SICUREZZA SUL LAVORO - LEGGE N. 123/07 - NORME DI DIRETTA ATTUAZIONE - MINISTERO DEL LAVORO CIRCOLARE N.
24/2007
Si scioglie la riserva
contenuta nella informativa contenuta nel suppl. n. 1 al Not. n. 11/2007 per
pubblicare di seguito un ulteriore commento alla Legge n. 123/2007 (cfr. Not.
n. 8-9/2007) anche alla luce della nuova circolare n. 24/2007 diramata dal
Ministero del Lavoro, che è pubblicata in calce alla presente nota.
Tra gli altri chiarimenti
forniti il Ministero del Lavoro, con la circolare in commento, ha integrato le
istruzioni dettate dalla precedente nota ministeriale del 22 agosto 2007,
relativa all’applicazione delle norme contenute nella Legge n. 123/07.
Provvedimento di
sospensione dell’attività imprenditoriale
In particolare, le nuove
indicazioni ministeriali riguardano il provvedimento di sospensione
dell’attività imprenditoriale di cui all’art. 5 della L. n. 123/07 che è stato
esteso anche alle imprese che operano nel settore edile.
Le precedenti istruzioni
del Ministero, infatti, avevano escluso dall’ambito di applicazione dello
stesso art. 5 il comparto dell’edilizia, poichè già
destinatario del provvedimento ex art. 36 bis della L. n. 248/06, la cui norma
era stata specificatamente fatta salva dalla citata legge n. 123/07.
Il Dicastero, questa volta,
è intervenuto per sottolineare che le disposizioni dei due provvedimenti in
realtà si integrano reciprocamente, nel rispetto dei principi di sicurezza e
regolarità del rapporto di lavoro.
Le gravi e reiterate
violazioni in materia di sicurezza, quindi, sono l’elemento innovativo
introdotto dall’art. 5 che, con riferimento alla sospensione dell’attività
imprenditoriale, come già specificatamente chiarito nella lettera circolare del
22 agosto scorso, deve interessare esclusivamente la singola unità produttiva
rispetto alla quale devono essere verificati i presupposti di applicazione del
provvedimento e circoscritti gli effetti sospensivi dello stesso, fermo
restando quanto previsto in materia di interdizione alla contrattazione con le pubbliche amministrazioni e alla
partecipazione alle gare pubbliche, di cui al secondo periodo del 1° comma del
medesimo art. 5.
Presupposti per
l’adozione del provvedimento di sospensione
Quanto ai presupposti per
la sospensione dell’attività, è stato precisato che la reiterazione deve essere
intesa come la ripetizione di una condotta illecita “grave” nell’ultimo
quinquennio, escludendo le condotte antecedenti alla data di entrata in vigore
della legge in oggetto.
Relativamente
all’individuazione delle gravi violazioni, cui consegue l’applicazione del
provvedimento interdittivo, la nota ha specificato che si tratta di quelle
violazioni che ledono i principi fondamentali del sistema prevenzionale e che
mettono a repentaglio gli interessi dell’ordinamento.
Nel rispetto del principio
di tassatività, il Ministero si è riservato di definire un elenco esplicito di
tali gravi infrazioni.
Discrezionalità del
provvedimento di sospensione
Riprendendo i contenuti
della nota del 22 agosto è stata ribadita, inoltre, la discrezionalità del
provvedimento sospensivo; in sostanza, nel caso in cui il provvedimento de quo
comportasse una situazione di imminente pericolo per i lavoratori o per i
terzi, ovvero comportasse un irrimediabile deterioramento degli impianti e
delle attrezzature di lavoro, questo non dovrà essere adottato o, in
alternativa, potrà essere differito nel tempo.
Analogamente, anche il
rischio di compromettere un servizio pubblico giustificherebbe la mancata
adozione della sospensione, in quanto pregiudicherebbe un diritto
costituzionalmente garantito, che solo un provvedimento sospensivo per gravi e
reiterate violazioni alla normativa della sicurezza, funzionale alla tutela del
primario diritto costituzionale alla salute ex art. 32 della Costituzione, ne
limiterebbe l’esercizio.
