URBANISTICA
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(Consiglio di Stato, Sez. IV, 21 agosto 2006,
n. 4833)
Il Consiglio di Stato ha fissato nuovi paletti
ai poteri discrezionali della Pubblica Amministrazione in materia di
pianificazione urbanistica, confermando l’illegittimità di una norma tecnica di
attuazione che nell’ambito di una determinata zona omogenea di un PRG riservava
al comune “una quota del 50% della capacità insediativa totale”. Tale norma,
inserita dalla Regione in sede di approvazione del PRG con funzione di
contenimento dei prezzi dei terreni edificabili e di immediato utilizzo delle
aree da parte del comune, comprime in maniera del tutto ingiustificata la
potenzialità edificatoria dei privati, configurando per i giudici una forma
atipica di espropriazione della proprietà e, quindi, al di fuori delle garanzie
previste dall’art. 42 della Costituzione.
Secondo il Consiglio di Stato, il comune deve
agire utilizzando gli strumenti previsti dalla legge e cioè attraverso il
potere di esproprio delle aree nell’ambito dei piani attuativi.
Dalla sentenza pertanto si ricava il principio
per cui l’ente locale non può incidere sulla proprietà privata, anche se per
scopi sociali, mediante strumenti surrettizi e diversi da quelli previsti per
legge.
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.omissis . . .
FATTO
Con atto notificato il 16 febbraio 1998, e depositato
il successivo 4 marzo 1998,
La Regione appellante eccepisce, preliminarmente,
l’inammissibilità del ricorso in quanto proposto avverso disposizione di
carattere programmatico ed astratto, contestando, poi, l’assunto del Giudice di
primo grado, secondo il quale la previsione in parola avrebbe avuto un
carattere espropriativo, sostenendosi, invece, che si tratterebbe soltanto di
vincolo urbanistico conformativo del diritto di proprietà.
Si sono costituiti i soggetti indicati in epigrafe
deducendo l’infondatezza del gravame in fatto e diritto.
La causa è passata in decisione all’udienza pubblica
del 23 maggio 2006.
DIRITTO
1. - Ritiene la Sezione che sia infondata l’eccezione
pregiudiziale sollevata dall’appellante Regione Veneto, sul presupposto che la
disposizione impugnata - introdotta mediante modifica d’ufficio nelle norme
tecniche di attuazione del Piano regolatore generale del Comune di Bassano del
Grappa - non sarebbe immediatamente lesiva per i ricorrenti, avendo carattere
meramente programmatico ed astratto.
Trattasi della norma di cui all’art. 41 delle N.T.A.,
relativa alla zona territoriale omogenea D/1.3, in cui sono ricomprese le aree
di proprietà dei ricorrenti in primo grado, per la quale la surricordata
modifica d’ufficio ha stabilito quanto segue: “una quota del 50% della capacità
insediativa totale è riservata al Comune”.
Osserva il Collegio che una simile previsione appare,
in realtà, preordinata a comprimere in maniera del tutto indiscriminata la
potenzialità edificatoria delle aree, ricomprese nella zona in parola, il cui
valore viene per ciò solo inevitabilmente ed immediatamente ridimensionato, senza
che possa attribuirsi alcun rilievo alle modalità di successiva concreta
attuazione degli interventi, che allo stato non risultano ancora determinate.
Tanto basta per riconoscere ai proprietari delle aree
in questione un interesse diretto, immediato ed attuale all’impugnativa della
disposizione di cui si tratta, palesandosi irrilevanti, sotto il profilo
considerato, le giustificazioni offerte dalla Regione in ordine alle garanzie
che potrebbero essere in generale assicurate ai proprietari espropriati, in sede
attuativa.
2. - Ciò posto, appaiono infondate anche le
contestazioni rivolte dalla Regione appellante nei confronti delle statuizioni
del Giudice di primo grado, il quale ha ritenuto illegittima la disposizione
impugnata, in quanto volta a configurare una forma di espropriazione del tutto
atipica, non ricondotta e non correttamente riconducibile ad alcuna specifica
norma delle leggi vigenti in materia.
2.1. - Tale conclusione viene in particolare
avvalorata dalla motivazione desumibile “per relationem” dal parere reso in
data 30 marzo 1992 dalla Seconda Commissione Consilare, la quale ha giudicato
favorevolmente la disposizione ora in esame, in quanto giudicata idonea a
realizzare “una forma di perequazione che può riservare alla Pubblica
Amministrazione una funzione di calmierazione e immediato utilizzo delle aree”.
Al riguardo, infatti, sono chiaramente condivisibili
le considerazioni svolte in prime cure secondo cui non è dato rinvenire alcuna
disciplina, di fonte legislativa, che autorizzi una riserva di proprietà
fondiaria alla mano pubblica - come quella prefigurata nella specie - al fine
di contenimento dei prezzi, in un’ottica “dirigista” del mercato dei terreni
edificabili.
2.2. - Va ribadito, quindi, che in assenza di
specifica normativa primaria la disposizione in parola si manifesta priva del
supporto legislativo necessario per giustificare la cennata compressione del
diritto di proprietà, al di fuori delle garanzie previste in proposito
dall’art. 42 della Carta costituzionale.
2.3. - In definitiva, dunque, merita conferma la
indicazione contenuta nel parere reso in proposito dalla Commissione Tecnica
Regionale, che aveva prospettato l’esigenza di stralciare la disposizione di
cui si tratta, atteso che al Comune – in base alla normativa vigente in materia
- è attribuita la possibilità di espropriare mediante lo strumento dei piani
attuativi, ma tale Ente non può, invece, “riservarsi” preventivamente
l’acquisizione di aree con le modalità atipiche previste della disposizione in
discorso.
3. - L’appello deve essere, pertanto, respinto.
4. - Le spese del giudizio seguono la soccombenza e
sono liquidate come indicato in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale,
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso meglio specificato in
epigrafe:
- respinge l’appello e, per l’effetto, conferma la
sentenza impugnata;
- condanna l’Amministrazione appellante a rifondere
in favore dei resistenti le spese del presente grado di giudizio che liquida in
complessivi euro 5.000,00 (cinquemila).
Ordina che la presente decisione sia eseguita
dall’Autorità amministrativa.