LA RIDUZIONE ALLA METÀ DEI TERMINI PROCESSUALI NON VALE PER L'IMPUGNAZIONE DEI BANDI DI GARA

(Consiglio di Stato - Sezione IV - Decisione 5-29 maggio 1998 n. 789)

 

1. La riduzione alla metà di tutti i termini processuali (sia di notificazione e deposito del ricorso, sia interni al processo), operata dall'articolo 19 del DL 25 marzo 1997 n. 76, convertito dalla legge 23 maggio 1997 n. 135, si applica ai soli, tassativi casi espressamente contemplati al comma 1 del citato articolo 19, e, pertanto, non può trovare applicazione nel caso dell'impugnazione di un bando di gara.

2. La pubblica amministrazione, una volta indetta una procedura di gara, non è vincolata a concluderla con l'aggiudicazione del contratto, ove a ciò si oppongano motivi di pubblico interesse, adeguatamente evidenziati in motivazione.

 

Fatto

Con atto notificato il 4 dicembre 1997, l'Impresa Raiola Ing. Angelo S.p.A., proponeva appello avverso la sentenza del T.A.R. per la Puglia, sez. II, n. 850 del 27 ottobre 1997, con cui veniva respinto il ricorso della medesima società avverso:

A) il bando di gara pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica - foglio inserzioni n. 21 del 27 gennaio 1997 - emanato dal Prefetto di Bari nella qualità di commissario delegato per l'emergenza socio economico ambientale nella regione Puglia, relativo a licitazione privata per l'appalto di lavori di costruzione di collettori intercomunali di fognatura:

B) del provvedimento implicito di diniego di aggiudicazione alla Impresa Raiola della precedente gara di appalto, (bando pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - foglio inserzioni n. 289 del 12 dicembre 1995), avente medesimo contenuto e svoltasi in data 25 gennaio 1996.

Si costituiva la prefettura di Bari deducendo l'infondatezza del gravame in fatto e diritto.

Con ordinanza collegiale n. 102 del 13 gennaio 1998, veniva respinta la domanda di sospensione della esecuzione della impugnata sentenza. La causa è passata in decisione all'udienza pubblica del 5 maggio 1998.

 

Diritto

L'appello è infondato.

1. Per una migliore intelligenza della vicenda in trattazione, in fatto giova premettere:

a) A seguito di bando di gara, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - foglio inserzioni n. 289 del 12 dicembre 1995, con verbale notarile rogato il 25 gennaio 1996, la commissione incaricata di procedere, a mezzo licitazione privata, alla individuazione della ditta cui affidare la realizzazione dei lavori di costruzione dei collettori di fognatura per il collegamento all'impianto depurativo centralizzato del Comune di Maglie degli abitati di alcuni comuni limitrofi, aggiudicava, provvisoriamente, alla Impresa I.G.M. di Gianfranco Maggiò S.a.S., l'appalto dei relativi lavori; al secondo posto della graduatoria si è classificata l'impresa Raiola ing. Angelo s.p.a., odierna appellante.

b) Con decreto del 27 febbraio 1996, il sub commissario prefettizio - delegato dal Prefetto di Bari nella qualità di commissario per l'emergenza socio economica ambientale nella regione Puglia, secondo l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri, 8 novembre 1994 - preso atto che l'impresa I.G.M. aveva dimostrato il possesso dei requisiti tecnici e finanziari prescritti dal bando di gara, aggiudicava definitivamente a quest'ultima l'appalto de quo.

Tale provvedimento, come esattamente rilevato dal giudice di prime cure, ancorché contenuto nel fascicolo di parte dell'Avvocatura distrettuale dello Stato depositato nella segreteria del T.A.R. Puglia in data 6 marzo 1997, non era investito da motivi aggiunti.

c) Con note del 20 giugno 1996 - prot. n. 4948/2 dell'Ente autonomo per l'acquedotto pugliese - e 26 novembre 1996 - prot. n. 1667/C.D. della Prefettura di Bari - veniva intimato alla Impresa I.G.M. di prestare cauzione definitiva al fine di stipulare il contratto di appalto.

d) Con decreto del 10 dicembre 1996 - prot. N. 1776/C.D. - in virtù del combinato disposto degli articoli 4, I comma, d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, e 332 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 All. F, il Prefetto di Bari, preso atto della mancata prestazione di idonea cauzione e dell'omessa stipula del contratto di appalto, dichiarava decaduta dall'aggiudicazione dei lavori, l'impresa I.G.M., stabilendo di indire nuova gara di appalto, con spese a carico di quest'ultima.

e) Con bando di gara pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica - foglio inserzioni n. 21 del 27 gennaio 1997 - emanato dal Prefetto di Bari sempre nella qualità di commissario delegato per l'emergenza socio economico ambientale nella regione Puglia, veniva indetta una nuova licitazione privata, di identico contenuto, per l'appalto dei lavori di costruzione dei medesimi collettori intercomunali di fognatura.

