RIFORMA MERCATO DEL LAVORO - D. LGS 276/2003 - CONTRATTI
A PROGETTO - DECISIONE CONSIGLIO DI STATO
Di seguito si pubblica una
sentenza emessa dal Consiglio di Stato che, chiamato a decidere circa la
legittimità dell’esclusione di una cooperativa da una gara pubblica, ha
chiarito i requisiti del contratto a progetto, disciplinato dall’artt. 61-69
del D.Lgs. 276/2003.
A parere del giudice
amministrativo tra i requisiti qualificanti del modello contrattuale approntato
dal legislatore vi sono il progetto, il programma di lavoro o la fase di esso, cosicché le coordinate destinate a delineare
esattamente il perimetro esterno dell’autonomia del collaboratore andranno
d’ora in poi ravvisate: a) nello svolgimento di un’attività lavorativa,
contrattualmente definita e funzionalizzata alla realizzazione del progetto,
del programma di lavoro o della fase di esso (“vincolo teleologico”); b) nella
necessaria coordinazione tra il lavoratore “a progetto” con il committente
(“nesso organizzativo”), e c) nell’irrilevanza del tempo impiegato per
l’esecuzione della prestazione (“elemento negativo”).
Si sottolinea che la
decisione del Consiglio di Stato assume rilevanza per il fatto che analizza
l’ultimo di tali requisiti, ossia l’orario di lavoro del collaboratore. A tale
proposito il Consiglio di Stato nella decisione che si pubblica, sostiene che
affermare che l’orario di lavoro è irrilevante (ovviamente non in senso
assoluto, né in vista della determinazione della retribuzione in fine
spettante) non significa affatto che alle parti di un “contratto a progetto” sia recisamente precluso di accordarsi su una prestabilita
misura temporale della prestazione, ritenuta necessaria ai fini del
conseguimento dello specifico obiettivo contrattualmente individuato; nondimeno
siffatta eventuale predeterminazione resta comunque ai margini della
configurazione negoziale ed, in questa accezione, appare “irrilevante”,
ovverosia non costituisce l’elemento caratterizzante il rapporto, il cui
connotato essenziale è piuttosto rappresentato dallo scopo (progetto, programma
o fase) da realizzare.
I primi commentatori non
condividono le conclusioni cui giunge il Giudice Amministrativo, in quanto
riducono eccessivamente il momento dell’autonoma organizzazione del lavoro
quale aspetto che caratterizza il lavoro a progetto.
Se è vero, come osserva il
Giudice, che l’instaurazione di forme intense di coordinamento è legittima
nella misura in cui è funzionale alla produzione del risultato, tuttavia, l’ instaurazione di forme di coordinamento non può mai
assumere caratteristiche tali da trasformare l’apporto del collaboratore in una
mera messa a disposizione di energie lavorative. Ciò è pacifico sia nella
giurisprudenza formatasi prima dell’approvazione del D.Lgs. 276/2003, sia con
le norme ed i principi affermati da quest’ultimo, che si caratterizza per la
finalità di accentuare il momento della autonomia come tratto caratterizzante
della collaborazione a progetto.
Il committente può certamente
individuare delle forme di coordinamento di tipo temporaneo, tuttavia, lo
stesso non può mai esercitare il potere di organizzare sistematicamente il
tempo di lavoro esclusivamente in funzione delle proprie esigenze; in tale
ipotesi, infatti, la compressione dell’autonomia di quest’ultimo finisce con
l’assumere i caratteri della eterodirezione, tipici del lavoro subordinato.
Viene, infine, osservato che
tanto il Giudice amministrativo quanto la commissione di gara hanno rinunciato
ad approfondire la validità del progetto - programma di lavoro affidato ai due
collaboratori coinvolti nell’attività messa a bando.
Dalla descrizione del
disciplinare di gara, appare evidente che l’attività oggetto
della fornitura risulta difficilmente compatibile con lo schema della
collaborazione a progetto la quale, ai sensi dell’art. 61 del D.Lgs n. 276/03,
deve essere finalizzata alla produzione di un risultato apprezzabile da parte
del collaboratore.
Approfondendo questo
aspetto, nota la dottrina, la commissione di gara avrebbe potuto deliberare
l’esclusione della cooperativa sulla base di argomenti difficilmente
contestabili in sede giudiziale.
