COMMENTO ALLE NOVITA’ INTRODOTTE DAL CODICE DEGLI APPALTI - D. LGS. N. 163/2006 - CIRCOLARE ANCE
L’Ance,
con una propria circolare, ha fornito l’esame ed il commento delle norme del
codice degli appalti (D.Lgs. n. 163/2006), che, a
partire dal 01 luglio, hanno introdotto sostanziali innovazioni e/o
semplificazioni, nella materia dei lavori pubblici, rispetto al precedente
assetto normativo.
In
generale il codice ha provveduto a razionalizzare il sistema previgente,
accorpando nel medesimo testo materie prima disciplinate da normative speciali,
quali i contratti relativi ai beni culturali, i lavori relativi alle
infrastrutture strategiche e gli appalti rientranti nei settori speciali.
Sul
piano sostanziale, il codice ha, in primo luogo, fornito un fondamentale
contributo interpretativo sul tema della ripartizione delle competenze
Stato-Regione in materia di lavori pubblici, nell’ottica di una corretta
razionalizzazione e suddivisione di competenze legislative. In secondo luogo,
il codice ha modificato profondamente, rispetto all’impostazione contenuta
nella precedente legge-quadro n. 109/1994, la disciplina relativa ad importanti
istituti, quali le procedure di gara, l’aggiudicazione, l’oggetto del
contratto, i criteri di aggiudicazione e la disciplina delle offerte anomale.
Infine,
sono stati introdotti, nel nostro ordinamento giuridico, istituti di
derivazione comunitaria, sostanzialmente nuovi rispetto all’assetto normativo
precedente, quali l’avvalimento, il dialogo competitivo, gli accordi quadro e
le aste elettroniche.
Rispetto
a tali ed altri contenuti del codice, senz’altro
significativi per gli operatori del settore, l’Ance ha predisposto un
articolato commento della nuova disciplina normativa, nella quale sono stati
evidenziati, di volta in volta, sia i profili innovativi, sia i profili di
dubbia interpretazione, fornendo, in tal caso, la posizione dell’associazione
in merito.
Si
ritiene, tuttavia, doveroso evidenziare che il codice costituisce, per molti
aspetti, uno strumento innovativo e complesso, rispetto al quale sarà dunque
necessario attendere
l’applicazione concreta, con il conseguente naturale emergere di specifiche
questioni interpretative, per poter cogliere la piena portata delle norme. L’Ance, pertanto, si riserva di fornire di volta in volta i
propri contributi di ulteriore approfondimento sulle singole tematiche, che
l’applicazione delle norme da parte degli operatori nel settore dei lavori
pubblici porterà in evidenza.
Si
ritiene opportuno pubblicare in questa sede solo le parti della circolare di
immediato interesse per le imprese associate, rimandando a fondo
pagina per la consultazione del testo integrale della circolare in
parola.
ANCE - ASSOCIAZIONE NAZIONALE COSTRUTTORI EDILI
“NUOVO CODICE DEGLI APPALTI PUBBLICI - Esame e commento del D.Lgs n.
163/2006” - Luglio 2006
PREMESSA
PARTE
I: PRINCIPI GENERALI
1.
Problema costituzionale
2.
Regolamento e capitolati
3.
Autorità di vigilanza sui contratti pubblici
4.
Sportello dei contratti pubblici
5.
Aggiudicazione provvisoria, definitiva e contratto
6.
Accesso agli atti
7.
I contratti misti
PARTE
II: APPALTI DEI SETTORI ORDINARI
Titolo
I: I contratti di rilevanza comunitaria
1.
Ambito di applicabilità del codice
2.
Opere a scomputo degli oneri di urbanizzazione
3.
Lavori in house
4.
Divieto di concessioni di committenza. Eccezioni. Centrali di committenza
5. Associazioni temporanee di imprese di tipo
orizzontale
6. Divieti di partecipazione alle gare e
controlli sui requisiti
7. Avvalimento
8. Oggetto del contratto. Attività progettuale
da parte delle imprese
9. Liberalizzazione della scelta tra appalti a
corpo e a misura
10. Procedure di gara
11. Procedure aperte e ristrette
12. Procedure negoziate
13. Il dialogo competitivo
14. L’accordo quadro
15. Le aste elettroniche
16. Criteri di aggiudicazione
17.
Offerta economicamente più vantaggiosa
18.
Criteri di individuazione delle offerte anomale
19. Verifica preventiva dell’interesse
archeologico in sede di progetto preliminare
20.
Disciplina specifica dei contratti sotto soglia
21.
Le concessioni di lavori pubblici
PARTE
III:
1.
Ambito di applicazione
2.
Soglie
3.
Esclusione
4.
Procedure di gara
5.
Pubblicità
6.
Qualificazione
7.
Appalti di importo inferiore alla soglia comunitaria
8.
Normativa comune ai settori ordinari
9.
Esecuzione dei lavori
PARTE
IV: CONTENZIOSO
1.
Accordo bonario e transazione come mezzo di risoluzione delle riserve
PARTE
V: DISPOSIZIONI DI COORDINAMENTO, FINALI E TRANSITORIE - ABROGAZIONI
1.
Norme transitorie
2.
Eventuale sospensione di alcuni istituti del codice fino al 1° febbraio 2007
PREMESSA
In
data 2 maggio 2006 è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163, contenente il nuovo codice degli appalti
pubblici, che razionalizza in un contesto organico l’intera materia, recependo
le direttive comunitarie 2004/17 e 2004/18 del 31 marzo 2004 e semplificando in
più punti le procedure, in aderenza alla delega
contenuta all’art. 25 della legge 18 aprile 2005, n. 62.
Caratteristica
di tale codice è l’unificazione, conformemente alle direttive comunitarie, in
un unico testo delle materie dei lavori pubblici, dei servizi e delle
forniture; ulteriore caratteristica è rappresentata dall’accorpamento nel
medesimo testo di materie riguardanti i lavori pubblici prima disciplinate da
normative speciali, quali i contratti relativi ai beni culturali, i lavori
relativi a infrastrutture strategiche e gli appalti rientranti nei c.d. settori
speciali.
Il
codice è suddiviso in 5 Parti, a loro volta suddivise in Titoli, Capi e
Sezioni, che seguono lo sviluppo sequenziale e logico dell’attuazione degli
interventi.
Di
seguito, si passa a commentare esclusivamente la materia degli appalti di
lavori pubblici, focalizzando l’attenzione sulle innovazioni e/o
semplificazioni introdotte dal codice rispetto al precedente assetto normativo.
Parte I: Principi generali
1. Problema costituzionale (omissis)
2. Regolamento e capitolati
È
previsto (art. 5) che lo Stato emani un regolamento di attuazione del Codice,
contenente una disciplina cogente in toto per le
amministrazioni e gli enti statali e cogente per tutti gli altri
soggetti appaltanti, limitatamente agli aspetti, di cui prima si è detto,
rientranti nella competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Dal
combinato disposto dell’art. 5, dell’art. 40, comma 2
e dell’art. 253, comma 3 si evince che il nuovo regolamento riguarderà sia la
disciplina attinente la programmazione, la progettazione, le procedure di gara,
l’esecuzione dei lavori, il collaudo, sia la qualificazione dei concorrenti; in
buona sostanza risulteranno accorpati in un unico testo normativo gli attuali
regolamenti n. 554/1999 e n. 34/2000. Il nuovo regolamento dovrà essere adottato entro
un anno dalla data di entrata in vigore del codice ed entrerà in vigore 180 giorni
dopo la pubblicazione (art. 253, comma 2); fino alla
sua entrata in vigore, continueranno ad applicarsi il regolamento n. 554/1999
ed il regolamento n. 34/2000 (art. 253, comma 3).
È
poi stabilito (art. 5, comma 8) che, con decreto del
Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sia adottato un capitolato
generale, contenente la disciplina di dettaglio dell’esecuzione del contratto,
per le amministrazioni statali. Nonostante la non felice dizione normativa che
impone che tale capitolato generale sia menzionato nel bando o nell’invito, è
da ritenere che esso, per le amministrazioni statali e per gli enti pubblici
nazionali alle stesse equiparati, abbia natura
regolamentare, e perciò trovi applicazione indipendentemente ed a prescindere
da un espresso richiamo negli atti di gara o contrattuali; inoltre, in ragione
della sua natura regolamentare, tale capitolato sarà soggetto alle norme
sull’interpretazione della legge, di cui agli artt. 12-14 delle disposizioni
preliminari al codice civile, anziché a quelle sull’interpretazione dei
contratti di cui agli artt. 1362-1371 cod. civ..
Per
le stazioni appaltanti diverse da quelle statali, è previsto che esse (art. 5,
commi 7 e 9) possano agire in due diversi modi: a) richiamare nei propri atti
di gara la disciplina del capitolato generale statale, che perciò in tal caso
assume natura negoziale ed è soggetto alle norme sull’interpretazione dei
contratti; b) adottare, con provvedimento del proprio organo deliberante un
capitolato generale, concernente la generalità dei propri contratti. È poi
prevista la possibilità che le stazioni appaltanti, sempre con proprio
provvedimento amministrativo, adottino capitolati
speciali tipo, contenenti la disciplina di dettaglio e tecnica di specifiche
forme contrattuali.
Sul
punto, è da notare che l’attuale capitolato generale, approvato con D.M. n.
145/2000, contiene la disciplina di figure di assoluta rilevanza
nell’esecuzione dell’appalto, quali, ad esempio, la disciplina delle varianti
in corso d’opera e della sospensione di lavori, le norme a tutela dei
lavoratori, la disciplina degli interessi per ritardato pagamento. Ora, se le
più importanti di tali figure risulteranno disciplinate dal nuovo regolamento
generale nulla quaestio; se, invece, ciò non avverrà, risulterà rimessa ai
singoli enti non statali la formulazione di una propria disciplina in ordine a
istituti che per la loro rilevanza dovrebbero avere trattamento omogeneo su
tutto il territorio nazionale. È perciò auspicabile che la parte più
sostanziale del D.M. n. 145/2000 venga ridisciplinata
nel nuovo emanando regolamento di attuazione del Codice.
In
ogni caso, fino all’adozione del nuovo capitolato generale (è da ritenere sia
di quello delle amministrazioni statali, sia di quello delle altre
amministrazioni), continua a trovare applicazione l’attuale capitolato
generale, approvato con D.M. 19 aprile 2000, n. 45.
Per
la verità, l’art. 253, comma 3, con formulazione non
particolarmente felice, afferma che, fino all’adozione del nuovo capitolato
generale, continua ad applicarsi quello approvato con D.M. n. 145/2000 “se
richiamato nel bando”. Tale ultima condizione sembra doversi considerare una
mera svista legislativa, posto che è impensabile che, nel caso di mancato
richiamo nel bando, restino prive di disciplina le fattispecie sopra ricordate,
oggi regolamentate dal D.M. n. 145/2000.
3. Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (omissis)
4. Sportello dei contratti pubblici (omissis)
5. Aggiudicazione provvisoria, definitiva e
contratto
Il codice (articoli 11 e 12) stabilisce espressamente
l’obbligo per gli enti di procedere all’approvazione dell’aggiudicazione
disposta dal seggio di gara o dalla commissione, così distinguendo tra
aggiudicazione provvisoria ed aggiudicazione definitiva, che ha luogo allorché
la prima sia stata approvata.
Le amministrazioni possono prevedere nei propri
ordinamenti il termine massimo entro cui l’organo di controllo deve procedere
all’approvazione ovvero al diniego dell’approvazione dell’aggiudicazione
provvisoria. Qualora nulla prevedano, detto termine si intende stabilito ipso
iure in 30 giorni.
Va sottolineata una erronea
impostazione normativa, laddove il termine per l’approvazione (vuoi che sia
stato fissato dall’ente nel proprio ordinamento, vuoi che sia di 30 giorni) viene
fatto decorrere “dal ricevimento dell’aggiudicazione provvisoria da parte
dell’organo competente” (e cioè l’organo di controllo deputato ad approvare);
detto ricevimento, infatti, viene a dipendere dalla maggiore o minore
tempestività con cui il seggio di gara trasmette gli atti all’organo di controllo, sicché la decorrenza del termine
non soltanto ha carattere incerto, ma potrebbe essere differita anche in modo
assai sensibile nei casi di inerzia nella trasmissione stessa. Più
correttamente la norma avrebbe dovuto far decorrere il termine da un atto di
data certa, che nel caso specifico non poteva che essere il verbale di
proclamazione dell’aggiudicazione provvisoria.
