ORARIO
DI LAVORO - D.LGS. N. 66/2003 - TEMPO IMPIEGATO PER RAGGIUNGERE IL LUOGO DI
LAVORO - COMPUTABILITA’ - ULTERIORI CHIARIMENTI - MINISTERO DEL LAVORO - INTERPELLO
N. 15/2010
Il Ministero del Lavoro con nota n. 15 del 28 aprile 2010, in
risposta all’interpello formulato dall’istituto Nazionale di Astrofisica in
merito alla computabilità delle ore di viaggio per le trasferte nell’ambito
dell’orario di lavoro, ha precisato quanto segue.
Facendo seguito alla nota n. 13/2010 con la quale il
Ministero aveva risposto all’interpello proposto dall’Ance sempre in materia di
orario di lavoro, il dicastero, nella nota in oggetto, riprende alcuni principi
fondamentali cui si ispira la legislazione vigente e in particolare il concetto
di orario di lavoro che deve intendersi
ricomprendere tutti i periodi in cui i lavoratori sono obbligati ad essere
fisicamente presenti sul luogo indicato dai datori di lavoro e a tenervisi a
disposizione di quest’ultimo per poter fornire immediatamente la loro opera in
caso di necessità.
Premesso ciò e ribadito che in ogni caso, nonostante tale
estensione, la legge prevede comunque l’esclusione dall’orario di lavoro del tempo impiegato per recarsi sul posto di
lavoro, la nota sottolinea che il tempo impiegato per raggiungere la sede di
lavoro durante la trasferta non costituisce esplicazione dell’attività
lavorativa e il disagio che deriva al lavoratore è assorbito dall’indennità di
trasferta.
Tale orientamento è stato da ultimo confermato anche dalla
stessa giurisprudenza di legittimità, la quale ha comunque sottolineato che
potrebbe concludersi in senso contrario laddove tale tempo impiegato per
raggiungere il posto di lavoro sia funzionale rispetto alla prestazione stessa
(cfr. tra tutte Cass. Civ. n. 5701/2004).
È comunque prevista la possibilità per la contrattazione
collettiva di derogare a tali principi.
Ministero del Lavoro
Roma, 28 aprile 2010
Interpello n. 15/2010
Oggetto: art. 9,
D.Lgs. n. 124/2004 - trattamento di trasferta e computo delle ore di viaggio.
L’Istituto Nazionale di Astrofisica ha avanzato istanza di
interpello a questa Direzione per avere chiarimenti in ordine alla possibilità
di considerare quale orario di lavoro le ore di viaggio per trasferte e per
conoscere l’eventuale trattamento economico delle stesse alla luce della
vigente legislazione in materia.
Al riguardo, acquisito il parere della Direzione generale
della Tutela delle Condizioni di Lavoro, si rappresenta quanto segue.
Come noto l’art. 1, comma 2 lett. a) del D.Lgs. n. 66/2003,
riprendendo quanto disposto dalla direttiva 1993/104/CE, definisce l’orario di
lavoro come “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a
disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle
sue funzioni”.
I criteri che definiscono l’orario di lavoro consistono non
solo nella presenza al lavoro del lavoratore ma anche nella sua messa a
disposizione nei confronti del datore di lavoro nonché nell’essere
nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni. Come si evince
chiaramente dalla congiunzione “e” del dettato legislativo, tutti i criteri
indicati devono coesistere al fine della riconduzione della prestazione
lavorativa nella nozione di orario di lavoro.
La definizione dettata dall’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n.
66/2003 ha notevolmente dilatato il concetto di orario lavoro rispetto alla previgente
disciplina contenuta negli artt. 1 e 3 del R.D.L. n. 692/1923 che si riferiva
al concetto di lavoro effettivo quale “lavoro che richieda una applicazione
assidua e continuativa”, estendendone la nozione a tutte quelle attività che
presuppongono una “messa a disposizione” a favore del datore di lavoro.
In tal senso, la circolare n. 8/2005 di questo Ministero
afferma che “l’attuale formulazione ha una accezione certamente più ampia, così
come ha chiarito la stessa Corte di Giustizia Europea, che ha ritenuto compresi
nell’orario di lavoro i periodi in cui i lavoratori sono obbligati ad essere
fisicamente presenti sul luogo indicato dai datori di lavoro e a tenervisi a
disposizione di quest’ultimo per poter fornire immediatamente la loro opera in
caso di necessità”.
