REDDITO DEI FABBRICATI PATRIMONIALI LOCATI DA IMPRESE - CHIARIMENTI MINISTERIALI
L’art.7, comma 1, lett.a), del D.L. 30 settembre 2005, n.203,
convertito con modifiche dalla legge 2 dicembre 2005, n.248,
è intervenuto sull’art.90, comma 1, del TUIR - D.P.R.
917/1986 (rubricato “proventi immobiliari”) introducendo una particolare
disciplina per la determinazione del reddito imponibile degli immobili, diversi
da quelli strumentali e da quelli alla cui produzione o scambio è diretta
l’attività (“beni merce”), concessi in locazione dalle imprese.
Prima dell’intervento del D.L. 203/2005, il reddito
imponibile di tali fabbricati, quando concessi in locazione, era determinato,
per effetto del rinvio operato dall’art.90 del TUIR
alle disposizioni sui redditi fondiari (contenute nell’art.37, comma 4-bis, del TUIR-DPR 917/1986),
assumendo il maggiore dei valori tra rendita catastale (rivalutata del 5%) e
canone di locazione ridotto forfetariamente del 15%, ovvero, del 25% per i soli
fabbricati siti nella città di Venezia e nelle isole della Giudecca, di Murano
e di Burano.
A seguito della modifica apportata dal decreto-legge,
il reddito imponibile degli immobili locati, diversi da quelli strumentali e da
quelli alla cui produzione o scambio è diretta l’attività, è ora invece
direttamente determinato, ai sensi dello stesso articolo 90, comma 1, ultimo
periodo, assumendo il maggiore dei valori tra rendita catastale (rivalutata del
5%) e canone di locazione ridotto, sino ad un massimo del 15% dello stesso,
delle sole spese documentate sostenute ed effettivamente rimaste a carico per
la realizzazione degli interventi di manutenzione ordinaria (di cui alla lett.
a, del comma 1, dell’art. 3 del DPR 380/2001).
La stessa novità riguarda anche gli immobili, non
relativi all’impresa, concessi in locazione da parte degli enti non
commerciali, per effetto della modifica all’art.144,
comma 1, del TUIR - DPR 917/1986, apportata dall’art.7,
comma 1, lett.b, del citato D.L. 203/2005
(convertito, con modifiche, dalla legge 248/2005).
Tenuto conto dell’importanza che riveste l’intervento
normativo, si ritiene utile fornire un quadro riepilogativo della disciplina
attualmente vigente e delle relative modalità applicative, anche alla luce dei
chiarimenti forniti in materia dall’Agenzia delle Entrate con
Come è evidente, si tratta di disposizioni che
finiscono per penalizzare fortemente l’attività di gestione immobiliare, ancora
una volta considerata prettamente speculativa e non alla stregua di un vero e
proprio reddito d’impresa.
1. Ambito soggettivo ed oggettivo
La nuova disposizione contenuta nell’art.90, comma 1, ultimo periodo, del TUIR - D.P.R. 917/1986
interessa tutti i soggetti passivi IRPEF e IRES, titolari di reddito d’impresa,
tenuti ad applicare le disposizioni dettate per determinare la base imponibile
delle società ed enti commerciali (Sezione I, Capo II,
Titolo II del TUIR), nonchè i soggetti passivi IRPEF,
titolari di reddito d’impresa in regime di contabilità semplificata (i quali,
ai sensi dell’art.66 del TUIR, devono comunque
applicare, tra le altre, le disposizioni contenute nell’art. 90 del medesimo
D.P.R. 917/1986).
Come già anticipato in premessa, inoltre, anche gli
enti non commerciali rientrano nell’attuale disciplina con riferimento agli
immobili, non relativi all’esercizio di un’eventuale attività d’impresa dagli stessi esercitata, che vengano concessi in locazione
(per effetto del rinvio all’art.90, operato dall’art.144, comma 1, ultimo periodo, del TUIR - D.P.R. 917/1986,
aggiunto dall’art.7, comma 1, lett.b,
del D.L. 203/2005).