Organi competenti ad
adottare il provvedimento di sospensione
Per quel che concerne le
competenze, oltre al personale ispettivo della ASL, a cui è attribuita la
funzione di vigilanza in materia di tutela della salute e della sicurezza sui
luoghi di lavoro ai sensi della L. n. 833/78, viene riconosciuta la legittimità ad adottare il provvedimento sospensivo anche
al personale ispettivo del Ministero del lavoro, ma limitatamente alle materie
individuate con il Dpcm n. 412/97 che, si ricorda, ha
esteso l’attività di vigilanza esercitata dagli ispettori delle Direzioni
Provinciali del Lavoro al settore delle costruzioni edili.
Individuazione delle
sanzioni
L’art. 5 prevede, tra le
altre condizioni, il pagamento di una sanzione amministrativa aggiuntiva pari
ad un quinto delle sanzioni amministrative complessivamente irrogate. Al
riguardo, nonostante l’espressione letterale, il Ministero ha puntualizzato che
non si tratta di una sanzione amministrativa, ma semplicemente di un onere
economico accessorio che, se non pagato, comporterebbe il protrarsi della
sospensione, ma non la riscossione coattiva del relativo importo.
Con riferimento all’esatta
individuazione delle sanzioni complessivamente irrogate, queste riguardano le
sole ipotesi richiamate dal comma 2, lett. a) dell’art. 5, ovvero le violazioni
connesse all’utilizzo di lavoratori in nero. In particolare, si tratta della
maxisanzione, dell’omessa istituzione ed esibizione dei libri obbligatori,
della mancata scritturazione del personale sui libri obbligatori, della mancata
denuncia di assunzione all’Inail e al centro per l’impiego, dell’omessa
consegna al lavoratore della lettera di assunzione e del prospetto di paga.
Relativamente alla
quantificazione dell’importo delle suddette violazioni, devono essere presi in
considerazione gli importi relativi alle violazioni riportate nei verbali
redatti dagli accertatori, indipendentemente dal fatto che si debba adottare la
diffida obbligatoria o procedere alla contestazione dell’illecito
amministrativo. L’importo aggiuntivo, infatti, è meramente strumentale
all’adozione della revoca del provvedimento di sospensione, senza peraltro
avere una propria autonomia quale distinta fattispecie sanzionatoria.
Modificazioni al D.Lgs.
n. 626/1994 in materia di appalti
La circolare in commento, a
proposito dell’art. 3, comma 1, lettera a) inerente le modifiche al comma 3
dell’art. 7 del D. Lgs. 626/94, precisa che il Documento Unico di valutazione
riguarda i rischi scaturenti dalle interferenze e non quelli specifici propri
dell’attività svolta che continueranno ad essere, pertanto, oggetto del
documento di valutazione dei rischi proprio di ciascuna impresa.
La circolare specifica che
nell’ambito della nozione di “appalto”, ai fini dell’applicazione dell’art. 7
del D. Lgs. 626/94, rientrano anche i casi di “subappalto” e di “fornitura e
posa in opera” e gli appalti cosidetti “extraziendali” che risultino necessari al fine della
realizzazione del ciclo produttivo dell’opera o del servizio e non siano
semplicemente preparatori o complementari dell’attività produttiva in senso
stretto. Si escludono, tuttavia, i casi in cui le attività si svolgono in
locali sottratti alla disponibilità giuridica del committente che, in tal caso,
non ha la possibilità di effettuare l’analisi e la valutazione dei rischi.
Infine la circolare
sottolinea che il documento unico di valutazione dei rischi derivanti dalle
interferenze (DUVRI) è un documento “dinamico” e non “statico” poichè la valutazione deve necessariamente seguire
l’evoluzione dell’attività (subappalti intervenuti successivamente all’inizio
dei lavori, modifiche di carattere tecnico, organizzativo, logistico).
Risulta evidente che, nel
caso di appalti di lavori di costruzioni, l’impresa che si avvale di
subappaltatori possa dare attuazione alla norma facendo riferimento
(eventualmente con proprie integrazioni) a quanto contenuto nel Piano di
sicurezza e di coordinamento (PSC) trasmessole dal committente e che l’impresa
stessa è già tenuta a trasmettere ai subappaltatori. Tale documento, infatti,
contiene le caratteristiche proprie del DUVRI (analisi e valutazione dei rischi
derivanti dalle interferenze tra le diverse attività che si svolgeranno
all’interno del cantiere, indicazione delle misure adottate per la gestione
delle interferenze, adattamento all’evoluzione del cantiere).
