LAVORI PUBBLICI-
(Consiglio di Stato, Sez.V, 16/05/2006, n. 2815)
Nella sistematica degli artt. 119 e 121 del DPR n. 554/1999, la risoluzione del
contratto per grave inadempimento o ritardo dell’appaltatore comporta la stima
dei lavori regolarmente eseguiti e che devono essere accreditati
all’appaltatore da parte del direttore dei lavori e la redazione dello stato di
consistenza dei lavori già eseguiti e l’inventario di materiali, macchine e
mezzi d’opera da parte del responsabile del procedimento. A siffatta attività è
del tutto estranea la fase di collaudo, preordinata, a norma dell’art. 192 del
DPR n. 554/1999, a verificare e certificare l’esecuzione dell’opera secondo le
regole dell’arte e quanto stabilito dal contratto. Gli obblighi derivanti dalla
risoluzione del contratto per grave inadempimento dell’appaltatore hanno
pertanto per oggetto il pagamento delle opere sino a quel momento eseguite in
osservanza del precetto del neminem laedere e non il collaudo dell’opera nel suo insieme,
peraltro ancora non portata a termine.
È pertanto da respingere
l’ulteriore assunto secondo il quale l’appaltatore, nei cui confronti sia stata
pronunziata la risoluzione del contratto, conserverebbe il diritto all’effettuazione
del collaudo in relazione alle opere precedentemente realizzate. Una volta
risolto il contratto per grave inadempimento, il precedente appaltatore non
vanta alcun diritto nei confronti della stazione appaltante se non quello al
pagamento delle opere già eseguite ex art. 119 del DPR n. 554/1999, soddisfatto
il quale cessa ogni rapporto. La funzionalizzazione
degli adempimenti prescritti dagli artt. 119 e 121
del DPR n. 554/1999 alla chiusura di ogni rapporto con l’imprenditore
inadempiente ed alla rapida conclusione di un altro contratto con il soggetto
designato a completare l’opera è conclusivamente contraria in sé e per sé al
collaudo nel momento di risoluzione del precedente rapporto ed alla
partecipazione in qualsivoglia modo dell’imprenditore estromesso alla
successiva fase del collaudo, inerente i soli obblighi del nuovo contratto fra
la stazione appaltante e l’impresa chiamata a completare l’opera.
. . .omissis . . .
FATTO
E DIRITTO
1) Con ricorso n. 1293/2004
1) Il ricorso avverso il
silenzio rifiuto è stato dichiarato inammissibile dalla decisione in epigrafe
per inesistenza dell’obbligo dell’Azienda a provvedere sulla diffida, non
essendo stati ultimati i lavori per la mancata esecuzione di numerose opere,
risultante dallo stato di consistenza in data 14 luglio 2003 ed essendo stato
risolto il contratto per grave inadempimento dell’appaltatore, come da
deliberazione 7 luglio 2003, n. 216/DG/03/ST. La sentenza è stata impugnata
dalla società E. con l’unica articolata censura di violazione dell’art. 21-bis
e dell’art.
3) L’Azienda Ospedaliera C./C.
di T., ha eccepito l’inammissibilità del ricorso ed ha addotto la sua
infondatezza nel merito. Entrambe le contestazioni sono fondate.
L’appello è infatti
inammissibile ai sensi dell’art. 23-bis, co. 1, lett.
b) l. n. 1034/1971, per tardività della costituzione
in giudizio, avvenuta tramite deposito del ricorso notificato presso
Oltre che inammissibile,
l’appello è anche infondato. Nella sistematica dagli artt.
119 e 121 del DPR n. 554/1999, la risoluzione del contratto per grave adempimento
o ritardo dell’appaltatore comporta la stima dei lavori regolarmente eseguiti e
che devono essere accreditati all’appaltatore da parte del direttore dei lavori
e la redazione dello stato di consistenza dei lavori già eseguiti e
l’inventario di materiali, macchine e mezzi d’opera da parte del responsabile
del procedimento. A siffatta attività è del tutto estranea la fase di collaudo,
preordinata, a norma dell’art. 192 del DPR n. 554/1999, a verificare e
certificare l’esecuzione dell’opera secondo le regole dell’arte e quanto
stabilito dal contratto. Gli obblighi derivanti dalla risoluzione del contratto
per grave inadempimento dell’appaltatore hanno pertanto per oggetto il
pagamento delle opere sino a quel momento eseguite in osservanza del precetto del
neminem laedere e non il
collaudo dell’opera nel suo insieme, peraltro ancora non portata a termine. È
pertanto da respingere l’ulteriore assunto dell’appellante secondo il quale
l’appaltatore, nei cui confronti sia stata pronunziata la risoluzione del contratto,
conserverebbe il diritto all’effettuazione del collaudo in relazione alle opere
precedentemente realizzate. Una volta risolto il contratto per grave
inadempimento, il precedente appaltatore non vanta alcun diritto nei confronti
della stazione appaltante se non quello al pagamento delle opere già eseguite
ex art. 119 del DPR n. 554/1999, soddisfatto il quale cessa ogni rapporto, come
è avvenuto per effetto della deliberazione 7 luglio 2003, n. 216/DG/03/ST,
rimasta inoppugnata. La funzionalizzazione
degli adempimenti prescritti dagli artt. 119 e 121
del DPR n. 554/1999 alla chiusura di ogni rapporto con l’imprenditore
inadempiente ed alla rapida conclusione di un altro contratto con il soggetto
designato a completare l’opera è conclusivamente contraria in sé e per sé al
collaudo nel momento di risoluzione del precedente rapporto ed alla
partecipazione in qualsivoglia modo dell’imprenditore estromesso alla
successiva fase del collaudo, inerente i soli obblighi del nuovo contratto fra
la stazione appaltante e l’impresa chiamata a completare l’opera.
4) Non occorre procedere
all’esame degli ulteriori motivi, dei quali è riservato al giudice ordinario
quello inerente all’invalidità dell’atto di risoluzione per inadempimento e
sono inammissibili per difetto di legittimazione a ricorrere quelli riguardanti
la violazione dell’obbligo di provvedere, non potendo individuarsi in capo alla
società appellante alcuna posizione giuridica da tutelare con l’imposizione di
una pronunzia espressa nei confronti dell’amministrazione.
5) L’appello deve essere
dichiarato inammissibile per insussistenza dell’obbligo di provvedere, come
affermato dalla prima decisione. Le spese del presente grado di giudizio
possono essere compensate fra le parti per giusti motivi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale, Sezione Quinta, dichiara inammissibile l’appello. Compensa le
spese di giudizio.
Così deciso in Roma nella
Camera di Consiglio del 27 gennaio 2006. DeposItata
in Segreteria Il 16 maggio 2006