Inoltre, non si può sottacere l’approssimazione
legislativa, laddove rimette all’apprezzamento di ogni singolo ente la
determinazione, nell’ambito del proprio ordinamento, del termine massimo per
procedere all’approvazione, senza stabilire un limite invalicabile. Evidenti
esigenze di correttezza e trasparenza dell’azione amministrativa dovrebbero
indirizzare peraltro le amministrazioni a non discostarsi in modo significativo
dal termine di 30 giorni, operante ipso iure nel caso di mancata previsione.
L’approvazione dei risultati di gara, a seguito della
quale l’aggiudicazione da provvisoria diviene definitiva, costituisce momento
particolarmente importante e significativo, in quanto l’amministrazione,
attraverso il suo organo di controllo, ha un sufficiente margine di tempo per
verificare che la procedura si sia svolta legittimamente e conformemente a
tutte le disposizioni che la regolano; con la conseguenza che, ove l’organo di
controllo ravvisi irregolarità (per esempio, l’esclusione di un’impresa che avrebbe dovuto essere ammessa o, al contrario, l’ammissione
di un’impresa che avrebbe dovuto essere esclusa), assume un provvedimento di
diniego dell’approvazione. Ove il vizio rilevato investa l’intera procedura, la
gara dovrà essere ripetuta; ove, invece, investa situazioni specifiche, il
seggio di gara, in omaggio al principio di conservazione del procedimento,
dovrà essere riconvocato, per procedere a sanare la procedura dal vizio
rilevato, portandola a termine legittimamente.
Disposizione di particolare efficacia semplificatrice è
quella (art. 12, comma 1 ultimo periodo), secondo cui, decorso inutilmente il
termine previsto nell’ordinamento dell’amministrazione ovvero in mancanza di
questo il termine di 30 giorni, l’aggiudicazione si intende tacitamente
approvata; ha luogo, in altri termini, una particolare forma di
silenzio-assenso con effetti rilevanti sia per l’amministrazione, sia per
l’imprenditore. Gli effetti della disposizione sono quanto mai significativi,
in quanto in futuro eviteranno i casi, non di rado in passato intervenuti, nei
quali l’approvazione dell’aggiudicazione aveva luogo in tempi assai lunghi,
senza alcuna certezza per l’appaltatore.
È poi espressamente sancito (art. 11, commi 7 e 8) che
l’aggiudicazione definitiva non equivale all’accettazione dell’offerta e
diviene efficace soltanto dopo l’esito positivo della verifica del possesso da
parte dell’aggiudicatario dei requisiti prescritti negli atti di gara e
dichiarati in sede di domanda di qualificazione ovvero in sede di offerta. Una
volta divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva, le parti devono procedere alla
stipula del contratto entro 60 giorni da questa, e cioè entro 60 giorni
dall’esito positivo della verifica dei requisiti; ciò, pur nel silenzio della
norma, comporta che l’amministrazione debba comunicare all’aggiudicatario detta
avvenuta verifica positiva, sicché il predetto termine di 60 giorni decorrerà
da tale data certa dell’avvenuta comunicazione.
Qualora la stipula del contratto non abbia luogo nel
predetto termine, per fatto riconducibile all’amministrazione, l’aggiudicatario
può sciogliersi dai vincoli nascenti dall’aggiudicazione, mediante atto scritto
notificato all’amministrazione; è però stabilito che, in tal caso,
all’aggiudicatario non spetti alcun indennizzo, salvo il rimborso delle spese
sostenute per la partecipazione alla gara. Tale disposizione appare poco
comprensibile sul piano logico, perché di fatto dà
piena libertà all’amministrazione di non procedere neppure alla stipula del
contratto, sostenendo esclusivamente il rimborso delle esigue spese sostenute
dal soggetto che partecipa alla gara. Viene così di fatto superato il principio
(ineccepibile e costantemente affermato in giurisprudenza) secondo cui
l’aggiudicazione, in quanto contenente l’incontro delle volontà equivale, a
tutti gli effetti, al contratto.
A fronte di tale sostanziale libertà di comportamento
dell’amministrazione, è invece stabilito:
a. da un lato, che l’offerta
vincola l’appaltatore per il periodo indicato negli atti di gara e, in caso di
mancanza di tale indicazione, per 180 giorni dalla scadenza del termine stabilito
per la presentazione delle offerte (art. 11, comma 6); ciò sta a significare
che l’aggiudicazione deve aver luogo nel predetto termine, con la conseguenza
che ove ciò non avvenga il concorrente può ritenersi svincolato da ogni suo
obbligo.
b. dall’altro, che, una volta che
sia intervenuta nei termini l’aggiudicazione, l’appaltatore non può revocare la
sua offerta, sino alla scadenza del termine stabilito per la stipula del
contratto (art. 11, comma 7).
Il contratto non può essere stipulato prima del decorso
di 30 giorni dalla comunicazione ai controinteressati (e cioè agli altri
possibili aggiudicatari) del provvedimento di aggiudicazione definitiva; tale
disposizione sembrerebbe avere la finalità di mettere l’amministrazione in
condizione di valutare la fondatezza o meno di eventuali ricorsi dei
controinteressati, in modo da non procedere alla stipula del contratto, qualora
vi sia il fondato timore che il ricorso possa essere accolto. Tuttavia, la
norma risulta mal congegnata, visto che il termine per stipulare il contratto è
di 60 giorni ed analogamente il termine per impugnare è di 60 giorni decorrenti
dalla comunicazione dell’esito della gara.
Dalla lettura complessiva degli articoli 11 e 12 si
evince che il momento dell’approvazione dell’aggiudicazione è obbligatorio per
tutte le amministrazioni appaltanti; al contrario, è stabilito che le
amministrazioni possano prevedere anche l’approvazione del contratto, che
perciò è un momento soltanto eventuale. Ove prevista nel singolo ordinamento,
questa deve avere luogo nel termine ivi stabilito, ovvero in mancanza di
questo, nel termine di 30 giorni. Decorso il primo ovvero il secondo termine,
il contratto si intende tacitamente approvato.
6. Accesso agli atti
Risultano ribaditi i principi,
peraltro già pacifici nella prassi amministrativa, secondo cui il diritto di
accesso non è consentito: 1) nelle procedure aperte, relativamente
all’indicazione di tutti i soggetti che hanno presentato offerta, fino alla
scadenza del termine di presentazione delle offerte stesse; 2) nelle procedure
ristrette e nelle gare informali, in relazione all’indicazione dei soggetti che
hanno formulato richiesta di invito e dei soggetti che sono stati invitati,
prima della scadenza del termine di presentazione delle offerte stesse; 3) in
relazione alle offerte, prima dell’aggiudicazione definitiva, e cioè
dell’approvazione dell’aggiudicazione provvisoria. Quest’ultima prescrizione
indurrebbe a ritenere che l’atto impugnabile in sede giurisdizionale sia
unicamente l’aggiudicazione definitiva, posto che soltanto dopo questa è consentito il diritto di accesso; verrebbe così
superata un’annosa diatriba giurisprudenziale, in ordine all’impugnabilità
dell’aggiudicazione provvisoria, di quella definitiva o di entrambe.
Vengono poi espressamente esclusi
dal diritto di accesso: a) le informazioni fornite dagli offerenti, nell’ambito
delle offerte o delle giustificazioni, che costituiscano segreti tecnici o
commerciali, nonché gli aspetti riservati delle offerte stesse; b) i pareri legali;
c) le relazioni riservate del direttore dei lavori e dell’organo di collaudo
sulle riserve dell’appaltatore.
Peraltro, mentre per gli atti sub b) e c) il divieto di
accesso è assoluto, per quelli sub a), inerenti cioè gli aspetti delle offerte
coinvolgenti segreti tecnici o commerciali, il diritto di accesso è consentito
al concorrente che lo chiede “in vista della difesa in giudizio”. In tal modo,
di fatto, il divieto viene annullato, potendo comunque
accedere l’interessato ai documenti segreti, ove manifesti l’intendimento di
promuovere ricorso. Tale conclusione appare in realtà contraddittoria, perché
ove interpretata in tal senso avremmo una singolare disposizione che prima pone
un divieto perentorio e poi, di fatto, lo rende inefficace. Su tale presupposto,
può ipotizzarsi che residui un margine di discrezionalità dell’amministrazione,
nel valutare se effettivamente l’atto segreto sia
rilevante o meno ai fini della difesa in giudizio, consentendo l’accesso
soltanto in caso affermativo.
7. I contratti
misti (omissis)
Parte II: Appalti dei settori ordinari
Titolo I: I contratti di rilevanza comunitaria
1. Ambito di applicabilità del codice
Sostanzialmente immutato resta l’ambito di applicabilità
soggettivo della nuova normativa rispetto a quello stabilito dalla previgente.
In linea generale, è stabilito all’art. 32, comma 1 lettera a) che la normativa
del codice debba essere applicata da tutte le amministrazioni aggiudicatrici,
intendendosi con tale definizione (art. 3, commi 25 e 26) le amministrazioni
statali, gli enti pubblici territoriali, ogni altro ente pubblico, nonché
infine gli organismi di diritto pubblico. Tale ultima nozione
risulta, come peraltro nel precedente ordinamento, di portata essenziale ed
onnicomprensiva, in quanto identifica qualsiasi organismo, avente anche forma
privatistica, e perciò societaria, che risponda alle tre seguenti
caratteristiche: a) sia dotato di personalità giuridica; b) abbia la finalità
di perseguire interessi collettivi e perciò non abbia alcuna connotazione
industriale o commerciale; c) sia finanziato in modo maggioritario da soggetti
pubblici ovvero sia soggetto al controllo di questi ovvero, infine, abbia un
organo di amministrazione costituito da membri dei quali più della metà sia di
designazione da parte dei medesimi soggetti pubblici.
2. Opere a scomputo degli oneri di urbanizzazione
Il codice, su tale delicata materia, ha apportato
innovazioni rilevanti sul piano pratico della semplificazione ed accelerazione
degli interventi, considerati i limiti imposti dall’Unione Europea, a seguito
della sentenza della Corte di Giustizia n. 399/1998 e del parere della
Commissione n. 2182/2001. Secondo queste ultime, allorché il titolare del
permesso a costruire un’opera privata assume l’obbligo di eseguire opere di
urbanizzazione, in luogo del pagamento del contributo dovuto per il rilascio
del permesso, deve rispettare la disciplina pubblicistica, costituendo le opere
di urbanizzazione opere pubbliche a tutti gli effetti. Più in particolare,
detto orientamento riguarda non soltanto le opere di urbanizzazione sopra
soglia, ma anche quelle sotto soglia, relativamente alle quali peraltro si
ritiene sufficiente l’applicazione dei principi generali del Trattato in
materia di imparzialità e concorrenza.
La rigida applicazione di tali principi, nel nostro
ordinamento, determinerebbe alcune controindicazioni, perché obbligherebbe
sempre e comunque il titolare del permesso a costruire ad appaltare a terzi le
opere di urbanizzazione con tutte le disfunzioni in termini logistici,
funzionali e temporali, conseguenti la coesistenza di due diverse imprese
relativamente alla realizzazione di opere strettamente correlate.
Il nostro legislatore ha, perciò, tentato di contemperare
i principi comunitari con le esigenze di snellezza, connaturate alle modalità
di realizzazione di opere rientranti nella categoria dell’edilizia privata,
stabilendo particolari modalità di esecuzione delle opere a scomputo, a seconda
che si tratti di opere di urbanizzazione primaria e secondaria e a seconda che
l’importo di queste si collochi al di sotto o al di sopra della soglia
comunitaria. Per comodità, si ricorda che le opere di urbanizzazione primaria
sono quelle interconnesse, funzionalmente e fisicamente, all’edificio
principale (fognature, rete idrica, parcheggi, strade residenziali etc.),
mentre sono secondarie quelle aventi una loro netta autonomia, anche se al
servizio dell’assetto urbanistico nel quale l’edificio deve sorgere (asili,
scuole, mercati etc.) (legge 29.9.1964 n. 847).
Le due disposizioni che disciplinano le opere a scomputo
sono l’art. 122, comma 8 e l’art. 32, comma 1, lett.
g).
In base alla prima di dette norme, relativamente alle
opere sotto soglia, il titolare del permesso a costruire ha facoltà di eseguire
direttamente le opere di urbanizzazione primarie correlate al singolo
intervento assentito.
