RIFORMA MERCATO DEL LAVORO - D.LGS 276/2003 - SUBAPPALTO E INTERPOSIZIONE DI MANODOPERA

 

La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza 21 novembre 2005, n. 41701 esamina una pronuncia di merito che ha assolto due imputati i quali, per mezzo di un appalto “simulato”, avevano realizzato una fornitura di mere prestazioni  di manodopera.

La pronuncia di merito ha motivato l’assoluzione dei suddetti imputati sulla base della considerazione che, con l’art. 85 del D.Lgs. n. 276/2003, il divieto di interposizione di manodopera di cui alla legge n. 1369/60 sarebbe ormai scomparso dal nostro ordinamento.

L’affermazione dei giudici di merito, come non manca di ricordare la Cassazione, è alquanto semplicistica.

Infatti, essa si ferma al dato formale - l’abrogazione della citata Legge n. 1369 - ma  trascura il coordinamento con le altre norme contenute nel richiamato D.Lgs. n. 276/2003, che mantengono inalterata la portata precettiva del divieto di interposizione.

Per comprendere l’evoluzione normativa che ha interessato i fenomeni interpositori occorre in primo luogo ricordare che la rigidità del divieto di interposizione di manodopera ha subito una prima deroga  con l’approvazione della Legge n. 196/97, la quale ha riconosciuto, in particolari condizioni ed a particolari soggetti, la possibilità di stipulare un contratto avente ad oggetto la fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo (cd. lavoro interinale).

Con questo intervento normativo il fenomeno non viene più considerato illecito a priori, ma solo in relazione alla natura, autorizzata o “abusiva”, dell’intermediario stesso; tale intervento ha tuttavia una portata limitata, in quanto l’applicazione dello stesso è mirata al fenomeno specifico (il lavoro interinale) che regola.

Solo con il D.Lgs. n. 276/2003 viene definitivamente abrogata la legge n. 1369/1960, ma anche a seguito di questo intervento legislativo, il divieto di interposizione di manodopera mantiene la propria portata precettiva.

La sopravvivenza del divieto è sancita mediante la conferma del regime civilistico e penalistico previdente ai casi di violazione della disciplina della mediazione privata e nei rapporti di lavoro (artt. 18 - 19, D.Lgs. n. 276/2003).

Inoltre, la fattispecie cui si applica il regime sanzionatorio previdente - la somministrazione abusiva - coincide, nei suoi elementi costitutivi, con le ipotesi sanzionate dall’articolo 1 della Legge n. 1369, che puniva colui che violava il divieto di affidare in appalto o in subappalto (o in altre forme atipiche) l’esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante l’impiego di manodopera assunta e retribuita dall’appaltatore.

L’art. 18, del D.Lgs. n. 276/2003, inoltre, considera illecito (sia sotto il profilo civile sia sotto quello penale) l’esercizio non autorizzato dell’attività di somministrazione e l’utilizzazione di mere prestazioni di manodopera fornite da soggetto non autorizzato.

Pertanto, la fornitura a terzi di mere prestazioni di lavoro è lecita se effettuata da soggetti autorizzati e nei casi  e secondo le modalità di legge, mentre resta illecita se effettuata al di fuori di tali condizioni.

Certamente, non si può sostenere che il D.Lgs. n. 276/2003 non ha prodotto alcun effetto; infatti, ferma restando la vigenza del divieto di interposizione, cambia l’estensione dello stesso, notevolmente ridotta nella nuova impostazione.

Considerata la contemporanea riformulazione in senso estensivo della disciplina dell’appalto e di quella della somministrazione di manodopera, il suddetto divieto perde i caratteri della generalità che aveva nel sistema della legge n. 1369/60, ma diventa applicabile sono a ipotesi specifiche.

Rispetto alla fornitura di mere prestazioni di lavoro, esso opera, secondo la logica già introdotta dalla legge n. 196/97, quando questa sia realizzata senza rispettare le forme (es. possesso della autorizzazione) o le condizioni (es. rispetto delle causali previste per la somministrazione) previste dalla legge.

Rispetto agli appalti che presentano una netta prevalenza delle prestazioni di lavoro sui mezzi impiegati,  viene meno il carattere di automaticità della sanzione, la quale si applica solo a quelle ipotesi in cui l’assenza di mezzi ed organizzazione costituisca un indice di illiceità del contratto.

Così, se prima della riforma le  fattispecie interpositorie potevano essere iscritte a tre diverse aree - la fornitura lecita di manodopera, ai sensi della legge n. 196/97, l’appalto o il distacco lecito, l’interposizione illecita - con il più volte richiamato D.Lgs. n. 276/2003, resta inalterato questo schema, ma l’area prima occupata dal lavoro interinale diventa, nella nuova veste della somministrazione, più estesa, così come quella degli appalti assume confini più solidi.

In ogni caso, resta inalterato il principio cardine secondo cui la somministrazione di manodopera è effettuabile lecitamente soltanto da parte dei soggetti a ciò esplicitamente autorizzati - dal Ministero del lavoro o, per la sola intermediazione, anche dalle Regioni - ed alle condizioni previste dalla legge.

Al di fuori di questi casi, tutte le ipotesi in cui la messa a disposizione di prestazioni di lavoro in favore di un terzo avvenga senza i requisiti e le forme previste dalle discipline della somministrazione, dell’appalto o del distacco rifluiscono nell’apparato sanzionatorio disciplinato dagli articoli 18 e 27 del D.Lgs. n. 276/2003.

