La natura giuridica della denuncia di inizio attività è
stata oggetto, negli ultimi anni, di un acceso dibattito dottrinale e
giurisprudenziale. La questione, tutt’altro che teorica, rappresenta un
tassello di notevole importanza per l’espletamento dell’attività edilizia
svolta nel silenzio della P.A. e per la valutazione dei poteri in capo a
quest’ultima, dopo il decorso del termine per l’inizio dei lavori. In un primo
momento la giurisprudenza e la dottrina prevalente sembravano orientate nel
ritenere che la presentazione della Dia rivestisse il valore di mero atto
privato, inidonea a configurare gli estremi di un procedimento amministrativo.
La conseguenza più immediata a cui
si perveniva seguendo questa tesi era che, non essendo stata l’amministrazione
investita dell’esame del merito della richiesta, il silenzio eventualmente
serbato sulla denuncia non poteva considerarsi come un provvedimento di
accoglimento tacito della domanda medesima.
L’operato dell’amministrazione si limita, quindi, ad un
mero accertamento dei presupposti dichiarati nella Dia, in tal senso si è
espresso il Consiglio di
Stato, con la sentenza n. 4453/2002 dove ha affermato che la
“denuncia di inizio attività non ha valore di provvedimento nè lo acquista in
virtù del decorso del termine previsto per l’attività di riscontro della
pubblica amministrazione”.
Successivamente alcuni Tribunali Amministrativi hanno
aderito a tale interpretazione sottolineando come la denuncia di inizio
attività non possa essere assimilata ad un provvedimento amministrativo, in
quanto, sul piano soggettivo, non proviene da una pubblica amministrazione ma
da un soggetto privato e, su quello oggettivo, non costituisce esercizio di una
potestà pubblica ( T.A.R. Marche, 7 gennaio 2003, n. 315, T.A.R. Liguria, sez.
I, 22 gennaio 2003, n. 113 ).
In particolare, è stato fatto notare che, “ricevuta la
denuncia, l’amministrazione non deve assentire alcunchè” in quanto “è la legge
che conferisce al privato la titolarità del diritto che lo legittima ad
intraprendere autonomamente l’attività edilizia, senza l’intermediazione di
titoli ulteriori” (TAR Liguria, I, 22 gennaio 2003, n.
113).
Nessun provvedimento, quindi, nè espresso, nè tacito: “al silenzio tenuto dall’amministrazione a fronte di una
denuncia di inizio attività non può essere attribuito il valore nè di un tacito
atto di assenso all’esercizio delle attività denunciate dal privato, nè di un
implicito provvedimento positivo di controllo a rilevanza esterna”.
Ne consegue che è inammissibile il ricorso volto a far
dichiarare l’illegittimità del silenzio serbato dalla Pubblica amministrazione
su una denuncia di inizio attività e che, del pari, non possono costituire
oggetto di impugnativa gli effetti della Dia medesima (in tal senso si è
espresso il Consiglio di Stato nella sentenza n. 3916/2005).
Ciò comporta rilevanti conseguenze sul piano delle
tutele, da un lato infatti il Comune potrebbe adottare
i provvedimenti sanzionatori in ogni tempo, di modo che l’attività costruttiva
sarebbe a totale rischio del soggetto procedente, in evidente violazione del
principio della certezza delle situazioni giuridiche; dall’altro lato, inoltre,
il terzo che ritiene di essere leso dall’intervento edilizio, nella fase di
inizio della costruzione non avrebbe mezzi di tutela e quindi non potrebbe in
alcun modo impedire la realizzazione della stessa, potendo tutelare le proprie
ragioni solo a posteriori.
Proprio al fine di dare una risposta diversa alle
pressanti istanze di certezza giuridica avanzate dagli operatori, dai
proprietari e dalle stesse amministrazioni comunali, alcuni Tribunali
amministrativi, hanno aderito al diverso orientamento che riconosce alla Dia
natura provvedimentale.
Ciò in considerazione anche del fatto che l’ambito di
applicazione della Dia è stato, nel tempo, notevolmente ampliato sino a
comprendere anche opere edilizie di importante impatto sul territorio.
In particolare, una prima breccia è stata aperta sul tema
dai giudici liguri (TAR Liguria, sez. I, 113/2003) che,
pur continuando a rilevare nella Dia la mera natura di “atto soggettivamente ed
oggettivamente privato”, non suscettibile di essere impugnato in sede
giurisdizionale, le hanno conferito una dignità giuridica tale da consentire al
terzo leso a fronte della Dia di trovare tutela giurisdizionale per
l’illegittimità del comportamento dell’amministrazione comunale che, pur
nell’inesistenza dei requisiti fissati dalla legge per l’esecuzione delle
opere, non ha inibito l’avvio delle opere oggetto della Dia.
