RAPPORTO DI LAVORO A TEMPO PARZIALE - CLAUSOLE ELASTICHE - INDICAZIONI DEL MINISTERO DEL LAVORO

 

Il Ministero del Lavoro, con parere reso in risposta ad uno specifico quesito posto da una impresa del settore commerciale, si è di recente espresso sulla legittimità di quei contratti part-time connotati dall'indicazione della durata della prestazione, ma non anche della sua collocazione temporale. Il testo del parere è riprodotto in calce.

Al riguardo, il Ministero ricorda, innanzitutto, che la Corte Costituzionale, con sentenza 11 maggio 1992, n. 210, nel dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 2, della legge 19 dicembre 1984, n. 863, ha accolto un'interpretazione della norma stessa in base alla quale è da ritenersi inammissibile ogni forma di contratto a tempo parziale in cui al datore di lavoro sia attribuito, mediante l'inserimento di clausole "elastiche", il potere di decidere unilateralmente quando utilizzare il singolo dipendente, variando ad libitum la collocazione temporale della prestazione lavorativa che risulterebbe, così, predeterminata soltanto sotto il profilo quantitativo (si tratta del cosiddetto contratto a chiamata o a comando). Infatti, l'art. 5 della legge n. 863/1984 dispone che il contratto di lavoro a tempo parziale deve essere stipulato per iscritto, e in esso devono essere indicate le mansioni e la distribuzione dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno. La Corte Costituzionale, con la citata pronuncia, ha precisato che tale norma impone di specificare nel contratto non solo la durata complessiva della prestazione di lavoro, ma anche la sua dislocazione nell'arco della giornata, della settimana, del mese o dell'anno, e che l'indicazione puntuale della distribuzione dell'orario è un requisito di contenuto, oltreché di forma del contratto di lavoro part-time.

Il Ministero del Lavoro ha ritenuto di poter superare tale rigida interpretazione facendo leva sulla pronunzia della Corte di Cassazione 26 marzo 1997, n. 2691. Con tale decisione la Corte ha escluso che il contratto di lavoro part-time, al quale sia stata apposta una clausola "elastica", debba considerarsi invalido, comportando soltanto l'integrazione del trattamento economico ex art. 36 della costituzione. In sostanza, secondo la Corte, ferma la validità del contratto a tempo parziale, l'integrazione deve operare, unicamente in relazione al trattamento economico, sulla base dei principi dettati dall'art. 36 Cost. e dall'art. 2099, comma 2, cod. civ., per cui deve ritenersi sufficiente che per il periodo in cui la prestazione di lavoro è stata resa in base a tale clausola, pur illegittima, il trattamento economico tenga conto non solo delle prestazioni effettivamente eseguite dal lavoratore, ma anche della disponibilità alla "chiamata" del datore di lavoro, di fatto richiesta al lavoratore.  Tale disponibilità deve trovare adeguato compenso, la cui misura va rapportata alla concreta incidenza della disponibilità offerta rispetto alla possibilità di attendere ad altre attività redditizie, alla entità del tempo di preavviso previsto o di fatto osservato per la richiesta di lavoro a comando, all'eventuale quantità di lavoro predeterminata in maniera fissa ed alla possibile convenienza dello stesso lavoratore a concordare di volta in volta le modalità della prestazione.

A tale stregua il Ministero del Lavoro ha ritenuto compatibile con il richiamato quadro normativo la possibilità di variazione della sola dislocazione temporale dell'orario di lavoro in presenza del consenso del lavoratore interessato, da acquisire di volta in volta ed in forma scritta.

Al di fuori dell'ipotesi suddetta, il Ministero ritiene che una soluzione alternativa, ugualmente praticabile, potrebbe essere quella che individua nella contrattazione collettiva, anche aziendale, lo strumento della maggiore flessibilità. Tale contrattazione potrebbe definire clausole di programmazione flessibile dell'orario di lavoro, che si concreti nella possibilità di richiesta da parte del datore di lavoro, previo congruo preavviso, di turni variabili in ordine alla sola collocazione temporale delle prestazioni lavorative. In particolare, precisa il Ministero, le clausole in parola dovrebbero prevedere che la variabilità della dislocazione temporale della prestazione lavorativa sia resa nota al lavoratore all'atto della stipula del contratto individuale (o della modifica del medesimo), e sia dal lavoratore stesso accettata, in maniera che il vincolo di disponibilità si trasferisca volontariamente sul lavoratore.

