IL RILASCIO
DELLA CONCESSIONE IN DEROGA È POSSIBILE SE E NEI LIMITI IN CUI NON
PREGIUDICA IN TERMINI SIGNIFICATIVI GLI
STANDARD URBANISTICI
(Consiglio di Stato, Sezione V, 11 gennaio 2006, n.
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Il rilascio del permesso di costruire in deroga è
possibile solo qualora non pregiudichi in termini significativi gli standard
urbanistici. Qualora la deroga sia suscettibile di aggravare marcatamente le
esigenze di parcheggio non può prescindere dalla previsione degli appositi
spazi destinati a tal fine.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quinta) ha pronunciato la seguente decisione
. . .omissis .
. .
FATTO
1 - Con la sentenza appellata il T.A.R. ha respinto il
ricorso proposto dall’odierna appellante per l’annullamento del provvedimento
12 settembre 1994, n. 3941, con il quale
Il T.A.R. ha ritenuto, in particolare, che il
provvedimento regionale impugnato (pur sorretto da due profili di motivazione
ritenuti non condivisibili) non di meno poggiasse su di un altro capo di
motivazione autonomamente in grado di supportarlo validamente; ha ritenuto,
infatti, che
2- Per l’appellante la sentenza sarebbe erronea in
quanto, contrariamente a quanto ritenuto dai primi giudici, l’impugnato
provvedimento comunale non solo non sarebbe stato supportato da alcuna idonea
istruttoria, ma avrebbe poggiato su apprezzamenti generici, indimostrati ed
erronei; inoltre, il TAR avrebbe offerto una motivazione dell’atto impugnato
nello stesso neppure rinvenibile, avendo, così, inammissibilmente esulato dai
propri poteri giurisdizionali.
3 - Resistono
Con memorie conclusionali l’appellante e la regione
Molise ribadiscono i rispettivi assunti difensivi.
DIRITTO
1 - Con la sentenza appellata il T.A.R. ha respinto il
ricorso proposto dall’odierna appellante per l’annullamento del provvedimento
12 settembre 1994, n. 3941, con il quale
Per l’appellante la sentenza sarebbe erronea in
quanto, contrariamente a quanto ritenuto dai primi giudici, l’impugnato
provvedimento comunale non solo non sarebbe stato supportato da alcuna idonea
istruttoria, ma avrebbe poggiato su apprezzamenti generici, indimostrati ed
erronei; inoltre, il T.A.R. avrebbe offerto una motivazione dell’atto impugnato
nello stesso neppure rinvenibile, avendo, così, inammissibilmente esulato
dall’ambito dei propri poteri giurisdizionali.
In particolare, i primi giudici avrebbero costruito ex
post la motivazione del diniego, interpretando, secondo una loro propria
angolazione, la delibera regionale che non si sarebbe affatto posta il problema
della sufficiente motivazione dell’atto comunale; e non a caso, si aggiunge,
per poter pervenire a tale decisione, gli stessi primi giudici, una volta
constatato che dal punto di vista tecnico-urbanistico tutto sarebbe stato
regolare e che le stesse considerazioni degli uffici tecnici erano state
superate nella fase procedimentale e dimostrate errate nel corso del giudizio,
avrebbe interpretato gli elementi tecnici come una censura alla scarsa
valutazione e motivazione della delibera comunale; ma ciò non sarebbe stato
riscontrabile nell’atto impugnato, né sarebbe stato oggetto del gravame ed il T.A.R.
non avrebbe potuto spingersi fino a costruire le motivazioni di sindacato della
Regione.
2 - L’appello è infondato.
La concessione in deroga, di cui si tratta,
contemplava un considerevole aumento di volumetria di un immobile sito nel
centro storico cittadino (si trattava dell’elevazione, per tre piani, di un
edificio, comportante un aumento di volumetria di quasi 5.600 mc., destinati alla realizzazione di diciassette unità
abitative).
Le concessioni in deroga erano ammesse dalla
disciplina edilizia comunale, limitatamente alla realizzazione di edifici
pubblici o di interesse pubblico.
Nella specie, la regione ha ritenuto che la prevista
realizzazione di una casa albergo priva di lavanderia, di servizio bar etc.
gestiti dalla stessa società alberghiera e in assenza della previsione che gli
acquirenti delle singole unità abitative destinassero le stesse alla società
alberghiera, non assicurasse, di fatto, l’effettiva utilizzazione ricettiva
analoga a quella alberghiera che, in ipotesi, avrebbe potuto giustificare
l’intervento in questione in quanto intervento di interesse pubblico; inoltre,
la trasformazione edilizia avrebbe comportato il mancato rispetto degli
standard urbanistici per ciò che atteneva alla dotazione minima dei parcheggi.
Tali considerazioni reiettive appaiono condivisibili.
3 - La realizzazione di una casa albergo senza le
dotazioni anzidette e, soprattutto, in assenza di ogni previsione di vincolo
delle unità abitative realizzande a tale specifica
attività, lasciavano emergere, in effetti, un consistente dubbio in merito alla
effettività dell’intenzione della proprietà di operare la prescritta
destinazione; questo, naturalmente, non avrebbe impedito alla richiedente il
titolo in deroga di operare una integrazione, sul punto, della propria istanza;
ma correttamente, in assenza di precisazioni e vincoli specifici in proposito,
Né si dica che
Al contrario, l’intervento in deroga poteva ritenersi
ammissibile solo se ed in quanto le opere autorizzate fossero risultate per
certo destinate a finalità di interesse pubblico (nella specie, all’uso
alberghiero e, più precisamente, a casa albergo); solo in tal caso, infatti,
l’ordinamento consente – in presenza della previsione di tale specifico potere
in seno allo strumento di pianificazione comunale – di derogare alla ordinaria
disciplina pianificatoria.