Consiglio di Stato
Decisione n. 1743/2006,
Ric. n. 7939/2004
Il Consiglio di Stato in
sede giurisdizionale, Quinta Sezione ha pronunciato la seguente
decisione
sul ricorso in appello n. 7939
del 2004 proposto dal COMUNE DI C. C., costituitosi in persona del Sindaco l.r.
p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Francesca Attinà ed Aldo Aloi, elettivamente domiciliato
in Roma, via del Viminale, n. 43, presso lo studio dell’avv. Pasquale Mosca;
contro
e nei confronti
della COOPERATIVA SOCIALE S. A
R.L., quale capogruppo mandataria dell’A.t.i. FR.,
non costituitesi in giudizio;
per la riforma
della sentenza n. 1422 del 7.5.-
11.6.2004/15.6.2004, pronunciata dal Tribunale amministrativo regionale della
Calabria, sede di Catanzaro;
visto il ricorso con i relativi
allegati;
visto l’atto di costituzione in
giudizio della Cooperativa sociale “F.” a r.l.;
viste le memorie prodotte dalle
parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti della
causa;
designato relatore il consigliere
Gabriele Carlotti;
uditi alla pubblica udienza del
29.11.2005 l’avv. Mastrangelo, su delega dell’avv. Spataro, per
Ritenuto e considerato in
fatto e in diritto quanto segue.
FATTO E DIRITTO
1. Viene in decisione
l’appello interposto dal Comune di C. C. contro la
sentenza, specificata in epigrafe, con cui il T.a.r.
della Calabria, sedente in Catanzaro, accolse il ricorso promosso dalla
Cooperativa sociale “F.” a r.l.
(nel prosieguo, per brevità, solamente “Cooperativa F.”), annullando, per
l’effetto, gli atti con esso avversati e, segnatamente:
- i verbali della
Commissione di gara, n. 1 del 3.7.2003, n. 2 del 4.7.2003, n. 3 del 7.7.2003,
n. 4 dell’8.7.2003, nelle parti relative a) all’esclusione della società,
odierna appellata, dalla gara avente ad oggetto l’affidamento della gestione
del Castello Ducale di C.C. e b) all’aggiudicazione provvisoria disposta in
favore della a.t.i. FR.;
- la deliberazione della
Giunta comunale di C.C. n. 305 del 15.7.2003, avente ad oggetto
l’aggiudicazione definitiva della gara predetta;
- la determinazione del
Responsabile del settore n. 9 Didattico – Culturale
del medesimo Comune, n. 321 del 3.12.2003, confermativa della suddetta delibera
giuntale.
Nel grado di giudizio così
instaurato si è costituita
All’udienza del 29.11.2005,
esaurita la discussione, il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
2. Per una migliore
comprensione della vicenda dalla quale ha tratto origine la presente
controversia, giova premettere alcuni cenni in punto di fatto.
In dettaglio, l’impugnativa
fu diretta sia contro l’esclusione della società predetta dalla procedura selettiva,
sia nei confronti della provvisoria aggiudicazione disposta in favore
dell’impresa controinteressata.
Vennero altresì gravate: a) la
successiva deliberazione della Giunta comunale n. 305 del 15.7.2003, recante
l’aggiudicazione definitiva e b), con motivi aggiunti, la determinazione del
Responsabile del settore n. 9, confermativa della deliberazione testé
menzionata.
Il T.a.r., dopo aver respinto le eccezioni pregiudiziali
d’irricevibilità, accolse nel merito il ricorso introduttivo, con riferimento al
primo ordine di censure.
Osservò, difatti, il primo
giudice che la commissione giudicatrice aveva deciso l’esclusione dalla
procedura della società ricorrente sulla base della ritenuta inidoneità del
piano finanziario da questa confezionato, relativamente alla voce “costo del
lavoro”, non essendo stato dichiaratamente rispettato l’art. 13 del
disciplinare, nella parte in cui la normativa di gara imponeva la fornitura di
dieci unità di personale nei giorni e per tutto l’orario di apertura al
pubblico del Castello Ducale.