Proprio prendendo spunto da tali argomentazioni il TAR
Veneto (sez. II 20 giugno 2003 n. 3405), ha riconosciuto alla Dia la natura di
vero e proprio “titolo edilizio”, vale a dire di atto autorizzatorio
proveniente dalla Pubblica amministrazione.
In particolare, i giudici hanno affermato che, in presenza di tutti
i requisiti formali e sostanziali prescritti dalla legge, la domanda del
privato ha valore di autorizzazione tacita della Pubblica amministrazione,
atteso che non essendo prevista l’emanazione di alcun provvedimento, la domanda
stessa “tien luogo” dell’autorizzazione, vale a dire come un titolo edilizio
vero e proprio che si forma silenziosamente.
Il TAR Veneto ribadisce tale orientamento anche nella
successiva sentenza n. 4722/2003, ove, tra l’altro, sottolinea come in base
agli articoli 38 e 39 del T.U. edilizia venga estesa
anche agli interventi realizzati con
Ne deriva che non si può qualificare
Anche il Consiglio di Stato ha aderito a tale
interpretazione con la sentenza n. 6910/2004, ove ha sottolineato come la
previsione di un potere amministrativo di annullamento - concepibile di per sè solo con riferimento ad una fattispecie provvedimentale
e non anche ad un atto privato - porta a qualificare
Del pari, il TAR Lombardia, nella sentenza n. 380/2004,
ha equiparato
In entrambi i casi, infatti, è precluso all’interessato
di intraprendere i lavori fino a quando non sia decorso
infruttuosamente il termine previsto dalla legge per inibire l’effettivo inizio
degli stessi ovvero per il rilascio dell’esplicito titolo edilizio.
Nel caso della Dia si tratta di un comportamento
omissivo, vale a dire la mancata inibizione dei lavori dopo lo svolgimento
dell’attività istruttoria volta all’accertamento dei presupposti legittimanti
l’esecuzione degli stessi. Nel caso del permesso di costruire si tratta, al
contrario, di un comportamento attivo, consistente nell’emanazione del
prescritto titolo legittimante.
Tale orientamento riconosce al pubblico potere ( che si
manifesta con l’inerzia della P.A.) la capacità di costituire la situazione
giuridica in capo al privato, che sino ad allora poteva vantare un interesse
legittimo pretensivo.
Il dibattito sulla natura giuridica della denuncia di
inizio attività, pur essendo ancora aperto, sembra essersi indirizzato verso
una linea interpretativa omogenea, soprattutto alla luce delle modifiche
apportate alla legge 241/1990 dapprima con
Ha osservato in proposito il T.A.R. Abruzzo che con la
nuova formulazione dell’art. 19, legge 7 agosto 1990 n. 241, il legislatore ha
sostanzialmente qualificato
Secondo i giudici, infatti, alla luce delle modifiche
introdotte dapprima con la legge 15/2005 e poi con l’art. 3 del D.L. 35/2005,
si deve ritenere che
Tra l’altro, viene espressamente
riconosciuto all’Amministrazione lo specifico potere ‘‘di assumere
determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli artt. 21-quinquies e
21-nonies’’, qualora sia rimasta inerte dopo la presentazione della denuncia di
inizio attività.
In altri termini, la nuova disciplina ha precisato che,
ove non sia stata interdetta nei termini l’esecuzione dell’opera,
l’Amministrazione possa comunque esercitare i propri poteri di annullamento
(21-nonies), nel caso in cui l’opera non risulti conforme alle disposizioni
prescritte per la relativa realizzazione.
Tale orientamento è stato ribadito anche di recente dal
TAR Piemonte con la sentenza n. 1886/2005, ove i giudici hanno sottolineato
come proprio l’applicazione alla denuncia di inizio attività degli istituti di
autotutela induce a ritenere che il legislatore abbia voluto in tal modo
risolvere una volta per tutte la questione relativa
alla natura della Dia, qualificandola come titolo abilitativo edilizio, vale a
dire come vero e proprio atto autorizzatorio proveniente dalla pubblica
amministrazione.
Infatti, secondo il Tribunale, è possibile adottare
provvedimenti di autotutela da parte della pubblica amministrazione solo
laddove si intenda la denuncia di inizio attività quale provvedimento
amministrativo, vale a dire titolo abilitativo tacito, formatosi a seguito
della denuncia da parte del privato e del conseguente comportamento inerte
dell’amministrazione.
Si consolida quell’orientamento giurisprudenziale che, in
linea con quanto l’Ance ha da sempre sostenuto,
qualifica la domanda del privato, in presenza di tutti i requisiti formali e
sostanziali prescritti dalla legge, come provvedimento tacito della Pubblica
amministrazione