Poiché spettava, nella specie, alla Regione
l’individuazione del carattere di interesse pubblico presentato dall’edificio
per il quale era richiesto il nulla osta al rilascio della concessione in deroga,
ne consegue che la regione stessa ben poteva e doveva sindacare se
effettivamente sussistessero i presupposti giuridico-fattuali
attestanti, al di là di ogni ragionevole dubbio, che effettivamente le opere da
realizzare fossero finalizzate alla soddisfazione di un siffatto interesse.
Ove
4 - Considerazioni parimenti reiettive valgono anche
per ciò che attiene alla tematica dei parcheggi.
Il rilascio della concessione in deroga è, infatti,
possibile se e nei limiti in cui non pregiudichi in termini significativi gli
standard urbanistici.
La materia delle licenze (o concessioni edilizie o
permessi di costruzione) in deroga è stata affrontata con circolare
ministeriale (i cui principi orientativi di fondo appaiono tuttora validi ed
applicabili) dell’allora competente Ministero dei lavori pubblici 28 febbraio
1956, n. 847, seguita da altre circolari in materia; qui rileva quanto
affermato al capo III, punto 2, della circolare ora detta, secondo cui nella
concessione di maggiori altezze o di maggiori distacchi o di altra qual si
voglia eccezione alle misure massime consentite in via normale si applichi il
criterio del compenso dei volumi e, cioè, non si sviluppi un volume
fabbricativo complessivo maggiore di quello che risulterebbe dalla corrente
applicazione di tutte le norme edilizie per la zona indicata (onde dovrà farsi
luogo ad una congrua, contemporanea riduzione di altri elementi quali la
superficie occupata, ritiri di fronte etc.).
Un principio siffatto vale, naturalmente, anche per
ciò che attiene al rispetto degli standard a parcheggio; la possibilità
accordata di sviluppare volumetrie maggiori rispetto a quelle normalmente
consentite non può e non vuole costituire fonte di disordine urbanistico e di
svuotamento di quelle disposizioni che valgono a salvaguardare un corretto
vivere cittadino; con la conseguenza che all’incremento della ricettività
dell’edificio in questione rispetto alla situazione quo ante, non può che
corrispondere anche un idoneo incremento degli standard urbanistici, con
speciale riferimento – per ciò che qui interessa – a quelli destinati a
parcheggio.
Un ampliamento rilevante di un edificio, posto, come
nella specie, in pieno centro cittadino, in vista della realizzazione di
numerose unità abitative in grado di aggravare, in termini marcati, le esigenze
di parcheggio (per i previsti ospiti), non poteva prescindere dalla puntuale
previsione degli appositi spazi destinati a tal fine; se la deroga può
riguardare lo sviluppo dell’edificio in termini di superficie e/o di
volumetria, altezze e/o distacchi, ciò non significa che la deroga stessa possa
portare a sacrificare gli interessi della collettività, aggravando oltre misura
i già delicati equilibri urbanistici; e ciò a maggior ragione quando il
manufatto da ampliare si collochi in pieno centro urbano.
Poiché, come emerge dagli atti (e, in particolare, dal
parere n. 53 del 16 giugno 1994 dell’ufficio tecnico regionale e dal citato
parere dirigenziale comunale del 1991, entrambi legittimamente richiamati, ob
relationem, a supporto della motivazione del diniego di nulla osta regionale di
cui si discute) non risulta che la richiedente abbia ottemperato alla richiesta
di rinunciare al cambiamento di destinazione del seminterrato da garage ad
esercizio commerciale (esposizione di prodotti dell’artigianato locale) e
poiché la stessa non ha dimostrato il rispetto degli standard a parcheggio
previsti per la zona in questione, ne consegue che correttamente le è stato
denegato il richiesto titolo in deroga.
In definitiva, è da ritenere che le motivazioni
addotte, sul punto in esame, dalla Regione siano pur’esse
in grado di supportare pienamente l’impugnato diniego di nulla osta (mentre
nulla impediva all’interessata di ripresentare la propria istanza fornendo
elementi idonei a superare gli aspetti preclusivi indicati dalla Regione e, in
particolare, vincolando aree sufficienti a salvaguardare i predetti standard
urbanistici).
5 – Né si dica che il T.A.R. sarebbe andato ultra
petita laddove ha inteso porre l’accento sul fatto che il provvedimento
regionale era volto a mettere in evidenza le lacune dell’atto comunale e,
segnatamente l’omessa valutazione di tutti gli interessi pubblici coinvolti.
La lettura operata dai primi giudici mira, in effetti,
a segnalare come
6 – Per tali motivi l’appello in epigrafe appare
infondato e, per l’effetto, deve essere respinto.
Le spese del grado seguono la soccombenza e sono
liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, Sezione quinta, respinge
l’appello indicato in epigrafe.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese del
grado che liquida in complessivi € 2.500, di cui €
Così deciso in Roma il 7 giugno 2005.