RIFORMA MERCATO DEL LAVORO - D.LGS
276/2003 - SUBAPPALTO E INTERPOSIZIONE DI MANODOPERA
La pronuncia di merito ha
motivato l’assoluzione dei suddetti imputati sulla base della considerazione
che, con l’art. 85 del D.Lgs. n. 276/2003, il divieto
di interposizione di manodopera di cui alla legge n. 1369/60 sarebbe ormai
scomparso dal nostro ordinamento.
L’affermazione dei giudici
di merito, come non manca di ricordare
Infatti, essa si ferma al
dato formale - l’abrogazione della citata Legge n. 1369 - ma trascura il coordinamento con le altre norme
contenute nel richiamato D.Lgs. n. 276/2003, che
mantengono inalterata la portata precettiva del divieto di interposizione.
Per comprendere
l’evoluzione normativa che ha interessato i fenomeni interpositori occorre in
primo luogo ricordare che la rigidità del divieto di interposizione di
manodopera ha subito una prima deroga con l’approvazione della Legge n.
196/97, la quale ha riconosciuto, in particolari condizioni ed a particolari
soggetti, la possibilità di stipulare un contratto avente ad oggetto la
fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo (cd. lavoro interinale).
Con questo intervento normativo
il fenomeno non viene più considerato illecito a
priori, ma solo in relazione alla natura, autorizzata o “abusiva”,
dell’intermediario stesso; tale intervento ha tuttavia una portata limitata, in
quanto l’applicazione dello stesso è mirata al fenomeno specifico (il lavoro
interinale) che regola.
Solo con il D.Lgs. n. 276/2003 viene definitivamente abrogata la legge n.
1369/1960, ma anche a seguito di questo intervento legislativo, il divieto di
interposizione di manodopera mantiene la propria portata precettiva.
La sopravvivenza del
divieto è sancita mediante la conferma del regime civilistico e penalistico
previdente ai casi di violazione della disciplina della mediazione privata e
nei rapporti di lavoro (artt. 18 - 19, D.Lgs. n.
276/2003).
Inoltre, la fattispecie cui
si applica il regime sanzionatorio previdente - la somministrazione abusiva -
coincide, nei suoi elementi costitutivi, con le ipotesi sanzionate
dall’articolo 1 della Legge n. 1369, che puniva colui che violava il divieto di
affidare in appalto o in subappalto (o in altre forme atipiche) l’esecuzione di
mere prestazioni di lavoro mediante l’impiego di manodopera assunta e
retribuita dall’appaltatore.
L’art. 18, del D.Lgs. n. 276/2003, inoltre, considera illecito (sia sotto il
profilo civile sia sotto quello penale) l’esercizio non autorizzato
dell’attività di somministrazione e l’utilizzazione di mere prestazioni di
manodopera fornite da soggetto non autorizzato.
Pertanto, la fornitura a
terzi di mere prestazioni di lavoro è lecita se effettuata da soggetti
autorizzati e nei casi
e secondo le modalità di legge, mentre resta illecita se
effettuata al di fuori di tali condizioni.
Certamente, non si può
sostenere che il D.Lgs. n. 276/2003 non ha prodotto
alcun effetto; infatti, ferma restando la vigenza del divieto di
interposizione, cambia l’estensione dello stesso, notevolmente ridotta nella
nuova impostazione.
Considerata la
contemporanea riformulazione in senso estensivo della disciplina dell’appalto e
di quella della somministrazione di manodopera, il suddetto divieto perde i
caratteri della generalità che aveva nel sistema della legge n. 1369/60, ma
diventa applicabile sono a ipotesi specifiche.
Rispetto alla fornitura di
mere prestazioni di lavoro, esso opera, secondo la logica già introdotta dalla
legge n. 196/97, quando questa sia realizzata senza
rispettare le forme (es. possesso della autorizzazione) o le condizioni (es.
rispetto delle causali previste per la somministrazione) previste dalla legge.
Rispetto agli appalti che
presentano una netta prevalenza delle prestazioni di lavoro sui mezzi
impiegati, viene
meno il carattere di automaticità della sanzione, la quale si applica solo a
quelle ipotesi in cui l’assenza di mezzi ed organizzazione costituisca un
indice di illiceità del contratto.
Così, se prima della
riforma le fattispecie
interpositorie potevano essere iscritte a tre diverse aree - la fornitura
lecita di manodopera, ai sensi della legge n. 196/97, l’appalto o il distacco
lecito, l’interposizione illecita - con il più volte richiamato D.Lgs. n. 276/2003, resta inalterato questo schema, ma l’area prima
occupata dal lavoro interinale diventa, nella nuova veste della
somministrazione, più estesa, così come quella degli appalti assume confini più
solidi.
In ogni
caso, resta inalterato il principio cardine secondo cui la somministrazione
di manodopera è effettuabile lecitamente soltanto da parte dei soggetti a ciò
esplicitamente autorizzati - dal Ministero del lavoro o, per la sola intermediazione,
anche dalle Regioni - ed alle condizioni previste dalla legge.