La portata semplificatrice di tale norma risulta
evidente, considerato che il paventato obbligo di dover appaltare a terzi le
opere di urbanizzazione primaria avrebbe determinato, come si è detto,
lungaggini, disfunzioni operative ed organizzative, nonché confusione di ruoli.
La soluzione legislativa ora detta risulta, perciò, non
soltanto utile sul piano dell’opportunità, ma anche corretta
giuridicamente, proprio perché si ispira
al principio generale comunitario (art. 31, punto 1, lett. b, direttiva
n. 2004/18), che consente l’affidamento diretto all’esecutore dei lavori
principali, nei casi in cui, per ragioni di natura tecnica, l’appalto ulteriore
(nel nostro caso le opere di urbanizzazione) possa esser affidato unicamente ad
un operatore determinato.
Per quanto concerne, invece, le opere di urbanizzazione
primaria e secondaria sopra soglia e quelle secondarie sotto soglia,
il legislatore a seguito degli indirizzi espressi dall’Unione europea ha
contemperato la tutela della concorrenza con la possibilità del titolare del
permesso a costruire di eseguire direttamente dette opere.
In tal senso, l’art. 32, comma 1, lett. g) ha previsto,
rimettendone la scelta all’amministrazione, la seguente alternativa:
1. l’applicazione del codice, e
perciò l’appalto a terzi delle opere di urbanizzazione da parte
dell’amministrazione, mediante procedura ad evidenza pubblica;
2. una
procedura, modellata sulla
falsariga del project financing,
in base alla quale il titolare del permesso a costruire assume veste di
promotore, elabora la progettazione preliminare delle opere di urbanizzazione,
indice una gara sulla base di questa e, successivamente, ha facoltà di
esercitare il diritto di prelazione nei confronti dell’aggiudicatario,
corrispondendogli il valore del 3% dell’ammontare dell’appalto ed assumendo, in
tal caso, il diritto ad eseguire dette opere.
Non risulta previsto nella norma, in base a quali criteri
l’amministrazione possa optare per l’appalto pubblico
direttamente da essa bandito ovvero per l’attuazione della predetta procedura
fondata sul promotore. Nel silenzio normativo, sembra doversi ritenere che
l’amministrazione sia soggetta ai principi generali che regolano l’azione
amministrativa e possa, perciò, optare discrezionalmente per l’una o per
l’altra forma, a seconda che le circostanze specifiche del caso facciano
ritenere l’una o l’altra più conforme agli interessi perseguiti di celere
realizzazione degli interventi.
Dal punto di vista procedurale, il
privato, una volta acquisito il permesso a costruire (e sempre che
ovviamente l’amministrazione, nello stesso, abbia deciso di avvalersi della
procedura del promotore), entro 90 giorni dal rilascio di questo, deve presentare
all’amministrazione la progettazione preliminare delle opere di urbanizzazione.
Il predetto termine di 90 giorni non sembra avere carattere perentorio, sicché
dalla sua inosservanza non deriva alcun automatico effetto decadenziale, ma
naturalmente è salva la potestà dell’ente pubblico di mettere in mora il
privato, ingiungendogli a pena di decadenza il rispetto di un termine
ulteriore; infine, deve ritenersi consentito che l’amministrazione preveda
l’automatica decadenza, nel caso di mancata presentazione della progettazione
preliminare entro 90 giorni, per cui in tal caso tale
termine assume carattere perentorio. In ogni caso di decadenza,
l’amministrazione non ha altra via che procedere direttamente all’indizione di
gara pubblica per l’appalto delle opere di urbanizzazione.
Pur nel silenzio della norma, è da ritenere che
l’amministrazione debba approvare la progettazione preliminare ad essa presentata e, di conseguenza, possa eventualmente
richiedere integrazioni o aggiustamenti alla stessa. Quanto alle modalità di
gara, poiché la stessa è bandita sulla base della progettazione preliminare, è
da ritenere che essa debba avere luogo, di massima, con il criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa, nel contesto del quale i
concorrenti siano tenuti ad elaborare e presentare, unitamente agli altri
elementi dell’offerta, la progettazione definitiva delle opere.
Lo svolgimento dell’intera procedura di gara, a partire
dal bando e fino all’aggiudicazione, è attribuita alla competenza del
promotore; non è detto se l’esito della gara sia soggetto all’approvazione
dell’amministrazione, per cui è da ritenere che
quest’ultima possa riservarsi, nel contesto del permesso a costruire o comunque
in altro atto amministrativo, tale potere. Una volta conclusa la gara con
l’aggiudicazione definitiva, il promotore può esercitare, entro 15 giorni
dall’aggiudicazione (termine da ritenere perentorio, perché posto a garanzia
della posizione dell’aggiudicatario), diritto di prelazione nei confronti
dell’aggiudicatario, ma alla condizione che tale facoltà sia stata
espressamente indicata nel bando di gara.
Ne consegue che, ove il diritto di prelazione non sia previsto nel bando ovvero pur essendo previsto il
promotore non intenda esercitarlo, l’aggiudicatario eseguirà le opere con
corrispettivo a carico del promotore titolare del permesso a costruire, con cui
stipulerà il relativo contratto. Al contrario, qualora il promotore eserciti il
diritto di prelazione, acquisisce il diritto ad eseguire direttamente le opere
di urbanizzazione, ma in tal caso è tenuto a corrispondere all’aggiudicatario
il 3% del valore dell’appalto aggiudicato, e cioè al netto del ribasso
formulato in sede di gara. In ogni caso, l’esecuzione delle opere di
urbanizzazione, in quanto considerate dalla norma lavori pubblici ad ogni
effetto, è soggetta ai controlli da parte dell’amministrazione, stabiliti dalla
legislazione speciale, e comunque alla normativa sugli appalti pubblici che
dovrà essere richiamata nel relativo atto contrattuale.
Non si può in questa sede disconoscere come la
regolamentazione sopra esposta dia luogo a non pochi dubbi interpretativi, per cui è auspicabile che, nel termine dei due anni
stabilito dalla legge n. 62/2005 per eventuali miglioramenti normativi al
codice, si dia luogo ai necessari aggiustamenti, onde rendere la disciplina
completa e precisa anche nei dettagli.
Per quanto riguarda, infine, le opere di urbanizzazione
secondaria sotto soglia (per le quali, come si è visto sopra, il codice impone
la procedura di gara mediante promotore) va segnalata la norma transitoria di
cui all’art. 253, comma 8, secondo cui detta nuova
procedura di gara non si applica alle opere di urbanizzazione secondaria
relativamente alle quali i provati, titolari del permesso di costruire, abbiano
già assunto nei confronti dell’amministrazione comunale, alla data di entrata
in vigore del codice, e cioè alla data del 1° luglio 2006, l’obbligo di
eseguire detti lavori direttamente a scomputo degli oneri di urbanizzazione. In
tal caso, dunque, il momento discriminante in ordine all’applicabilità della
nuova disciplina è costituito non dalla convenzione tra Comune e privato, ma
semplicemente dalla formalizzazione dell’obbligo di eseguire direttamente i
lavori di urbanizzazione secondaria da parte di quest’ultimo.
3. Lavori in house (omissis)
4. Divieto di concessioni di committenza.
Eccezioni. Centrali di committenza (omissis)
5. Associazioni temporanee di imprese di tipo
orizzontale
Sotto il vigore della previgente legislazione,
generalmente si riteneva che le Ati di tipo orizzontale potessero concorrere,
non soltanto agli appalti per i quali veniva richiesta
un’unica categoria, ma anche a quelli per i quali era richiesta una pluralità
di categorie. In quest’ultimo caso, si riteneva che l’Ati orizzontale dovesse,
nel suo complesso, soddisfare tutte le categorie e relativi importi richiesti.
Conseguenza di ciò era che ad un appalto composto da
più categorie potessero concorrere sia associazioni verticali, sia associazioni
orizzontali, determinandosi per le prime l’effetto della solidarietà
esclusivamente per la mandataria e per le seconde per tutte le associate.
L’art. 37, comma 1 ultima parte del codice stabilisce
ora, in modo preciso, che per raggruppamento orizzontale si intende una
riunione di concorrenti finalizzata a realizzare i lavori della stessa
categoria. Da tale disposizione sembra desumersi che, d’ora in avanti, non è
più consentito che Ati di tipo orizzontale concorrano
ad appalti comprendenti non soltanto la categoria prevalente, ma anche categorie
scorporate. In questa ipotesi, la partecipazione dovrebbe perciò ritenersi
limitata alle Ati verticali, nelle quali la mandataria assume l’esecuzione
della parte principale e le mandanti delle parti indicate come scorporate.
Tale impostazione appare, in linea di principio,
condivisibile e sembra rispondere a logica e chiarezza, perché reintroduce una
linea distintiva ben definita tra appalti che possono essere assunti da Ati
orizzontali e appalti che possono essere assunti da Ati verticali.
6. Divieti di partecipazione alle gare e controlli
sui requisiti
In tema di divieti di partecipazione alle gare, il codice
contiene alcune significative innovazioni.
È ribadito il divieto di partecipazione alla stessa gara
di soggetti che si trovino tra loro in una delle
situazioni di controllo ex art. 2359 c.c.. In aggiunta a tale divieto, viene
legislativamente recepito (art. 34, comma 2, parte 2°) il consolidato indirizzo giurisprudenziale,
secondo cui non possono concorrere alle gare soggetti riconducibili ad un unico
centro decisionale (stessi amministratori, stessa sede, elementi quali per
esempio stesse modalità di formulazione delle offerte, tali da indurre a
ritenere che provengano dallo stesso soggetto etc.).
La norma, molto opportunamente, specifica il criterio cui
deve ispirarsi la stazione appaltante nell’assumere il provvedimento di
esclusione, in quanto dispone che la riconducibilità ad un unico centro
decisionale deve essere accertata dall’ente appaltante sulla base di “univoci
elementi”. Viene così stabilito un preciso limite alla
discrezionalità dell’amministrazione, che può esercitare il potere di
esclusione, solo allorché disponga di elementi significativi che non lascino
margini di dubbio sul “collegamento sostanziale” tra i concorrenti.
Il nuovo codice, invece, non risolve (e in verità avrebbe
potuto farlo agevolmente) il problema della partecipazione alla stessa gara del
consorzio stabile e dei suoi consorziati. Permane in proposito una
contraddizione normativa, visto che l’art. 36, comma 5
vieta la partecipazione alla stessa procedura di gara del consorzio e di tutti
i suoi consorziati, mentre l’art. 37, comma 7, seconda parte, vieta la
partecipazione esclusivamente ai consorziati, per i quali il consorzio concorre
e che perciò eseguiranno i lavori. Sul punto, va ricordato un pregevole
indirizzo giurisprudenziale (Cons. St. IV 4.2.2003 n.
560; TAR Sardegna, sez. I n. 1445 del 20.6.2005), che ritiene il divieto
circoscritto soltanto ai consorziati per i quali il
consorzio concorre, sulla base del principio di conservazione di cui all’art.
1367 c.c., per effetto del quale, ove il divieto non lo si intendesse
circoscritto ai consorziati esecutori dei lavori, la disposizione che preclude
soltanto a loro di concorrere di fatto non avrebbe alcun senso. Anche
l’Autorità di vigilanza si è espressa in tal senso con determinazione n. 11 del
9.6.2004. Peraltro, sia la giurisprudenza, sia l’Autorità hanno posto, tra gli
argomenti decisivi a sostegno della predetta tesi, il rilievo che la norma meno
restrittiva (quella cioè che preclude la partecipazione soltanto alle imprese per cui il consorzio concorre) era stata introdotta nel
contesto della legge n. 109/1994 successivamente a quella più restrittiva
(infatti, quest’ultima era stata introdotta con la legge n. 216/1995 e l’altra
con la legge n. 415/1998). Questo importante argomento oggi risulta in qualche
modo sminuito dalla circostanza che entrambe le disposizioni, tra loro
contraddittorie, sono ribadite nell’ambito di un unico codice. Tale rilievo, ad
avviso di questa associazione, impone cautela, in ragione del fatto che l’art. 36, comma 5 stabilisce perentoriamente una severa
sanzione penale (turbativa d’asta) proprio in relazione alla contestuale
partecipazione alla stessa gara del consorzio stabile e di tutti i suoi
consorziati. Sul punto, non può che auspicarsi un chiarimento in sede di
circolare da parte del Ministero ovvero di determinazione da parte
dell’Autorità, che consenta certezza di comportamenti da parte degli operatori
economici del settore.