L’ambito oggettivo di riferimento è invece costituito
dagli immobili relativi all’impresa che, ai sensi dell’art.90
del TUIR, “non costituiscono beni strumentali per l’esercizio dell’impresa, nè beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta
l’attività dell’impresa” ed il cui reddito deve essere determinato applicando
le disposizioni valevoli per i redditi fondiari (Capo II, Titolo I, del TUIR - D.P.R. 917/1986).
L’operatività delle nuove disposizioni deve, quindi,
essere limitata ai fabbricati abitativi (classificati nel gruppo catastale
A[1], esclusa la categoria A/10) posseduti dalle imprese, che siano “patrimonializzati” (ossia
iscritti nell’attivo patrimoniale tra le “immobilizzazioni materiali”) e
concessi in locazione a terzi.
Non rientrano, invece, nella nuova previsione
normativa gli altri immobili relativi all’impresa, i quali, anche se locati a
terzi, partecipano comunque alla determinazione del reddito d’impresa, non
secondo i criteri valevoli per i redditi fondiari, ma, in generale, a
costi/ricavi/rimanenze in base alle risultanze contabili. Devono, pertanto,
ritenersi esclusi dall’ambito operativo della disposizione, oltre gli immobili
direttamente utilizzati nello svolgimento dell’attività (strumentali per
destinazione), anche:
- i fabbricati destinati alla vendita (beni merce).
L’esclusione opera anche per le abitazioni delle imprese edili destinate alla
vendita e temporaneamente concesse in locazione a terzi;
- i fabbricati non suscettibili di diversa
utilizzazione senza radicali trasformazioni che, ai sensi dell’art.43 del TUIR, sono comunque considerati strumentali
anche se concessi in locazione o comodato a terzi (si tratta, in
quest’ultimo caso, dei fabbricati cosiddetti “strumentali per natura”,
classificati nella categoria catastale A/10 o nei gruppi B, C, D ed E[2]).
Lo stesso principio deve intendersi valido anche per
i fabbricati locati da imprese di gestione immobiliare, tenuto conto che, come
precisato dall’Agenzia delle Entrate con
Anche per le imprese di gestione immobiliare, quindi,
la nuova modalità di determinazione del reddito imponibile riguarda
esclusivamente gli immobili “patrimoniali” abitativi concessi in locazione a
terzi.
Stante quanto sino ad ora
complessivamente osservato, quindi, tutti i titolari di reddito d’impresa e gli enti
non commerciali devono, relativamente ai fabbricati abitativi patrimonializzati e concessi in locazione, determinare il
reddito imponibile assumendo il maggiore tra:
• la rendita catastale rivalutata del 5%[3];
• il canone di locazione ridotto, nel limite del 15%
dello stesso, delle sole spese documentate, sostenute ed effettivamente rimaste
a carico per la realizzazione degli interventi di manutenzione ordinaria (di
cui alla lett. a, del comma 1, dell’art. 3 del DPR 380/2001).
2. Modalità applicative delle
nuove disposizioni
Per quanto riguarda le modalità di calcolo del
reddito imponibile relativo agli immobili patrimoniali concessi in locazione, è
da specificare che, ai fini del raffronto con la rendita catastale rivalutata
del 5%, il canone di locazione può essere ridotto, per espressa previsione
normativa (art.90, comma 1, ultimo periodo, del TUIR-D.P.R. 917/1986), delle sole spese sostenute per la
realizzazione degli interventi di manutenzione ordinaria, definiti dall’art.3, comma 1, lett.a, del D.P.R. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia).
Non possono, quindi, essere portate in riduzione dal
canone di locazione le spese relative ad altre tipologie di interventi edilizi
realizzati sui medesimi fabbricati, quali quelli relativi alla manutenzione
straordinaria, al restauro e risanamento conservativo o alla ristrutturazione
edilizia (di cui, rispettivamente, alle lett. b, c, d, dell’art.3, del D.P.R. 380/2001).
