I.N.A.I.L. - GUIDA PER LA TRATTAZIONE DEI CASI DI INFORTUNI IN ITINERE - NOTA DEL 4 MAGGIO 1998

 

La Direzione Generale dell'I.N.A.I.L., con nota n. 2.0.0. del 4 maggio 1998, ha diramato alle Sedi periferiche alcune linee guida utili per la trattazione dei casi di infortunio in itinere - intendendosi per tale, come noto, l'evento accidentale che può occorrere al lavoratore mentre si reca o torna dal lavoro - al fine di garantire correttezza ed omogeneità di comportamenti delle Sedi stesse nel territorio di competenza, e ridurne, in tal modo, al minimo gli spazi di discrezionalità.

Il quadro di regole fornite dall'Istituto si ispira, in larga misura, ai principi di diritto elaborati nel corso degli anni dalla Corte di Cassazione che, colmando il vuoto legislativo, ha reso sempre più penetrante la protezione assicurativa in materia, ed è giunta a riconoscere al lavoratore la possibilità di provare, in rapporto alle sue peculiari condizioni di lavoro e di vita, l'esistenza di un "individuale" aggravamento del rischio di per sé generico della strada. Proprio in materia di infortuni in itinere, in fatti, la mancanza di una regolamentazione legislativa ha offerto maggiori spazi all'interpretazione giurisprudenziale, ai fini della soluzione delle singole controversie.

Ai fini dell'indennizzabilità da parte dell'I.N.A.I.L., l'infortunio in itinere deve essere, comunque, riconducibile all'infortunio sul lavoro strettamente inteso, nel senso che deve presentare i requisiti tipici di quest'ultimo, ossia "causa violenta" e "occasione di lavoro". Detti principi fondamentali, posti a base di qualsiasi infortunio sul lavoro, possono considerarsi, ad avviso dell'Istituto, univoci e consolidati.

Le istruzioni dell'I.N.A.I.L. hanno, quindi, lo scopo di fornire un panorama degli indirizzi interpretativi attuali, rapportati a situazioni concrete che assurgeranno a paradigma dei casi che potranno verificarsi.

Il testo della nota è riprodotto alle pagine seguenti. Di seguito se ne riassumono i principali contenuti.

 

Definizione di infortunio in itinere

È considerato infortunio in itinere, conseguente al rischio della strada, quello nel quale incorre il lavoratore nel tragitto che conduce:

- dalla dimora abituale al luogo di lavoro e viceversa (primo o dopo l'orario di lavoro, ovvero durante la pausa lavorativa per la consumazione del pasto del mezzogiorno);

- dal luogo di lavoro ai luoghi di ristoro per il pranzo o il pernottamento, diversi dalla dimora abituale, e viceversa;

- da un luogo di lavoro ad un altro luogo di lavoro, nei casi in cui il lavoratore presti servizio alle dipendenze di più aziende.

L'I.N.A.I.L. chiarisce che non integra la fattispecie di infortunio in itinere, bensì quella di infortunio di attualità di lavoro, l'evento lesivo che, pur essendo conseguenza del rischio della strada, accade nell'arco spaziale e temporale della prestazione lavorativa, in collegamento con la stessa.

 

Limiti della tutela assicurativa

In mancanza di una tutela specifica disposta per legge, la copertura assicurativa dell'infortunio in itinere è considerata come "prolungamento" dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali.

Conseguentemente, sono tutelati per l'infortunio in itinere solo i lavoratori che rientrano nel campo di applicazione dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, a prescindere dal tipo di attività per la quale i lavoratori stessi sono assicurati. Inoltre, il rischio della strada non è protetto in quanto tale, ma esclusivamente allorché assurga, per ragioni riconducibili allo svolgimento della prestazione lavorativa, a rischio diverso e più grave di quello, generico, che incombe sulla generalità degli utenti della strada.

In relazione a ciò, sulla base degli orientamenti della giurisprudenza, l'I.N.A.I.L. esclude l'indennizzabilità dell'infortunio in itinere occorso al lavoratore nel percorrere a piedi un'ordinaria via di comunicazione aperta al pubblico transito e senza trasportare strumenti di lavoro idonei ad apportare squilibri nel cammino; nel compiere il tragitto servendosi di servizi pubblici di trasporto, nel compiere il tragitto usando un mezzo di trasporto privato, pur esistendo adeguati servizi pubblici, in quanto tale uso non sia necessitato dalle particolari modalità di svolgimento e/o di organizzazione della prestazione, ed il rischio sia stato scelto liberamente dal lavoratore.

Con specifico riferimento all'ipotesi di infortunio in itinere occorso con l'uso di un mezzo pubblico di trasporto, l'I.N.A.I.L. segnala che alcune recenti sentenze della Corte di Cassazione hanno ritenuto indennizzabile tale evento. Si tratta, tuttavia, di pronunce di portata innovativa, che richiedono, ad avviso dell'Istituto, ulteriori conferme, prima di poter essere tradotte in indirizzi di carattere operativo.

 

Condizioni per l'indennizzabilità

Come già detto, presupposto essenziale per l'indennizzabilità dell'infortunio in itinere è la ricorrenza della "occasione di lavoro", che si concretizza in presenza di due concomitanti condizioni:

- la trasformazione del rischio generico della strada in un rischio professionale specifico o "generico aggravato";

- l'esistenza di un collegamento tra evento, percorso e lavoro.

Per quanto concerne il primo punto l'I.N.A.I.L. richiama alcune ipotesi considerate tradizionali, non più controverse, mutuate dalla elaborazione giurisprudenziale: necessità di percorrere una strada determinata che conduce esclusivamente al luogo di lavoro, o che presenta, comunque, caratteristiche di maggior pericolosità rispetto alle vie ordinarie di comunicazione; necessità di servirsi di mezzi di trasporto forniti o prescelti e prescritti dal datore di lavoro, in relazione ad esigenze lavorative; necessità di utilizzare un mezzo di trasporto privato, in quanto il posto di lavoro non sia raggiungibile con i mezzi pubblici, ovvero raggiungibile ma non in tempo utile rispetto al turno lavorativo; necessità di trasportare, a piedi o su un mezzo privato, strumenti di lavoro che intralcino i normali movimenti.

