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Il libro celebrativo


Dalla ricostruzione al boom edilizio20 anni di storia attraverso i cantieri
L’autore riabilita lo slancio costruttivo, boccia le élite e la «pianificazione sovietica»

La stagione gloriosa della ricostruzione. L’epopea che risollevò la città dalle macerie dei bombardamenti, e diede una casa agli «sfrattati» che dagli anni Trenta vivevano in condizioni sub-umane nelle baracche dell’Oltremella. Il ventennio in cui la città superò, con la galleria Tito Speri e il cavalcavia poi intitolato a Kennedy, i limiti fisici e tecnologici che ne avevano rallentato l’espansione. Ma anche la stagione dello sventramento colpevole del vecchio ospedale, e l’edificazione con densità «americane» a nord del Cidneo e a ridosso di via Vittorio Emanuele II. E poi le battaglie locali e nazionali che accompagnarono (e criticarono) il far west edilizio, e le illusorie ambizioni pianificatorie di un aurorale centrosinistra nei primi anni Sessanta.
C’è tutto questo - e molto altro - nel volume che il Collegio costruttori edili di Brescia e provincia s’è regalato per il suo 60esimo compleanno. Il libro, «Brescia fra ricostruzione e boom. Edilizia e urbanistica dal 1945 al 1965», è scritto da Franco Robecchi e pubblicato dalla Compagnia della stampa di Massetti e Rodella editori. Il volume di grande formato, 14esimo tomo della collana Monumenta brixiensis, si dipana su 336 pagine ricche di illustrazioni, di fotografie d’epoca spesso inedite, di mappe e disegni architettonici. L’impresa storica ed editoriale aggiunge un nuovo essenziale capitolo al ciclopico lavoro di Robecchi che, muovendo dalla stagione del liberty, passando per Brescia littoria, i grandi monumenti e le reti idriche, il Civile e il castello, il Grande e il Sociale, l’Ospedale Civile e le strade urbane, le industrie storiche e i servizi nascenti, va esplorando ormai da anni le trasformazioni della forma urbana di Brescia nell’Otto e Novecento.
Muovendosi con la consueta sicurezza fra periodici e delibere consiliari, fra testimonianze orali e verbali associativi, Robecchi colma un’altra colpevole lacuna della ricerca locale.
Il periodo, del resto, appassiona e coinvolge: evoca le memorie dei più anziani, sollecita e soddisfa le curiosità dei più giovani.
Si parte dalle condizioni di Brescia alla fine della guerra: una città prostrata, in cui su 7000 alloggi ben 609 erano stati distrutti, 1.500 erano gravemente danneggiati e 4.000 lievemente danneggiati.
Il piglio con cui amministrazione comunale, forze politiche, costruttori, proprietari e maestranze si dedicano alla ricostruzione è a dir poco eroico. Come ricorda il presidente Giuliano Campagna nella prefazione, nel solo triennio 1945-1948 furono ricostruiti a Brescia 4.358 appartamenti per un totale di oltre 30mila vani. È in questo clima che, già nel luglio 1945, prende forma il Collegio dei capomastri, retaggio di una corporazione pre-fascista, antesignano del moderno Collegio costruttori. Il Piano di ricostruzione adottato nel 1947 dal Comune racchiude il primo tentativo di dare un disegno organico all’impeto della ricostruzione che cercava di sanare le ferite lasciate dai bombardamenti, gli esiti di quella traumatica «urbanistica del tritolo» che aveva sconvolto la città dal luglio ’43 alla fine della guerra.
È con i primi anni Cinquanta che si delinea una compiuta fase espansiva. In questa stagione si inscrivono i grandi progetti infrastrutturali come le autostrade, le soluzioni rivelatesi ben presto osolete come la funivia della Maddalena, i progetti rimasti nel cassetto come il canale navigabile caro a Bruno Boni. Robecchi ricostruisce con precisione la vicenda del piano regolatore abortito negli anni Cinquanta, così come l’ultimo sventramento bresciano nell’area dell’ex ospedale. Lì venne realizzata la sede della Camera di commercio che risente - nella sua veste - della mano di Bruno Fedrigolli il cui progetto originale prevedeva, come documenta anche la copertina del libro di Robecchi, una torre lenticolare alta 75 metri, poi sacrificata sull’altare delle esigenze panoramiche e paesaggistiche.
Robecchi non trascura l’apporto dato dall’edilizia scolastica, ma anche da complessi sportivi come quello di Mompiano e dall’«edilizia etica di padre Marcolini», arrivando fino al Piano Morini e ai Piani particolareggiati dei primi anni Sessanta, quando la nuova fase dell’economia italiana (e breciana in particolare) fa entrare il comparto edilizio in una fase di stallo e di crisi.
L’urbanistica non è mai stata materia «neutra» o fredda, tantomeno a Brescia. Lo conferma il lavoro di Robecchi che, pur occupandosi di vicende datate oltre mezzo secolo fa, non tratta certo la materia «sine ira ac studio» come pretendevano gli storici romani. L’autore è anzi guidato da una franca vis polemica, da un genuino impeto revisionistico. La sua visione si va radicalizzando con il tempo a favore del mercato e contro le istanze programmatorie e i Piani regolatori tout court, a fianco dell’«investitore immobiliare» e contro «l’élite, fatalmente progressista, affascinata dalla pianificazione sovietica, che aveva eletta a modello della pianificazione urbanistica».
Nel mirino di Robecchi finiscono il paradigma anti-speculativo riassunto nel film di Rosi «La mani sulla città», le critiche di intellettuali come Zeri e Fedrigolli all’urbanistica bresciana, le correzioni introdotte dagli anni ’60 da Luigi Bazoli. Gli eroi bresciani di quel mix di «pragmatismo ed efficienza» che invece «salvò l’Italia» diventano naturalmente Marcolini e Boni. Il «taglio» di questa ricostruzione militante rimane controverso, discutibile. Il materiale documentario contenuto nel volume comunque imponente e prezioso.
Massimo Tedeschi