A tal riguardo, va detto
che l’originaria ricorrente previde, in effetti, l’applicazione del contratto
collettivo nazionale di lavoro (dei dipendenti delle aziende dei servizi pubblici,
della cultura, del turismo, dello sport e del tempo libero) soltanto ad otto
delle unità di personale complessivamente adibite al servizio bandito, mentre
per le residue due unità indicò un inquadramento con contratto di prestazione
professionale a progetto.
Il piano finanziario, così
congegnato, secondo la commissione, si palesava incompatibile con l’art. 13 del
disciplinare, giacché per il personale non inquadrato con rapporto di lavoro
subordinato non sarebbe stato possibile garantire l’osservanza dell’obbligo di
orario stabilito dalla medesima lex specialis, «anche in relazione alla
possibile estensione dell’orario minimo di cui all’art. 14 del capitolato».
Il T.a.r.
opinò tuttavia che la motivazione addotta dalla commissione di gara a sostegno
dell’esclusione poggiasse sul travisamento della reale fisionomia giuridica
assunta recentemente dai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (cc.dd. “co.co.co”).
La commissione, in
particolare, avrebbe erroneamente ravvisato un’inesistente incompatibilità tra
il contratto per prestazione professionale a progetto, come disciplinato
nell’art. 4, 1° comma, lett. c), della legge
14.2.2003, n. 30 (c.d. “legge Biagi”), e la previsione di un obbligo negoziale
di osservare un orario di lavoro prestabilito.
Per contro, il Collegio
calabrese ritenne che l’unica rilevante differenza tra le suddette
collaborazioni coordinate e continuative, anche nella nuova configurazione
risultante dall’art. 4 della legge n. 30/2003, e gli ordinari rapporti di
lavoro dipendente concernesse unicamente la mancanza, nelle prime, del
requisito della subordinazione, intesa come assoggettamento del lavoratore al
potere gerarchico ed organizzativo del datore, e che, di converso, nessun
rilievo distintivo potesse invece attribuirsi ad altri elementi, come la
predeterminazione di un orario o l’inserimento del lavoratore
nell’organizzazione produttiva datoriale.
Sulla scorta di tali
rilievi il tribunale giudicò censurabile la motivazione del provvedimento di
esclusione della società ricorrente dalla gara e, per l’effetto, accolse il
ricorso, con assorbimento delle altre doglianze.
3. L’appello interposto dal
Comune di C. C. s’impernia sulla critica al riferito
impianto argomentativo sottostante la sentenza impugnata.
L’ente civico appellante
ripropone le difese spiegate in prime cure, in particolare ribadendo
l’argomento dell’assoluta incompatibilità tra i rapporti a progetto (in cui
difetterebbe sempre il vincolo d’orario) e l’esigenza, fortemente
avvertita dall’amministrazione comunale, di garantire la presenza continuativa
del personale in questione per tutti i giorni e per tutto l’orario settimanale
di apertura del Castello.
Secondo le tesi patrocinate
dal Comune di C. C., il contratto di collaborazione coordinata e continuativa risulterebbe
essenzialmente connotato dall’elevata autonomia riconosciuta al collaboratore,
anche per quanto concerne la gestione del tempo di lavoro, dovendo questi
unicamente assicurare il conseguimento del “risultato” della locatio operarum e non anche l’osservanza
di specifiche modalità temporali di svolgimento della prestazione negozialmente
convenuta.
Di qui la conclusione della
piena legittimità dell’esclusione disposta dalla commissione giudicatrice,
stante l’inanità del piano finanziario presentato dalla Cooperativa F. in relazione a quanto prescritto dagli artt. 13 e 14
della normativa di gara, non disponendo la società appellata di alcuno
strumento giuridicamente vincolante per interferire sulle scelte dei due
soggetti ad essa legati da un rapporto di “co.co.co”.
A pretesa dimostrazione
dell’erroneità delle considerazioni svolte dal primo decidente, il Comune di C. C. deduce inoltre che il contratto effettivamente
stipulato dalla Cooperativa sociale con i due collaboratori sunnominati, non
prevedeva in realtà alcuna predeterminazione dell’orario di lavoro e tanto meno
contemplava la potestà datoriale di estendere, in caso di necessità, l’orario
minimo di servizio, siccome prescritto dall’art. 14 del disciplinare.