In particolare, ai sensi della citata norma del Testo
Unico dell’Edilizia, la manutenzione ordinaria consiste in interventi di
riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelli
necessari ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici
esistenti.
A titolo esemplificativo, rientrano in questa
definizione gli interventi di (cfr. C.M. 57/E/1998):
• sostituzione integrale o parziale di pavimenti e le
relative opere di finitura e conservazione;
• riparazione di impianti per servizi accessori
(impianto idraulico, impianto per lo smaltimento delle acque bianche e nere);
• rivestimento e tinteggiature di prospetti esterni
senza modifiche dei preesistenti oggetti, ornamenti, materiali e colori;
• rifacimento intonaci interni e tinteggiatura;
• rifacimento pavimentazione
esterne e manti di copertura senza modifiche ai materiali;
• sostituzione tegole e altre parti accessorie
deteriorate per smaltimento delle acque, rinnovo delle impermeabilizzazioni;
• riparazione balconi e terrazze e relative
pavimentazioni;
• riparazione recinzioni;
• sostituzione di elementi di impianti tecnologici;
• sostituzione infissi esterni e serramenti o
persiane con serrande, senza modifica della tipologia di infisso.
Inoltre, sempre per espressa previsione normativa, le
spese di manutenzione ordinaria, così individuate, possono essere portate in
diminuzione dal canone di locazione, solo nell’ipotesi in cui le stesse risultino “documentate ed effettivamente rimaste a carico”
dell’impresa locatrice (art.90, comma 1, ultimo
periodo, del TUIR).
È quindi necessario che le spese per tali interventi:
• siano sostenute dalla stessa impresa proprietaria
del fabbricato concesso in locazione, in deroga a quanto stabilito dall’art.1576 del Codice civile che, generalmente, pone a carico
dell’inquilino le spese di piccola manutenzione (quale è la manutenzione
ordinaria);
• siano adeguatamente comprovate per mezzo di
contratti, attestazioni di pagamento, fatture o ricevute fiscali.
Nel caso in cui anche solo una delle due condizioni
non venga soddisfatta (ad esempio, in presenza di un
contratto di affitto nel quale l’onere di eseguire interventi di manutenzione
ordinaria sull’immobile risulti a carico dell’inquilino), il reddito imponibile
riferito al fabbricato locato deve essere determinato assumendo il maggiore tra
l’intero importo del canone di locazione e la rendita rivalutata del 5%. Lo
stesso criterio, naturalmente, deve essere seguito in quei periodi d’imposta in
cui non vengano eseguiti lavori di manutenzione
ordinaria da parte dell’impresa proprietaria.
Per quanto riguarda, poi, il limite massimo di
riduzione del canone, pari al 15% dello stesso, è da evidenziare che la nuova
disposizione non stabilisce alcuna maggiorazione per gli immobili situati nel
comune di Venezia e nelle isole della Giudecca, di Murano e di Burano, come previsto, invece, dall’articolo 37, comma
4-bis, ultimo periodo, del TUIR - DPR 917/1986, ai fini della determinazione
dei redditi fondiari (che fissa al 25% la riduzione forfetaria del canone di
locazione per tali immobili).
Di conseguenza, anche per gli immobili relativi
all’impresa situati in tali comuni si rende applicabile il limite del 15%,
quale tetto massimo di abbattimento del canone di locazione (C.M. n.10/E del 13 marzo 2006).
Sulla modalità di calcolo, si propone il seguente
esempio numerico che riprende sostanzialmente quello fornito dall’Agenzia delle
Entrate nella citata Circolare n.10/E/2006:
Canone di locazione annuo - euro 20.000
Spese di manutenzione ordinaria - euro 3.500
Riduzione massima (15% X 20.000 euro) - euro 3.000
Spese non deducibili - euro 500
Canone di locazione ridotto delle spese di
manutenzione - euro 17.000
In base a questo esempio, quindi, ai fini della
determinazione del reddito imponibile riferibile agli
immobili patrimonio locati, dovrà essere assunto il maggiore tra
l’importo di 17.000 euro, corrispondente al canone di locazione ridotto delle
spese di manutenzione nel limite consentito, e l’ammontare derivante dalla
rendita catastale rivalutata del 5%.