Alcune significative innovazioni risultano introdotte,
relativamente ai requisiti di ordine generale dei concorrenti e alla
conseguente esclusione degli stessi dalla gara per effetto del mancato possesso
di detti requisiti (art. 38).
Innanzitutto, va notato che i divieti vengono
espressamente estesi anche ai subappaltatori, il che indurrebbe a ritenere che,
all’atto della richiesta di autorizzazione, l’appaltatore debba fornire
all’amministrazione dichiarazioni sostitutive del subappaltatore, circa
l’assenza di tali cause di esclusione in capo al subappaltatore stesso e che
l’amministrazione comunque abbia titolo per procedere alle verifiche, in ordine
alla veridicità delle dichiarazioni (art. 38, comma 3).
Per quanto concerne le specifiche cause di esclusione,
risultano introdotte le seguenti innovazioni:
1. dalle procedure concorsuali (fallimento, liquidazione
coatta etc.), quali cause di esclusione, è stata eliminata l’amministrazione
controllata. Tale modifica è pienamente condivisibile, considerato che finalità
dell’amministrazione controllata è proprio il risanamento dell’impresa che si
trovi in uno stato di temporanea difficoltà economica (e non di insolvenza
generalizzata) e presuppone evidentemente la continuazione dell’esercizio dell’impresa,
finalità queste che verrebbero totalmente vanificate
ove venisse preclusa la possibilità di assumere ulteriori appalti;
2. per quanto concerne la causa di esclusione inerente la pendenza di un procedimento per l’applicazione di misure
di prevenzione ai sensi della legge n. 1423/1956, viene esplicitato (per quanto
in via interpretativa generalmente si perveniva comunque a tale conclusione)
che essa opera anche nei confronti del convivente della persona sottoposta al
procedimento.
3. viene chiarito che
costituiscono causa di esclusione anche i decreti penali di condanna divenuti
irrevocabili. Inoltre, sia per quanto concerne questi ultimi, sia per quanto
concerne le sentenze passate in giudicato, sia infine i patteggiamenti viene stabilito che essi debbano riguardare “reati gravi in
danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale”.
Tale dizione normativa, rispetto al testo dell’art. 75 del D.P.R. n. 554/1999
introduce due nuovi elementi: innanzitutto, il reato deve avere carattere di
gravità; in secondo luogo, deve trattarsi di reati che, in senso lato e
atecnico, abbiano arrecato un danno allo Stato o alla Comunità europea.
Resterebbero, perciò, fuori dalla portata della causa
di esclusione quei reati che, ancorché gravi, abbiano determinato danni
esclusivamente a persone fisiche. Viene chiarito che
comunque costituiscono cause di esclusione tutti i reati di partecipazione ad
organizzazioni criminali, nonché quelli di corruzione, frode e riciclaggio,
secondo la definizione dell’art. 45 della direttiva 2004/18.
4. per quanto concerne la grave negligenza o la malafede
nell’esecuzione del contratto, viene chiarito che
queste, per assurgere a causa di esclusione, debbano essere oggetto di adeguata
motivazione da parte della stazione appaltante, che perciò ha l’onere di
assumere un provvedimento formale, nel quale dia conto dell’esistenza
dell’inadempienza e della sua gravità. Inoltre, la formulazione complessiva
della disposizione conferma che la causa di esclusione può essere fatta valere
esclusivamente dalla stazione appaltante nei cui confronti ha avuto luogo
l’inadempimento. La disposizione aggiunge, quale causa di esclusione, l’errore
grave commesso nell’esercizio dell’attività professionale, senza specificare
che questa può essere fatta valere esclusivamente da parte dell’ente appaltante
nei cui confronti l’errore è commesso; la norma suscita qualche perplessità,
considerato che la nozione di errore grave, concettualmente, rientra in quella
più ampia ed onnicomprensiva di “grave negligenza”. D’altra parte, sul piano
logico, avrebbe poco senso trattare due fattispecie sostanzialmente analoghe (e
cioè la grave negligenza e l’errore grave) in modo totalmente disomogeneo. Su
tali presupposti, sembra potersi sostenere che l’intera fattispecie di cui
all’art. 38 lettera f) concerne cause di esclusione, che possono essere fatte
valere soltanto dall’ente appaltante nei cui confronti hanno avuto luogo i
comportamenti in questione.
5. per quanto riguarda le violazioni concernenti i contributi
previdenziali ed assistenziali, è stabilito che esse debbano essere
“definitivamente accertate” (l’art. 75 lettera e) del D.P.R. n. 554/1999
stabiliva che esse dovessero essere “debitamente
accertate”). La nuova formulazione induce a ritenere che, qualora venga instaurato contenzioso giurisdizionale, perché la
causa di esclusione possa divenire operante, debba attendersi che la questione
passi in giudicato.
6. vengono introdotte
espressamente, quali cause di esclusione (ancorché non si dubitasse della loro
rilevanza), sia la circostanza di non essere in regola con la normativa sui
disabili di cui alla legge n. 68/1999, sia la circostanza di essere incorsi
nella sanzione interdittiva, consistente nel divieto a contrattare con la
pubblica amministrazione, per reati commessi da amministratori o dipendenti
dell’impresa, ai sensi della legge n. 231/2001.
Relativamente a tutte le cause di esclusione, viene chiarito che il concorrente può attestare la loro
assenza mediante dichiarazione sostitutiva, ai sensi del D.P.R. n. 445/2000.
Viene ribadito che le amministrazioni
procedono d’ufficio per i concorrenti (è da ritenere con metodo a campione)
agli accertamenti, in ordine alla veridicità delle dichiarazioni presentate, ai
sensi degli artt. 43 e 71 del D.P.R. n. 445/2000; procedono sempre a tali
accertamenti relativamente all’aggiudicatario. Per quanto concerne la
regolarità contributiva dell’aggiudicatario, non ha luogo l’accertamento
d’ufficio, in quanto quest’ultimo ha l’obbligo di presentare la certificazione
di regolarità contributiva (documento unico di regolarità contributiva).
L’articolo 48 conferma la disposizione di cui all’art.
10, comma 1 quater della legge n. 109/1994, circa la verifica nel corso del
procedimento di gara, dei requisiti di capacità tecnico-economica,
relativamente al 10% degli offerenti. È da osservare che la norma parla
specificamente di “requisiti di capacità economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa” e questi, a seguito dell’entrata in vigore del sistema
delle certificazioni SOA, vengono richiesti in
occasione di ogni gara, in base agli artt. 3, comma 6 e 28
del D.P.R. n. 34/2000, soltanto per gli appalti superiori ad euro 20.658.276,00
(requisito del fatturato) e per gli appalti inferiori ad euro 150.000 (lavori
eseguiti, costo del personale e adeguata attrezzatura tecnica). Di conseguenza,
la disposizione in argomento ha portata limitata, in quanto trova applicazione
esclusivamente nei casi in cui l’amministrazione richiede, nella singola gara,
specifici requisiti tecnici ed economici (così ad esempio, oltre che nei casi
citati, anche in materia di beni culturali).
Assai approssimativa ed imprecisa risulta la formulazione
dell’art. 51, che prevede l’ipotesi di cessione di azienda, trasformazione,
fusione etc. da parte dei soggetti partecipanti alla gara e stabilisce che, in
tal caso, essi sono comunque ammessi alla gara, previo accertamento sia dei
requisiti di ordine generale, che dei requisiti di ordine speciale. La norma ha
un senso concreto e logico, soltanto se la si intende
nel senso precedentemente delineato dall’art. 35, comma 4 della legge n.
109/1994, e cioè nel senso che, nelle more della voltura della certificazione
SOA da parte del cedente al cessionario, quest’ultimo può concorrere alla gara,
presentando l’atto notarile di cessione, affitto, fusione etc.,
nonché il certificato SOA del cedente e dimostrando i propri requisiti di
ordine generale. Ne consegue che, laddove la disposizione fa riferimento
all’esigenza di accertamento dei requisiti di ordine speciale, questo va
riferito all’attestazione SOA della cedente, di fatto trasferito alla
cessionaria.
7. Avvalimento (omissis)
8. Oggetto del contratto. Attività progettuale da
parte delle imprese (omissis)
9. Liberalizzazione della scelta tra appalti a
corpo e a misura
A differenza di quanto faceva la legge n. 109/1994, che
decisamente privilegiava ed indirizzava l’azione delle pubbliche
amministrazioni verso la scelta dell’appalto a corpo, il codice delinea
un’ampia sfera di discrezionalità dell’ente appaltante nello scegliere l’una o
l’altra forma in base alle proprie esigenze. Di fatto, perciò, la scelta viene totalmente liberalizzata, in quanto non ancorata a
rigidi criteri predeterminati.
La disposizione del codice (art. 53,
comma 4) poi enuncia le definizioni di appalto a corpo e a misura,
ricalcando pedissequamente quelle tradizionali. Nell’appalto a misura il computo metrico estimativo a base del progetto, e perciò il
prezzo di appalto, ha mero carattere presuntivo, in quanto il prezzo definitivo
potrà variare a consuntivo, in base alle effettive misurazioni, e perciò in
base alle quantità effettivamente occorse.
Relativamente agli appalti a corpo, invece, il prezzo
pattuito non può essere modificato, e perciò si prescinde dalle quantità
effettivamente occorse, ma naturalmente sempre che non vengano
apportate variazioni rispetto ai disegni di progetto, perché in tal caso, ove
l’appaltatore esegua maggiori lavorazioni necessarie, in base all’art. 1661
c.c., ha diritto al maggior corrispettivo.
Sempre con riguardo agli appalti a corpo, la disposizione
del codice può dare luogo ad equivoci, laddove afferma che il prezzo convenuto
non può essere modificato, sulla base della verifica della quantità o della
qualità della prestazione. Il riferimento alla quantità, nei termini di cui
sopra, appare sicuramente corretto; il riferimento alla qualità, invece, non
può che essere inteso nel senso che la prestazione debba risultare idonea a
conseguire il risultato di progetto (esempio: una componente impiantistica idonea
al funzionamento dell’impianto), non potendosi ritenere che l’amministrazione
possa ad libitum richiedere uno standard di qualità
maggiore di quello ragionevolmente desumibile dalle indicazioni progettuali.
10. Procedure di gara
Il codice abbandona le definizioni tradizionali di
pubblico incanto, licitazione privata, appalto concorso, trattativa privata e
le sostituisce, recependo in toto le corrispondenti definizioni comunitarie, per cui vengono a delinearsi quattro tipi di procedure:
a. procedure aperte;
b. procedure ristrette;
c. procedure negoziate, con o senza
pubblicazione del bando;
d. dialogo competitivo.
A tali procedure va aggiunta una forma particolare,
costituita dagli accordi quadro (art. 59), che può aver luogo con procedura aperta
o ristretta, a seconda delle esigenze
dell’amministrazione.
11. Procedure aperte e ristrette
In base alla definizione di cui all’art. 3, commi 37 e
38, sono procedure aperte quelle nelle quali, a seguito della pubblicazione del
bando, qualsiasi impresa in possesso dei requisiti prescritti può presentare
offerta; sono invece procedure ristrette quelle nelle quali le imprese con
apposita domanda di partecipazione chiedono di partecipare, ma possono
presentare offerta soltanto quelle invitate dall’amministrazione. Come tra
breve si vedrà, tale definizione di procedura ristretta deve essere
opportunamente intesa sulla base della disciplina che il codice stesso detta al
riguardo.
Intanto, occorre sottolineare che l’amministrazione ha
ampia discrezionalità nello scegliere la procedura aperta o quella ristretta,
anche se esiste una disposizione di indirizzo (art. 55, comma
2) che, in un certo senso, consiglia agli enti appaltanti di adottare le
procedure ristrette soltanto nei casi in cui l’appalto ha ad oggetto attività
progettuale dopo l’aggiudicazione ovvero quando il criterio di aggiudicazione è
quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa; nei casi cioè in cui
sussiste una pluralità di elementi da valutare in sede di gara, tra cui
generalmente vi è anche la progettazione definitiva (ed eventualmente
esecutiva) da parte dei concorrenti.
Nonostante la definizione di procedura ristretta prima
ricordata, l’art. 55, comma 6 stabilisce che a questa
debbono essere invitati tutti i soggetti che ne abbiano fatto richiesta e che
siano in possesso dei requisiti stabiliti dal bando; pertanto, sul piano
pratico, la procedura ristretta diviene totalmente assimilabile alla procedura
aperta, salvo che per la pluralità di fasi procedurali (domanda di partecipazione
ed inviti).
