Legge 30/12/2005, n 311 - CESSIONE, PIGNORAMENTO E SEQUESTRO DI CREDITI RETRIBUTIVI

 

La Legge 30 dicembre 2004, n. 311, c.d. “Legge finanziaria 2005”, entrata in vigore il 1° gennaio 2005, ha previsto - tra l’altro - l’estensione ai dipendenti delle aziende private della disciplina contenuta nel Testo Unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni (D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180).

Tale ultimo provvedimento è stato successivamente modificato dall’art. 13 bis del Decreto Legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni dalla Legge 14 maggio 2005, n. 80.

Riportiamo, qui di seguito, una prima sintesi dei punti di maggiore interesse delle norme che si sono succedute in relazione agli istituti in argomento, formulando riserva di tornare sull’argomento non appena saranno pubblicati i provvedimenti di attuazione delle modifiche apportate al Testo Unico n. 180/1950 dalla citata Legge n.80/2005.

 

Cessione di crediti retributivi e competenze di fine rapporto

Prima dell’entrata in vigore della “Legge Finanziaria 2005”, la cessione della retribuzione da parte dei dipendenti privati era regolamentata soltanto dalle norme generali del codice civile sulla cessione dei crediti (artt. 1260 e seguenti), le quali non ponevano condizioni o limiti alla cedibilità della retribuzione e delle competenze di fine rapporto. Secondo l’orientamento assunto dalla giurisprudenza di merito e, da ultimo, di legittimità, non sussistendo vincoli normativi, potevano coesistere sia più cessioni del quinto, sia cessioni e pignoramento.

Dal 1° gennaio 2005, invece, in applicazione del citato Testo Unico n. 180/1950, ai dipendenti privati è vietato contrarre prestiti da estinguersi con cessione della retribuzione in misura superiore al quinto, valutato al netto di ritenute, e per periodi superiori a dieci anni.

Per quanto attiene ai requisiti di durata del finanziamento e l’anzianità di servizio, la Legge n. 80/2005 (che ha modificato l’art. 52 del Testo unico), ha previsto che i dipendenti privati possono cedere quote di stipendio o salario in misura non superiore al quinto per un periodo non superiore ai dieci anni, quando siano addetti a servizi di carattere permanente e siano provvisti di stipendio o salario fisso e continuativo.

Resta, peraltro, in vigore il richiamo (contenuto nell’art. 55 del Testo unico) alla norma (art. 7, comma 1, dello stesso T.u.) che subordina la facoltà di contrarre prestiti “al compimento di quattro anni di servizio effettivo nel rapporto di impiego o di lavoro, valido ai fini del trattamento di quiescenza”. Il permanere di questa disposizione suscita, invero, problemi di coerenza sistematica in relazione all’estensione della facoltà di cessione di cui trattasi ai lavoratori a termine ed ai collaboratori di cui all’art. 409, n. 3, del codice di procedura civile, per i quali non risulta essere previsto alcun requisito di anzianità di servizio.

A quest’ultimo proposito, si sottolinea che l’art. 52 del Testo unico, dopo le modifiche apportate dalla Legge n. 80/2005, prevede che, per i dipendenti a tempo determinato, la cessione del quinto dello stipendio o del salario non possa eccedere il periodo di tempo che, al momento dell’operazione, deve ancora trascorrere per la scadenza del contratto in essere. Alla cessione del trattamento di fine rapporto posta in essere da tali soggetti, inoltre, non si applica il limite del quinto.