 

L’articolazione del sistema sanzionatorio

La cosiddetta riforma Biagi prevede un sistema graduale di fattispecie sanzionatoria, che parte dalla somministrazione irregolare di cui all’art. 27, comma 1, passando per la somministrazione abusiva di cui all’art. 18, comma 1, fino alla fattispecie più grave di somministrazione fraudolenta.

La fattispecie della somministrazione irregolare (art. 27 citato) ricorre nel caso in cui la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli articoli 20 e 21, comma 1, lettera a), b), c), d) ed e); tale fattispecie diventa così il momento nel quale rifluiscono tutte le ipotesi di somministrazione realizzata senza i requisiti formali e sostanziali previsti dagli articoli 20 e 21.

Il verificarsi della fattispecie comporta la facoltà per il lavoratore di chiedere, mediante ricorso giudiziale a  norma dell’articolo 414 c.p.c., notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della somministrazione.

Una seconda fattispecie sanzionatoria è quella dell’esercizio non autorizzato (art. 18, comma 1), che si verifica in caso di svolgimento da parte di un soggetto non autorizzato delle attività di somministrazione, intermediazione , ricerca e selezione di personale e supporto alla ricollocazione professionale; la violazione trova inoltre un inevitabile corrispondente nella fattispecie di utilizzazione illecita (art. 18, comma 2)  posta in essere da chi ne utilizza la manodopera somministrata da un soggetto privo dei requisiti di legge. I soggetti che pongono in essere l’esercizio non autorizzato d’utilizzazione illecita sono puniti con una sanzione penale di tipo contravvenzionale  variabile in ragione della gravità qualitativa e quantitativa delle violazioni. Il reato si commette in tutte le circostanze in cui un soggetto, senza il possesso del titolo abilitativo dell’autorizzazione, realizzi una delle attività prima ricordate, senza che assumano alcun rilievo le forme con cui la violazione stessa sia realizzata.

La terza ed ultima fattispecie sanzionatoria è quella della somministrazione fraudolenta (art. 28), che si verifica quando la somministrazione è posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al lavoratore.

La norma configura la violazione come un reato che esige la sussistenza di un dolo specifico, contraddistinto della preventiva rappresentazione e volizione della condotta vietata; nel caso in cui si verifichi la fattispecie, il somministratore e l’utilizzatore, sono soggetti ad una ammenda variabile in ragione dell’entità della violazione commessa.

Le tre distinte fattispecie sono articolate secondo un ordine di gravità, dalla meno grave - la somministrazione irregolare - a quella più grave - la somministrazione fraudolenta - passando per quella intermedia dell’esercizio non autorizzato; ciascuna di loro ha presupposti autonomi e dà luogo a sanzioni di natura ed entità diversa, e pertanto è concepibile la loro concorrenza.

 

I principi affermati dalla sentenza

La pronuncia in commento della Cassazione conferma tale ricostruzione, richiamando principi già ribaditi più volte dalla S.C. nella fase successiva all’abrogazione della legge n. 1369/60, in occasione di giudizi volti a chiarire se la condotta posta in essere dal soggetto sotto la vigenza di quest’ultima legge abbia ancora un rilievo penale nel nuovo assetto normativo. In particolare, osserva la Corte, sulla scorta dell’insegnamento delle Sezioni Unite, sentenza n. 33539/2001, che non è sufficiente l’uso, da parte del legislatore, di un’espressa formula abrogativa rispetto a preesistenti fattispecie incriminatrici  perchè possa ritenersi realizzata una vera e propria abolizione del reato. Tale effetto può verificarsi solo quando il legislatore sia pervenuto ad una valutazione di totale inoffensività della condotta originariamente punita. Occorre quindi verificare se un determinato fatto storico sia riconducibile, nel nucleo essenziale dello stesso, sia alle norme abrogate sia alla nuova previsione, mediante una comparazione degli elementi strutturali presenti nell’una e nell’altra.

Applicando questi principi, la Corte rileva che quello che secondo la vecchia legge era considerato appalto di mere prestazioni di manodopera, viene oggi punito con la fattispecie di cui all’art. 18 del D.Lgs. n. 276/2003.

Pertanto, prosegue la pronuncia, con il decreto legislativo di cui sopra, si è verificata un’abrogazione con effetto solo parzialmente abolitivo, che ha riguardato solo le agenzie private abilitate che, nelle ipotesi consentite, non sono punibili per l’esercizio dell’attività; fuori di questi casi, invece, sussiste un nesso di continuità  normativa tra il precetto previdente e quello attualmente riformulato dagli artt. 4 e 18 del D.Lgs. n. 276/2003.

Infine, la sentenza, richiamando principi giurisprudenziali consolidati, evidenzia che:

- le condotte vietate di interposizione nelle prestazioni di lavoro sono riconducibili alle nuove fattispecie criminose di cui agli artt. 4 e 18 del D.Lgs. n. 276/2003;

- integra gli estremi di reato ex artt. 1 e 2, legge n. 1369/60, punibile ex art. 18, D.Lgs. n. 276/2003, la somministrazione di lavoro fornita da parte di un soggetto privato non formalmente autorizzato;

- la fattispecie di cui all’art. 1 della legge n. 1369 resta punibile ai sensi dell’art. 18 del D.Lgs. n. 276/2003, in quanto qualificabile come somministrazione di manodopera esercitata da soggetto non abilitato o fuori dei casi consentiti.