Peraltro, la norma fa salvo quanto stabilito all’art. 62,
il quale dispone alcune modalità del tutto particolari
in ordine al numero dei concorrenti da invitare. È detto, infatti, che nelle
procedure ristrette relative a lavori di importo pari o superiore a 40 milioni
di euro, nonché nelle procedure negoziate con pubblicazione del bando e nel
dialogo competitivo relativi ad appalti di qualsiasi valore, le amministrazioni
possono (e perciò hanno facoltà e non obbligo) indicare il numero minimo ed
eventualmente anche il numero massimo dei concorrenti, che selezioneranno sulla
base di criteri oggettivi predeterminati. Nelle procedure ristrette, il numero
minimo non può essere inferiore a 20; nelle procedure negoziate e nel dialogo
competitivo, il numero minimo non può essere inferiore a 6.
Come si vede, in materia di procedure ristrette di lavori
pubblici, la facoltà di restringere la concorrenza con previsione della c.d.
forcella risulta assai circoscritta, in quanto:
a. tale meccanismo è applicabile
soltanto ad appalti pari o superiori a 40 milioni di euro;
b. il numero minimo dei concorrenti
da invitare non può essere inferiore a venti.
Allorché l’amministrazione ricorra
alla forcella, stabilendo il numero massimo dei concorrenti che inviterà, è
tenuta a prevedere e indicare nel bando di gara i criteri oggettivi sulla base
dei quali selezionerà i concorrenti da invitare, ove le domande di
partecipazione risultino in numero superiore a quello massimo predeterminato.
Peraltro, qualora il numero degli aspiranti concorrenti,
selezionati sulla base dei criteri oggettivi predeterminati, risulti inferiore
al numero prestabilito (venti o sei), le amministrazioni hanno facoltà di
proseguire la procedura, invitando i concorrenti a presentare offerte, ovvero
di ritenerla esaurita, ripetendola con previsione di requisiti e criteri meno
selettivi.
Quanto al momento della presentazione delle offerte,
qualora il bando nulla dica (art. 55, comma 4) in ordine al numero minimo delle
offerte necessarie a consentire la conclusione della procedura, si procede ad
aggiudicazione anche ove sia pervenuta una sola offerta valida. In tal caso,
però, resta ferma la possibilità per l’amministrazione di non procedere ad
aggiudicazione, con provvedimento motivato che rilevi la non convenienza o
inidoneità dell’offerta (art. 81, comma 3). È,
peraltro, data facoltà alle amministrazioni di prevedere nel bando che non si
procederà ad aggiudicazione nel caso di una sola offerta valida ovvero anche
nel caso di due sole offerte valide. In questa ipotesi il procedimento non ha
alcuna prosecuzione e va senz’altro ripetuto.
12. Procedure negoziate
L’impostazione dell’art. 24 della legge n. 109/1994, per
la verità assai angusta, viene totalmente sovvertita,
poiché agli articoli 56 e 57 del codice risultano recepite totalmente le
disposizioni comunitarie che ammettono la procedura negoziata in tutta una
serie di ipotesi che, se applicate con rigore ed in presenza di tutti i
presupposti in esse stabiliti, possono risultare di notevole utilità nel
settore degli appalti pubblici.
Vengono previste due forme di procedura
negoziata, e cioè quelle con previa pubblicazione di un bando e quelle senza
pubblicazione di un bando.
Le prime sono possibili in tre casi, e cioè:
a. quando, in una prima gara, siano
state presentate offerte tutte irregolari o inammissibili. Tale ipotesi si
applica però soltanto ai lavori di importo inferiore ad un milione di euro;
b. in casi eccezionali, quando non
risulta possibile la preliminare determinazione dei prezzi da porre a base di
appalto;
c. relativamente ai lavori da
realizzare a scopo di ricerca.
Le stazioni appaltanti richiedono la presentazione di
offerte concernenti gli elementi che ritengono opportuni (e perciò soltanto il
ribasso ovvero questo unitamente ad altri elementi) e, successivamente
all’esito di questa prima fase, aprono una fase di negoziazione con tutti gli
offerenti, onde ottenere eventuali migliorie economiche ed eventualmente
migliorie concernenti anche altri aspetti del rapporto (ad esempio, diminuzione
del termine di esecuzione o modalità esecutive particolari etc.).
È data la possibilità alle amministrazioni di prevedere,
nel bando di gara o nel capitolato speciale, che la prima parte della procedura
si svolga per fasi successive, finalizzate alla riduzione del numero dei
concorrenti con cui attuare la negoziazione definitiva. Ciò sta a significare
che, per esempio, l’amministrazione può articolare la prima parte della
procedura in due fasi, ammettendo alla seconda soltanto i due o tre concorrenti
che si siano meglio classificati nella prima. Successivamente, darà luogo
soltanto con questi alla negoziazione finale, nel contesto della quale
richiederà miglioramenti alle offerte già presentate.
Sia nel caso di negoziazione con tutti gli offerenti, sia
nel caso ora detto di negoziazione soltanto con quelli selezionati, se il
criterio adottato è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, è da
ritenere che l’amministrazione possa affinare i criteri indicati nel bando,
onde richiedere ai concorrenti elementi specifici più appropriati in relazione
alle particolarità tecnico-economiche delle offerte.
Per quanto concerne le procedure negoziate senza
pubblicazione del bando di gara, l’amministrazione può procedervi a seguito di
provvedimento che, con adeguata motivazione, dia conto
della sussistenza di tutti i presupposti giuridici e di fatto per ricorrervi,
nei seguenti casi:
a. un primo esperimento di gara
andato deserto; in tal caso, nella procedura negoziata non possono essere sostanzialmente
modificate le condizioni di gara del primo esperimento. Inoltre, la fattispecie
è applicabile esclusivamente ad appalti di importo inferiore ad un milione di
euro;
b. qualora sussistano ragioni di
natura tecnica, per cui l’appalto può essere affidato soltanto ad una
determinata impresa;
c. nei casi di estrema urgenza,
quando ricorrono tre condizioni, e cioè: 1) l’urgenza stessa derivi da eventi
imprevedibili; 2) non sia compatibile con i termini necessari ad espletare una
normale procedura di gara; 3) l’urgenza non sia riconducibile a colpe o
negligenze dell’ente appaltante.
d. lavori complementari divenuti
necessari all’esecuzione dell’opera per effetto di una circostanza imprevista,
purché il loro valore non superi il 50% del valore del contratto iniziale. È da
ritenere che, per lavori complementari, si intendano i lavori aventi natura
extra-contrattuale, e cioè quelli che di fatto
costituiscono opere ulteriori rispetto a quelle originariamente previste in
contratto (es., un ulteriore tratto di galleria ovvero un ulteriore svincolo
stradale), ma che sono divenuti indispensabili per la completezza tecnica e
funzionale dell’opera nel suo complesso considerata (nell’esempio fatto, la
galleria non risulterebbe funzionale senza una diramazione ulteriore o,
analogamente, la strada non risulterebbe funzionale, senza l’ulteriore
svincolo). Il chiarimento ora fatto è rilevante per distinguere tale ipotesi da
quella delle maggiori opere necessarie, aventi carattere contrattuale (es., maggiori consolidamenti per realizzare il tratto di
galleria originariamente previsto ovvero maggiori fondazioni per realizzare la
strada originariamente prevista). In tal caso, si ricade nell’istituto della
variante in corso d’opera, trattandosi di maggiori lavorazioni necessarie a
realizzare l’oggetto contrattuale originariamente previsto, e perciò a tale
specifica disciplina dovrà farsi riferimento;
e. lavori similari a quelli oggetto
dell’appalto originario, ove ricorrano tre condizioni: 1) che tale possibilità
sia stata prevista nel bando; 2) che la procedura negoziata avvenga nei tre
anni successivi alla stipula del primo contratto; 3) che i lavori similari
risultino indicati in un progetto base, posto a fondamento del primo
esperimento di gara.
Relativamente a tutte e cinque le dette ipotesi, è
stabilito che, qualora risulti possibile, l’ente appaltante individua, tramite
informazioni di mercato, almeno tre soggetti idonei da invitare alla
negoziazione. Vi è da notare che tale prescrizione ha carattere soltanto eventuale
(“ove possibile”), ciò in quanto in alcuni casi la negoziazione è di fatto ad esecutore determinato, come nel caso dei lavori
complementari o della ripetizione di opere simili, mentre in altri casi
l’amministrazione deve valutarne la concreta possibilità, potendosi per esempio
verificare che l’esigenza di tutelare l’incolumità pubblica abbia un’urgenza tale da non consentire neppure la negoziazione
con tre imprese ovvero che sussistano ragioni di natura tecnica talmente
rilevanti (es., un’opera imprevista da eseguire all’interno della stessa
sezione di scavo) per le quali l’affidamento debba necessariamente avvenire ad
opera dell’originario esecutore.
Nei casi in cui non si tratti di
affidamento ad esecutore determinato, l’amministrazione sceglie almeno tre
imprese in possesso della qualificazione richiesta, sulla base delle
informazioni di cui dispone circa i soggetti operanti nel mercato; è però
stabilito che debba essere rispettato il criterio della rotazione, in base al
quale in ipotesi di procedure negoziate successive l’amministrazione ha il
dovere di individuare soggetti diversi rispetto a quelli invitati alla
negoziazione dell’appalto precedente. Una volta individuati
i tre (o più) soggetti, questi vengono invitati a presentare offerta sugli elementi
ritenuti opportuni (prezzo ovvero anche altri elementi) e successivamente si
apre la negoziazione nel contesto della quale l’amministrazione richiede tutti
gli ulteriori miglioramenti ritenuti utili per l’affidamento dell’appalto).
13. Il
dialogo competitivo (omissis)
14. L’accordo quadro (omissis)
15. Le aste elettroniche (omissis)
16. Criteri di aggiudicazione
L’articolo 81 prevede che, sia nell’ambito delle
procedure aperte, sia di quelle ristrette e negoziate, l’amministrazione possa
optare ai fini dell’aggiudicazione per il criterio del prezzo più basso o per
il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
È stabilito che gli enti appaltanti scelgono, indicandolo
nel bando di gara, il criterio di aggiudicazione che ritengono più adeguato
alle caratteristiche dell’appalto. La norma delinea così un ambito di
discrezionalità assai ampio dell’amministrazione, che di
fatto può effettuare liberamente le sue scelte in ordine al criterio di
aggiudicazione da adottare. Si tratta di un’innovazione di portata sostanziale,
considerato che nel regime della legge n. 109/1994 la possibilità di ricorrere
al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa era circoscritto ad
ipotesi del tutto eccezionali, e cioè ai casi di appalti in cui fosse prevalente la componente tecnologica o relativamente
ai quali le possibili soluzioni progettuali assumessero particolare rilevanza
tecnica (art. 21, comma 1 ter).
La scelta dell’ampliamento della discrezionalità
dell’amministrazione, operata dal codice, recepisce l’impostazione delle
direttive comunitarie e, d’altra parte, dà piena attuazione alla sentenza della
Corte di giustizia n. 247/02 del 7.10.2004, secondo le indicazioni contenute
all’art. 25, comma 1 lettera d) della legge n. 62/2005 di delega al Governo per
l’emanazione del codice.
Naturalmente, sulla base dei principi generali del
diritto amministrativo di logica, razionalità e proporzionalità, la
discrezionalità deve essere attuata correttamente e conformemente agli
interessi da realizzare, per cui è da ritenere che
permanga, quantomeno sotto il profilo delle regole di buona amministrazione, la
regola generale di non utilizzare il complesso criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa (complesso nei contenuti, nelle valutazioni e
nella procedura, nonché dispendioso per gli operatori economici), relativamente
agli appalti che non presentino particolari difficoltà tecniche e che, cioè,
abbiano carattere di ordinarietà.
Meritevole di nota è la disposizione di cui all’art. 81, comma 3 che attribuisce all’ente appaltante il
generale potere di non procedere ad aggiudicazione, se nessuna offerta risulti
conveniente o idonea. Relativamente al criterio del prezzo più basso, ciò sta a
significare che, ancorché non anomala, l’offerta cui dovrebbe essere aggiudicato l’appalto potrebbe essere ritenuta
eccessivamente alta, e perciò non economica, in quanto non conforme alle
risposte che ci si attendeva dal mercato. Naturalmente, in tal caso, il
provvedimento di diniego di aggiudicazione, pur se fondato sulla norma
giuridica in questione, deve contenere un’adeguata motivazione, che dia conto delle ragionevoli aspettative rispetto
all’andamento del mercato e dell’inadeguatezza rispetto a queste dell’offerta
formulata.