Oltre alle suddette ipotesi l'I.N.A.I.L. evidenzia altre fattispecie di rischio "generico aggravato" delineate dalla giurisprudenza della Suprema Corte, che ha ampliato progressivamente il campo di tutela considerando, accanto alle esigenze organizzative dell'attività lavorativa, anche le esigenze di vita del lavoratore (umane, familiari ed economico-sociali).

In questo senso, è stato considerato indennizzabile l'infortunio in itinere qualora l'utilizzo del mezzo di trasporto privato è reso necessario dalla circostanza che i mezzi pubblici non coprono l'intero percorso fra dimora abituale e luogo di lavoro, e comportano, quindi, la percorrenza a piedi della distanza fra tali luoghi e la più vicina fermata del pubblico servizio. Al riguardo, precisa l'Istituto, è da considerarsi "irragionevole" una distanza fra luogo di dimora abituale e luogo di lavoro, oppure tra tali luoghi e la più vicina fermata del servizio pubblico, superiore ad un chilometro per ogni tragitto considerato separatamente. Analogamente, è considerato necessario l'uso del mezzo privato nei casi in cui i mezzi pubblici comportano tempi di attesa troppo lunghi (superiori complessivamente ad un'ora), od un rilevante dispendio di tempo rispetto ad un mezzo privato (anche in questo caso superiore ad un'ora); o, infine, perché il loro utilizzo è impedito da una situazione patologica del lavoratore che gli impedisca di servirsi del mezzo pubblico.

La seconda condizione per l'indennizzabilità dell'infortunio in itinere è, come accennato, l'esistenza di un nesso causale tra evento, percorso seguito e lavoro. Al riguardo, l'I.N.A.I.L. ravvisa la sussistenza del nesso causale quando l'infortunio sia avvenuto nell'ambito del tragitto "normale" per recarsi al luogo di lavoro e viceversa, che coincide, di norma, con il percorso più breve e diretto. Ad avviso dell'I.N.A.I.L., il "luogo di lavoro" è non solo quello dove il lavoratore presta abitualmente la sua attività, ma ogni luogo in cui lo stesso deve recarsi, su direttive del datore di lavoro per esigenze aziendali. Per altre precisazioni fornite, sul punto, dall'Istituto si rinvia alla lettura diretta della nota.

In secondo luogo, al fine della sussistenza del nesso causale, è richiesto che il tragitto "normale" sia percorso solo per ragioni di lavoro o per motivi comunque riferibili al lavoro, anche se non immediatamente rientranti nell'oggetto della prestazione lavorativa. Infine, è necessario che l'infortunio si verifichi in orario ricollegabile con quello lavorativo, tenendo conto delle oscillazioni di orario normalmente connesse con le condizioni di viabilità, e ammettendo giustificati brevi differimenti della partenza o brevi soste lungo il tragitto.

L'I.N.A.I.L. ha fornito, inoltre, alcune precisazioni in merito all'infortunio in itinere occorso durante la pausa pranzo, nel tragitto fra il luogo di lavoro e la dimora abituale, ovvero fra il luogo di lavoro e quello di ristoro e viceversa.

In linea generale, l'Istituto esclude l'indennizzabilità della fattispecie nei casi in cui esista una mensa aziendale o altro servizio equivalente (ad esempio, convenzioni con ristoranti, fornitura di ticket restaurant), a meno che non sussistano comprovati motivi di salute oggettivamente incompatibili con l'utilizzo della mensa o del diverso servizio da parte del lavoratore che costringano il lavoratore stesso a recarsi a casa per seguire una dieta appropiata. In assenza di una mensa aziendale o di servizio equivalente, il rischio della strada è coperto solo se la distanza tra il luogo di lavoro e l'abitazione del lavoratore (o il luogo di ristoro) è percorribile in tempi compatibili con la durata dell'intervallo lavorativo, sia pure con l'uso di un mezzo di trasporto privato. Tuttavia, se tale distanza è percorribile a piedi o con i mezzi pubblici, l'utilizzo del mezzo privato non è necessario, per cui il relativo rischio elettivo è da ritenersi non protetto.

 

Rischio oggetto della copertura assicurativa

Una volta riconosciuta l'esistenza delle condizioni che trasformano il rischio generico della strada in un rischio professionale specifico, o "generico aggravato", tutto l'iter del tragitto costituisce, secondo l'I.N.A.I.L., situazione di rischio oggetto della copertura assicurativa. È irrilevante, al riguardo, la condizione di conducente o di passeggero del lavoratore infortunato, ovvero l'autorizzazione del datore di lavoro all'utilizzo del mezzo privato, o il tipo di mezzo utilizzato, purché si tratti, comunque, di mezzo ammesso alla circolazione.

Risultano, invece, esclusi dalla tutela i rischi che hanno con la strada un rapporto solo marginale ed episodico, di pura coincidenza di tempo e di luogo.

Allo stesso modo, mentre, in linea generale, non interrompe il nesso causale lo stato soggettivo di colpa del lavoratore (negligenza, imprudenza, imperizia), non è oggetto di copertura assicurativa il rischio "elettivo" assunto dal lavoratore in forza di un atto arbitrario, ovvero inteso a soddisfare un impulso od un capriccio puramente personale, con il quale il lavoratore stesso si espone volontariamente al rischio di un evento dannoso (ad esempio, guidando in stato di ubriachezza).

Istituto Nazionale per l'Assicurazione conro gli Infortuni sul Lavoro - Direzione Generale - Nota a. 2.0.0. del 4 maggio 1998

Linee guida per la trattazione dei casi di infortuni in itinere.

Con i suoi numerosi interventi la Corte di Cassazione ha elaborato alcuni principi di diritto che, colmando il vuoto legislativo, consentono oggi una tutela assicurativa dell'infortunio in itinere non solo molto ampia ma anche, e soprattutto, aperta ai mutamenti che intervengono nella realtà economica e socioculturale.

In particolare, affermando la necessità di esaminare le singole situazioni con il "criterio della ragionevolezza", salvaguardando le esigenze umane e familiari del lavoratore - costituzionalmente garantite - e conciliandole con i doveri derivanti dal rapporto di lavoro, la Suprema Corte ha reso sempre più penetrante la protezione assicurativa in questa materia, delineando una forma di tutela quasi personalizzata del lavoratore, al quale viene fornita la possibilità di provare - in rapporto alle sue peculiari condizioni di lavoro e di vita - l'esistenza di un "individuale" aggravamento del rischio generico della strada.

