APPALTI PUBBLICI - IL DURC NON PUO’ ESSERE
SOSTITUITO DA UNA AUTOCERTIFICAZIONE CORREDATA DAGLI F24 ATTESTANTI IL
PAGAMENTO
(Consiglio di Stato, Sezione
Quinta del 25 agosto 2008, n. 4035)
Va razionalmente negato che
l’acquisizione alla documentazione di gara, dell’atto ufficiale comprovante i
requisiti soggettivi del partecipante in ordine alla regolarità contributiva,
il cd. “durc” (richiesto in base al bando di gara), possa essere surrogato
dall’autocertificazione dell’interessato, ovvero dalla presentazione dei cd.
modelli 24 utilizzati dall’imprenditore medesimo per il pagamento dei
contributi previdenziali.
Vale a tal proposito
rammentare che il “durc” o documento unico di regolarità contributiva è il
certificato unitario – regolato dall’art. 3, comma 8, lett. b.bis) d. lgs. 14
agosto 1996, n. 494, come mod. dall’art. 98, comma 10, d. lgs. 10 settembre
2003, n. 276 - finalizzato alla affidabile verifica dei requisiti di
partecipazione e aggiudicazione in gare pubbliche perché rilasciato dagli enti
previdenziali all’imprenditore e da questo consegnato al committente che glielo
deve richiedere. La sua funzione è di attestare la regolarità negli adempimenti
circa i contributi previdenziali, assistenziali ed assicurativi rispetto a
INPS, INAIL e Cassa Edile riguardo a tutti gli appalti pubblici e agli appalti
privati in edilizia soggetti a titolo edilizio espresso. Mediante l’uso
obbligatorio di un tale documento si contrasta l’evasione contributiva
previdenziale perché si pone a base della possibilità di contrarre un appalto
pubblico la dimostrazione ufficiale della regolarità contributiva.
Avuto riguardo alla sua
utilità, si tratta di uno strumento al tempo stesso di certificazione ufficiale
e di semplificazione procedimentale, la cui valenza è duplice, perché orientata
a soddisfare un interesse strumentale pubblico come un interesse privato. Da un
lato infatti il “durc” consente, grazie alla sua obbligatorietà, di assicurare
che gli appalti pubblici siano affidati soltanto ad imprese che risultino in
regola quanto a contribuzione previdenziale, e dunque garantisce un miglior
contrasto dell’evasione in quel settore, rispondendo al principio generale di
buona amministrazione; da un altro lato permette, in virtù della sua unitarietà
(realizzata sulla base di doverose convenzioni tra i soggetti previdenziali),
l’agevolazione delle esigenze di speditezza documentativa vuoi dell’appaltatore
che, per riflesso, dell’appaltante, riducendone le incombenze.
Anche a prescindere dalla sua
obbligatorietà (nella specie contrassegnata dalla lex specialis della gara),
non si vede dunque a quale plausibile interesse dell’imprenditore possa
corrispondere la sua mancata utilizzazione. Una tale doverosa ed ufficiale
certificazione non può essere definitivamente sostituita dalla dichiarazione
sostitutiva (ai sensi, più che dell’invocato art. 2 d.P.R. 20 ottobre 1998, n.
403, abrogato e sostituito dagli artt. 19 e 47 d.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445,
dall’art. 46, comma 1, lett. p) di quest’ultimo, concernente le dichiarazioni
sostitutive di certificazioni riguardo all’assolvimento di specifici obblighi
contributivi con l’indicazione dell’ammontare corrisposto).
Il durc, invero, non può
essere sostituito, nella sua funzione probante, dalla cd. autocertificazione.
Sussiste infatti tra le generale previsioni in tema di cd. autocertificazione –
che per ragioni di semplificazione procedimentale consente di dimostrare, salvo
verifica, adempimenti con dichiarazioni dell’interessato prodotte in
sostituzione delle normali certificazioni – e la previsione per gli appalti
pubblici sopra ricordata circa il durc, un rapporto di specialità, in forza del
quale prevale, in materia di appalti, la predetta disposizione dell’art. 3,
comma 8, lett. b.bis) d. lgs. n. 494 del 1996.