4. Così ricostruiti termini
essenziali delle questioni devolute alla cognizione del Collegio, emerge con
evidenza l’infondatezza dell’appello. Ed invero, l’insistenza con la quale il
Comune appellante torna a riproporre l’equazione concettuale stabilita tra
l’“assenza del vincolo della subordinazione” e la pretesa “impossibilità di
garantire il rispetto delle obbligazioni contrattuali connesse alla gestione”,
è indizio eloquente della carente comprensione dei profondi cambiamenti,
recentemente intervenuti nell’ambito della c.d. “parasubordinazione” e
dell’autoimprenditorialità, per effetto dell’entrata in vigore degli artt.
61-69 del D.Lgs. 10.9.2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di
occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14
febbraio 2003, n. 30).
Le disposizioni richiamate
disciplinano, infatti, un’innovativa tipologia contrattuale, denominata “lavoro
a progetto”, precipuamente finalizzata (insieme alle altre figure di “nuovi
lavori”, del pari regolate dal decreto) alla gestione
flessibile delle risorse umane; nondimeno, la figura è stata introdotta anche
allo scopo, nient’affatto secondario, di scongiurare il ripetersi, in futuro,
dell’abusivo fenomeno dell’utilizzo improprio e talora fraudolento delle
collaborazioni coordinate e continuative.
Nella fisionomia, ora positivamente
tipizzata, del “lavoro a progetto”, gli eventuali tratti della continuità e del
coordinamento della prestazione lavorativa non si presentano più in rapporto di
radicale antitesi e di irriducibile alterità rispetto al modello normativo,
ancorché quest’ultimo rimanga indubbiamente all’interno dell’ampio alveo
dell’autonomia organizzativa.
I peculiari connotati della
nuova forma di rapporto di lavoro, destinata a sostituire i vecchi “co.co.co.”, è stata ben messa in luce dalla circolare del
Ministro del lavoro e delle politiche sociali n. 1 dell’8 gennaio 2004, avente
ad oggetto la «Disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative nella
modalità c.d. a progetto. Decreto legislativo n. 276/03».
Nella circolare si
chiarisce, tra l’altro, che, in forza della recente normativa, i rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c. devono ora potersi ricondurre «a uno o più progetti
specifici o programmi di lavoro o fasi di esso
determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in
funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione
del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione della
attività lavorativa» (così l’art. 61 del D.Lgs. n.
276/2003).
Non è stato dunque
sostituito l’art. 409, n. 3, c.p.c.,
ma sono state piuttosto precisate le modalità di svolgimento della prestazione
di lavoro del collaboratore, onde consentirne una più agevole qualificazione
nel senso della autonomia o della subordinazione.
Non rientrano poi, per
espressa previsione normativa, nel campo applicativo della nuova figura le
prestazioni occasionali, intendendosi come tali i rapporti, intrattenuti con lo
stesso committente, di durata complessivamente non superiore a trenta giorni
nel corso dell’anno solare (salvo che il compenso percepito nell’arco del
medesimo periodo, con il medesimo committente, sia superiore a 5.000 euro);
tanto perché siffatte prestazioni, proprio in ragione della loro breve durata,
sono state considerate incompatibili con lo svolgimento di un “progetto” o di
un “programma o di una fase di esso” (alludendo il
primo termine ad un tipo di attività cui è direttamente riconducibile un
risultato finale, e la seconda locuzione alla differente situazione in cui
l’obiettivo perseguito consista unicamente nella produzione di un risultato
parziale, destinato ad essere integrato, in vista di uno scopo comune, con
altre lavorazioni).
Tra i requisiti
qualificanti del modello contrattuale approntato dal legislatore vi sono dunque
il progetto, il programma di lavoro o la fase di esso,
cosicché le coordinate destinate a delineare esattamente il perimetro esterno
dell’autonomia del collaboratore andranno d’ora in poi ravvisate: a) nello
svolgimento di un’attività lavorativa, contrattualmente definita e
funzionalizzata alla realizzazione del progetto, del programma di lavoro o
della fase di esso (“vincolo teleologico”); b) nella
necessaria coordinazione tra il lavoratore “a progetto” con il committente
(“nesso organizzativo”), e c) nell’irrilevanza del tempo impiegato per
l’esecuzione della prestazione (“elemento negativo”).