f) Avverso quest'ultimo atto, e nei confronti anche del diniego implicito di aggiudicazione della gara espletata il 25 gennaio 1996 all'impresa seconda classificata, è insorta la società Raiola, articolando in primo grado due distinte censure - riproposte in appello con il secondo e il terzo motivo di gravame - incentrate: 1) sulla violazione dell'articolo 30 del decreto legislativo 19 dicembre 1991, n. 406, sotto il profilo della omessa, ed asseritamente obbligatoria, aggiudicazione alla seconda classificata della gara di appalto, nel caso in cui l'aggiudicataria principale non abbia dimostrato il possesso dei requisiti economico-finanziari e tecnici di cui agli articoli 20 e 21 del citato decreto legislativo, nel termine di dieci giorni dalla comunicazione della aggiudicazione stessa: 2) violazione del principio di segretezza delle offerte di gara, per essere stata bandita una nuova gara, di identico contenuto, che consentirebbe ai partecipanti di conoscere l'offerta già presentata dalla Impresa Raiola.

2. Prioritario, anche in ordine logico, è l'esame del primo motivo di gravame, con cui l'appellante si duole della omessa applicazione, da parte del T.A.R. per la Puglia, dell'articolo 19 del decreto legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, nella legge 23 maggio 1997, n. 135.

Il giudice di primo grado ha escluso l'applicazione della precisata disposizione nel presupposto del carattere eccezionale delle previsioni ivi contenute, sicché, non essendo stato impugnato uno dei provvedimenti indicati nel primo comma dell'art. 19 cit., non troverebbero applicazione le disposizione processuali sancite dai commi successivi.

In relazione alle controversie sorte rispetto a provvedimenti di affidamento di incarichi di progettazione e ad attività tecnico amministrative connesse, a provvedimenti di aggiudicazione di opere pubbliche o di pubblica utilità, comprese le procedure di occupazione ed espropriazione delle aree ad esse destinate, questa norma detta una speciale disciplina diretta ad accelerare i tempi della decisione. Infatti, qualora il ricorso sia corredato da apposita istanza di sospensione del provvedimento impugnato, il giudice può decidere immediatamente non solo sulla misura cautelare, ma anche nel merito, risolvendo dunque definitivamente la controversia proposta al suo esame e redigendo una sentenza con parte motiva in forma abbreviata.

Inoltre, sempre rispetto ai ricorsi contro i suddetti provvedimenti, l'articolo in esame ha ridotto tutti i termini processuali della metà. Tale disposizione va applicata non solo ai termini interni al processo già instaurato, ma anche al termine per notificare il ricorso e a quello per depositarlo presso il giudice adito.

Al pari di quanto avvenuto in sede di interpretazione della normativa sulla sospensione estiva dei termini processuali (art. 1 legge 14 luglio 1965, n. 818 e art. 1 legge 7 ottobre 1969, n. 742), deve ritenersi che l'espressione "termini processuali" debba ricondursi tanto ai termini per esercitare i poteri sostanziali di proposizione dell'azione giurisdizionale, quanto a quelli più squisitamente attinenti all'iter del giudizio una volta che questo ha avuto effettivo inizio (cfr. Cons. giust. amm. 30 marzo 1995, n. 83; C.d.S., sez. V, 13 luglio 1994, n. 766; sez. VI, 5 dicembre 1992, n. 972).

Ciò premesso, nel caso di specie, il ricorrente non avrebbe motivo di dolersi del dimidiamento dei termini di notificazione del ricorso e del suo deposito in segreteria, in quanto all'evidenza, la decisione impugnata sarebbe ad esso più favorevole. Potrebbe, in astratto, lamentare il mancato rispetto del terzo comma dell'articolo 19, là dove impone la pubblicazione del dispositivo della sentenza mediante deposito in cancelleria, entro sette giorni dalla data dell'udienza, e, dappresso, il mancato rispetto del termine sempre dimidiato, (rispetto a quello ordinario di 45 giorni ex art. 55, u.c. legge 27 aprile 1982, n. 186), per il deposito della sentenza stessa.

Tali considerazioni non possono essere, però, condivise.

L'articolo 19 citato, non contiene alcuna comminatoria di nullità, per il caso di inosservanza delle disposizioni in esso contenute.

Con specifico riferimento alla violazione del termine per il deposito del dispositivo, il collegio osserva che il termine stesso è: legale, perché fissato dalla legge; finale, in quanto stabilisce il periodo entro cui l'atto deve essere compiuto; ordinatorio, perché la sua inosservanza non produce decadenza, che dovrebbe, viceversa, essere espressamente prevista dalla legge.

A tacere della opinione dottrinaria prevalente, secondo cui termini perentori non potrebbero mai configurarsi rispetto ad attività del giudice, neppure potrebbero estendersi i principi divisati dalla Corte di Cassazione, in tema di omessa lettura del dispositivo nel processo del lavoro, enucleati dall'articolo 429, primo e secondo comma, cpc (cfr. per tutti, Cassazione S.U. n. 1457 del 1992), giacché non potrebbe riscontrarsi, per quanto sopra detto, una fattispecie di nullità insanabile.