In entrambe le situazioni,
infatti, ci si trova innanzi ad un mezzo di semplificazione procedimentale. A
favore del durc, nondimeno, e della sua prevalenza sussiste anche il valore
ulteriore della certificazione ufficiale delle regolarità contributiva, che
corrisponde ad un evidente quanto dominante interesse pubblico al contrasto del
preoccupante fenomeno della evasione previdenziale, di particolare significato
nel settore degli appalti pubblici. Ne consegue che ciò che forma materia
tipica del durc non può, quando un tale documento è richiesto, essere surrogato
dalla dichiarazione sostitutiva dell’interessato.
Scendendo al caso di specie,
viene da dette considerazioni che la richiesta produzione del durc non era
surrogabile né con l’autocertificazione dell’interessato, né con la mera
produzione dei mod. F24 e dei bollettini postali, anche per la corretta
considerazione, svolta dalla prima sentenza, che si tratta di documenti
insufficienti a verificare l’integrale adempimento degli obblighi previdenziali
per tutti i lavoratori.
FATTO E
DIRITTO
1. Si discute se correttamente abbia
deciso il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia (Brescia) con
l’impugnata sentenza nel ritenere infondato il ricorso mosso dalla B.- B.s.r.l.
avverso l’atto 13 ottobre 2004 con cui il Comune di Palazzolo le aveva revocato
l’aggiudicazione 4 maggio 2004 della gara bandita il 4 febbraio 2004 per la
sistemazione dello scarico di “Roggia Vetro”: revoca conseguente al fatto che,
in sede di verifica della sua produzione documentale fatta a seguito della
comunicazione di esser risultata aggiudicataria della gara, quale attestazione
della sua regolarità contributiva si era limitata a produrre copia dei mod. F24
di pagamento dei contributi previdenziali e i bollettini di versamento postale;
e che, contrariamente a quanto così dichiarato, a carico del suo rappresentante
legale era emerso dalle indagini d’ufficio in verifica che egli aveva pendenze
penali per abusi edilizi e per bancarotta fraudolenta;.
2. La BGF Belleri s.r.l. aveva
prodotto, quale attestazione di regolarità contributiva, la copia dei modelli
F24 e di alcuni bollettini postali di versamento dei contributi.
Quanto alle pendenze penali, in
occasione della verifica d’ufficio dei requisiti di ordine generale per le
valutazioni circa l’esclusione per difetto dei requisiti di ordine generale ai
sensi dell’art. 75 d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, il Comune, a fronte della
dichiarazione del legale rappresentante della ricorrente di non avere
procedimenti penali pendenti, accertò che, dal certificato dei carichi pendenti
rilasciato dalla Procura della Repubblica di Brescia, risultavano pendenti due
procedimenti a carico, per abusi edilizi e per bancarotta fraudolenta.
Invano, a seguito di ciò,
l’amministrazione aveva chiesto all’interessato la produzione dei decreti di
citazione a giudizio e la documentazione di regolarità contributiva. Seguiva
all’omissione di tale ultima produzione la revoca dell’aggiudicazione.
3. La sentenza impugnata rilevò
sostanzialmente che:
a) Il bando di gara richiedeva alle
imprese l’impegno a presentare all’amministrazione comunale, se aggiudicatarie,
la certificazione relativa alla regolarità contributiva entro quindici giorni
dalla richiesta. Non solo: l’art. 2, comma 1, d.l. 25 settembre 2002, n. 210
conv. in l. 22 novembre 2002, n. 266 prevede, per contrastare il cd. lavoro
sommerso, che l’impresa aggiudicataria è tenuta “a presentare alla stazione
appaltante la certificazione relativa alla regolarità contributiva a pena di
revoca dell’affidamento”. Perciò la regolarità contributiva della impresa
andava certificata con il mezzo del “durc” formato da INPS, INAIL, e Casse
edili e questo documento non poteva essere sostituito dall’autocertificazione o
dalla presentazione dei soli cd. modelli F24 e dei bollettini di versamento
postale utilizzati dall’imprenditore per il pagamento dei contributi
previdenziali. La produzione di tali documenti non pone infatti la stazione
appaltante in condizione di controllare se davvero siano stati assolti tutti
gli oneri contributivi e per tutti i dipendenti.