Diversamente, le spese di manutenzione ordinaria
eccedenti, in un determinato periodo d’imposta, il limite del 15% del canone di
locazione (nell’esempio pari a 500 euro) non possono essere, in ogni caso,
riportate nel periodo d’imposta successivo, risultando così comunque
indeducibili (C.M. n.10/E del 13 marzo 2006).
Al riguardo, si evidenzia inoltre che, in
applicazione dei principi generali in materia di reddito di impresa, i redditi
degli immobili patrimoniali locati rilevano nel periodo di imposta in cui i
canoni di locazione si considerano conseguiti e le spese sostenute in base al
criterio di competenza stabilito dall’articolo 109,
commi 1 e 2, del TUIR - D.P.R. 917/1986.
Diversamente, per gli immobili (non relativi
all’impresa), concessi in locazione da parte degli enti non commerciali, le
spese sono ammesse in deduzione con il criterio di cassa (ossia avuto riguardo
alla data dell’effettivo pagamento delle stesse).
Con la citata Circolare n.10/E
del 13 marzo 2006, inoltre, l’Agenzia ha avuto modo di precisare che la nuova
disciplina rileva anche ai fini IRAP, per cui il
reddito di tali fabbricati, calcolato sulla base delle nuove regole, concorre
alla determinazione del valore della produzione netta da assoggettare a tale
imposta.
3. Decorrenza
Ai sensi del comma 2, dell’art.7,
del D.L. 203/2005 (convertito, con modifiche, dalla
legge 248/2005), le nuove disposizioni si applicano con riferimento ai canoni
di locazione conseguiti ed alle spese di manutenzione sostenute a partire dal
periodo d’imposta in corso alla data del 4 ottobre 2005 (data di entrata in
vigore dello stesso decreto legge).
Ciò implica che, per i soggetti con esercizio
coincidente con l’anno solare, i nuovi criteri risultano operativi già dal
periodo d’imposta 2005 e, come tali, da tenere in considerazione in sede di
predisposizione del Modello UNICO 2006.
Con la stessa decorrenza, le nuove disposizioni
assumono rilevanza per la determinazione del valore della produzione netta da
assoggettare ad IRAP.
4. Le altre spese ed oneri
connessi agli immobili-patrimoniali delle imprese
Con
In particolare, la questione sottoposta
all’attenzione dell’Agenzia era volta a chiarire se, tra i componenti negativi
indeducibili relativi a tali immobili (ai sensi del citato art.90, comma 2), dovessero ricomprendersi anche gli interessi passivi che l’impresa
corrisponde per i finanziamenti contratti per l’acquisto (cosiddetti “interessi
di finanziamento”) o per la manutenzione degli stessi fabbricati (cosiddetti
“interessi di funzionamento”).
Al riguardo, nella citata Circolare n.6/E/2006 (paragrafo 7.5), l’Agenzia, confutando tra
l’altro alcune pronunce ministeriali emanate in passato sulla stessa
problematica, ha affermato esplicitamente che il citato art.90,
comma 2, del D.P.R. 917/1986 “ha carattere speciale e derogatorio rispetto al
principio generale di inerenza dei componenti negativi di reddito” e che lo
stesso contiene “un divieto assoluto di deducibilità
di tutti i componenti negativi relativi agli immobili, compresi anche gli
interessi passivi ad essi relativi, sia di
funzionamento, sia di finanziamento”.
Con questo breve intervento, l’Amministrazione
finanziaria sembra così avere superato, in senso restrittivo, una delle
principali problematiche legate agli immobili patrimoniali delle imprese che,
nel corso del tempo, è stata oggetto di diversi interventi da parte della
stessa Amministrazione finanziaria, della dottrina e della giurisprudenza.
In particolare, l’Amministrazione finanziaria si era in passato espressa (cfr.