Tuttavia, proprio per la loro duttilità, le pur compiute prospettazioni della Corte non consentono una rigida e statica catalogazione delle ipotesi indennizzabili, la cui valutazione, stanti le multiformi sfumature di ogni singolo caso e la continua evoluzione delle esigenze socialmente rilevanti, è rimessa alla interpretazione degli operatori in sede amministrativa e all'apprezzamento del giudice di merito nell'eventuale sede giudiziaria.

Ed è innegabile che le fattispecie da esaminare alla luce del "criterio della ragionevolezza" - verosimilmente le più numerose - sono proprio quelle nelle quali maggiormente incide la discrezionalità inevitabilmente legata al giudizio soggettivo, con il rischio che, talvolta, gli schemi giuridici elaborati dalla Corte siano disattesi e le relative finalità vanificate.

Tutte queste considerazioni hanno indotto a predisporre l'allegata Guida, con la quale si è inteso definire un quadro di regole per la trattazione dei casi di infortuni in itinere che, pur senza alcuna pretesa di esaustività e di definitività, serva da un lato ad uniformare la condotta delle Unità territoriali riducendo al minimo gli spazi di discrezionalità, dall'altro ad armonizzare i comportamenti dell'Istituto con le tendenze che si affermano nel sociale e che trovano puntuale riscontro nella giurisprudenza della Suprema Corte.

A questo scopo la Guida non si limita a sintetizzare i principi elaborati dalla Corte di Cassazione ma tenta di fornirne una lettura dinamica - condotta anche alla luce delle esperienze legislative realizzate in altri paesi dell'Unione Europea - con l'intento di esplicitare tutte le potenzialità di tutela oggi offerte dalla evoluzione degli orientamenti giurisprudenziali, pur nel rispetto dei limiti imposti dal quadro normativo vigente.

Il documento, che si inserisce nel programma di attività finalizzate a definire indirizzi normativo-operativi su questioni tuttora controverse, anche allo scopo di contenere il fenomeno della conflittualità, costituisce il quadro di riferimento per le iniziative che le Direzioni interregionali, regionali e provinciali sono chiamate ad assumere sull'argomento per garantire correttezza ed omogeneità di comportamenti nel territorio di competenza.

L'elaborato, che dovrà essere riprodotto localmente in rapporto ai fabbisogni più immediati, verrà distribuito quanto prima a tutte le unità territoriali per il tramite della Tipografia di Milano.

 

Allegato 1

Linee guida per la trattazione dei casi di infortuni in itinere

 

1. Premessa

È noto come e di quanto l'evento infortunio differisca dall'evento malattia anche se, per il vero, concetti proprio del primo, in una prospettiva di unificazione dei due accadimenti ai fini della loro tutela assicurativa, si vanno via via estendendo alla seconda (si veda l'occasione di lavoro e la causa violenta in caso di malattie virali).

La differenza, in ogni caso, non è soltanto concettuale ma fattuale, nel senso cioè che - entità dei due fenomeni a parte - sul piano operativo, iniziative che possono assumersi per gli infortuni, non altrettanto attuabili sono per le malattie e viceversa; queste ultime comportano una complessità di problematiche per la loro classificazione come professionali, soprattutto dopo l'intervento della sentenza n. 179/88 della Corte Costituzionale (ma anche la definizione delle relative tabelle, da aggiornare periodicamente, non è cosa da poco).

Gli infortuni, invece, se di maggiore individuabilità stante l'istantaneità dell'evento ed in certo qual modo la prevedibilità in relazione a determinate situazioni di rischio, immanenti nell'ambito lavorativo, e stante la generalità di chi ne può essere vittima (una rovinosa caduta, quando avviene, avviene per tutti, mentre la nocività di una sostanza chimica o del rumore può risultare indifferente per alcuni a seconda delle individuali resistenze organiche), sono di non agevole gli infortuni, si diceva  - se non addirittura di difficilissima inquadrabilità per la molteplicità e la varietà dei casi di specie, della loro dinamica e delle condizioni in cui accadono.

Tutto ciò per dire che, se per le malattie professionali è stato possibile tracciare linee guida alla trattazione del contenzioso in relazione a principi giurisprudenziali che, una volta posti, sono richiamabili in tutti i casi (la silicosi è la silicosi, la ipoacusia da rumore è la ipoacusia da rumore, e così via), non altrettanto è agevole fare per gli infortuni, o meglio ancora quanto si fa non sarà mai esaustivo, considerata la mutevolezza delle situazioni di specie perché non sempre una caduta è una caduta-infortunio o un incidente stradale è un incidente-infortunio. Proprio in considerazione di quanto detto, si assiste ad una giurisprudenza che induce ad essere ritenuta oscillante quando invero tale non è, se non soltanto apparentemente. Difatti, i principi fondamentali che sono a base dell'infortunio, vale a dire la "causa violenta" e l'"occasione di lavoro", possono ben dirsi univoci e consolidati, se pure nell'ormai avutasi espansione dei due concetti, espansione che determina un ampliamento di tutela assicurativa in fattispecie in cui la Corte ha ravvisato l'aggravamento del rischio per situazioni che avrebbero indotto a ritenere non sussistente un significativo nesso con l'attività lavorativa. La diversità delle decisioni giudiziarie, pertanto, è dovuta non all'abbandono dei sopra menzionati principi fondamentali, bensì all'adattamento che se ne fa ai singoli casi di specie estremamente vari e talvolta assai peculiari.

Tali varietà e peculiarità assumono rilievo particolare nell'ipotesi di infortuni cosiddetti in itinere, là dove la mancanza di una regolamentazione legislativa offre maggiori spazi alla interpretazione giurisprudenziale ai fini della soluzione delle singole controversie.

Preliminarmente va sottolineato che, proprio nella carenza di una normativa che delinei specificamente la figura di detto tipo di infortunio, esso, ai fini della indennizzabilità da parte dell'Istituto, deve essere riconducibile all'infortunio sul lavoro strettamente inteso, nel senso che presenti i requisiti tipici di quest'ultimo, ossia causa violenta e occasione di lavoro soprattutto, in quanto occorso soltanto in connessione con l'attività espletata.