Rappresentante dei
Lavoratori per la Sicurezza e documento di valutazione dei rischi
In merito alla fruizione da
parte del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza del documento di
valutazione dei rischi e del registro degli infortuni il MInistero
ha richiamato l’obbligo normativo di rispettare il segreto industriale e,
comunque, in generale l’obbligo di riservatezza a cui è tenuto il
rappresentante dei lavoratori per la sicurezza in ordine ai processi lavorativi
dei quali viene a conoscenza nell’esercizio delle proprie funzioni, ai sensi
dell’art. 9, co. 3 del D.Lgs. n. 626/94.
Tessera di
riconoscimento del personale impegnato in appalti
Gli ultimi chiarimenti
della nota sono stati indirizzati alle modifiche apportate dall’art. 11 della
L. n. 123/07 all’art. 1, co. 1198 della legge n. 296/06 che prevedeva la
sospensione per un anno delle verifiche ispettive nei confronti delle imprese
che avessero presentato domanda di emersione. Non potendosi estendere tale
previsione anche con riferimento alla materia della sicurezza e salute dei
lavoratori, ne è stata decisa la totale soppressione, con conseguente
esclusione della possibilità concessa al datore di lavoro di usufruire del
termine annuale per la regolarizzazione delle carenze prevenzionistiche.
Nessuna nuova disposizione
in merito è scaturita dalla circolare in esame relativamente all’obbligo di
munire di apposita tessera di riconoscimento il personale impiegato nell’ambito
degli appalti e subappalti e riguardo all’estensione della procedure di diffida
anche al personale amministrativo degli Istituti previdenziali.
Ministero del Lavoro e
della Previdenza Sociale
Direzione
generale per l’Attività Ispettiva
Circolare n. 24/2007
Roma, 14 novembre 2007
Oggetto: L. n. 123/2007 - norme di
diretta attuazione - indicazioni operative al personale ispettivo.
Con riferimento alla
concreta applicazione delle norme di diretta attuazione contenute nella L. n.
123/2007, questo Ministero ha provveduto a fornire le prime indicazioni di
carattere interpretativo al personale ispettivo, seppur con esclusivo
riferimento al provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale.
A seguito di un più attento
ed approfondito esame delle questioni connesse alla applicazione della citata
normativa si ritiene opportuno fornire i seguenti chiarimenti a parziale
modifica ed integrazione dei contenuti della lettera circolare del 22 agosto
2007, chiarimenti formulati d’intesa con la Direzione generale della Tutela
delle Condizioni di Lavoro e sentito il Coordinamento tecnico delle Regioni.
Provvedimento di
sospensione dell’attività imprenditoriale
La nuova formulazione
contenuta nell’art. 5 L. 123/2007 riprende sostanzialmente i contenuti
dell’art. 36 bis del D.L. 223/2006 (conv. da L. n.
248/2006), ampliando però sia la platea dei destinatari che i presupposti
operativi del provvedimento interdittivo.
Ferme restando, pertanto,
le previsioni di cui al citato art. 36 bis, si sottolinea il legame di forte
continuità fra le due disposizioni, entrambe volte a coniugare i principi di
sicurezza e di regolarità del rapporto di lavoro e caratterizzate dalla
sussistenza dei medesimi presupposti operativi.
L’elemento innovativo
introdotto dall’art. 5 della L. n. 123/2007, rappresentato dal presupposto
delle “gravi e reiterate violazioni in materia di sicurezza”, non fa altro che
rafforzare l’efficacia dello strumento interdittivo, in particolare in tutte
quelle realtà caratterizzate da rischi rilevanti e da una particolare incidenza
del fenomeno infortunistico.
Ne consegue, pertanto, che
la nozione di attività imprenditoriale, già interpretata nel senso di “unità
produttiva” con la predetta lettera circolare del 22 agosto u.s., non può non
ricomprendere, necessariamente, anche le aziende operanti nel settore edile nel
quale, come noto, maggiormente si avverte l’esigenza di elevare gli standards di sicurezza e tutela delle condizioni di lavoro.
Discrezionalità del
provvedimento di sospensione
Fermo restando quanto già
precisato con la citata lettera circolare del 22 agosto u.s., relativamente
alla possibilità di non emanare il provvedimento di sospensione nelle ipotesi
in cui la sua adozione comporti una imminente situazione di pericolo sia per i
lavoratori che per i terzi nonché nelle ipotesi in cui l’interruzione
dell’attività imprenditoriale comporti un irrimediabile degrado “degli impianti
e delle attrezzature”, vanno svolte ulteriori considerazioni in ordine alla
opportunità di non adottare o differire l’adozione dello stesso provvedimento.