Per quanto riguarda i collaboratori, inoltre, la medesima norma appena menzionata dispone che gli stessi, qualora il rapporto abbia una durata non inferiore a dodici mesi, possono cedere un quinto del loro compenso, valutato al netto delle ritenute fiscali, purché questo abbia carattere certo e continuativo. La cessione non può eccedere il periodo di tempo che, al momento dell’operazione, deve ancora trascorrere per la scadenza del contratto in essere. I compensi corrisposti a tali soggetti sono altresì sequestrabili e pignorabili nei limiti di cui all’art. 545 del codice di procedura civile. E’ espressamente disposto, inoltre, che le quote di stipendio trattenute per cessione debbano essere versate all’istituto cessionario entro il mese successivo a quello cui si riferiscono e che la trattenuta continui ad essere effettuata nella misura stabilita ove lo stipendio subisca una riduzione non superiore al terzo. L’applicazione del Testo unico n. 180/1950, ha reso poi obbligatoria la garanzia dell’assicurazione sulla vita e contro i rischi di impiego oppure, in alternativa, altre malleverie che assicurino il recupero del finanziamento laddove, a causa di cessione o riduzione dello stipendio o per liquidazione di un trattamento di quiescenza insufficiente, non sia possibile la continuazione dell’ammortamento o il recupero del residuo credito (cfr. art. 54 del T.u.). A tale proposito si precisa che la garanzia in questione non può essere prestata mediante la cessione della quota dello stipendio da parte di un altro lavoratore, né gli istituti autorizzati a concedere prestiti possono assumere in proprio i rischi di morte o di impiego dei cedenti.

Il citato Testo unico, inoltre, stabilisce (artt. 53 e 15) che sono autorizzati a concedere prestiti, da estinguersi con cessione di quote dello stipendio, esclusivamente i seguenti soggetti:

- l’Istituto Nazionale delle Assicurazioni;

- le società di assicurazioni legittimamente esercenti;

- gli istituti e le società esercenti il credito, escluse quelle costituite in nome collettivo e in accomandita semplice;

- le casse di risparmio e i monti di credito su pegno.

E’ ancora opportuno sottolineare che, mentre nel passato i lavoratori erano liberi di operare più cessioni, arrivando a cedere in tal modo quote di retribuzione ben superiori al quinto, attualmente il lavoratore non può attivare più di una cessione per volta. L’art. 39 del citato Testo unico, infatti, pone rigorosi limiti al rinnovo di cessioni: in particolare, è posto il divieto di contrarre una nuova cessione prima che siano trascorsi almeno due anni dall’inizio della cessione stipulata per un quinquennio o almeno quattro anni dall’inizio di quella stipulata per un decennio, tranne che sia stata consentita l’estinzione anticipata della precedente cessione. In quest’ultimo caso, la nuova cessione può essere contratta purché sia trascorso almeno un anno dall’anticipata estinzione.

Qualora, invece, la precedente cessione non venga anticipatamente estinta, il lavoratore ha comunque la facoltà di stipulare una nuova cessione dopo che siano trascorsi i termini di tempo.sopra indicati ed a condizione che il ricavato della nuova cessione sia destinato all’estinzione della cessione in corso. Infine, anche prima che siano trascorsi due anni dall’inizio di una cessione quinquennale, è consentito al lavoratore di contrarre, per la prima volta, una cessione decennale, fermo restando l’obbligo di estinguere la precedente cessione.

Stante il rigore normativo, dettato a tutela del lavoratore cedente, l’azienda, in ipotesi di nuova cessione oltre il prefissato limite del quinto, potrà procedere al rinnovo di una cessione solo nel rispetto dei limiti stabiliti ed in presenza della prova dell’avvenuta estinzione della cessione antecedente.

In relazione alla cedibilità del trattamento di fine rapporto, si sottolinea che la previsione, sopra accennata, secondo la quale alla cessione del t.f.r. posta in essere dai lavoratori a tempo determinato non si applica il limite del quinto, parrebbe supportare la tesi per cui anche gli altri lavoratori, a tempo indeterminato, possano cedere il t.f.r. La normativa vigente, tuttavia, non consente di sostenere con certezza se in tal caso - come per la retribuzione - permanga il limite del quinto, oppure se sia cedibile l’intero t.f.r. fino a concorrenza del debito residuo (ciò era reputato legittimo dalla consolidata giurisprudenza relativa al rapporto di lavoro privato), oppure ancora se il t.f.r. sia totalmente incedibile (come affermato dalla Corte di Cassazione, con sentenza n. 1428 del 20 febbraio 1999, che si era espressa proprio in relazione al Testo unico n. 180/1950). In proposito, la Confindustria ritiene che il tenore della norma sopra richiamata (relativa ai lavoratori a termine) sia tale da far ritenere che sussista il limite del quinto per le cessioni del t.f.r. per tutti gli altri lavoratori a tempo indeterminato. Per tali motivi sono ritenute illegittime le clausole contenute nei contratti di cessione della retribuzione, stipulate dopo l’entrata in vigore della Legge n. 80/2005, che prevedano, in caso di cessazione del servizio, la trattenuta dell’intero t.f.r. a garanzia del credito vantato nei confronti del dipendente. Né è da ritenere che il divieto di cessione del t.f.r. oltre i limiti del quinto possa essere superato attraverso atti di mandato irrevocabile ex art. 1723, comma 2, del codice civile, poiché il mandato è un contratto e, in quanto tale, necessita dell’accettazione del mandatario, cioè del datore di lavoro.