Naturalmente l'intervento della giurisprudenza determina soluzioni diverse anche per casi che prima facie si appalesano analoghi, ma che, proprio per la sopra avvertita loro mutevolezza, non consentono l'elaborazione di una casistica indicativa di criteri di carattere generale.

Tuttavia, alcune significative pronunzie della Suprema Corte possono offrire elementi utili alla trattazione delle singole fattispecie; e scopo della presente Guida è proprio quello di fornire un panorama degli attuali indirizzi interpretativi rapportati, come di seguito si vedrà, a situazioni concrete che assurgeranno a paradigma dei casi che d'ora in avanti, di volta in volta, si presenteranno, da considerare al fine della loro ammissione o meno ad indennizzo - e, quindi, anche per una eventuale resistenza nei giudizi - tenendo conto dei principi emersi.

 

2. Definizione di infortunio in itinere

È l'infortunio, conseguente al rischio della strada, nel quale incorre il lavoratore nel tragitto che conduce:

o dalla dimora abituale al luogo di lavoro, e viceversa, sia prima o dopo l'orario lavorativo, sia durante la pausa lavorativa per il consumo del pasto di metà giornata;

o dal luogo di lavoro ai luoghi di ristoro per il pranzo e di pernottamento, diversi dalla dimora abituale, e viceversa;

o da un luogo di lavoro ad un altro luogo di lavoro, nei casi in cui il lavoratore presta servizio alle dipendenze di più datori di lavoro.

Non sono inquadrabili nella categoria dell'infortunio in itinere - e vanno perciò qualificati e trattati come infortuni in attualità di lavoro - gli eventi che, pur essendo conseguenza del rischio della strada, accadono nell'arco spaziale e temporale della prestazione lavorativa in collegamento, diretto od indiretto, con l'esercizio della prestazione stessa.

 

3. Limiti della tutela

In mancanza di una specifica tutela disposta per legge, la copertura assicurativa dell'infortunio in itinere è possibile solo come "prolungamento" dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali di cui il lavoratore fruisca in quanto addetto ad attività rischiose ricomprese nell'assicurazione stessa (Corte Costituzionale, n. 429/1990).

Da questa premessa, pacifica in dottrina e in giurisprudenza, si deduce che:

- pregiudizialmente, sono tutelati per l'infortunio in itinere soltanto i lavoratori rientranti nel campo di applicazione dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro; infatti, se il lavoratore non è assicurato "manca il presupposto base per collegare casualmente l'infortunio in itinere al lavoro prestato" (Corte Costituzionale, sentenza sopra citata).

Va precisato che la tutela dell'infortunio in itinere opera a prescindere dal tipo di attività per la quale il lavoratore è assicurato;

- il rischio della strada, che l'assicurato incontra nel recarsi al lavoro e nel rientrare a casa (o nelle situazioni assimilate indicate al punto 2), non è protetto in quanto tale, essendo di norma estraneo alle vere e proprie prestazioni lavorative e, quindi, generico.

Il suddetto rischio è protetto esclusivamente in quanto assurga - per ragioni riconducibili alle peculiari modalità di svolgimento e di organizzazione delle personali mansioni del lavoratore;

- a rischio diverso e più grave di quello che incombe sulla generalità degli utenti della strada.

In relazione a ciò, deve escludersi in linea generale e fatte salve le precisazioni che verranno esposte più avanti, l'indennizzabilità dell'infortunio in itinere occorso:

- nel percorrere il tragitto a piedi lungo una ordinaria via di comunicazione aperta al pubblico transito e senza trasportare strumenti di lavoro capaci di apportare squilibri nel cammino, trattandosi di un comune rischio connesso alla generica attività di spostamento spaziale (Cassazione, nn. 2488/78, 7448/87.  1745/88, 2291/92, 2883/92, 6531 e 11731/95, relative a lavoratori, caduti a terra o investiti da una vettura, ai quali è stato negato l'indennizzo perché l'evento era accaduto mentre percorrevano a piedi strade prive di particolare pericolosità e senza alcuno significativo impaccio causato dal trasporto di strumenti di lavoro);

- nel compiere il tragitto servendosi di pubblici servizi di trasporto, trattandosi di un comune rischio gravante su tutti i cittadini (Cassazione, nn. 7448/87, 5173/88, la quale ultima ha escluso l'indennizzabilità di un danno causato al lavoratore dalla brusca frenata dell'autobus, di linea urbana su cui viaggiava).

Va peraltro evidenziato che di recente la Corte di Cassazione, con pronunce concernenti un unico caso di infortunio collettivo (vedi, per tutte, la n. 455/98), ha ritenuto indennizzabile l'evento occorso con l'uso di un mezzo pubblico di trasporto extraurbano, sulla base di considerazioni che, per la portata innovativa, non si ritiene possano essere tradotte in indirizzi operativi prima di una loro ulteriore verifica ed eventuale conferma da parte della stessa Corte.

Riguardo alla definizione di pubblico servizio di trasporto si precisa che non deve considerarsi tale quello dei taxi, trattandosi di "servizio di trasporto individuale e non collettivo che, se pure è soggetto a licenza amministrativa ed è offerto al pubblico, non è tenuto, come i servizi pubblici di linea, al rispetto di un determinato orario ed è destinato al soddisfacimento delle esigenze di poche persone" (Cassazione, n. 2837/84);

- nel compiere il tragitto usando un mezzo di trasporto privato, pur esistendo adeguati servizi pubblici o pur essendo l'iter percorribile a piedi, in quanto tale uso non è necessitato dalle modalità di prestazione del lavoro e il rischio è stato dal lavoratore liberamente scelto (Cassazione, nn. 1536/78, 3495/79, 7312/83, 807/93, 12179/93, 7259/97 che ha negato l'indennizzabilità dell'infortunio occorso con l'autovettura in quanto il percorso era servito dal mezzo pubblico con un impiego di tempo di poco superiore; n. 8929/97 che ha negato l'indennizzabilità dell'infortunio occorso con il ciclomotore in quanto il percorso era breve e dunque percorribile a piedi).