In particolare, va
attentamente valutata l’opportunità di adottare il provvedimento di sospensione
in tutte quelle ipotesi in cui si venga a compromettere il regolare
funzionamento di una attività di servizio pubblico, anche in concessione (ad
es. attività di trasporto, di fornitura di energia elettrica, acqua, luce, gas
ecc.), così pregiudicando il godimento di diritti costituzionalmente garantiti.
Una possibile limitazione
all’esercizio di tali diritti trova invece giustificazione laddove il provvedimento
di sospensione per gravi e reiterate violazioni della normativa in materia di
sicurezza sia funzionale alla tutela del primario diritto costituzionale alla
salute di cui all’art. 32 Cost.
Strumentalità
dell’accertamento delle violazioni in materia di sicurezza
Un primo dubbio
interpretativo sollevato attiene al riconoscimento in capo al personale
ispettivo del Ministero del lavoro, in virtù dell’art. 5, comma l, della L. n.
123/2007 di una generalizzata competenza nelle materia attinente alla tutela
della salute e della sicurezza sul lavoro.
In primo luogo va chiarito
che con la citata disposizione il Legislatore non sembra aver voluto modificare
il preesistente quadro delle competenze che, come noto, prevede il conferimento
in via generale delle funzioni di vigilanza nella materia in questione al
personale ispettivo delle aziende sanitarie locali (L. n. 833/1978) e una
competenza “concorrente”degli ispettori del lavoro limitatamente alle materie
individuate con il D.P. C.M. n. 412/1997.
Da ciò consegue che, almeno
in via di prima applicazione dell’istituto, salvo successive diverse istruzioni
da concordare con il Coordinamento tecnico delle Regioni, il personale
ispettivo del Ministero del lavoro provvede ad adottare l’atto di sospensione
in caso di gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della sicurezza e
salute del lavoro con esclusivo riferimento al proprio ambito di competenza e
cioè nel settore delle costruzioni edili o di genio civile, nei lavori in
sotterraneo e gallerie, nei lavori mediante cassoni in aria compressa e
subacquei, nei lavori in ambito ferroviario e nel settore delle radiazioni
ionizzanti.
Per quanto attiene al
requisito della reiterazione, da intendersi come ripetizione di condotte
illecite “gravi” nell’arco temporale dell’ultimo quinquennio, in ossequio a
quanto previsto dall’art. Il delle Disposizioni sulla legge in generale, lo
stesso va individuato a decorrere dalla data di entrata in vigore della L. n.
123/2007 con esclusione, quindi, delle condotte antecedenti a tale data.
La verifica del requisito
della reiterazione impone, evidentemente, una ricerca delle violazioni
pregresse da svolgersi nel modo più rigoroso e quindi, in particolare, sia
all’interno della Amministrazione di appartenenza sia mediante lo scambio di
informazioni con gli altri organi di vigilanza competenti in materia, sia
tramite l’accertamento dell’esistenza di sentenze penali passate in giudicato,
sia presso l’impresa soggetta ad ispezione.
Per
quanto attiene invece alla individuazione delle “gravi” violazioni in materia
prevenzionistica, nel ribadire che in tale ambito rientrano le violazioni che
giustificano l’adozione del provvedimento interdittivo in quanto ledono i
principi fondamentali del sistema prevenzionale e mettono a repentaglio gli
interessi generali dell’ordinamento, si fa riserva di definire un elenco
esplicito delle stesse da concordarsi con il Coordinamento tecnico delle
Regioni. Ciò nel rispetto del principio di tassatività che non può non
connotare il presupposto per l’adozione di un provvedimento di rilevante
gravità quale la sospensione di una attività imprenditoriale.
Natura della “sanzione
amministrativa aggiuntiva”
Un altro dubbio
interpretativo attiene al pagamento della “sanzione amministrativa aggiuntiva”
quale presupposto per la revoca del provvedimento di sospensione.
Al riguardo occorre
preliminarmente precisare che, nonostante il tenore letterale della
disposizione normativa, non si è in presenza di una sanzione amministrativa,
quanto piuttosto di un “onere economico accessorio”.