Quest’ultimo connotato, che ai fini
del decidere merita il maggiore approfondimento, deve essere rettamente inteso:
difatti il manifesto errore nel quale è incorso l’ente civico appellante
risiede, ad avviso del Collegio, nell’indebita contaminazione tra i concetti di
“assenza di orario di lavoro” e di “irrilevanza dell’orario di lavoro”.
Affermare che l’orario di lavoro è irrilevante (ovviamente non in senso
assoluto, né in vista della determinazione della retribuzione in fine
spettante) non significa affatto che alle parti di un “contratto a progetto” sia recisamente precluso di accordarsi su una prestabilita
misura temporale della prestazione, ritenuta necessaria ai fini del
conseguimento dello specifico obiettivo contrattualmente individuato; nondimeno
siffatta eventuale predeterminazione resta comunque ai margini della
configurazione negoziale ed, in questa accezione, appare “irrilevante”,
ovverosia non costituisce l’elemento caratterizzante il rapporto, il cui
connotato essenziale è piuttosto rappresentato dallo scopo (progetto, programma
o fase) da realizzare.
Occorre soffermarsi sullo
spostamento prospettico della problematica qualificatoria.
Se infatti
è il “risultato” che si pone al centro del tipo normativo, allora l’orario
lavorativo va concepito in “funzione” di esso: pertanto, così come possono
darsi casi in cui la previsione di una determinata disponibilità continuativa
del lavoratore non sia realmente indispensabile per il conseguimento del fine
concreto avuto di mira dalle parti (e da esse considerato come elemento
tipizzante la concreta causa negoziale), altrettanto possono verificarsi
situazioni in cui la costante presenza del lavoratore sul luogo dell’esecuzione
del contratto, per un preciso lasso temporale giornaliero (o settimanale o
mensile), rivesta invece un’importanza nodale nell’economia del rapporto (ed è
l’ipotesi che ricorre nella fattispecie esaminata); tanto perché il coordinamento,
sotto tale aspetto, dell’attività del collaboratore con l’organizzazione
produttiva del datore può talora risultare un passaggio essenziale ed
indefettibile per l’utile realizzazione del programma o del progetto.
Anche in questi frangenti
non è tuttavia l’orario, eventualmente pattuito, che qualifica il rapporto; è,
invece, l’obiettivo finale perseguito - la cui selezione compete esclusivamente
al committente - che assume rilevanza giuridica, indipendentemente dal tempo
impegnato.
Alla luce dei superiori
rilievi sono evidenti le differenze con il lavoro subordinato, in cui l’orario
delimita esclusivamente il periodo in cui il lavoratore è a disposizione del
datore di lavoro per lo svolgimento delle mansioni contrattualmente stabilite.
Si comprende altresì perché
solo il contratto di lavoro “a progetto”, diversamente da quello subordinato,
si risolva automaticamente al momento della realizzazione del programma di
lavoro o della fase di esso.
Insomma, volendo ricorrere
ad una formula icastica, mentre nel “lavoro autonomo” tradizionalmente inteso
la libertà del lavoratore è piena e concerne anche la scelta dell’opus, così
non avviene nel lavoro a progetto, in cui la definizione della dimensione
finalistica verso la quale far convergere in modo coordinato ed organizzato le complessive energie lavorative aggregate
pertiene unicamente alla parte committente.
5. Orbene, una volta calati i surriferiti principi al caso di specie,
deve ritenersi che le due unità di personale, legate alla Cooperativa F. da vincoli di lavoro a progetto, ben potessero
destinarsi allo svolgimento di una fase del complessivo programma di gestione
del Castello Ducale. Sicuramente, inoltre, nei relativi contratti di assunzione
poteva essere lecitamente dedotta l’obbligazione dell’osservanza di un
determinato orario.
Dalle superiori
considerazioni discende il giudizio d’infondatezza dell’impugnazione, stante la
dimostrata incongruità degli argomenti che condussero all’esclusione
dell’appellata dalla procedura di gara.
7. Sussistono giustificati
motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del grado di
giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in
sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando, respinge
l’appello. Compensa integralmente tra le parti le spese del grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella sede del Consiglio di Stato, nella camera di
consiglio del 29.11.2005.