 

4. Condizioni per l'indennizzabilità

 

4.1. Infortunio occorso nel tragitto tra dimora abituale e luogo di lavoro prima dell'inizio e dopo la fine dell'orario di lavoro infortunio occorso nel tragitto tra due luoghi di lavoro alle dipendenze di diversi datori di lavoro

Poiché, come già detto, l'infortunio in itinere è tutelato come "prolungamento dell'assicurazione obbligatoria, il presupposto essenziale per la sua indennizzabilità è la ricorrenza dell'occasione di lavoro, che si concretizza in presenza di due concomitanti condizioni:

- trasformazione del rischio generico della strada in rischio professionale, specifico o generico aggravato;

- esistenza di un collegamento tra evento, percorso e lavoro.

 

4.1.1. Esistenza di un rischio specifico o generico aggravato

Sono ipotesi tradizionali, e si ritiene oggi non più controverse, di rischio assicurativamente protetto le seguenti:

- necessità di percorrere una strada determinata che conduce esclusivamente al luogo di lavoro o, comunque, presenti pericoli particolari per il lavoratore rispetto alle ordinarie vie di comunicazione;

- necessità di servizi di mezzi di trasporto forniti o prescelti e prescritti dal datore di lavoro in relazione con le esigenze dell'attività lavorativa. In questa ipotesi rientra anche il caso in cui il datore di lavoro metta a disposizione dei propri dipendenti, pur senza obbligo di utilizzarli, appositi "bus-navetta", trattandosi normalmente di un servizio - integrativo e/o migliorativo di quello pubblico - fornito per soddisfare esigenze comunque funzionali alla Organizzazione del lavoro;

- necessità di utilizzare mezzi di trasporto privati in quanto il posto di lavoro è collocato in luogo irraggiungibile con i mezzi pubblici oppure raggiungibile ma non in tempo utile rispetto al turno di lavoro. In questa ipotesi rientra anche il caso del lavoratore costretto ad utilizzare il mezzo privato, pur in presenza di mezzi pubblici, per rispondere  ad una chiamata urgente del datore di lavoro;

- necessità di trasportare, a piedi o su un mezzo di locomozione personale, strumenti di lavoro che intralciano i normali movimenti.

Nelle suddette situazioni la trasformazione del rischio generico della strada in rischio specifico, o generico aggravato, è direttamente riferibile alle modalità di tempo, di luogo e di mezzi con le quali il lavoratore è chiamato a fornire la sua prestazione lavorativa; si tratta, quindi, di situazioni che, rientrando nei ben delimitati confini del rischio professionale, non dovrebbero determinare particolari dubbi interpretativi.

Ma l'evoluzione giurisprudenziale della Corte di Cassazione ha progressivamente ampliato il campo della tutela aggiungendo, a quelle sopra indicate, altre ipotesi di rischio generico aggravato, costruite prendendo in considerazione non solo le esigenze organizzative dell'attività lavorativa, ma anche le esigenze di vita del lavoratore - umane, familiari ed economico sociali - per la cui individuazione la Corte ha fatto riferimento ad alcune norme costituzionali (articoli 3, primo comma, 16, primo comma, 31, primo comma, 32, primo comma, 35, primo comma, 36, primo e secondo comma).

In queste ipotesi, la necessità di far uso di altri mezzi di trasporto, comportanti un proprio specifico rischio diverso da quello inerente all'uso dei pubblici servizi, non è esclusivamente riferibile alle modalità di svolgimento e di organizzazione del lavoro, ma deriva anche dall'esigenza di salvaguardare i diritti del lavoratore costituzionalmente garantiti (alla dignità sociale, alla salute, ad una durata giornaliera del lavoro che non superi determinati limiti, alla libera scelta del soggiorno) e di contemperare i doveri discendenti dal rapporto di lavoro con gli altri suoi doveri tra cui, in primo luogo, quelli verso la famiglia (cfr. le fondamentali sentenze nn. 1536/78 e 3495/79).

In particolare, la Suprema Corte ha affermato che nelle ipotesi in cui:

- i mezzi pubblici non coprano l'intero percorso tra distanza abituale e luogo di lavoro e, dunque, le relative distanze dalla più vicina fermata del pubblico servizio devono essere percorse a piedi;

ed in cui:

- i mezzi pubblici di trasporto hanno orari diversi da quelli di lavoro e, dunque, obbligano ad attese eccessivamente lunghe in relazione all'inizio e al termine dei turni lavorativi; oppure gli stessi mezzi, pur avendo orari compatibili, tuttavia comportano un rilevante dispendio di tempo rispetto all'utilizzo del mezzo privato (Cassazione n. 6625/87, che ha riconosciuto indennizzabile l'infortunio con l'uso del mezzo personale, nel presupposto che il viaggio, se effettuato con il mezzo pubblico, avrebbe imposto al lavoratore un dispendio di tempo eccessivo - circa trenta/quaranta minuti in più per ogni viaggio di andata e ritorno - rispetto al collegamento con il mezzo proprio);

va valutato se si renda comunque necessario l'uso del mezzo diverso da quello pubblico; nel qual caso il relativo rischio della strada deve considerarsi generico aggravato, e dunque assicurativamente protetto.

Tale valutazione deve essere condotta con "criteri di ragionevolezza", tenendo presente che, per quanto possibile, va data "prevalenza alle esigenze umane e familiari" del lavoratore, evitandogli "scelte usuranti" o tali da creare "rilevante disagio con ulteriore consumo delle sue energie e prolungamenti oltre misura dell'assenza dalla famiglia".

Questi indirizzi della Cassazione, se da un lato sono valsi a rendere sempre più ampia e penetrante la protezione assicurativa, dall'altro non risultano di sempre agevole applicazione e, comunque, si prestano a interpretazioni discrezionali che possono provocare difformità di trattamento e vasto contenzioso.