b) Quanto ai carichi penali
pendenti, l’autocertificazione era mendace, perché non indicava le dette
pendenze. Vero è che sussiste la facoltà di attestare con autocertificazione
l’assenza di pendenze penali, come oggi facoltizza l’art. 77- bis d.P.R. 28
dicembre 2000, n. 445 (introdotto dall’art. 15 l. 16 gennaio 2003, n. 3) che
prevede l’applicazione delle disposizioni sull’autocertificazione anche alle
procedure di aggiudicazione di appalti pubblici; ma in tal caso è onere dei
concorrenti rendere una dichiarazione veritiera, enunciando anche gli eventuali
reati che non sono iscritti nel casellario giudiziale nonché i reati iscritti
nel certificato dei carichi pendenti di cui siano a conoscenza (Cons. Stato,
VI, 14 ottobre 2003, n. 6279). Nella specie, il bando prevedeva (lettera D) che
a pena di esclusione venisse prodotto “il certificato del casellario giudiziale
e dei carichi pendenti” specificando che “ai sensi del d.P.R. n. 445/2000 tale
certificato può essere sostituito da una dichiarazione sostitutiva di
certificazione”; il modulo predisposto dall’amministrazione conteneva la
dizione: “dichiara inoltre che dal proprio certificato generale del casellario
giudiziale e dal proprio certificato dei carichi pendenti risulta a suo carico
…..” e nella nota esplicativa era specificato “riportare “NULLA” ovvero le
risultanze complete di ciascun certificato”. Il legale rappresentante della
società aveva scritto nel modulo “nulla”, ma l’amministrazione, in verifica
della veridicità, aveva rilevato la pendenza di due procedimenti per abusi
edilizi e per bancarotta.
Non era accettabile l’argomento
difensivo che trattavasi di pendenze che, riguardo a quanto richiesto dal
bando, non incidono sulla affidabilità morale e professionale giacché, a parte
il chiaro opposto tenore del bando, è da escludere che una siffatta valutazione
di congruità e conseguente selezione possa essere rimessa alla diretta ed
autonoma valutazione del dichiarante anziché dell’amministrazione.
c) La cauzione provvisoria bene era
stata incamerata dall’amministrazione, in quanto tale conseguenza discendeva, a
norma dell’art. 30 L. 11 febbraio 1994, n. 109, dall’omessa sottoscrizione del
contratto per fatto dell’aggiudicatario (che non aveva prodotto la
documentazione a ciò necessaria nel termine), e in quanto a tal proposito non
si distingue tra requisiti di ordine generale e requisiti di ordine speciale.
4. I motivi di appello sono
infondati. Infatti, esaminandoli partitamene, risulta quanto segue:
1) Va razionalmente negato che
l’acquisizione alla documentazione di gara, dell’atto ufficiale comprovante i
requisiti soggettivi del partecipante in ordine alla regolarità contributiva,
il cd. “durc” (richiesto in base al bando di gara), possa essere surrogato
dall’autocertificazione dell’interessato, ovvero dalla presentazione dei cd.
modelli 24 utilizzati dall’imprenditore medesimo per il pagamento dei
contributi previdenziali.
Vale a tal proposito rammentare che
il “durc” o documento unico di regolarità contributiva è il certificato
unitario – regolato dall’art. 3, comma 8, lett. b.bis) d. lgs. 14 agosto 1996,
n. 494, come mod. dall’art. 98, comma 10, d. lgs. 10 settembre 2003, n. 276 -
finalizzato alla affidabile verifica dei requisiti di partecipazione e
aggiudicazione in gare pubbliche perché rilasciato dagli enti previdenziali
all’imprenditore e da questo consegnato al committente che glielo deve
richiedere. La sua funzione è di attestare la regolarità negli adempimenti
circa i contributi previdenziali, assistenziali ed assicurativi rispetto a INPS,
INAIL e Cassa Edile riguardo a tutti gli appalti pubblici e agli appalti
privati in edilizia soggetti a titolo edilizio espresso. Mediante l’uso
obbligatorio di un tale documento si contrasta l’evasione contributiva
previdenziale perché si pone a base della possibilità di contrarre un appalto
pubblico la dimostrazione ufficiale della regolarità contributiva.
Avuto riguardo alla sua utilità, si
tratta di uno strumento al tempo stesso di certificazione ufficiale e di
semplificazione procedimentale, la cui valenza è duplice, perché orientata a
soddisfare un interesse strumentale pubblico come un interesse privato. Da un
lato infatti il “durc” consente, grazie alla sua obbligatorietà, di assicurare
che gli appalti pubblici siano affidati soltanto ad imprese che risultino in
regola quanto a contribuzione previdenziale, e dunque garantisce un miglior
contrasto dell’evasione in quel settore, rispondendo al principio generale di
buona amministrazione; da un altro lato permette, in virtù della sua unitarietà
(realizzata sulla base di doverose convenzioni tra i soggetti previdenziali),
l’agevolazione delle esigenze di speditezza documentativa vuoi dell’appaltatore
che, per riflesso, dell’appaltante, riducendone le incombenze.
