FINANZIARIA 2006 - CHIARIMENTI DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
(Circolare
Ag. Entrate n. 6/E/2006 del 13/2/2006)
L’Agenzia
delle Entrate, con la Circolare n.6/E del 13 febbraio
In
particolare:
1. in materia di rivalutazione
generale dei beni d’impresa, possibile per tutti i beni immateriali e
materiali, con eccezione delle aree edificabili (ammesse ad una diversa e
specifica norma di rivalutazione), risultanti nel bilancio in corso al 31
dicembre 2004, mediante il versamento di un’imposta sostitutiva pari al 12% per
i beni ammortizzabili e al 6% per quelli non ammortizzabili (art.1, commi
469-472, legge 266/2005 - Finanziaria 2006), è stata precisata l’applicabilità
dei chiarimenti forniti nella Circolare ministeriale n.9/E/2002, emanata in
occasione della precedente norma di rivalutazione, prevista dalla legge
448/2001.
Ciò
implica, in sostanza, che:
-
in caso di cessione dei beni rivalutati prima del 2008 (ossia precedentemente
alla decorrenza degli effetti fiscali della rivalutazione) le relative
plusvalenze, o minusvalenze, devono essere determinate senza tenere conto della
rivalutazione eseguita. In tal caso, al soggetto che ha eseguito la rivalutazione,
è attribuito un credito d’imposta pari all’ammontare dell’imposta sostitutiva
pagata (12% o 6%) riferibile ai beni ceduti. L’ammontare complessivo
dell’imposta sostitutiva riconosciuta a credito va portato ad aumento del saldo
attivo risultante dalla rivalutazione. Quest’ultimo, inoltre, per la parte
riferibile ai beni ceduti, viene “liberato”
fiscalmente, per cui una volta distribuito non sarà assoggettato a tassazione
ordinaria ai fini delle imposte sul reddito;
-
le maggiori quote di ammortamento, calcolate sul valore rivalutato dei beni,
possono essere dedotte fiscalmente solo a partire dal 2008 e sino ad
esaurimento, rispettando comunque i limiti indicati dall’art. 102 del TUIR -
DPR 917/1986 (ossia, in base ai coefficienti stabiliti dal D.M. 31 dicembre
1988).
Inoltre,
in caso di bene oggetto di un diritto di superficie, a parere dell’Agenzia, la
rivalutazione spetta, qualora il bene sia comunque relativo all’impresa, al
titolare di tale diritto reale.
In
materia di affrancamento del saldo attivo che si genera a seguito della
rivalutazione, possibile con il versamento di un’imposta sostitutiva pari al 7% (art.1, comma 472, legge 266/2005), è stato chiarito
che:
-
a seguito dell’affrancamento, il saldo attivo è liberamente distribuibile ai
soci e non concorre a formare il reddito imponibile della società che ha
effettuato la rivalutazione (alla quale non spetta più il credito d’imposta
pari all’imposta sostitutiva versata per la rivalutazione). Resta ferma,
invece, la tassazione in capo ai soci della relativa attribuzione del saldo
attivo, quale utile percepito;
-
l’affrancamento ha, a differenza della rivalutazione generale dei beni,
efficacia fiscale immediata (ossia, dall’inizio del periodo d’imposta in cui viene effettuato e con riferimento alla distribuzione dei
saldi attivi eseguita anche prima del versamento dell’imposta sostitutiva);
-
l’imposta sostitutiva del 7% può essere versata, oltre che in tre rate annuali,
pari al 10% nel 2006, 45% nel 2007 e 45% nel 2008, come previsto espressamente dalla norma (art.1, comma 472, legge 266/2005), anche in
un’unica soluzione;
-
è possibile procedere all’affrancamento del solo saldo attivo che si genera a
seguito della rivalutazione generale dei beni (di cui al comma 469 della legge
Finanziaria 2006), con esclusione, quindi, di quello relativo alla
rivalutazione specifica delle aree edificabili, o di risulta,
prevista dai successivi commi 473-476 della medesima legge 266/2005 -
Finanziaria 2006;
2. con riferimento alla
riapertura dei termini, al 30 giugno 2006, per la rivalutazione delle
aree edificabili o agricole possedute da privati non esercenti attività
commerciale (possibile con il versamento di un’imposta sostitutiva pari al 4%
dell’intero valore rideterminato dei terreni - art.11-quaterdecies, comma 4,
D.L. 203/2005, convertito con modifiche dalla legge 248/2005), l’Agenzia ha
precisato che, ai fini del calcolo della plusvalenza:
-
l’applicazione di tale beneficio non esclude l’ulteriore rivalutazione del
valore delle aree, effettuabile in base all’indice Istat, relativo ai prezzi al
consumo delle famiglie.