Tuttavia, nonostante l’estensione del concetto di orario di
lavoro, permane la problematica della computabilità del tempo di viaggio per
trasferta nell’attività lavorativa poiché l’art. 8 del D.Lgs. n. 66/2003 ha
confermato l’esclusione dall’orario di lavoro del tempo impiegato per recarsi
al lavoro, così come previsto all’art. 5 del R.D. n. 1955/1923 e dall’art. 4
del R.D. n. 1956/1923, stabilendo che tale periodo di tempo non è retribuibile
e non può essere computato nell’orario di lavoro.
Pertanto il tempo impiegato dal lavoratore per raggiungere la
sede di lavoro durante la trasferta non costituisce esplicazione dell’attività
lavorativa ed il disagio che deriva al lavoratore è assorbito dall’indennità di
trasferta.
D’altro canto la giurisprudenza, seppure con riferimento alla
nozione di orario di lavoro effettivo dettata dal R.D. n. 692/1923, ha negato
costantemente che il tempo di viaggio in occasione della trasferta possa
rientrare nell’esplicazione dell’attività lavorativa (si vedano in tal senso le
sentenze della Cassazione n. 1202 del 3 febbraio 2000; n. 5359 del 10 aprile
2001; n. 1555 del 3 febbraio 2003 e del Consiglio di Stato n. 8522 del 24
dicembre 2003) evidenziando che il disagio psico-fisico e materiale del
lavoratore viene compensato dall’indennità di trasferta.
Più recentemente, con la sentenza n. 5701 del 22 marzo 2004,
la Cassazione ha affermato che “il tempo impiegato per raggiungere il posto di
lavoro rientra nell’attività lavorativa vera e propria (con sommatoria al normale
orario di lavoro), allorché sia funzionale rispetto alla prestazione. Tale
requisito sussiste quando il dipendente, obbligato a presentarsi alla sede
dell’impresa, sia inviato, di volta in volta, in varie località per svolgere la
prestazione lavorativa”. Tuttavia, sempre nella stessa sentenza, la
giurisprudenza di legittimità ha precisato che “salvo diverse previsioni
contrattuali, il tempo impiegato giornalmente per raggiungere la sede di lavoro
durante il periodo della trasferta non può considerarsi come impiegato
nell’esplicazione dell’attività lavorativa vera e propria, non facendo parte
dell’orario di lavoro effettivo, e non si somma quindi al normale orario di
lavoro”.
Le decisioni giurisprudenziali citate confermano quanto già
disposto dal dettato legislativo ovvero che, in caso di trasferta, le relative
ore di viaggio non possono essere computate nell’orario di lavoro e il
trattamento economico che ne deriva non può che essere di natura indennitaria,
nei limiti di quanto disposto dall’art. 51, comma 5, del D.P.R. n. 917/1986
(TUIR).
Si ricorda comunque che proprio l’art. 8, comma 3 del D.Lgs.
n. 66/2003 consente alla contrattazione collettiva una differente disciplina
delle trasferte che stabilisca in quali casi il tempo di viaggio possa essere
considerato come servizio a tutti gli effetti in quanto modalità di
espletamento delle prestazioni lavorative (v. ad es. art. 44, comma 1 lett. f,
CCNL del 16 maggio 2001 integrativo del CCNL del personale del comparto sanità
stipulato il 7 aprile 1999).
L’eventuale deroga effettuata in sede di contrattazione
collettiva, d’altra parte, risulta in linea con la nozione di orario di lavoro,
nel quale è logico ricomprendere tutto quanto svolto dal lavoratore
nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni nel periodo in cui si
trova al lavoro e a disposizione del datore di lavoro.
A parere della scrivente, inoltre, sembra opportuno valutare
le eventuali deroghe anche alla luce di quanto disposto dalla Cassazione con la
sentenza n. 5701 del 22 marzo 2004 da ultimo citata, nella quale l’evidente
apertura nel considerare le ore di viaggio quale esplicazione dell’attività
lavorativa risiede nella funzionalità del tempo impiegato per il viaggio
rispetto alla prestazione.