Va, comunque, fatta salva la possibilità per il lavoratore di successiva opzione per una distribuzione non flessibile dell'orario, da esercitarsi con congruo preavviso nei confronti del datore di lavoro, al fine di consentirgli le conseguenti modifiche organizzative.

Viene, infine, precisato che soluzioni quali quelle prospettate non rientrano nelle ipotesi di obbligo di comunicazione agli organi ispettivi previste dalla vigente legislazione, in quanto sostanzialmente non modificative della quantità complessiva della prestazione.

Il parere ministeriale si allinea, indubbiamente, all'orientamento di chi ritiene che la decisione della Consulta fosse tesa a negare al datore di lavoro la sola possibilità di mutare, senza adeguate ragioni organizzative, l'orario lavorativo del dipendente part-time. Resta, tuttavia, il vincolo del consenso del lavoratore, non superabile fintantoché il dettaglio legislativo non disporrà un diverso contemperamento tra le esigenze "sociali" del lavoratore e quelle organizzative dell'impresa.

 

 

PARERE DEL MINISTERO

DEL LAVORO

Prot. 5/26626/49/SUB/PT del 1º giugno 1998

Oggetto: Part-time - Clausole flessibili - Risposta a quesito

 

In relazione alla richiesta formulata da codesta società (...) in materia di contratti part-time con particolare riguardo alla flessibilità dell'orario di lavoro, si fa presente quanto segue.

Come è noto, la Corte Costituzionale (11 maggio 1992), n. 210), sia pure con sentenza interpretativa di rigetto, ha escluso l'ammissibilità di qualunque forma di contratto cosiddetto "a chiamata" o "comando" nel presupposto che il rapporto a tempo parziale si distingue da quello a tempo pieno per il fatto che, in dipendenza della riduzione quantitativa della presentazione lavorativa, lascia al prestatore d'opera un largo spazio per le altre eventuali attività la cui programmabilità, da parte dello stesso lavoratore, deve essere salvaguardata.

Di recente, peraltro, la Corte di Cassazione con la sentenza 26 marzo 1997, n. 2691, nel prendere posizione sulle conseguenze relative alla nullità delle cosiddette clausole elastiche, ha precisato che dall'accertata illegittimità di tali clausole non consegue né l'invalidità del contratto part-time, né la trasformazione in contratto a tempo indeterminato, ma solo l'integrazione del trattamento economico (ex articolo 36 della Costituzione), atteso che la disponibilità alla chiamata del datore di lavoro, di fatto richiesta al lavoratore pur non potendo essere equiparata al lavoro effettivo, deve trovare adeguato compenso tenendo conto della maggiore penosità e onerosità che di fatto viene ad assumere la prestazione lavorativa.

In tale quadro di riferimento, quindi, si ritiene che la variazione della sola dislocazione temporale dell'orario di lavoro secondo turni mensili, settimanali, eccetera, sia possibile mediante l'acquisizione, di volta in volta e in forma scritta, del consenso del lavoratore.

Al di fuori dell'ipotesi sopra descritta, una soluzione alternativa ugualmente praticabile potrebbe essere quella che individua nella contrattazione collettiva, anche aziendale, lo strumento della maggiore flessibilità.

Infatti, tale contrattazione potrebbe contenere clausole che prevedano una programmazione flessibile dell'orario di lavoro che si concreta nella possibilità di richiesta, da parte del datore di lavoro, previo congruo preavviso, di turni variabili in ordine alla sola collocazione temporale delle prestazioni lavorative.

In particolare, dette clausole dovrebbero prevedere che la variabilità della dislocazione temporale della prestazione sia resa nota al lavoratore all'atto della stipula del contratto individuale o della modifica del medesimo e da questi accettata (cosicché il vincolo di disponibilità gravi volontariamente sul lavoratore), nonché la possibilità, per il lavoratore medesimo di optare per una distribuzione di orario non flessibile, fatto salvo ugualmente un congruo preavviso al datore di lavoro onde quest'ultimo possa apportare le conseguenti modifiche organizzative.

Infine, poiché le soluzioni sopra prospettate non modificano sostanzialmente la quantità complessiva dell'orario, si ritiene che la variazione della sola dislocazione temporale della prestazione non dovrà essere oggetto di comunicazione all'organo ispettivo né ai sensi dell'articolo 12 del Regolamento per l'applicazione del Rdl 15 marzo 1923, n. 692, né ai sensi dell'ultimo periodo del comma 2 dell'articolo 5 della legge 863/1984.