Ai
sensi dell’art.68 del TUIR - DPR 917/1986, infatti, in caso di cessione di aree
edificabili, la plusvalenza va determinata in base alla differenza tra
corrispettivo percepito e costo d’acquisto del terreno aumentato degli oneri
inerenti e rivalutato in base al suddetto indice Istat. Sulla base di quanto
espresso dall’Agenzia, la rideterminazione del costo d’acquisto dell’area,
effettuata in base alla disposizione agevolativa, non impedisce l’ulteriore
rivalutazione del medesimo terreno in base all’indice Istat nel periodo
intercorrente tra la rivalutazione e la successiva cessione del bene;
-
come chiarito dall’Agenzia delle Entrate, con Circolare n. 81/E/2002, è
possibile rivalutare sulla base della variazione dell’indice ISTAT il valore
iniziale dei terreni acquisiti per successione o donazione, indicato nelle
relative denunce o atti registrati, da assumere quale termine di raffronto per
determinare la plusvalenza tassabile;
3. in relazione alle
novità introdotte dal comma 496 dell’articolo unico della legge 266/2005 (legge
finanziaria 2006), in tema tassazione delle plusvalenze immobiliari,
in sintesi, l’Amministrazione finanziaria precisa quanto segue:
- il nuovo regime
opzionale di tassazione delle plusvalenze immobiliari (c.496), realizzate a
seguito della cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti
da non più di 5 anni [1] nonchè, in ogni caso, di terreni suscettibili di
utilizzazione edificatoria, che prevede l’applicazione di un’imposta
sostitutiva dell’imposta sul reddito pari al 12,50%, non può applicarsi
nell’ipotesi di cessione di abitazioni acquisite nell’esercizio dell’attività
edile, come corrispettivo dell’opera prestata in esecuzione di un contratto d’appalto.
Occorre,
innanzitutto, premettere che l’acquisto di tali unità immobiliari costituisce
per l’imprenditore edile un pagamento in natura (in luogo di denaro), relativo
ad un servizio fornito, e come tale avente, ai fini delle imposte dirette, la
natura di reddito d’impresa.
In
fase di successiva cessione delle abitazioni da parte dell’imprenditore che le
ha ricevute in permuta, il maggior valore relativo ai medesimi immobili non può
considerarsi una plusvalenza tassabile come reddito diverso, poichè realizzato
nell’esercizio dell’attività d’impresa e, quindi, fuori dall’applicazione
dell’art.67 del TUIR DPR 917/1986, che dispone esplicitamente che non possono
essere considerati redditi diversi quelli conseguiti nell’esercizio di arti o
professioni o di imprese commerciali o da s.n.c e s.a.s..
Specularmente,
l’acquirente di tali immobili a destinazione abitativa, non potrà avvalersi
delle disposizioni agevolative di cui al successivo c.497 dell’art.1 della
legge 266/2005 (applicazione delle imposte di registro,
ipotecaria e catastale sul valore catastale delle medesime abitazioni
cedute pari alla rendita catastale, rivalutata del 5% e moltiplicata per il
coefficiente di 120, o di 110 se l’immobile costituisce una “prima casa” per il
soggetto acquirente), poichè è lo stesso c.497 a specificare che rientrano nel
campo di applicazione della norma le sole cessioni fra persone fisiche che non
agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali;
- nel caso di più
venditori, l’opzione per l’applicazione dell’imposta sostitutiva al 12,50%, di
cui al c.496 dell’art.1 della legge 266/2005, può essere esercitata anche solo
dai soggetti che abbiano interesse ad avvalersene;
4. nell’ambito del
principio di separazione tra valore imponibile fiscale e valore
dichiarato nell’atto di compravendita di abitazioni e relative pertinenze,
effettuata tra persone fisiche non esercenti attività commerciale (applicazione
delle imposte di registro, ipotecaria e catastale sul valore determinato su
base catastale dell’immobile, a prescindere dal prezzo di cessione dichiarato
nel rogito - art.1, comma 497, legge 266/2005), è stato precisato che:
-
tale principio può essere applicato unicamente ai fabbricati censiti in catasto
nella tipologia abitativa, ed alle relative pertinenze. Rimangono esclusi,
quindi, gli immobili che, seppure di fatto utilizzati come abitazione, siano iscritti in catasto in una diversa categoria (ad
esempio fabbricati accatastati come uffici o negozi);
-
non ci sono limiti quantitativi o qualitativi (legati cioè a vincoli di
classificazione catastale) riferibili all’acquisto delle pertinenze delle
abitazioni. Ciò implica che il nuovo regime opzionale di determinazione delle
imposte di registro, ipotecaria e catastale (che
prescinde dal prezzo di cessione dichiarato nel rogito) può essere applicato
anche per l’acquisto di più immobili pertinenziali, purchè tale destinazione
risulti nell’atto di compravendita. Allo stesso modo, non ci sono vincoli
legati alla categoria catastale in cui risulta censita la pertinenza, ma
valgono le regole generali dell’art.817 del Codice Civile (per
cui la stessa deve risultare asservita in modo durevole e funzionale
all’abitazione, per il miglior uso di quest’ultima, e ci deve essere la volontà
del proprietario dell’unità abitativa di porre la pertinenza in un rapporto di
strumentalità funzionale con il bene principale);
-