Risoluzioni ministeriali 3 giugno 1977, n. 9/903 e 9 gennaio 1980, n.9/1099) nel senso di considerare:
- deducibili gli interessi passivi “di finanziamento”, anche se concernenti l’acquisto degli
immobili o le spese di manutenzione straordinaria;
- indeducibili gli interessi passivi “di
funzionamento”, ossia quelli relativi a finanziamenti impiegati nella
manutenzione ordinaria degli immobili.
Sul punto è intervenuta, nel 2004, anche
l’Associazione dei Dottori Commercialisti di Milano che, con
In particolare, riprendendo quanto sostenuto, seppur
in diverso ambito, dall’Agenzia delle Entrate con
Con
Viene così sostanzialmente confermato dall’Agenzia
l’orientamento espresso, sia dalla Corte di Cassazione (Sentenza n.5501 del 7 giugno 1994), sia da una parte della dottrina[5] concorde nel considerare comunque indeducibili gli
interessi passivi relativi agli immobili “patrimoniali” delle imprese.
Nella successiva Circolare n.10/E/2006,
inoltre, l’Amministrazione finanziaria ha ribadito in generale che, ai sensi
del citato comma 2 dell’art.90 del TUIR - D.P.R.
917/1986 (che non ha subito modifiche da parte del D.L. 203/2005), le spese e gli altri componenti negativi riguardanti gli
immobili patrimoniali delle imprese non sono ammessi in deduzione, fatta
eccezione delle sole spese di manutenzione ordinaria che possono essere portate
in riduzione dal canone di locazione, nel limite del 15% dello stesso.
Complessivamente, quindi, a parere dell’Agenzia, la
norma pone un divieto assoluto di deducibilità di
tutti i costi (compresi gli interessi passivi, siano essi di “finanziamento” o
di funzionamento”) relativi a tali fabbricati. Sul punto, si ritiene comunque
necessario che l’Agenzia delle Entrate confermi un cambiamento di rotta così
radicale con un’apposita circolare che motivi in maniera più compiuta ed
esaustiva il nuovo orientamento, anche al fine di poter confutare la prescritta
indeducibilità degli interessi passivi in sede di
contenzioso tributario.
5. Conclusioni: scheda di sintesi
Per maggior semplicità, si ritiene opportuno fornire
un breve schema di sintesi (vedi Tabella) sulla modalità di determinazione del
reddito imponibile dei fabbricati patrimoniali delle imprese (diversi da quelli
strumentali e da quelli destinati alla vendita), alla luce delle modifiche
apportate in materia dal D.L. 203/2005 (convertito
dalla legge 248/2005) e tenuto conto di quanto sino ad ora complessivamente
osservato.
Abitazioni “patrimoniali” delle imprese: determinazione reddito imponibile |
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Disciplina previgente - art.90 e art.37,
c.4-bis, TUIR (sino al periodo d’imposta 2004) Reddito
imponibile = maggior valore tra: - rendita catastale rivalutata
del 5%; - canone di locazione ridotto
forfetariamente del 15% (25% per quelli siti a Venezia, Giudecca, Murano e Burano) |
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Concesse in locazione |
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Disciplina
vigente - art.90,
c.1, ultimo periodo TUIR (dal periodo d’imposta 2005) Reddito imponibile = maggior
valore tra: - rendita catastale rivalutata del 5%; - canone di locazione ridotto, sino ad un massimo del 15% dello
stesso, delle sole spese documentate, sostenute ed effettivamente rimaste a
carico per la realizzazione di interventi di manutenzione ordinaria |
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Non concesse in locazione (a disposizione) |
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(Art.90 e art.41 del TUIR) Rendita
catastale, rivalutata del 5% e aumentata di 1/3 |
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Le
spese e gli altri componenti negativi relativi a tali immobili, compresi gli
interessi passivi sia di “funzionamento” che di “finanziamento”, non sono
ammessi in deduzione (art.90, comma 2, TUIR-D.P.R. 917/1986; C.M. 6/E/2006; C.M. 10/E/2006). |
6. Determinazione del reddito
dei fabbricati locati da persone fisiche
Nessuna novità è intervenuta, invece, per quanto riguarda
i fabbricati concessi in affitto da persone fisiche non esercenti attività
commerciale, tenuto conto che le disposizioni previste dall’art.7 del D.L. 203/2005, convertito
dalla legge 248/2005 (ora contenute nell’art.90 del
TUIR - D.P.R. 917/1986) riguardano unicamente gli immobili patrimoniali
concessi in locazione da imprese e da enti non commerciali.
