Seguire questa strada ci sembra un presupposto
fondamentale.
(Cesare Fossi – ANCE)