può essere acquistata con atto separato anche la sola pertinenza di un’unità
abitativa già posseduta dall’acquirente, purchè nell’atto risulti espressamente
tale destinazione;
5. in tema di determinazione
del reddito dei fabbricati abitativi posseduti dalle imprese e concessi in
locazione, alla luce delle modifiche, apportate dall’art.7, comma 1 del
D.L. 203/2005 convertito con modificazioni in legge 248/2005, all’art.90 del
TUIR DPR 917/1986 (canone di affitto ridotto delle sole spese sostenute nel
periodo d’imposta, debitamente documentate, riferibili agli interventi di
manutenzione ordinaria, entro il limite del 15% dell’importo del canone stesso),
l’Amministrazione precisa che, con riferimento alla disciplina delle altre
spese e dei componenti negativi relativi gli immobili “patrimoniali”, la nuova
disposizione (contenuta nel secondo comma del citato art. 90) ha carattere
speciale e derogatorio rispetto al principio generale di inerenza dei
componenti negativi di reddito. Pertanto, la norma contiene un divieto assoluto
di deducibilità di tutti i componenti negativi relativi a tali immobili,
compresi anche gli interessi passivi ad essi relativi,
sia di funzionamento, sia di finanziamento;
6. per quanto riguarda,
infine, le modifiche alle regole di deducibilità dei canoni per i
contratti di leasing immobiliare, previste nell’attuale testo
dell’art.102, comma 7, del TUIR - DPR 917/1986 così come modificato
dall’art.5-ter della legge 248/2005 (estensione al leasing immobiliare del
criterio di deducibilità dei canoni, già previsto relativamente ai contratti di
leasing mobiliare, con il vincolo ulteriore che il medesimo contratto di
leasing immobiliare abbia una durata minima che varia tra 8 e 15 anni,
l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti relativamente alla particolare
ipotesi di leasing relativo ad un immobile realizzato in appalto (cd “leasing
appalto”). In particolare:
-
per espressa previsione normativa, le nuove disposizioni trovano applicazione
per i contratti stipulati a decorrere dal 4 dicembre 2005 (data successiva a
quella di entrata in vigore della legge 248/2005 che
ha convertito il D.L. 203/2005). Ciò vale anche per i contratti di “leasing
appalto”, per i quali, quindi, ai fini
dell’applicabilità delle nuove disposizioni, rileva il momento della stipula,
nel quale viene individuata l’opera da realizzare e stabilite le condizioni del
leasing, non essendo necessaria, per la conclusione del medesimo contratto,
anche la consegna dell’opera;
-
diversamente, per la verifica della durata minima del contratto di leasing
(attualmente pari alla metà del periodo di ammortamento del bene, e comunque
tra compresa tra gli otto e i quindici anni), è stato precisato che questa
decorre dalla data di stipula del contratto ovvero, se diversa, da data
successiva (che potrebbe essere quella di consegna del bene) qualora le parti
abbiano differito il momento a partire dal quale decorre l’obbligo di pagamento
dei canoni.
Tale
precisazione differisce da quanto chiarito, in prima battuta, dal Dipartimento
per le Politiche Fiscali del Ministero dell’Economia e delle Finanze, secondo
il quale, al fine dell’individuazione della durata minima del contratto, non si
poteva prescindere dall’effettivo godimento del bene da parte
dell’utilizzatore. In caso di “leasing-appalto”, quindi, la durata del relativo
contratto avrebbe dovuto calcolarsi, non dal momento della stipula dello
stesso, ma dal momento dell’avvenuta consegna dell’opera a favore
dell’utilizzatore[2].
L’Amministrazione
finanziaria ha inoltre chiarito che, nel caso di una società di leasing che
abbia stipulato prima del 4 dicembre 2005 (data successiva a quella di entrata
in vigore della legge 248/2005 che ha convertito il
D.L. 203/2005) un contratto di leasing immobiliare, senza essere ancora
proprietaria dell’immobile oggetto del medesimo contratto, ma soltanto
promissoria acquirente, si applicano comunque le regole vigenti prima delle
modifiche recate dal citato D.L. 203/2005, avendo riguardo alla data di stipula
del contratto di leasing, ed essendo del tutto irrilevante a tali fini la
circostanza che la società di leasing si sia obbligata con un contratto di
locazione finanziaria relativamente ad un bene del quale non è ancora
proprietaria.
[1] Sono
esclusi gli immobili acquisiti per successione o donazione e le unità
immobiliari urbane che, per la maggior parte del periodo intercorso tra
l’acquisto o la costruzione e la cessione, sono state adibite ad abitazione
principale del cedente o dei suoi familiari.
[2] «In coerenza con le finalità della
disciplina recata dall’art. 102, comma 7, del tuir, si
ritiene che, per la verifica della durata minima del contratto di locazione
finanziaria non possa prescindersi dall’effettivo godimento del bene da parte
dell’impresa utilizzatrice. A tali specifici effetti, dunque, si ritiene che
non sia sufficiente l’avvenuta conclusione del contratto di leasing, essendo
necessaria anche l’avvenuta consegna del bene oggetto di locazione.». (Risposta
fornita dal Dipartimento per le Politiche Fiscali - Ufficio Studi e Politiche
Giuridico-tributarie, in occasione di TELEFISCO 2006, 31 gennaio 2006)