APPALTI PUBBLICI - LA SOGGETTIVA
VALUTAZIONE DEL CONCORRENTE CIRCA LA GRAVITA’ DEI REATI COMMESSI PER
PARTECIPARE ALLA GARA NON PUO’ CONFIGURARSI COME FALSA DICHIARAZIONE
(Consiglio di Stato, Sezione
V del 8 settembre 2008, n. 4244)
Fondamento dell’esclusione
dalla gara per difetto del requisito della c.d. moralità professionale,
stabilita dall’art. 11 lett. b), D.Lgs. 24 luglio 1992 n. 358 (per gli appalti
di servizi) e dall’art. 38, comma 1 lett. c) del D.Lgs. 163/2006 (per gli
appalti di lavori), è di evitare l’affidamento dell’appalto a colui che ha
commesso reati lesivi degli stessi interessi collettivi che, in veste
d’aggiudicatario, sarebbe chiamato a realizzare (Consiglio Stato, sez. V, 27
marzo 2000, n. 1770).
Il difetto del requisito
della moralità professionale non concerne, quindi tutti i reati commessi
dall’imprenditore indipendentemente dal tipo e dalla gravità del reato
commesso, ma solo quelli che siano in grado di incidere in concreto sull’interesse
collettivo alla realizzazione dell’opera pubblica, ampiamente considerati e
comprensivi della tutela di particolari situazioni ad essa connesse.
Consegue
che il partecipante alla gara, nel rendere la dichiarazione prevista dalle
citate norme, ben può operare un giudizio di rilevanza delle singole condanne
subite e ritenere che i relativi fatti non incidano sulla moralità
professionale. E questo senza incorrere nella falsità dell’autocertificazione
resa, rilevante ai sensi del medesimo art. 11, lett. f) del D.Lgs 358/1992, e
dall’art. 38, comma 1, lett. h) del D.
Lgs. 163/2006, che commina l’esclusione
a carico dei partecipanti che abbiano presentato scientemente false dichiarazioni
nel fornire le informazioni richieste.