Il Testo unico n. 180/1950 disciplina, inoltre, il concorso di vincoli su stipendi, salari e pensioni, ponendo precisi limiti alla coesistenza di sequestri o pignoramenti e cessioni (artt. da 67 a 70). Qualora preesistano sequestri o pignoramenti, la successiva cessione non potrà, in ogni caso, superare il limite generale del quinto dell’importo netto della retribuzione e non potrà eccedere la differenza tra i due quinti della retribuzione netta e la quota già colpita da sequestri o pignoramenti. Se, viceversa, preesista una cessione perfezionata e debitamente notificata, il sequestro o il pignoramento non potranno riguardare se non la differenza tra la metà della retribuzione netta e la quota già ceduta dal lavoratore, restando ovviamente fermi i limiti generali alla sequestrabilità e pignorabilità fissati dall’art. 2.

Si rammenta che l’azienda è obbligata ad effettuare la cessione che le venga notificata, ma non è tenuta a sottoscrivere alcun documento predisposto e trasmesso dal cessionario quale certificato di stipendio o atto di benestare.

 

Pignoramento della retribuzione e delle altre competenze di fine rapporto

Prima dell’entrata in vigore della “Legge finanziaria 2005”, il lavoratore che avesse contratto un debito poteva subire una trattenuta della retribuzione per effetto di un pignoramento del creditore, secondo i limiti disposti dalla disciplina del codice di procedura civile, il cui art. 545, comma 3, consentiva che le somme dovute da privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, fossero pignorabili nei seguenti casi e misure:.- per crediti alimentari nella misura autorizzata dal Presidente del Tribunale o da un giudice delegato;

- per i tributi dovuti allo Stato, alle province ed ai comuni e per ogni altro credito nella misura di un quinto;

- per il simultaneo concorso delle cause precedentemente indicate non oltre l’ammontare della metà.

Dal 1° gennaio 2005, invece, per i pignoramenti notificati all’azienda, si applicano i diversi limiti disposti dall’art. 2 del Testo unico n. 180/1950. Per effetto di tale disposizione gli stipendi, i salari e le retribuzioni equivalenti sono pignorabili:

1) fino alla concorrenza di un terzo del loro importo, al netto di ritenute, per causa di alimenti dovuti per legge;

2) fino alla concorrenza di un quinto del loro importo, al netto di ritenute, per debiti verso lo Stato, gli altri enti, aziende ed imprese da cui il debitore dipende, derivanti dal rapporto d’impiego o di lavoro;

3) fino alla concorrenza di un quinto del loro importo, al netto di ritenute, per tributi dovuti allo Stato, alle province ed ai comuni, facenti carico, fin dalla loro origine, all’impiegato o salariato.

Per il simultaneo concorso delle cause indicate ai numeri 2) e 3), non può essere colpita una quota retributiva maggiore del quinto, mentre, per il solo caso in cui concorra una causa di cui al numero 1), potrà essere colpita la retribuzione fino alla metà. Per i sequestri e i pignoramenti derivanti da crediti alimentari, è stato dunque introdotto un limite fisso, con conseguente eliminazione del potere di determinazione prima attribuito al giudice. Per il concorso di più crediti, diversi da quelli alimentari, è stato invece introdotto, a vantaggio del lavoratore, il limite massimo del quinto.

Anche il trattamento di fine rapporto può essere sottoposto a sequestro e pignoramento negli stessi limiti sopra indicati.

 

Si segnala, infine, che la Legge n. 80/2005 ha demandato al Ministero dell’Economia e delle Finanze, sentite le organizzazioni di categoria degli operatori professionali interessati, l’attuazione delle modifiche apportate al Testo unico n. 180/1950, mediante decreto, del quale si darà notizia non appena sarà stato emanato.