A tale conclusione si
giunge considerando, da un lato, che ad essa non trova applicazione il
meccanismo di quantificazione di cui all’art. 16 della L. n. 689/1981, in
quanto il criterio di computo è già definito dalla legge, dall’altro perché in
caso di mancato pagamento da parte del trasgressore di detto onere, l’unica
conseguenza consiste nella mera permanenza degli effetti sospensivi del
provvedimento, senza alcun ulteriore seguito in termini di riscossione coattiva
del relativo importo.
lndividuazione delle sanzioni
amministrative complessivamente irrogate
Ulteriore nodo
interpretativo da sciogliere concerne l’esatta individuazione della nozione di
sanzioni amministrative complessivamente irrogate.
In primo luogo è da
rilevare che la questione si pone evidentemente solo con riferimento
all’ipotesi di cui alla lettera a) del comma 2 dell’art. 5 della L. n. 123/2007
e cioè alle violazioni da considerarsi “connesse” all’illecito concernente
l’utilizzazione di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra
documentazione obbligatoria.
A titolo esemplificativo,
pertanto, si possono considerare tutte quelle ipotesi di violazione conseguenti
all’occupazione di manodopera in nero e cioè la “maxisanzione”, l’omessa istituzione
ed esibizione dei libri obbligatori, la mancata scritturazione del personale
sui libri obbligatori, il mancato inoltro all’INAIL della denuncia nominativa
assicurati, l’omessa comunicazione di assunzione al Centro per l’Impiego,
l’omessa consegna al lavoratore della lettera di assunzione nonché del
prospetto di paga.
Quanto alla formulazione
normativa che fa riferimento alla “irrogazione” delle sanzioni, già con la
lettera circolare del 22 agosto 2007, si è fatto ricorso alla nozione di
violazioni immediatamente accertate dal personale ispettivo in sede di verifica
in quanto, in realtà, l’accertamento è il presupposto logico necessario
all’irrogazione delle sanzioni stesse.
Dal punto di vista
operativo, pertanto, è sufficiente considerare gli importi relativi alle
violazioni riportate nel verbale di accertamento, indipendentemente dal fatto
che per le stesse, a livello procedimentale, si debba adottare la diffida
obbligatoria ex art. 13 D.Lgs. n. 124/2004, ovvero procedere alla contestazione
di illecito amministrativo ai sensi dell’art. 14 della L. n. 689/1981.
Inoltre, per quanto attiene
alla quantificazione dell’importo relativo alle violazioni di cui sopra - così
come già indicato con la citata lettera circolare del 22 agosto 2007- lo stesso
va comunque quantificato ai sensi dell’ art. 16 della L. n. 689/1981, a
prescindere che sussistano o meno i presupposti della diffida obbligatoria.
Va tenuto presente,
infatti, che la commisurazione di tale importo aggiuntivo è meramente
strumentale alla adozione della revoca del provvedimento di sospensione ma,
come già detto, non ha una sua autonomia quale distinta fattispecie
sanzionatoria.
Sotto il profilo
procedimentale, infine, l’adozione del provvedimento di diffida o di
notificazione di illecito amministrativo, relativi a dette violazioni, può
avvenire anche in un momento successivo all’adozione del provvedimento di
sospensione, secondo l’iter ordinario.
Modificazioni al D.Lgs.
n. 626/1994 in materia di appalti
Di particolare rilievo
appare la previsione che, sostituendo il comma 3 dell’ art. 7 del D.Lgs. n.
626/1994 dà un significato puntuale alla nozione di cooperazione e
coordinamento fra datore di lavoro committente e appaltatore in ordine alla
pianificazione di sicurezza, introducendo a carico del primo l’obbligo di
elaborare un documento unico di valutazione relativo ai rischi scaturenti dalla
“interferenza” delle lavorazioni.
È evidente che per tutti
gli altri rischi non riferibili alle interferenze resta immutato l’obbligo per
ciascuna impresa di elaborare il proprio documento di valutazione dei rischi e
di provvedere all’ attuazione delle misure di sicurezza necessarie per
eliminare o ridurre al minimo i rischi specifici propri dell’attività svolta.
Premesso che nell’ambito
della nozione di “appalto”, in considerazione delle finalità sopra evidenziate,
non possono non rientrare anche le ipotesi di subappalto così come quelle di
“fornitura e posa in opera” di materiali, tutte accomunate dalla caratteristica
dell’impiego necessario di manodopera, si precisa che l’obbligo di
pianificazione a carico del committente trova applicazione in tutti gli appalti
c.d. “interni” nei confronti di imprese o lavoratori autonomi ma, in virtù
delle modifiche introdotte dall’art. 1, comma 910, della L. n. 296/2006
(Finanziaria 2007), anche nel caso di affidamento di lavori o servizi
rientranti “nell’ambito dell’intero ciclo produttivo dell’azienda medesima”.