Per le persone fisiche continua, quindi, ad
applicarsi l’art.37, comma 4-bis, del
TUIR - D.P.R. 917/1986, stante il quale il reddito derivante dall’affitto
di fabbricati, che insieme agli altri redditi facenti capo al contribuente va
assoggettato ad IRPEF con l’aliquota marginale propria dello stesso, va
determinato assumendo il maggiore tra:
- la rendita catastale, rivalutata del 5%
- ed il canone di locazione ridotto forfetariamente
del 15% (del 25%, se l’immobile si trova a Venezia centro e nelle isole della
Giudecca, di Murano e di Burano).
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Note
[1] Gruppo catastale A: “Unità
immobiliari per uso abitazione o assimilabili”.
[2] Categoria A/10: “Uffici e
studi privati”; Gruppo catastale B: “Unità immobiliari per uso di alloggio
collettivo”; Gruppo catastale C: “Unità immobiliari a destinazione ordinaria
commerciale e varie”; Gruppo catastale D “Immobili a destinazione speciale”; Gruppo
catastale E: “Immobili a destinazione particolare”.
[3] La rivalutazione delle
rendite catastali nella misura del 5% è stata disposta dall’art.3, comma 48 della legge 662/1996, che stabilisce «Fino
alla data di entrata in vigore delle nuove tariffe d’estimo le vigenti rendite
catastali urbane sono rivalutate del 5 per cento ai fini dell’applicazione
dell’imposta comunale sugli immobili e di ogni altra imposta.».
[4] Nella Risoluzione n.178/E del 9 novembre 2001, seppure relativamente ad una
problematica non inerente in modo specifico gli immobili patrimoniali delle
imprese, l’Agenzia delle Entrate ha affermato, tra l’altro, che: «Gli interessi
che un’impresa corrisponde per finanziarsi rappresentano un costo che solo
astrattamente è riconducibile ad uno specifico impiego. Infatti, considerando
l’estrema fungibilità del denaro, l’individuazione di un nesso diretto tra
un’operazione di finanziamento e l’utilizzo delle risorse finanziarie generate
appare arbitraria. Anche quando l’impresa accende un finanziamento per
sostenere un determinato costo o per svolgere una particolare attività, non è
possibile individuare in modo assoluto un collegamento tra il flusso in entrata
di denaro e il corrispondente flusso in uscita. Inoltre, l’accensione di un
finanziamento libera eventuali diverse risorse finanziarie che l’impresa può
destinare ad altre attività. In questa ottica, gli interessi passivi, quali
oneri generati dalla funzione finanziaria, possono essere assimilati ad un
costo generale dell’impresa, cioè ad un costo che non può essere specificamente
riferito ad una particolare attività aziendale o ritenuto accessorio ad un
particolare onere.».
[5] Maurizio Leo, Felice Monacchi, Mario Schiavo “Le imposte sui Redditi nel Testo
Unico” - Giuffrè Editore 1996, pag. 1396 “....gli
interessi passivi afferenti ad immobili diversi da quelli strumentali e da
quelli alla cui produzione o scambio è diretta l’attività dell’impresa non sono
nè capitalizzabili, nè
deducibili.....considerato che, a norma del secondo comma dell’art.57 (del previgente DPR 917/1986,
ora art.90), le spese e gli altri componenti negativi
relativi a tali immobili non sono ammessi in deduzione in quanto gli immobili
stessi originano redditi fondiari”.