Per giunta, ove mai si dovesse accedere alla contraria tesi, tale nullità si convertirebbe in motivo di gravame, e dichiarata dal giudice d'appello non comporterebbe remissione della causa al primo giudice o pronuncia di mero rito, ma decisione nel merito da parte del giudice del gravame.

Ciò anche alla luce della interpretazione corrente della disposizione contenuta nell'art. 35, primo comma, legge 6 dicembre 1971 n. 1034 (che richiama nella sostanza il contenuto dell'art. 354, primo e secondo comma, cpc), secondo cui i difetti di procedura e i vizi di forma della decisione di primo grado, legittimanti il rinvio della controversia al tribunale amministrativo regionale, sono solo quelli afferenti ad irregolarità del processo o della decisione di primo grado per le quali quel giudizio in realtà può ritenersi come non avvenuto (cfr. sul carattere eccezionale del potere del giudice di appello di rimettere la causa al primo giudice, concretandosi in una deroga al principio per il quale i motivi di nullità si convertono in motivi di gravame C.d.S. AP. 17 ottobre 1994, n. 13).

3. Anche il secondo motivo di gravame è infondato e deve essere disatteso.

Premesso in linea di principio, che "la Pubblica Amministrazione, una volta indetta una procedura di gara, non è vincolata a concluderla con l'aggiudicazione del contratto, ove a ciò si oppongano gravi motivi di pubblico interesse" (cfr. da ultimo C.d.S. sez. VI 14 maggio 1997, n. 712), nella vicenda in esame, non appare violato l'articolo 30 del decreto legislativo n. 406 del 1991.

Tale disposizione si riferisce alla verifica dei requisiti finanziari e tecnici della impresa da dichiarare aggiudicataria in via definitiva: requisiti che devono essere dimostrati dalla impresa aggiudicataria provvisoria, nel termine di dieci giorni decorrente dalla comunicazione dell'avvenuta aggiudicazione. È da escludersi che tale termine nel silenzio del legislatore sul punto, possa essere qualificato come perentorio, secondo l'assunto della difesa appellante: ragion per cui non potrebbe discenderne l'automatica insorgenza, in capo alla seconda classificata, del diritto soggettivo alla aggiudicazione definitiva in luogo della prima classificata.

Inoltre, l'ambito della verifica dei requisiti di capacità economica e tecnica, da condursi secondo quanto prescritto dagli articoli 20 e 21 decreto legislativo 406 del 1991, lascia inalterata la sussistenza e, quindi, l'esercizio legittimo, del potere di cui al combinato disposto degli articoli 332 legge n. 2248 del 1865 All. F, e 4 d.P.R. n. 1063 del 1962, che attiene alla facoltà della amministrazione di indire un nuovo incanto, qualora l'aggiudicatario - si intende quello definitivo - sia decaduto dalla possibilità di stipulazione del contratto, per violazione del termine fissato dalla stazione appaltante, ovvero per mancata prestazione di idonea cauzione (cfr. Cass. sez. I, 14 maggio 1987, n. 4458).

Rimane inteso che tale facoltà, esercitata per il miglior perseguimento del pubblico interesse, andrà adeguatamente motivata, specie con riferimento alle ragioni che spingono a non preferire l'impresa seconda classificata.

Nel caso in esame, nessuna censura di difetto di motivazione è stata mai formulata.

4. Parimenti infondato si rivela il terzo ed ultimo motivo di appello.

L'indirizzo di questo Consiglio (cfr. sez. III, 11 febbraio 1997, n. 121/97; sez. IV, 13 ottobre 1986, n. 664), è fermo nel ritenere che il principio di segretezza delle offerte, affermato in connessione con la tutela del principio della par condicio, si riferisca alla sola gara cui partecipi l'aspirante aggiudicatario; esso "viene naturalmente meno nelle fasi successive, quando l'avvenuta apertura dei plichi comporti inevitabilmente la pubblicità di tutte le proposte avanzate dalle varie ditte interessate" (in senso analogo, sul carattere relativo del principio di segretezza delle offerte, cfr. Corte cost. 30 dicembre 1997, n. 447).

A fortiori tali considerazioni si rivelano corrette, nel caso di specie, in cui la pretesa violazione del principio di segretezza delle offerte, è riferita ad una distinta procedura di gara di appalto, ancorché avente identico contenuto rispetto alla precedente.

5. Conclusivamente, sulla scorta di tutte le argomentazioni dianzi illustrate, l'appello proposto deve essere respinto. Tuttavia, ricorrendo equi motivi, le spese del grado di giudizio possono essere compensate integralmente fra le parti.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta):

- respinge  l'appello proposto, e per l'effetto conferma la sentenza indicata in epigrafe;

- dichiara integralmente compensate fra le parti le spese del presente grado di giudizio.