Ciò comporta che l’obbligo di elaborazione del documento unico di valutazione
del rischio sussiste anche nelle ipotesi di appalti “extraziendali”
che tuttavia risultino necessari al fine della realizzazione del ciclo
produttivo dell’opera o del servizio e non siano semplicemente preparatori o
complementari della attività produttiva in senso stretto.
È da ritenere che da tale
ambito debbano escludersi le attività che, pur rientrando nel ciclo produttivo
aziendale, si svolgano in locali sottratti alla giuridica disponibilità del
committente e, quindi, alla possibilità per lo stesso di svolgere nel medesimo
ambiente gli adempimenti stabiliti dalla legge.
Il documento unico di
valutazione del rischio, inoltre, non può considerarsi un documento “statico”
ma necessariamente “dinamico”, per cui la valutazione effettuata prima
dell’inizio dei lavori deve necessariamente essere aggiornata in caso di
subappalti o forniture e posa in opera intervenuti successivamente ovvero in
caso di modifiche di carattere tecnico, logistico o organizzativo incidenti
sulle modalità realizzative dell’opera o del servizio
che dovessero intervenire in corso d’opera.
Rappresentante dei
Lavoratori per la Sicurezza e documento di valutazione dei rischi
Modificando l’art. 19,
comma 5, del D.Lgs. n. 626/1994 la normativa in esame interviene a risolvere
con chiarezza la problematica concernente la fruizione da parte del
Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza del documento di valutazione dei
rischi. Nonostante già con circo n. 68/2000 di questo Ministero il diritto di
accesso al documento in questione fosse stato interpretato come materiale
consegna del documento salvo ipotesi eccezionali, continuavano a verificarsi
comportamenti datori ali non in linea con la citata interpretazione
ministeriale. La previsione normativa esplicita ora che il datore di lavoro è
tenuto a consegnare materialmente copia del documento nonché del registro
infortuni al Rappresentare dei Lavoratori per la Sicurezza.
A tal proposito è però
opportuno ricordare che l’art. 9, comma 3, del D.Lgs. n. 626/1994 impone ai
Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza il segreto in ordine ai processi
lavorativi di cui vengono a conoscenza nell’esercizio delle loro funzioni. Si
rimarca, altresì, che i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza possono
utilizzare le informazioni contenute nei documenti in parola unicamente per
esercitare le funzioni loro riservate, dovendo rispettare al riguardo le
previsioni di legge in materia di tutela del segreto industriale e
riservatezza.
Tessera di
riconoscimento del personale impegnato in appalti
L’art. 6 della normativa in
esame introduce, anche per i datori di lavoro operanti in attività non edili,
l’obbligo di munire il personale occupato nell’ambito degli appalti e
subappalti, a decorrere dal l” settembre 2007, di apposita tessera di
riconoscimento corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore
e l’indicazione del datore di lavoro.
Quanto al campo di
applicazione della previsione va precisato che l’ambito di riferimento è da
individuarsi nei soli appalti “interni”, considerata la ratio della
disposizione volta a consentire una più agevole identificazione del personale
impegnato in contesti organizzativi complessi caratterizzati dalla compresenza,
in uno stesso luogo, di lavoratori appartenenti a diversi datori di lavoro.
L’obbligo datoriale, come
risulta chiaramente dalla formulazione normativa, è quello di “munire” il
“personale occupato” dall’azienda - come tale intendendosi sia i lavoratori
subordinati che coloro i quali risultano comunque inseriti nel ciclo
produttivo, ricevendo direttive in ordine alle concrete modalità di svolgimento
della prestazione lavorativa dedotta in contratto (ad es. lavoratore a
progetto) - della tessera di riconoscimento, mentre l’obbligo in capo al
lavoratore è quello di esporre detta tessera.
Tenuto conto delle citate
finalità della disposizione, i lavoratori sono tenuti a portare indosso in
chiara evidenza la tessera di riconoscimento e medesimo obbligo fa capo ai
lavoratori autonomi che operano nell’ambito dell’appalto, i quali sono tenuti a
provvedervi per proprio conto (ad es. artigiani).