Anche a prescindere dalla sua
obbligatorietà (nella specie contrassegnata dalla lex specialis della gara),
non si vede dunque a quale plausibile interesse dell’imprenditore possa
corrispondere la sua mancata utilizzazione. Una tale doverosa ed ufficiale
certificazione non può essere definitivamente sostituita dalla dichiarazione
sostitutiva (ai sensi, più che dell’invocato art. 2 d.P.R. 20 ottobre 1998, n.
403, abrogato e sostituito dagli artt. 19 e 47 d.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445,
dall’art. 46, comma 1, lett. p) di quest’ultimo, concernente le dichiarazioni
sostitutive di certificazioni riguardo all’assolvimento di specifici obblighi
contributivi con l’indicazione dell’ammontare corrisposto).
Il durc, invero, non può essere
sostituito, nella sua funzione probante, dalla cd. autocertificazione. Sussiste
infatti tra le generale previsioni in tema di cd. autocertificazione – che per
ragioni di semplificazione procedimentale consente di dimostrare, salvo
verifica, adempimenti con dichiarazioni dell’interessato prodotte in
sostituzione delle normali certificazioni – e la previsione per gli appalti
pubblici sopra ricordata circa il durc, un rapporto di specialità, in forza del
quale prevale, in materia di appalti, la predetta disposizione dell’art. 3,
comma 8, lett. b.bis) d. lgs. n. 494 del 1996.
In entrambe le situazioni, infatti,
ci si trova innanzi ad un mezzo di semplificazione procedimentale. A favore del
durc, nondimeno, e della sua prevalenza sussiste anche il valore ulteriore
della certificazione ufficiale delle regolarità contributiva, che corrisponde
ad un evidente quanto dominante interesse pubblico al contrasto del
preoccupante fenomeno della evasione previdenziale, di particolare significato
nel settore degli appalti pubblici. Ne consegue che ciò che forma materia
tipica del durc non può, quando un tale documento è richiesto, essere surrogato
dalla dichiarazione sostitutiva dell’interessato.
Scendendo al caso di specie, viene
da dette considerazioni che la richiesta produzione del durc non era
surrogabile né con l’autocertificazione dell’interessato, né con la mera
produzione dei mod. F24 e dei bollettini postali, anche per la corretta
considerazione, svolta dalla prima sentenza, che si tratta di documenti
insufficienti a verificare l’integrale adempimento degli obblighi previdenziali
per tutti i lavoratori.
A parte dunque ogni pur utile
considerazione circa la sopravvenienza del ricordato art. 98, comma 10, d. lgs.
10 settembre 2003, n. 276 rispetto alla introduzione del ricordato art. 77-bis
d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 ad opera della l. 16 gennaio 2003, n. 15, è
soprattutto il detto rapporto di specialità a rendere insurrogabile il durc
ogniqualvolta sia espressamente richiesto. L’”autocertificazione” (cioè la
dichiarazione sostitutiva di certificazioni, come meglio si esprime l’art. 46 d.P.R.
28 dicembre 2000, n. 445) è solo un mezzo di speditezza ed alleggerimento
provvisori dell’attività istruttoria, cioè di semplificazione delle formalità
del rapporto, e non un mezzo di prova legale: sicché il suo contenuto resta
sempre necessariamente esposto alla prova contraria e alla verifica ad opera
della destinataria amministrazione, che è doverosa prima di procedere,
all’esito della aggiudicazione, alla formalizzazione contrattuale
dell’affidamento. La modesta aliquota di sorteggiati da verificare (di cui
all’art. 10, comma 1-quater, l. 11 febbraio 1994, n. 109, avuto o meno riguardo
– come domanda l’appellante - ai requisiti d’ordine generale dell’art. 17
ovvero ai requisiti di ordine speciale dell’art. 18 d.P.R. 225 gennaio 2000, n.