Per tali ragioni, ferma restando l'esigenza della verifica delle condizioni sia oggettive (ad esempio, particolare asperità del percorso, urgenza della prestazione da espletare, orari e condizioni ambientali in cui il percorso deve essere effettuato) sia soggettive (ad esempio, stato di salute, età, particolari responsabilità familiari del lavoratore interessato) di ogni singolo caso, si ritiene necessario - al fine di circoscrivere quanto più possibile i margini di discrezionalità nelle valutazioni - fornire le seguenti indicazioni, da utilizzare in tutte le fattispecie che presentano carattere di normalità:

a) quanto alla lunghezza del percorso da effettuare a piedi, intercorrente tra luogo di dimora abituale e luogo di lavoro oppure tra tali luoghi e la più vicina fermata del pubblico servizio, può considerarsi "irragionevole", e dunque tale da giustificare l'uso del mezzo  privato di trasporto, una distanza superiore ad un chilometro per ogni tragitto considerato separatamente;

b) quanto alla attualità degli orari dei servizi pubblici rispetto all'orario di lavoro, possono considerarsi "irragionevoli", e dunque tali da giustificare l'uso del mezzo privato di trasporto, attese superiori complessivamente ad un'ora:

c) per analogia devono considerarsi "rilevanti", se superiori complessivamente ad un'ora, i risparmi di tempo consentiti dall'uso del mezzo privato rispetto all'utilizzo del mezzo pubblico. A questo riguardo, va tuttavia precisato che l'asserito risparmio di tempo deve avere carattere di regolarità ed essere oggettivamente riscontrabile, non essendo sufficiente il richiamo a generici motivi di traffico o a scarsa puntualità dei mezzi pubblici (Cassazione n. 4402/94, che ha giudicato non indennizzabile l'infortunio occorso con il mezzo privato, in quanto l'assicurato non aveva dimostrato né la maggiore puntualità del veicolo personale rispetto a quello pubblico, né il preteso risparmio di tempo).

Si fa presente, infine, che la Corte di Cassazione ha ritenuto sempre necessitato l'uso del mezzo privato nelle situazioni in cui il lavoratore sia affetto da una patologia che gli impedisca di servirsi del mezzo pubblico (sentenza n. 8519/95, riguardante un caso di impossibilità di normale deambulazione causata da reumatismo fibromialogico).

 

4.1.2. Nesso causale tra evento, percorso seguito e lavoro

La seconda condizione per l'indennizzabilità dell'infortunio in itinere è l'esistenza di un collegamento tra l'evento, il percorso seguito ed il lavoro. Tale collegamento può ritenersi sussistente allorché ricorrano le seguenti condizioni.

A. L'infortunio deve essere accaduto sul tragitto che costituisce l'itinerario normale per recarsi dal luogo di abituale dimora al luogo di lavoro e viceversa. A questo riguardo sono necessarie alcune precisazioni.

A1. Luogo di abituale dimora è dove il lavoratore ha fissato la sua residenza. Può considerarsi tale anche la residenza secondaria, purché avente carattere di stabilità, anche temporanea, come il luogo di soggiorno estivo della famiglia o la casa dove il lavoratore trascorre abitualmente il fine settimana con la propria famiglia.

Lo è, anche, il luogo dove il lavoratore dimora temporaneamente, o pernotta occasionalmente, per ragioni di lavoro. In queste ipotesi, però, bisogna verificare se il luogo di dimora o pernottamento è stato stabilito dal datore di lavoro; in caso contrario, e cioè se la scelta è rimessa esclusivamente alla volontà del lavoratore, occorre accertare se non fossero praticabili soluzioni più adeguate (Cassazione, o. 1413/1990).

A2. Luogo di lavoro è non solo quello dove l'assicurato presta abitualmente la sua attività, ma ogni luogo in cui il lavoratore, deve recarsi su direttive del datore di lavoro per esigenze aziendali (ad esempio, in missione oppure per seguire corsi di formazione, oppure per ricevere la retribuzione, ecc.).

A3. Percorso normale è l'itinerario giustificato dalle condizioni di viabilità. In generale coincide con il percorso più breve e diretto; tuttavia, può essere giustificato anche un percorso più lungo e meno diretto se risulta più logico in relazione allo stato delle strade (ad esempio, evidente minore pericolosità oppure presenza di traffico eccessivo).

Ovviamente, nel caso esistano più percorsi tutti normali nei termini sopraindicati, è irrilevante ai fini indennitari su quale di questi percorsi l'incidente sia avvenuto.

A4. Se il lavoratore ha fissato la sua dimora in un centro diverso da quello lavorativo, il percorso è normale se la distanza tra i due luoghi è ragionevole (Cassazione 0.3495/1979), cioè se consente di conciliare i doveri derivanti dal rapporti di lavoro con i diritti del lavoratore e con gli altri doveri tra cui, in primo luogo, quelli verso la famiglia.

Considerando quanto emerge dall'esperienza comune in una grande città, si ritiene che - in linea generale e ferma la già richiamata esigenza di valutare le peculiarità di ogni singolo caso - possa considerarsi rientrante nei limiti della ragionevolezza una distanza percorribile in un tempo complessivamente (andata e ritorno) non superiore a tre ore.

A5. Se la distanza tra il luogo di lavoro e la residenza della famiglia è irragionevole nel senso indicato al punto A4, ed il lavoratore non può trasferire la famiglia a distanza congrua per cause legate alla sua attività professionale (ad esempio, per i continui spostamenti cui è obbligato oppure per la provvisorietà del lavoro), è ammissibile che egli torni a casa con la periodicità che ragionevolmente la distanza consente; in tali situazioni l'eventuale rischio generico aggravato che il lavoratore incontra nei periodici viaggi è simile a quello del lavoratore che lo affronta giornalmente ed è, dunque, assicurativamente coperto (Cassazione n. 12903/97).

A6. Non rientrano nel percorso normale le deviazioni effettuate per ragioni personali.

Quello delle deviazioni è un tema molto complesso che, nei Paesi dove l'infortunio in itinere è disciplinato per legge, è oggetto di una minuziosa regolamentazione, con soluzioni normative più o meno ampie ma tutte, comunque, attente alla rilevanza sociale delle motivazioni che hanno portato alla deviazione.

In Italia, la giurisprudenza della Corte di Cassazione risulta aver esaminato solo le ipotesi di deviazione per ragioni di lavoro e su direttive del datore di lavoro (sentenza n. 9099/94) e per prestare soccorso a persona vittima di incidente stradale (sentenza n. 4076/1990), esprimendosi, in entrambi i casi, per l'indennizzabilità dell'infortunio in quanto si trattava di deviazioni dettate dalla necessità.

