MINISTERO DEL LAVORO - CESSIONE DEL QUINTO DELLO STIPENDIO E CONFERIMENTO DEL TFR AL FONDO DI PREVIDENZA - INTERPELLO N. 51/2008

 

Il Ministero del lavoro, con la risposta ad interpello n. 51/08, ha dato seguito al quesito sollevato in merito alla possibilità per il lavoratore di devolvere il proprio trattamento di fine rapporto - TFR - alla previdenza complementare dopo avere stipulato un contratto di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio a saldo del debito e contestuale accensione di garanzia sul trattamento di fine rapporto maturando.

Il Ministero del lavoro ha innanzitutto chiarito la natura del contratto di cessione del quinto dello stipendio.

Secondo il citato Dicastero quest’ultimo rappresenta una specie del più ampio genere del contratto di cessione del credito. In altri termini, tale fattispecie contrattuale comprende sia il contratto di cessione del quinto dello stipendio sia il contratto di garanzia del credito. Con il primo, il lavoratore si impegna a pagare il debito contratto con la società finanziaria con una parte della retribuzione percepita; con il secondo, il dipendente offre alla medesima società la possibilità di tutelarsi da eventuali rischi in cui potrebbe incorrere il credito, dato che quest’ultimo è caratterizzato da una maturazione progressiva nel tempo.

Detta maturazione è suscettibile di interruzioni causate essenzialmente: dalla morte, invalidità, inabilità del lavoratore ad esercitare l’attività lavorativa oppure dalla cessazione del rapporto di lavoro dovuta a dimissioni o licenziamento.

Al fine di salvaguardare la società finanziaria dai suddetti rischi, il lavoratore o stipula una polizza assicurativa sugli eventi morte o infortuni oppure fornisce una garanzia sul TFR maturando per il rischio di cessazione del rapporto di lavoro.

Si pone a questo punto l’interrogativo: se il lavoratore destina il predetto TFR alla previdenza complementare, la società finanziaria è ancora tutelata?

Per il Ministero del lavoro la risposta è affermativa.

In tale ipotesi, infatti, se il lavoratore sceglie di aderire ad un fondo di previdenza complementare, ciò che viene a mutare è soltanto il soggetto depositario del TFR e cioè il Fondo stesso al posto del datore di lavoro.

Mentre per la società finanziaria che ha erogato il prestito nulla cambia. Infatti l’oggetto della garanzia non viene meno a seguito di tale mutamento. Tale società potrà continuare a far valere le pretese debitorie sul Fondo di previdenza anzichè sul datore di lavoro.

In questi casi, per la copertura del rischio di una eventuale mancata solvibilità, è possibile stipulare un nuovo accordo fra le parti per il solo aspetto relativo alla garanzia prestata.

Un’altra questione sulla quale il Dicastero ha fornito chiarimenti riguarda le clausole contenute a volte nel contratto di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio che vietano al lavoratore di conferire il proprio TFR alla previdenza complementare, dato che il medesimo serve a garanzia del credito vantato dalla società finanziaria.

Per il Ministero del lavoro dette clausole devono ritenersi nulle in quanto contrarie sia a norme imperative sia all’interesse pubblico tutelato dall’art. 38, comma 2, della Costituzione, il quale riconosce il diritto dei lavoratori a vedersi assicurati mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia o disoccupazione.

In buona sostanza, in tale ipotesi vige il principio che sancisce il diritto del dipendente di scegliere nel corso della vita lavorativa di aderire al sistema complementare devolvendo il proprio TFR a forme di previdenza.

Però, il Dicastero precisa che la nullità di tali clausole non comporta la nullità dell’intero contratto, che può continuare a rimanere in essere e produrre i propri effetti tra le parti.

La nullità nell’intero contratto si ha solo quando il medesimo ha perso la propria originaria ragione giustificativa perchè in essa i sacrifici e i vantaggi delle parti non sono più distribuiti nel modo che le parti stesse avevano inizialmente programmato.

Devono, allo stesso modo, essere considerate nulle anche le clausole che vietano al lavoratore di incrementare i versamenti al fondo pensione o quelle che non consentono di chiedere anticipazioni o riscatti della posizione individuale, poichè incidono sulla libertà contrattuale del dipendente.

Identico discorso vale per quelle dichiarazioni con le quali viene chiesto al datore di lavoro di non versare il TFR del lavoratore alla previdenza complementare anche se questo ne ha operato esplicita richiesta.

In tal caso la nullità delle clausole è giustificata dal fatto che il datore di lavoro non è titolare di un diritto soggettivo sul TFR maturando che non gli appartiene, essendo del lavoratore e che, quindi, non ne può disporre. Anzi, ricorda il Ministero del lavoro, il datore di lavoro è obbligato per legge a versare il TFR alla previdenza complementare sia in caso di adesione esplicita che tacita del lavoratore.

Da ultimo, al Ministero è stato chiesto con quali modalità la società finanziaria deve procedere alla escussione della garanzia, qualora il lavoratore risulti insolvente, cioè quando non ha più in essere un rapporto lavorativo.

La società finanziaria deve procedere alla escussione della garanzia con modalità tali da non ledere gli interessi del lavoratore al di fuori dei limiti della legittima tutela dell’interesse proprio a vedere soddisfatto il credito.

Pertanto, se il debito vantato può essere soddisfatto con il TFR accantonato presso il datore di lavoro, la società creditrice non può agire prima nei confronti del Fondo di previdenza, poichè ciò provocherebbe una lesione dell’interesse del dipendente a maturare le proprie prestazioni previdenzial