I dati contenuti nella
tessera di riconoscimento devono consentire l’inequivoco
ed immediato riconoscimento del lavoratore interessato e pertanto, oltre alla
fotografia, deve essere riportato in modo leggibile almeno il nome, il cognome
e la data di nascita. La tessera inoltre deve indicare il nome o la ragione
sociale dell’impresa datrice di lavoro.
La previsione normativa
stabilisce ancora che, in via alternativa, i soli datori di lavoro che occupano
meno di dieci dipendenti (cioè massimo nove) possono assolvere all’obbligo di
esporre la tessera “mediante annotazione, su apposito registro vidimato dalla
Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente da tenersi sul
luogo di lavoro, degli estremi del personale giornalmente impiegato nei
lavori”.
Con riferimento all’ambito
applicativo della previsione si rinvia a quanto già precisato dalla circo n.
29/2006 di questo Ministero.
Dalla formulazione della
norma, inoltre, si evince che l’obbligo di tenere il registro in argomento è
riferito a ciascun appalto di opere o servizi, cosicché l’impresa interessata è
tenuta ad istituire più registri qualora svolga la propria attività in luoghi
diversi.
Tale registro non può mai
essere rimosso dal luogo di lavoro in quanto altrimenti si vanifica la finalità
per la quale lo stesso è stato istituito; va altresì precisato che le
annotazioni sullo stesso vanno effettuate necessariamente prima dell’inizio
dell’attività lavorativa giornaliera in quanto trattasi di un registro “di
presenza” sul luogo di lavoro.
Per quanto concerne le
modalità di vidimazione del registro da parte delle Direzioni provinciali del
lavoro è possibile rinviare in via analogica a quanto previsto dal T. U. n.
112411965 con riferimento ai libri di paga e matricola.
Sotto il profilo
sanzionatorio la mancata tenuta sul luogo di lavoro del registro ovvero
l’irregolare tenuta dello stesso comporta in capo al datore di lavoro la
medesima sanzione prevista con riferimento alle tessere di riconoscimento (da
€100 ad € 500 per ciascun lavoratore), essendo il registro uno strumento
alternativo ed equipollente alle stesse.
Nei confronti di tali
sanzioni si ricorda da ultimo che non è ammessa la procedura di diffida di cui
all’articolo 13 del D.Lgs. n. 124/2004 per espressa previsione normativa.
Modifiche al comma 1198
della L. n. 296/2006
L’art. 11 della legge
modifica l’art. 1, comma 1198, della L. n. 296/2006 (Finanziaria 2007) che
precludeva per un anno gli accertamenti ispettivi anche in materia di sicurezza
nei confronti delle imprese che hanno presentato domanda di emersione,
prevedendo altresì un periodo di moratoria di pari durata per la
regolarizzazione delle carenze prevenzionistiche. Preso atto delle possibili
criticità anche sul piano dei principi costituzionali della formulazione
normativa, la disposizione chiarisce in modo inequivoco
che la sospensione delle verifiche ispettive non trova applicazione con
riferimento alla materia della sicurezza e salute dei lavoratori, materia in
ordine alla quale rimangono intatte le prerogative accertative
degli organi di vigilanza. È dunque conseguentemente soppressa la possibilità
da parte del datore di lavoro di usufruire del termine annuale per la
regolarizzazione delle citate carenze prevenzionistiche.
Applicazione della
diffida da parte del personale amministrativo degli Istituti previdenziali
L’art. 4, comma 6
interviene a risolvere la problematica concernente la applicazione
dell’istituto della diffida obbligatoria di cui all’art. 13 del D.Lgs. n.
124/2004 da parte del personale amministrativo degli Enti previdenziali che
accerta d’ufficio la sussistenza di violazioni amministrative “comunque
sanabili”. Essendo l’istituto della diffida prerogativa del personale ispettivo
del Ministero del lavoro e degli Enti si poneva infatti il problema della sua
adozione -anche in quanto condizione di procedibilità dell
‘illecito - da parte di personale degli Enti che non riveste tale qualifica pur
svolgendo, ai sensi dell’ art. 13 della L. n. 68911981, una attività accertati
va in materia previdenziale. La disposizione, con estrema chiarezza, prevede
dunque l’estensione della procedura di diffida anche con riferimento a tale
personale risolvendo peraltro una delicata questione sul piano della parità di
trattamento dei contravventori e privilegiando il profilo “sostanziale” del
procedimento di composizione dell’ illecito amministrativo rispetto
all’elemento “formale” della qualifica rivestita dal soggetto accertatore.