34) indica solo il dovere dell’Amministrazione di procedere al vaglio su un
campione minimo causale, ma non una limitazione sostanziale al potere di vaglio
stesso. Sicché correttamente ha
agito l’amministrazione, perché la dimostrazione della posizione contributiva
dell’impresa fatta da dal durc non è surrogabile ad opera dell’imprenditore,
per l’evidente ragione che siffatto documento proviene dai soggetti creditori,
e non dal soggetto debitore, dei contributi e degli altri adempimenti
previdenziali, assistenziali ed assicurativi.
2) Quanto alla mendacia circa i
carichi penali pendenti, essa è stata rilevata nel fatto che
nell’autocertificazione il legale rappresentante dell’impresa aveva attestato
di non avere pendenze penali, mentre poi è risultato che in realtà ne aveva per
abusi edilizi e per bancarotta fraudolenta. Vero è che l’art. 75 dell’allora
vigente d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 non estende a qualsivoglia pendenza
penale l’incapacitazione all’appalto pubblico, perché stabilisce l’esclusione
dalle procedure di affidamento degli appalti e delle concessioni in relazione a
reati specifici o “che incidono sull’affidabilità morale e professionale” (ai
fini della esclusione dalla gara, ai sensi dell’art. 75 d.P.R. 21 dicembre
1999, n. 554). Ma quali siano tali reati è valutazione di congruità che compete
all’amministrazione e certo non all’interessato medesimo, il quale possa così a
sua discrezione escludere alla radice una tale occasione di inabilitazione. È
pertanto onere dell’interessato, qualora gli sia richiesto – come si è visto
faceva il bando – di certificare tutte le pendenze e le condanne penali, e
spettanza dell’amministrazione poi selezionare razionalmente in ragione della
detta congruenza. Correttamente, comunque, viene rilevato che se la facoltà di
attestare con autocertificazione l’assenza di pendenze penali è oggi permessa
dall’art. 77-bis d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (introdotto dall’art. 15 l. 16
gennaio 2003, n. 3), che estende l’applicazione delle disposizioni
sull’autocertificazione anche alle procedure di aggiudicazione di appalti
pubblici (cosa che lo stesso bando consentiva), rimane comunque onere dei
dichiaranti rendere una dichiarazione veritiera e completa, enunciando anche
gli eventuali reati che non sono iscritti nel casellario giudiziale nonché i
reati iscritti nel certificato dei carichi pendenti di cui siano a conoscenza,
per modo che possa poi l’amministrazione svolgere il giudizio di congruità che
le è riservato.
3) l’escussione della cauzione ha
titolo, come bene ha rilevato la sentenza di primo grado, nell’omessa
sottoscrizione del contratto. Per l’art. 30 L. 11 febbraio 1994, n. 109, la
mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’aggiudicatario, che qui non
ha prodotto la documentazione necessaria nel termine, era titolo sufficiente
per l’incameramento. La fattispecie che qui si è verificata è invero dovuta
alla detta causa imputabile alla stessa escussa e tanto basta a decretarne la
conformità alla legge. A nulla rileva il riferimento – fatto con il terzo
motivo dell’appello - con l’aliquota di sorteggio obbligatorio tra i
concorrenti ai fini della verifica della presenza dei requisiti di ordine
generale, ovvero speciale che sia.
Non sussistono pertanto sotto
nessuno dei tre aspetti suddetti – corrispondenti ai motivi di appello e
riflettenti quelli di originaria impugnazione - i lamentati vizi di eccesso di
potere per travisamento fatti, difetto di istruttoria e omessa motivazione,
inesistenza del presupposti. Né i lamentati contrasti con gli artt. 10 l. n.
109 del 1994, 17 e 18 d.P.R. n. 34 del 2000, 75 d.P.R. n. 554 del 1999, né un
eccesso di potere per travisamento dei fatti e omessa motivazione.
L’appello va pertanto respinto e la
sentenza di primo grado va confermata.
Alla soccombenza segue, a norma
dell’art. 91 Cod. proc. civ., la condanna dell’appellante B.- B.s.r.l. alla
rifusione delle spese processuali dell’appellato Comune di Palazzolo, da
liquidarsi in € 5.000 (cinquemila).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l’appello e conferma la sentenza
impugnata.
Condanna l’appellante B.- B.s.r.l.
alla rifusione delle spese processuali dell’appellato Comune di Palazzolo, che
liquida in € 5.000 (cinquemila).
Ordina che la presente decisione sia
eseguita dall’autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quinta), nella camera di consiglio del 4 marzo 2008.