Per quanto concerne il criterio del prezzo più basso, viene ribadito che le modalità di attuazione dello stesso
possono essere due, e cioè il prezzo più basso determinato mediante ribasso
sull’importo a base d’asta ovvero il meccanismo dell’offerta a prezzi unitari,
nel quale, come è noto, sono i concorrenti a formulare tutti i prezzi unitari
inerenti ciascuna categoria di lavoro. La scelta tra il sistema del maggior
ribasso ovvero dei prezzi unitari, anche in tal caso, è rimessa alla
discrezionalità più ampia dell’amministrazione. Questa, peraltro, dovrebbe
ispirarsi al criterio dell’adozione, in linea di principio, del meccanismo più
semplice, e cioè quello del maggior ribasso; ciò nella presunzione che i prezzi
unitari formulati a seguito dell’elaborazione della progettazione esecutiva siano
aderenti alla realtà economica e tecnica, siano cioè congrui e siano il frutto
di analisi aderenti alle prestazioni che l’appaltatore dovrà rendere.
Il sistema dell’offerta dei prezzi unitari dovrebbe,
perciò, ad avviso di questa associazione, costituire l’eccezione ed essere
circoscritto alle ipotesi di appalti, la cui complessità ovvero specificità
faccia ritenere opportuno verificare la capacità delle imprese nel formulare i
prezzi unitari attinenti a ciascuna categoria di lavoro; altra ipotesi, nella
quale l’offerta dei prezzi unitari potrebbe risultare proficua, è quella in cui
l’amministrazione abbia dubbi sulla correttezza dei prezzi unitari scaturiti
dalla progettazione.
Sulla base di quanto ora detto, appare perciò singolare e
poco comprensibile sul piano logico la disposizione (art. 82,
comma 3), che, confermando pedissequamente la norma di cui all’art. 21,
comma 1 lettera c) della legge n. 109/1994, relativamente ai contratti nei
quali vi sia una parte a corpo e una parte a misura, impone l’adozione del
sistema dell’offerta dei prezzi unitari.
17. Offerta economicamente più vantaggiosa
Il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa,
come è noto, è un criterio particolarmente complesso, nel quale
l’aggiudicazione non avviene soltanto sulla base del prezzo offerto, ma anche
di altri elementi predeterminati ed individuati nel bando di gara.
L’articolo 83 del codice elenca numerosi elementi di
valutazione, ampliando l’enunciazione della normativa previgente (tra i più
significativi, in tema di lavori, da ricordare: il prezzo, il pregio tecnico
dell’attività progettuale dei concorrenti, il pregio sotto l’aspetto estetico,
ambientale, i successivi costi di manutenzione, l’eventuale assistenza tecnica che l’impresa si
impegna a fornire dopo il collaudo, il tempo di esecuzione), ma ciò che più
rileva è che afferma espressamente che l’enunciazione ha carattere
esemplificativo; il che sta a significare che l’amministrazione ha facoltà di
stabilire elementi anche diversi da quelli oggetto dell’elencazione dell’art.
83, purché naturalmente congruenti con le caratteristiche dell’appalto e con le
esigenze di una seria ed approfondita valutazione delle offerte sotto l’aspetto
tecnico ed economico. Va ricordato, in proposito, che comunque tale ampia
discrezionalità non può spingersi fino a stabilire requisiti che attengano
all’idoneità soggettiva del concorrente, considerato che la stessa
giurisprudenza ha in varie occasioni sottolineato che tali requisiti rilevano
esclusivamente nella fase di ammissione alla gara e che l’offerta deve
riguardare soltanto elementi oggettivi inerenti il
prezzo, le modalità di esecuzione dell’opera ed eventualmente altre prestazioni
accessorie.
Per quanto concerne i punteggi attribuibili a ciascun
elemento di valutazione, la norma prevede due ipotesi. La prima, costituente
regola generale, è quella nella quale la ponderazione di ciascun elemento di
valutazione è predeterminabile con espressa previsione del bando; in tal caso
il bando deve indicare il punteggio massimo attribuibile a ciascun elemento di
ogni offerta, con facoltà di indicare una soglia minima, al di sotto della
quale l’offerta stessa viene automaticamente
considerata non idonea. In questa ipotesi, lo scarto tra il punteggio massimo
attribuibile e la soglia minima deve essere “appropriato”, il che sta a
significare che la soglia deve avere entità ragionevole e non essere, perciò,
tale da limitare eccessivamente il confronto concorrenziale tra le offerte
presentate.
La seconda ipotesi (comma 3), per la verità, sembra avere
carattere del tutto eccezionale, perché riguarda il caso in cui la
predeterminazione nel bando dei punteggi massimi attribuibili a ciascun
elemento sia impossibile per ragioni oggettive. Non può sfuggire che
l’impossibilità di stabilire punteggi relativi ad elementi tecnici di
valutazione riguarda casi assolutamente marginali e del tutto ipotetici,
considerato che in linea di principio risulta sempre possibile predeterminare
il peso inerente ogni aspetto tecnico delle offerte. Presumibilmente, ricorre
tale ipotesi, allorché si chieda ai concorrenti un risultato tecnico non
quantificabile nella sua entità massima, con la conseguenza che il punteggio
massimo potrà essere stabilito a valle del confronto, una volta acquisiti i
risultati conseguibili dalle varie offerte. Relativamente a tali ipotesi è
prescritto che la stazione appaltante indichi nel bando di gara le motivazione per le quali, nel caso specifico, la
ponderazione numerica preventiva dei singoli elementi è impossibile; la
prescrizione, evidentemente, ha la finalità di consentire ad ogni interessato
il controllo circa la logicità delle scelte dell’amministrazione e l’effettiva
sussistenza dei presupposti che impediscono la predeterminazione di parametri
numerici oggettivi. Comunque, allorché si ricada in questa ipotesi,
l’amministrazione è sempre tenuta ad indicare quantomeno l’ordine decrescente
di importanza dei criteri di valutazione che saranno adottati, così
vincolandosi, seppure in modo meno stringente, a parametri di giudizio predefiniti.
È, in ogni caso, data facoltà (e
non obbligo) all’amministrazione di stabilire sub-criteri e sub-punteggi
attinenti ciascun elemento di valutazione: così per esempio, relativamente al
“pregio tecnico”, potrebbero essere previsti vari aspetti particolari della
soluzione tecnica proposta (la funzionalità; la qualità dei materiali;
l’armonizzazione con altre opere esistenti etc.), con relativi sub-punteggi
massimi da attribuire a ciascuno. Costituisce invece obbligo, per la commissione
giudicatrice preposta alla valutazione delle offerte, predeterminare in
apposito verbale, dopo il suo insediamento ma prima
dell’apertura delle offerte, i criteri motivazionali (è da ritenere
prevalentemente di natura tecnica), cui si atterrà nell’attribuzione a ciascuna
offerta dei punteggi inerenti ogni elemento di valutazione. Come si vede, la
legge tende a rendere quanto più possibile oggettivo il giudizio finale della
commissione, ancorandolo a vari elementi predeterminati a cascata, e cioè gli
elementi di valutazione, i punteggi massimi ed eventualmente minimi, i sub-pesi
ed infine i criteri motivazionali.
Il codice nulla dice in ordine all’inquadramento
giuridico ed alla natura del giudizio finale della commissione. Dalla lettura
complessiva delle norme sembra potersi affermare che tale giudizio costituisca
l’aggiudicazione provvisoria, l’aggiudicazione cioè soggetta alla condizione di
efficacia dell’approvazione da parte dell’organo di controllo che la rende
definitiva. Quanto alla natura giuridica in senso stretto, si tratta di atto di
giudizio, con valore di parere relativamente vincolante; ciò perché la norma
definisce la commissione, come “commissione giudicatrice”, una commissione cioè
con prerogative altamente tecniche, sicché sarebbe
singolare che l’organo di controllo preposto all’aggiudicazione definitiva
potesse modificare il giudizio tecnico espresso dalla commissione. Quest’ultimo
perciò, in linea di principio, non è sindacabile, salva l’ipotesi in cui
l’organo di controllo non ravvisi nell’operato della commissione vizi di
illegittimità, quali per esempio la violazione di norme tecniche ovvero
macroscopiche illogicità di giudizio. In tali ipotesi, è da ritenere che
l’organo di controllo, una volta rilevati con ampia
motivazione tali vizi, possa segnalarli alla commissione, perché in sede di
riconvocazione sani il suo operato. È, inoltre, da ritenere che l’organo di
controllo preposto all’aggiudicazione definitiva possa discostarsi dal giudizio
della commissione, qualora ritenga l’offerta prescelta non rispondente alle
finalità tecniche o alle aspettative economiche che l’amministrazione si
prefiggeva; in tal caso, l’aggiudicazione provvisoria potrà essere posta nel
nulla, con motivazione che dia conto della non rispondenza dell’offerta alle
esigenze dell’ente, e conseguente ripetizione della gara.
Per quanto concerne la commissione giudicatrice,
l’articolo
In luogo del sorteggio previsto dalla precedente
legislazione, viene ora stabilito che, nell’ambito
delle predette categorie, i commissari siano prescelti sulla base di criteri di
“rotazione”. La formulazione della norma, per la verità un po’ generica,
rimette alla discrezionalità dell’amministrazione la determinazione del
contenuto del criterio di rotazione che, per esempio, potrebbe ragionevolmente
stabilire che lo stesso professionista o professore non possa essere nominato commissario, prima del decorso di un certo termine
dall’incarico precedente ovvero prima che un certo numero di altri incarichi
siano stati assegnati ad altri commissari.
18. Criteri di individuazione delle offerte
anomale
Relativamente al criterio del prezzo più basso, viene
mantenuto il principio secondo cui le stazioni appaltanti devono valutare la
congruità delle offerte che presentino un ribasso eccedente la media aritmetica
dei ribassi delle offerte ammesse, con esclusione del 10% delle offerte di
maggiore e di minor ribasso, media incrementata dalla media aritmetica degli
scarti delle offerte che superano la prima media.
Peraltro, relativamente agli appalti sotto soglia, l’art. 122, comma 9 introduce un’importante innovazione, in
quanto dà facoltà all’amministrazione appaltante di prevedere, con apposita
clausola del bando, l’esclusione automatica di tutte le offerte che eccedono la
media, come sopra calcolata. In altri termini, viene rimesso
relativamente agli appalti sotto soglia, alla discrezionalità della stazione
appaltante decidere se attuare il metodo dell’esclusione automatica ovvero
adeguarsi al criterio generale per gli appalti sopra soglia, secondo cui le
offerte che eccedono la media vanno sottoposte a verifica di congruità in
contraddittorio con l’offerente.
Per quanto concerne il criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa, viene mantenuto sia
per gli appalti sopra soglia, sia per quelli sotto soglia il sistema, secondo
cui le stazioni appaltanti devono procedere alla valutazione di congruità di
quelle offerte, relativamente alle quali ricorrano due elementi, e cioè:
a) il punteggio assegnato all’elemento prezzo sia pari o
superiore i quattro quinti del punteggio massimo previsto per tale elemento;
b) la somma dei punteggi assegnati agli altri elementi
sia pari o superiore alla somma dei corrispondenti punteggi massimi stabiliti
nel bando.
Viene così confermata una norma di
dubbia logicità, posto che nelle gare espletate con il criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa ad un punteggio particolarmente elevato non
necessariamente corrispondono prezzi unitari bassi, ben potendo il prezzo
complessivo offerto risultare basso per effetto della contrazione delle
quantità che una soluzione progettuale ingegnosa abbia potuto realizzare.
D’altra parte, non si vede quale nesso logico abbia
riconnettere una presunta anomalia economica all’elevato punteggio assegnato a
tutti gli elementi diversi dal prezzo.