Al di fuori di questi casi,
tutte le ipotesi in cui la messa a disposizione di prestazioni di lavoro in
favore di un terzo avvenga senza i requisiti e le forme previste dalle discipline
della somministrazione, dell’appalto o del distacco rifluiscono nell’apparato
sanzionatorio disciplinato dagli articoli 18 e 27 del D.Lgs. n.
276/2003.
L’articolazione del
sistema sanzionatorio
La cosiddetta riforma Biagi
prevede un sistema graduale di fattispecie sanzionatoria, che parte dalla
somministrazione irregolare di cui all’art. 27, comma 1, passando per la
somministrazione abusiva di cui all’art. 18, comma 1, fino alla fattispecie più
grave di somministrazione fraudolenta.
La fattispecie della
somministrazione irregolare (art. 27 citato) ricorre nel caso in cui la
somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei
limiti e delle condizioni di cui agli articoli 20 e 21, comma 1, lettera a),
b), c), d) ed e); tale fattispecie diventa così il momento nel quale
rifluiscono tutte le ipotesi di somministrazione realizzata senza i requisiti
formali e sostanziali previsti dagli articoli 20 e 21.
Il verificarsi della
fattispecie comporta la facoltà per il lavoratore di chiedere, mediante ricorso
giudiziale a norma
dell’articolo 414 c.p.c., notificato anche soltanto
al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto
di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della
somministrazione.
Una seconda fattispecie
sanzionatoria è quella dell’esercizio non autorizzato (art. 18, comma 1), che
si verifica in caso di svolgimento da parte di un soggetto non autorizzato
delle attività di somministrazione, intermediazione ,
ricerca e selezione di personale e supporto alla ricollocazione professionale;
la violazione trova inoltre un inevitabile corrispondente nella fattispecie di
utilizzazione illecita (art. 18, comma 2)
posta in essere da chi ne utilizza la manodopera somministrata da un
soggetto privo dei requisiti di legge. I soggetti che pongono in essere
l’esercizio non autorizzato d’utilizzazione illecita sono puniti con una
sanzione penale di tipo contravvenzionale variabile in ragione della gravità
qualitativa e quantitativa delle violazioni. Il reato si commette in tutte le
circostanze in cui un soggetto, senza il possesso del titolo abilitativo
dell’autorizzazione, realizzi una delle attività prima ricordate, senza che
assumano alcun rilievo le forme con cui la violazione stessa sia realizzata.
La terza ed ultima
fattispecie sanzionatoria è quella della somministrazione fraudolenta (art.
28), che si verifica quando la somministrazione è
posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di
legge o di contratto collettivo applicato al lavoratore.
La norma configura la
violazione come un reato che esige la sussistenza di un dolo specifico,
contraddistinto della preventiva rappresentazione e volizione della condotta
vietata; nel caso in cui si verifichi la fattispecie, il somministratore e
l’utilizzatore, sono soggetti ad una ammenda variabile
in ragione dell’entità della violazione commessa.
Le tre distinte fattispecie
sono articolate secondo un ordine di gravità, dalla meno grave - la
somministrazione irregolare - a quella più grave - la somministrazione
fraudolenta - passando per quella intermedia dell’esercizio non autorizzato;
ciascuna di loro ha presupposti autonomi e dà luogo a sanzioni di natura ed
entità diversa, e pertanto è concepibile la loro concorrenza.
I principi affermati dalla
sentenza
La pronuncia in commento
della Cassazione conferma tale ricostruzione, richiamando principi già ribaditi
più volte dalla S.C. nella fase successiva all’abrogazione della legge n.
1369/60, in occasione di giudizi volti a chiarire se la condotta posta in
essere dal soggetto sotto la vigenza di quest’ultima legge abbia ancora un
rilievo penale nel nuovo assetto normativo. In particolare, osserva
Applicando questi principi,
Pertanto, prosegue la
pronuncia, con il decreto legislativo di cui sopra, si è verificata
un’abrogazione con effetto solo parzialmente abolitivo, che ha riguardato solo
le agenzie private abilitate che, nelle ipotesi consentite, non sono punibili
per l’esercizio dell’attività; fuori di questi casi, invece, sussiste un nesso
di continuità normativa
tra il precetto previdente e quello attualmente riformulato dagli artt. 4 e 18
del D.Lgs. n. 276/2003.
Infine, la sentenza,
richiamando principi giurisprudenziali consolidati, evidenzia che:
- le condotte vietate di
interposizione nelle prestazioni di lavoro sono riconducibili alle nuove
fattispecie criminose di cui agli artt. 4 e 18 del D.Lgs. n.
276/2003;
- integra gli estremi di
reato ex artt. 1 e 2, legge n. 1369/60, punibile ex
art. 18, D.Lgs. n. 276/2003, la somministrazione di
lavoro fornita da parte di un soggetto privato non formalmente autorizzato;
- la fattispecie di cui
all’art. 1 della legge n. 1369 resta punibile ai sensi dell’art. 18 del D.Lgs. n. 276/2003, in quanto qualificabile come somministrazione
di manodopera esercitata da soggetto non abilitato o fuori dei casi consentiti.