Si ritiene, sulla base dello stesso principio, che alle suddette due ipotesi possano aggiungersi - come casi in cui non si interrompe il nesso causale - le deviazioni rese obbligatorie da cause di forza maggiore (ad esempio, viabilità interrotta, guasti meccanici del veicolo, improvviso malore) o dalla esigenza di soddisfare bisogni essenziali (fisiologici) o, infine, dalla esigenza di andare a prendere un compagno di lavoro con il quale esista un accordo per effettuare il il percorso comune per recarsi al lavoro.

L'incidente eventualmente occorso sulle suddette deviazioni deve considerarsi, perciò, indennizzabile, ovviamente nei limiti spaziali strettamente collegati alle motivazioni delle deviazioni stesse.

Al di fuori delle sopra elencate ipotesi si ritiene, allo stato ed in mancanza di riscontri giurisprudenziali, che le deviazioni dal percorso normale, pur se determinate da esigenze socialmente apprezzabili, configurino un rischio elettivo e, quindi, non assicurativamente coperto.

Resta fermo, peraltro, che il nesso causale interrotto dalla deviazione deve intendersi ripristinato non appena l'assicurato riprenda il percorso normale, sempre ché la deviazione stessa abbia impegnato un periodo di tempo ragionevolmente breve (valutazione da effettuarsi anche in rapporto ai motivi della deviazione).

B. Il tragitto deve essere percorso per ragioni di lavoro. Vanno ricompresi nel concetto di "ragioni di lavoro" i casi in cui il lavoratore si rechi presso l'azienda, o altro luogo per l'occasione ad essa equiparabile, per motivi comunque riferibili al lavoro, anche se non immediatamente rientranti nella prestazione lavorativa (ad esempio, per riscuotere la retribuzione, per consegnare o ricevere documenti prescritti, o abbigliamento e attrezzi di lavoro, ecc.).

Può essere utile, al riguardo, far presente che fu a suo tempo autorizzato l'indennizzo di un infortunio in itinere occorso ad un lavoratore che si recava presso un ambulatorio INAIL per sottoporsi a cure relative a lesioni riportate in un precedente infortunio.

C. L'infortunio deve essere accaduto in orario ricollegabile con quello lavorativo, valutazione questa da effettuarsi con la dovuta flessibilità, tenendo conto delle oscillazioni di orario normalmente connesse con le condizioni di viabilità e considerando che brevi differimenti della partenza o brevi soste lungo il tragitto (la brevità va valutata anche in rapporto alle motivazioni dei ritardi), accompagnato o meno da deviazioni (vedi il precedente punto A6), non costituiscono elementi tali da influire negativamente sulla valutazione della compatibilità degli orari.

Inoltre si ritiene che il differimento della partenza, o la sosta durante il tragitto, per motivi precauzionali non possano assumere rilevanza negativa ai fini dell'indennizzabilità.

Si pensi al caso delle avverse condizioni metereologiche o del malore, che consigliano temporanei rinvii o interruzioni del viaggio; oppure all'ipotesi del lavoratore in trasferta che, alla fine della giornata lavorativa, scelga di pernottare nel centro ove ha prestato servizio per affrontare poi il viaggio di ritorno a casa in condizioni di maggiore sicurezza.

In questi casi, come in altri similari, si ritiene che l'eventuale infortunio - ferma restando la ricorrenza degli altri presupposti - debba essere ammesso alla tutela.

 

4.2. Infortunio occorso nel tragitto tra abitazione e luogo di lavoro durante l'intervallo lavorativo per la consumazione del pasto

 

4.2.1. Esistenza di un servizio di mensa aziendale

In presenza di una mensa aziendale o di altro servizio equivalente (ad esempio, convenzione con posti di ristoro dislocati a breve distanza dal luogo di lavoro, oppure fornitura di ticket restaurant utilizzabili in posti di ristoro sempre nelle immediate vicinanze), l'eventuale scelta del lavoratore di recarsi a casa per consumare il pasto configura un rischio elettivo che esclude la tutela assicurativa (da ultimo, Cassazione n. 11746/97, che ha negato l'indennizzabilità dell'infortunio occorso al lavoratore mentre tornava a casa per il pranzo, affermando che gli intendimenti del lavoratore, di non utilizzare la mensa per il solo fatto che venivano forniti pasti preconfezionati o precotti e poi riscaldati e di non rimanere comunque nell'ambiente di lavoro per l'intera durata della intermedia pausa lavorativa, attenevano "esclusivamente a di lui preferenze alimentari ed a sue personali scelte libere e discrezionali").

Infatti in questi casi lo spostamento non è necessitato ed anzi, rientrando a casa, il lavoratore si sottopone ad un rischio che proprio l'organizzazione dell'azienda gli avrebbe evitato. Né può valere il richiamo ai compiti verso la famiglia, considerato che "l'ambito delle esigenze familiari non può essere dilatato fino al punto di comprendervi anche l'intrattenimento nelle ore del pasto del mezzogiorno" (Cassazione n. 1582/97) e inoltre che "il mancare all'ora di pranzo da casa fa parte ormai delle abitudini della vita quotidiana" (Cassazione n. 4402/94).

Una eccezione è costituita dalla sussistenza di una comprovata condizione di salute oggettivamente incompatibile con l'utilizzo del servizio di mensa, condizione che costringe il lavoratore a recarsi a casa per seguire una dieta appropriata (Cassazione n. 1883/87, relativa ad un caso di perdita integrale della funzione masticatoria, e n. 11746/97). Allorché ricorre questa circostanza valgono le considerazioni di cui al successivo punto 4.2.2.

Va precisato che anche l'infortunio eventualmente occorso nel recarsi alla mensa in azienda è oggetto di tutela in quanto, per giurisprudenza costante, le brevi soste necessarie per soddisfare le elementari esigenze fisiologiche - tra cui appunto la pausa per il pranzo principale - non interrompono il nesso causale tra rischio lavorativo ed evento (Cassazione nn. 6904/83, 1527/86 e 6088/95, la quale ultima, tuttavia, ha negato che la consumazione della colazione o del caffè sia assimilabile alla consumazione del pasto principale).