Disposizione di particolare rilievo è quella introdotta dall’art. 86, comma 3 che autorizza “in ogni caso” le
stazioni appaltanti a valutare la congruità anche di offerte non eccedenti la
soglia di anomalia (nel criterio del maggior ribasso) ovvero non eccedenti i
quattro quinti dei punteggi sopra detti (nel criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa), quando, sulla base di elementi concreti e
specifici, l’offerta appaia comunque anormalmente bassa. Si pensi, per esempio,
al caso di una media particolarmente elevata, tale perciò da indurre a ritenere
sospette di anomalia anche le offerte che, pur non superandola, siano
sensibilmente elevate, ovvero per esempio al caso di punteggi, nel criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa, inferiori ai quattro quinti dei
punteggi massimi, ma assegnati ad un’offerta i cui
prezzi unitari sono palesemente sottostimati rispetto ai corrispondenti prezzi
di mercato.
Da notare che, nel criterio del maggior ribasso, il
sistema della media (sia per gli appalti superiori alla soglia comunitaria,
quale soglia oltre la quale deve procedersi alla verifica, sia per gli appalti
inferiori, per i quali il bando abbia espressamente previsto l’esclusione
automatica) non trova applicazione, quando le offerte ammesse in gara sono
inferiori a cinque; in questa ipotesi, le amministrazioni si avvalgono della
possibilità in via generale loro offerta dalla disposizione di cui all’art. 86, comma 3, prima commentata.
Ulteriore innovazione di particolare rilievo è quella
secondo cui le offerte devono essere corredate delle giustificazioni idonee a
consentire la verifica della loro congruità relativamente a tutte le voci di
prezzo e perciò, in sostanza, all’importo complessivo dell’appalto (come si
ricorderà, in precedenza, tale obbligo concerneva voci di prezzo costituenti
almeno il 75% dell’importo posto a base di gara).
È consentito che il bando di gara o la lettera di invito
indichino le modalità di presentazione di dette giustificazioni, per la evidente finalità di rendere omogenea l’analisi delle
giustificazioni presentate dai vari concorrenti.
Qualora le giustificazioni presentate a corredo
dell’offerta vengano ritenute sufficienti e perciò
tali da escludere il giudizio di anomalia, ha luogo l’aggiudicazione
provvisoria.
Se invece le giustificazioni non vengono
ritenute sufficienti per escludere l’anomalia dell’offerta, l’ente appaltante
deve chiedere al concorrente l’integrazione delle giustificazioni e potrà
procedere all’esclusione, solo dopo avere attuato un contraddittorio con
l’offerente, secondo la procedura di cui si dirà tra breve.
Quanto al contenuto sostanziale delle giustificazioni che
l’amministrazione richiede sia in sede di offerta, sia eventualmente in sede di
ulteriore verifica, questo è enunciato dall’art. 87, che prevede che tali
giustificazioni riguardino: l’economia del procedimento, le soluzioni tecniche
adottate, le condizioni favorevoli di cui dispone l’offerente, l’originalità
del progetto etc.. Da notare
che l’elencazione della norma è formulata “a titolo esemplificativo”, il che
sta a significare che l’ente appaltante non è vincolato ad indicare gli
elementi descritti, ma secondo il suo giudizio discrezionale può indicarne di
ulteriori, purché naturalmente idonei e finalizzati a consentire una seria
valutazione dell’anomalia dell’offerta. In proposito, non si può non ricordare
come, tradizionalmente, sia secondo la prassi amministrativa, sia secondo la
giurisprudenza, elemento focale da richiedere per le finalità in questione sono
le analisi dei prezzi, e cioè la scomposizione del prezzo da cui emergono le
componenti elementari sia sotto l’aspetto quantitativo, sia sotto l’aspetto del
costo.
Ne consegue che, ove la prassi sin qui seguita venga confermata, le amministrazioni richiederanno,
unitamente alle offerte, le analisi dei prezzi, nonché altri elementi tra
quelli indicati nell’art. 87 o eventualmente ulteriori, idonei a giustificare
componenti elementari che risultino sottoquotate rispetto ai corrispondenti
valori di mercato.
Da notare, infine, che in sede di verifica ulteriore in
contraddittorio, l’amministrazione secondo l’art. 87, comma
Dal punto di vista procedimentale, è stabilito (art. 88)
che, nei casi in cui l’amministrazione non ritenga sufficienti le
giustificazioni presentate con l’offerta ha una triplice possibilità, da
scegliere discrezionalmente:
1. indicare all’offerente le componenti dell’offerta ritenute anormalmente basse, richiedendo in
merito ulteriori elementi giustificativi;
2. non indicare dette componenti, ma invitare
genericamente l’offerente a fornire tutte le ulteriori giustificazioni che
ritenga utili;
3. indicare le componenti ritenute anormalmente basse ed
invitare specificamente l’offerente a fornire le ulteriori giustificazioni
necessarie.
Quest’ultima modalità appare la più completa e
rispondente all’esigenza di verifica approfondita dell’offerta. È previsto che
per la presentazione delle ulteriori giustificazioni sia assegnato
all’offerente un termine non inferiore a 10 giorni ed inoltre la possibilità
per l’amministrazione di costituire, ove lo ritenga necessario, una commissione
di esperti per la verifica dell’anomalia.
In ogni caso, e cioè sia quando
all’esame proceda l’amministrazione con i suoi funzionari, sia quando vi
proceda la commissione, è previsto (nonostante la non felice formulazione
normativa) che possano essere richiesti
ulteriori chiarimenti all’impresa, che deve fornirli entro un termine
non inferiore a cinque giorni. Allorché neppure questi chiarimenti ulteriori siano risultati idonei a fugare i dubbi in ordine
all’anomalia, è prevista un’ulteriore fase di chiarimenti in contraddittorio,
mediante la convocazione dell’offerente ed invito allo stesso ad indicare ogni
ulteriore elemento utile.
Al termine di tale complessa procedura, qualora il
giudizio della stazione appaltante sia di inaffidabilità dell’offerta, questa
procede alla sua esclusione. Secondo un condivisibile indirizzo
giurisprudenziale, detta esclusione deve essere congruamente e concretamente
motivata, con indicazione delle componenti dell’offerta
ritenute eccessivamente basse e dei corrispondenti prezzi di mercato;
naturalmente, deve trattarsi di componenti che abbiano un’incidenza sensibile
sul complesso dell’offerta, e che perciò non abbiano carattere marginale.
Sotto il profilo procedurale, la verifica nei termini sin
qui descritti ha luogo sulla prima miglior offerta classificata e se questa, in
quanto ritenuta anormalmente bassa, viene esclusa, si
procede con la stessa procedura, progressivamente, su ogni offerta
successivamente classificata.
19. Verifica preventiva dell’interesse
archeologico in sede di progetto preliminare (omissis)
20. Disciplina specifica dei contratti sotto
soglia
Secondo la previsione generale dell’art. 121, ai
contratti di importo inferiore alla soglia comunitaria si applicano in toto le
disposizioni della parte I (e cioè i principi generali, artt. 1-27), della
parte IV (e cioè il contenzioso, artt. 239-246), della parte V (e cioè le
disposizioni di coordinamento e transitorie, artt. 247-257); si applicano,
inoltre, le disposizioni della parte II (e cioè quelle concernenti in generale
la materia dei settori ordinari, comprese le norme relative ai contratti di
rilevanza comunitaria, artt. 28-205), ma soltanto in quanto non derogate dalle norme specifiche del titolo II (artt. 121-125),
concernenti appunto i contratti sotto soglia comunitaria.
In estrema sintesi, i punti oggetto di specifica
disciplina (art. 122) attengono alla pubblicità e ai termini (commi 1-6), alla
procedura negoziata (comma 7), alle opere a scomputo (comma 8), al criterio
dell’esclusione automatica delle offerte anomale (comma 9), alla procedura
ristretta semplificata (art. 123) ed, infine, ai lavori in economia (art.
125).
Per quanto concerne le norme sulla pubblicità e i
termini, non vi sono particolari commenti da fare, trattandosi di disposizioni
che non pongono dubbi interpretativi, ma richiedono soltanto un’attenta
lettura, ai fini della loro puntuale applicazione. È da segnalare che risultano
modificati e semplificati gli obblighi di pubblicità, in quanto vengono previste soltanto due fasce di importo:
• gli appalti di importo pari o superiore a 500.000 euro
(ma ovviamente inferiori alla soglia comunitaria). Questi devono essere
pubblicati sulla Gazzetta ufficiale italiana, sul “profilo del committente”, e
cioè sul sito informatico dell’ente appaltante (art. 3, comma
35), sul sito informatico del Ministero delle infrastrutture, sul sito
informatico dell’Osservatorio e, per estratto, su almeno uno dei quotidiani a
diffusione nazionale, ovvero su uno dei quotidiani a maggior diffusione locale.
Risulta, perciò di fatto, venuto meno l’obbligo di pubblicazione sul Bollettino
ufficiale della Regione, precedentemente previsto per gli appalti di importo compreso tra 500.000 ed 1 milione di euro.
• gli appalti di importo inferiore a 500.000 euro. Questi
sono pubblicati nell’albo pretorio del comune ove si eseguono i lavori (ove
questi ricadano in più comuni è da ritenere che la pubblicazione vada fatta
negli albi pretori di tutti i comuni interessati) e nell’albo dell’ente
appaltante.
Viene, comunque, fatta salva la possibilità, per l’ente
appaltante, di attuare forme di pubblicità aggiuntive rispetto a quelle
stabilite dalla legge, onde realizzare una maggiore conoscenza della procedura
e, perciò, una maggiore concorrenza.
Per quanto concerne le opere a scomputo degli oneri di
urbanizzazione ed il criterio dell’esclusione automatica, di tali argomenti si
è già trattato rispettivamente ai precedenti paragrafi 2 e 18 della parte II.
Un cenno particolare richiedono le procedure negoziate
relative agli appalti sotto soglia. L’articolo 122, comma 7 afferma che, in tal
caso, sono applicabili in toto gli articoli 56 e 57, concernenti le procedure
negoziate per gli appalti sopra soglia e di cui si è trattato al paragrafo 12 della parte II.
La disposizione però afferma che le procedure negoziate
sono applicabili, oltre che nelle ipotesi previste dalle predette norme, “anche
per i lavori di importo complessivo non superiore a 100.000 euro”. Ciò sta a
significare che, per gli appalti inferiori a tale limite, le amministrazioni
non sono vincolate alle ipotesi previste dagli artt. 56 e 57 (gara deserta,
motivi di natura tecnica, lavori complementari etc.), ma
possono attuare la procedura negoziata in qualsiasi altra ipotesi da loro
ritenuta opportuna.
Pur nel silenzio della norma, è da ritenere che il
provvedimento debba comunque essere motivato sulla base dei principi generali,
che richiedono appunto la motivazione in tutti i casi che, in qualche modo,
costituiscono deroga ad un principio generale.
È poi da ritenere che, relativamente alla procedura
negoziata senza pubblicazione del bando, questa come si è detto è possibile
anche al di fuori dei casi previsti dall’art. 57, ma nel rispetto della
disposizione procedurale di cui al comma 6 della
stessa norma, che prevede un confronto concorrenziale tra almeno tre operatori
economici, sempre che ovviamente siano rintracciabili in tale numero sul
mercato degli appalti e sempre che le circostanze non siano tali da imporre
l’affidamento diretto ad un determinato appaltatore.
Sostanzialmente invariata resta la procedura della licitazione
privata semplificata, applicabile agli appalti di importo inferiore a 750.000
euro (oggi procedura ristretta semplificata), disciplinata dall’art. 23 della
legge n. 109/1994 e 77 del D.P.R. n. 554/1999 ed ora trasfusa
in un’unica norma del codice, e cioè l’art. 123.
Viene chiarito che la procedura
ristretta semplificata può riguardare gli appalti aventi ad oggetto la “sola
esecuzione”, restando così esclusi da tale procedura tutte quelle forme che
prevedono attività progettuale da parte dell’appaltatore.
Il numero minimo dei concorrenti da invitare ad ogni
procedura viene portato da trenta a venti. Rimane per il resto invariata la procedura, e cioè la pubblicazione
dell’elenco dei lavori, da effettuare entro il 30 novembre di ogni anno; le
domande da parte degli interessati, da formulare entro il 15 dicembre
successivo; la formazione dell’elenco che la stazione appaltante deve attuare
entro il 30 dicembre (anziché come nella precedente normativa il 31) ed,
infine, l’ordine di iscrizione nell’elenco, da effettuare mediante sorteggio
pubblico.
Da notare che resta fermo il
numero massimo di domande da presentare, che per i consorzi e le associazioni
di imprese è pari a 180, mentre per gli altri operatori economici è pari a 30.
