TUTELA MATERNITA’ - CONGEDO POST PARTUM - OBBLIGO DI RISPETTARE IL PERIODO DI ASTENSIONE OBBLIGATORIA - MINISTERO DEL LAVORO - INTERPELLO N. 51/09

 

Il Ministero del Lavoro, con interpello del 5 giugno 2009 n. 51, pubblicato in calce alla presente nota, fornisce risposta ad un quesito in merito alla permanenza del divieto, previsto dall’art. 16 del D.lgs. n. 151/01, di adibire al lavoro una donna durante il periodo di astensione obbligatoria post partum, nel caso di interruzione della gravidanza e con espressa rinuncia della lavoratrice al diritto di fruire dell’astensione stessa, corredata da certificati rilasciati dal medico curante e dal medico competente, che provano il buono stato di salute della medesima.

Per il Dicastero, il divieto di cui al citato art. 16, rimane fermo anche nei casi di interruzione della gravidanza terapeutica verificatesi successivamente al 180° giorno dall’inizio della gestazione, dato che si tratta di una circostanza equivalente al parto vero e proprio.

Pertanto, la lavoratrice non potrà essere adibita al lavoro nel periodo di astensione obbligatoria successivo alla detta interruzione, la quale non coincide con il decesso del nascituro, ma con la espulsione del feto, con conseguente diritto al trattamento di maternità, come l’Inps ha già precisato con le circolari nn. 1343/82 e 139/02.

Il detto divieto di adibizione, osserva il Ministero, non viene meno nè in presenza della esplicita rinuncia della lavoratrice al diritto di godere del periodo di congedo obbligatorio post partum, dato che si tratta di un diritto indisponibile, nè in presenza della attestazione del medico curante e di quello competente circa l’assenza di controindicazioni in merito alla ripresa della attività lavorativa.

L’inosservanza del predetto divieto, infatti, costituisce una ipotesi di reato penalmente sanzionata, a prescindere dall’accertamento in concreto dello stato di salute della donna, in quanto l’illecito ricorre sulla base della semplice presunzione, disposta dal legislatore, della condotta idonea a ledere, o a mettere in pericolo, detta salute.

Nel senso di cui sopra, fa notare il Ministero, si è espressa anche la giurisprudenza di legittimità, la quale ha riconosciuto che ‘’lo stato effettivo di salute della donna in tale periodo può risultare indifferente al datore di lavoro considerata l’obbligatorietà in ogni caso dall’astensione dal lavoro”. (cfr. Cass. Civ. Sez. Lav. n. 2466/2000).

 

INTERPELLO N. 51/09