Deve pur sempre sussistere, tuttavia, il rischio lavorativo e non il rischio generico di caduta connesso alla ordinaria attività di locomozione a piedi, non aggravato da alcun fattore, neppure ambientale, di natura lavorativa (sul punto, si fa rinvio alla circolare n. 24/1994, sui contenuti della quale ci si riserva di tornare al più presto).

Va infine segnalata la sentenza n. 6374/96 con la quale la Corte di Cassazione ha affermato l'indennizzabilità dell'infortunio occorso ad un assicurato che, con la propria autovettura, si dirigeva verso un posto di ristoro convenzionato con l'azienda, nel presupposto che "recandosi il lavoratore alla mensa predisposta dal datore di lavoro e trattandosi, quindi, di una pausa lavorativa così prevista e contemplata nell'organizzazione dell'azienda e dunque inerente all'attività lavorativa prestata", sussistevano le condizioni per considerare il relativo rischio assicurativamente coperto.

 

4.2.2. Mancanza di un servizio di mensa aziendale

In assenza di una mensa aziendale, o di altro servizio equivalente, la Corte di Cassazione ha affermato che non si può "imporre al lavoratore di consumare il pasto in un ristorante o trattoria o addirittura sul luogo di lavoro, privo peraltro di una adeguata e necessaria attrezzatura organizzativa" (sentenza n. 1483/89).

Assumono infatti rilievo, in queste situazioni, le esigenze della personalità del lavoratore, il suo status familiare, l'incidenza delle ragioni economiche ed infine il disagio conseguente alla lunga attesa prima di riprendere il lavoro dopo il pranzo nei casi di intervalli lavorativi di consistente durata (sentenza n. 3296/85).

Sulla base di questi criteri si può affermare che - sempre in linea generale e ferma restando la necessità della valutazione caso per caso - il rischio della strada nel viaggio di andata e ritorno da casa per consumare il pasto principale è assicurativamente coperto se la distanza tra luogo di abitazione e luogo di lavoro è percorribile in tempi compatibili con la durata dell'intervallo lavorativo, sia pure con l'uso di un mezzo di trasporto diverso da quelli pubblici (Cassazione nn. 1536/78, 1483/89 e 12881/95).

Peraltro, se la suddetta distanza - sempre in rapporto alla durata della sosta lavorativa - è percorribile a piedi o con i mezzi pubblici, l'utilizzo del mezzo privato non è necessitato e dunque si ricade nell'ambito del rischio elettivo, assicurativamente non protetto (Cassazione n. 12179/93).

Alla ipotesi del ritorno a casa va assimilata la situazione in cui il lavoratore sia costretto ad utilizzare il mezzo privato per recarsi a consumare o ad acquistare il pranzo presso un pubblico esercizio, fermo restando che la scelta del posto di ristoro deve essere ragionevolmente giustificabile (in relazione alla distanza, alla spesa, al tipo di cibo, ecc.).

 

5. Rischio oggetto della copertura assicurativa

Una volta riconosciuta l'esistenza delle condizioni che trasformano il rischio generico della strada in rischio professionale (specifico o generico aggravato), tutto l'iter di trasferimento costituisce la situazione di rischio oggetto della copertura assicurativa, sia che il trasferimento stesso avvenga sul mezzo di locomozione del lavoratore (con questi alla guida) sia che avvenga a bordo del mezzo altrui (con l'assicurato come trasportato).

Sulla base di questo principio la Cassazione ha riconosciuto l'indennizzabilità degli infortuni occorsi:

- ad un lavoratore investito da una automobile mentre era in attesa di un collega che avrebbe dovuto accompagnarlo con la propria vettura sul posto di lavoro (sentenza n. 4657/87);

- ad un lavoratore che stava prestando soccorso alla vittima di un incidente stradale (sentenza n. 4076/90);

- ad un lavoratore colpito dall'improvvisa apertura dello sportello di un furgone in sosta mentre si stava recando nel posto dove aveva parcheggiato la propria automobile (sentenza n. 3756/97).

Ai fini dell'indennizzabilità, inoltre, è irrilevante che il lavoratore sia stato autorizzato o meno all'uso del mezzo privato da parte del datore di lavoro; così come è irrilevante il tipo di mezzo utilizzato, purché rientri tra quelli ammessi alla circolazione (sentenze nn. 1536/78, 3495/79, 3734/94).

Va peraltro sottolineato che il rischio oggetto dell'assicurazione è quello determinato dall'iter seguito o dal mezzo utilizzato, con esclusione dei rischi che con la strada hanno un rapporto marginale ed episodico di pura coincidenza di tempo o di luogo.

La Cassazione ha perciò negato l'indennizzabilità degli infortuni occorsi:

- ad un lavoratore che, mentre si recava a casa alla guida del suo motoveicolo, è stato raggiunto da colpi di arma da fuoco esplosi da ignoti (sentenza n. 6382/1987);

- ad un lavoratore che aveva riportato lesioni in un diverbio con altro automobilista per motivi di traffico (sentenza n. 2195/1991);

- ad un lavoratore caduto accidentalmente dopo aver parcheggiato l'autovettura (sentenze nn. 10961/1992, 1494/1996).

 

6. Infortunio accaduto per colpa del lavoratore

Come nell'infortunio occorso in attualità di lavoro, anche nell'infortunio in itinere gli aspetti soggettivi della condotta dell'assicurato (negligenza, imprudenza, imperizia) non assumono rilevanza ai fini dell'indennizzabilità, in quanto la colpa del lavoratore non interrompe il nesso causale tra rischio lavorativo e sinistro, salvo che non si tratti di comportamenti così abnormi da sfociare nel rischio elettivo.

Come noto, per aversi rischio elettivo occorrono atti arbitrari, ovvero intesi a soddisfare un impulso od un capriccio puramente personale, con i quali il lavoratore si espone volutamente alla possibilità del verificarsi di un evento dannoso.

Tali, a titolo esemplificativo, potrebbero essere: manovre pericolose determinate da stato di ubriachezza, gareggiare in velocità con altri veicoli, percorrere una strada chiusa all'accesso per inagibilità, ecc.: e cioè "scelte colpevoli dettate da atteggiamenti e condotte non giustificabili o superflue e comunque controindicate rispetto al risultato da raggiungere" (Cassazione n. 6625/1987).