Nella precedente disciplina era previsto che, in sede di
domanda, dovesse essere prodotta la dichiarazione di non avere presentato
domande eccedenti il numero massimo previsto. Tale prescrizione non risulta
riprodotta all’art. 123, ma sostituita da una forma di
controllo da parte dell’Osservatorio, al quale devono essere trasmessi, da
parte delle amministrazioni che attuano la procedura, tutti gli elenchi di
imprese. L’Osservatorio, mediante programma informatico, verifica il rispetto
del numero massimo di elenchi in cui le imprese sono state inserite e, qualora
accerti che tale numero è stato superato, dispone la cancellazione delle
iscrizioni, avvenute successivamente al raggiungimento del numero massimo
consentito.
Per il resto rimane immutata la disciplina secondo cui i
soggetti inseriti in elenco sono invitati ad ogni gara, secondo l’ordine di
iscrizione in elenco, e possono ricevere ulteriori inviti soltanto dopo che
siano stati invitati tutti i soggetti inseriti nell’elenco stesso, in possesso
dei requisiti di qualificazione richiesti.
Sostanzialmente invariata resta, infine, la disciplina
dei lavori in economia (art. 125), salve le seguenti modifiche:
1. restano immutate le tipologie dei lavori eseguibili in
economia (comma 6), ma la manutenzione di opere e di impianti (lettera b) viene elevata da
2. per quanto riguarda il cottimo fiduciario, viene consentito l’affidamento diretto da parte del
responsabile del procedimento per i lavori di importo inferiore a 40.000 euro,
in luogo del precedente limite di 20.000 euro (art. 144 del D.P.R. n.
554/1999);
3. sempre relativamente al cottimo, per gli appalti di
importo compreso tra 40.000 e 200.000 euro, viene
stabilito l’obbligo per l’ente appaltante di procedere a consultazione, e cioè
gara informale, tra almeno 5 operatori economici prescelti sulla base di
indagini di mercato ovvero individuati in elenchi predisposti dallo stesso ente
appaltante. Come si vede, risulta introdotta la possibilità per
l’amministrazione di predisporre elenchi di operatori economici, ai quali
devono essere iscritti i soggetti che ne facciano richiesta e che siano in
possesso dei requisiti prescritti per l’assunzione di appalti pubblici.
Sia nel caso in cui l’amministrazione opti per la scelta
dei 5 operatori da consultare attraverso indagini di mercato, sia nel caso in
cui opti per tale scelta, attingendo ai propri elenchi, deve rispettare i
principi di trasparenza, rotazione e parità di trattamento, e perciò invitare
ai cottimi successivi soggetti diversi da quelli invitati al cottimo
precedente.
Si segnala, infine, la disposizione transitoria dell’art. 253, comma 22, che fa salve tutte le norme
attuative dei lavori in economia, contenute nel D.P.R. n. 554/1999 (art. 88 ed
art. da
21. Le concessioni di lavori pubblici (omissis)
Parte III: La disciplina dei settori speciali (omissis)
Premessa
1. Ambito di applicazione (omissis)
2. Soglie (art. 215)
3. Esclusioni
4. Procedure di gara
5. Pubblicità
6. Qualificazione
7. Appalti di importo inferiore alla soglia comunitaria
8. Normativa comune ai settori ordinari
9. Esecuzione dei lavori
Parte IV: Contenzioso
1. Accordo bonario e transazione come mezzo di
risoluzione delle riserve
Sostanzialmente invariata è rimasta la disciplina
dell’accordo bonario, trasfusa nell’art. 240 del codice, in base alla quale,
qualora l’importo delle riserve formulate dall’appaltatore sui documenti
contabili ecceda il 10% dell’importo dell’appalto, il responsabile del
procedimento, su impulso del direttore dei lavori, avvia appunto la procedura
finalizzata all’eventuale conclusione dell’accordo bonario. Peraltro, viene confermata la disposizione che stabilisce che il
responsabile del procedimento debba preliminarmente valutare l’ammissibilità e
la non manifesta infondatezza delle riserve, ai fini del raggiungimento del
predetto limite del 10%. Ciò sta a significare che, qualora ritenga le riserve
anche in parte inammissibili ovvero anche in parte manifestamente infondate
(sicché a seguito di tale giudizio non viene raggiunto
il valore del 10%), non deve dare luogo all’avvio del procedimento, comunicando
tale sua motivata decisione all’appaltatore.
La disposizione, evidentemente, tende a scoraggiare
formulazione di riserve strumentali, e cioè avanzate esclusivamente allo scopo
di raggiungere l’importo del 10% del valore del contratto, in modo da attivare
il procedimento di risoluzione tramite accordo bonario. Il giudizio di
inammissibilità riguarda la mancata tempestiva formulazione, e perciò la
decadenza dalla pretesa; quello di non manifesta infondatezza concerne, invece,
il merito della pretesa stessa e va inteso nel senso che, qualora al
responsabile del procedimento, a seguito di una prima sommaria istruttoria,
permangano dubbi, tali cioè da non consentirgli di ritenere con
certezza infondate le pretese, deve avviare il procedimento.
Come si vede, il procedimento finalizzato all’accordo
bonario è caratterizzato nei suoi presupposti da delicate valutazioni e
comunque è un procedimento oneroso e complesso. In un’ottica semplificatrice,
il codice ha perciò introdotto una disposizione, e cioè l’art. 239, che
consente alle amministrazioni di definire transattivamente le
questioni oggetto di riserve, anche al di fuori dei casi in cui è previsto
il procedimento di accordo bonario. Ciò sta a significare che la soluzione
transattiva delle controversie è possibile, relativamente a pretese che non
raggiungano il 10% dell’importo dell’appalto. Invece, allorché la pretesa
raggiunga tale limite ed il responsabile del procedimento non esprima, come
sopra detto, una valutazione pregiudiziale di inammissibilità o manifesta
infondatezza, ha senz’altro luogo il procedimento di accordo bonario, in
quanto, considerata la rilevanza del petitum, lo stesso è articolato in
passaggi procedurali e forme decisionali mirate ad assicurare maggiori
garanzie, in ordine alla correttezza delle valutazioni, e perciò della
definizione della vertenza.
La transazione può avere luogo o su iniziativa
dell’impresa, che formula una proposta al riguardo, ovvero su iniziativa
dell’amministrazione.
Nel primo caso, la proposta dell’impresa viene esaminata dal competente dirigente
dell’amministrazione, il quale, dopo avere acquisito il parere obbligatorio del
responsabile del procedimento, sottopone la questione con la propria proposta
all’organo deliberante dell’ente appaltante per la decisione definitiva.
Nel secondo caso, il dirigente dell’amministrazione può
egli stesso assumere l’iniziativa e, previa audizione dell’impresa, formulare
alla stessa una proposta transattiva; naturalmente, in tal caso, la proposta
non ha carattere di definitività, in quanto l’accordo transattivo,
ove raggiunto, è comunque soggetto ad approvazione da parte dell’organo
deliberante dell’ente, salva l’ipotesi (peraltro del tutto remota) che
quest’ultimo non abbia espressamente delegato il dirigente a concludere in modo
definitivo la transazione, dandogli le direttive del caso.
In ogni caso, e cioè sia quando
l’iniziativa venga assunta dall’impresa, sia quando venga assunta
dall’amministrazione, allorché l’importo della transazione ecceda l’importo di
100.000 euro, è sempre necessario il preventivo parere dell’avvocatura
dell’ente appaltante (e cioè dell’avvocatura dello Stato o della Regione per
gli enti che si avvalgono di queste e, negli altri casi, del servizio di
avvocatura interna, ove sussista) ovvero, per gli enti che non abbiano alcuna
forma istituzionale di avvocatura, del funzionario più alto in grado,
competente e responsabile, nell’ambito della struttura organizzativa, della
materia del contenzioso.
È da ritenere che il parere sopra detto abbia natura
giuridica di parere obbligatorio, ma non vincolante, pur non potendosi
disconoscere, sul piano pratico, la sua rilevanza, connessa alla specifica
competenza in materia del soggetto che lo emette.
Sul piano sostanziale, va ricordato che la transazione è
il contratto con il quale le parti prevengono una lite o pongono fine ad una
lite insorta, facendosi reciproche concessioni (art. 1965 cod. civ.).
Correlando quest’ultima nozione alla materia de qua, sembra potersi affermare
che, a fronte della pretesa formulata dall’impresa con la riserva,
l’amministrazione debba formarsi, attraverso i passaggi procedimentali prima detti, un suo convincimento circa l’entità del petitum
spettante e, successivamente, in rapporto al margine di dubbio che permanga in
ordine alla maggior somma richiesta, tentare la chiusura transattiva ad un
importo intermedio, che tenga conto dei possibili rischi connessi ad un contenzioso
giurisdizionale e di eventuali altri elementi sensibili per il perseguimento
degli interessi della collettività.
Va ricordato che le reciproche concessioni possono
riguardare anche rapporti diversi da quello specifico, che ha formato oggetto
della pretesa. In base a tale principio, l’amministrazione in luogo del petitum
o di parte di esso, potrebbe, ad esempio, concedere un
maggior termine di ultimazione, disapplicare la penale, rinunciare a far valere
modeste imperfezioni all’opera non incidenti sulla sua funzionalità etc..
Non si può, infine, disconoscere che nella materia in
questione, essendo una delle due parti un soggetto pubblico, la soluzione
transattiva delle vertenze assume connotati di particolare delicatezza, visto
che l’amministrazione non può ad libitum fare
concessioni patrimoniali, né rinunciare a suoi diritti. È, perciò, da ritenere
che la transazione debba avere alla propria base un’articolata istruttoria, sia
sull’an, sia sul quantum e che le concessioni o
rinunce dell’amministrazione debbano essere fondate su un ragionevole margine
di dubbio, che la inducano a ritenere che un eventuale contenzioso
giurisdizionale potrebbe avere esiti maggiormente pregiudizievoli della
transazione stessa.
Parte V: Disposizioni di coordinamento, finali e transitorie
- abrogazioni
1. Norme transitorie
La disposizione transitoria essenziale è quella contenuta
al 1° comma dell’art.
Per quanto concerne il nuovo regolamento generale di
attuazione del codice e la perdurante vigenza, nelle more dell’approvazione di
questo, delle norme di cui al D.P.R. n. 554/1999 e al D.P.R. n. 34/2000, nonché
del capitolato generale di appalto di cui al D.M. n. 145/2000 fino
all’emanazione del nuovo capitolato generale, si rinvia a
quanto detto al paragrafo 2 della parte I.
Diretta applicazione di quanto ora detto è la norma di cui al successivo comma 9, secondo cui, per quanto
concerne i requisiti delle associazioni temporanee di imprese e dei consorzi
ordinari, fino all’emanazione del nuovo ordinamento, continuano ad avere piena
applicazione le disposizioni contenute nei commi da
Particolare rilevanza ha sul piano pratico la
disposizione di cui al comma 21, che demanda ad un
successivo decreto, da emanarsi da parte del Ministro delle infrastrutture
d’intesa con l’Autorità di vigilanza, le modalità di verifica della veridicità
dei certificati dei lavori pubblici e delle fatture utilizzati ai fini del
rilascio delle attestazioni SOA (in relazione ai lavori privati, ai sensi
dell’art. 25, comma 5 lettera c) del D.P.R. n. 34/2000) relativamente alle
attestazioni rilasciate alle imprese dalle SOA nel periodo intercorso tra il 1°
marzo 2000 ed il 1° luglio 2006. La disposizione precisa che, una volta emanato
il decreto, la verifica deve essere conclusa entro un anno dalla data di
entrata in vigore del
decreto stesso. Infine, per quanto la disposizione non sia particolarmente
precisa, è da ritenere che tale verifica sia demandata all’Autorità di
vigilanza, in quanto istituzionalmente preposta al controllo sull’attività
delle SOA.
Per quanto, infine, riguarda
norme transitorie particolari riguardanti specifici istituti, se ne è fatto
cenno nella presente circolare, trattando di questi ultimi, cui pertanto si fa
rinvio (opere a scomputo di urbanizzazione secondaria sotto soglia - comma 8 -;
verifica preventiva dell’interesse archeologico - comma 18 -; lavori in
economia - comma 22 -; concessioni già assentite alla data del 30 giugno 2002 -
comma 25 -).
2. Sospensione di alcuni istituti del codice fino
al 1° febbraio 2007 (omissis)
(N.B. tale argomento è trattato in
questo Notiziario nell’articolo precedente)
Testo
integrale della Circolare Ance