INDENNITA'
PER REITERAZIONE VINCOLI ESPROPRIATIVI
- SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE
La
Corte Costituzionale, con la sentenza 179/1999, è intervenuta sull'annoso tema
della reiterazione dei vincoli preordinati all'esproprio, fornendo indicazioni
innovative che avranno effetti rilevanti sul sistema di pianificazione.
La
Consulta, soffermandosi sul trattamento indennitario dell'apposizione di
vincoli, ha evidenziato come il problema dell'indennizzo non si ponga per
quelli volti alla tutela paesistico-ambientale anche riguardanti intere
categorie di beni e perciò interessanti la generalità dei soggetti, nonchè i
limiti all'edificazione posti in sede di piano e relativi ad altezze, indici,
distanze e zone di rispetto.
Tale
problema si pone invece, ha specificato la Corte, nel caso di reiterazione dei
vincoli preordinati all'esproprio od aventi carattere sostanzialmente
espropriativo in termini quantitativi e di durata.
In
altri termini, una volta oltrepassato il primo periodo di durata temporanea
(periodo di franchigia da ogni indennizzo), il vincolo urbanistico, se permane
a seguito di reiterazione, non può essere dissociato, in via alternativa
all'espropriazione (o al serio inizio dell'attività preordinata
all'espropriazione stessa mediante approvazione dei piani attuativi), dalla
previsione di un indennizzo, fermo restando che la reiterazione deve essere
adeguatamente motivata.
Nella
sentenza la Corte opera, inoltre, un'importante precisazione relativamente ai
vincoli non indennizzabili. Il problema dell'indennizzo non si pone per i
vincoli che importano una destinazione realizzabile ad iniziativa privata o
promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o
interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal
soggetto privato e senza necessità di previa espropriazione del bene.
Si
fa riferimento, ad esempio, ai parcheggi, impianti sportivi, mercati e
complessi per la distribuzione commerciale, edifici per prestazioni di cura e
sanitarie o per altre utilizzazioni quali zone artigianali o industriali o
residenziali ; in breve, a tutte quelle iniziative suscettibili di espletarsi
in libero regime di economia di mercato.
In
tal modo trova pieno riconoscimento giuridico la proposta che l'ANCE da tempo
aveva avanzato in ordine alla realizzabilità di opere di interesse generale in
regime privatistico su aree destinate a standard in alternativa all'intervento
pubblico.
La
Corte invita dunque il legislatore a normare i criteri per la quantificazione
dell'indennizzo in caso di reiterazione del vincolo in modo che, anche se non a
carattere integrale, non sia neppure simbolico e comunque sia commisurato alla
diminuzione di prezzo di mercato rispetto alla situazione giuridica antecedente
alla pianificazione che ha imposto il vincolo.
Dalla
sentenza della Corte discende dunque che :
-
in caso di mancata reiterazione del vincolo alla scadenza del termine previsto,
il proprietario dell'area può inoltrare domanda di concessione edilizia nel
rispetto dei limiti fissati dall'art. 4 della legge n. 10/1977 e dalle leggi
regionali attuative, ovvero tale soggetto può diffidare il Sindaco ad adottare
una nuova pianificazione in luogo della destinazione urbanistica decaduta ;
-
in caso di reiterazione del vincolo il proprietario può : promuovere ricorso
per carenza di motivazione, richiedere di realizzare direttamente l'opera di
interesse generale, farsi assegnare un'area in permuta, esigere la
corresponsione dell'indennizzo, avanzare domanda di addivenire ad una cessione
bonaria.
Sentenza
n. 179 Anno 1999
REPUBBLICA
ITALIANA
In
nome del Popolo Italiano
LA
CORTE COSTITUZIONALE
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nel
giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40
della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), e dell'art. 2, primo
comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187 (Modifiche ed integrazioni alla
legge urbanistica 17 aprile 1942, n. 1150), promosso con ordinanza emessa il 1°
luglio 1996 dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto dal Comune di Roma
contro Cestelli Guidi Riccardo ed altri, iscritta al n. 33 del registro
ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6,
prima serie speciale, dell'anno 1997.
Visti
gli atti di costituzione di Cestelli Guidi Riccardo ed altri e del Comune di
Roma, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito
nell'udienza pubblica del 10 novembre 1998 il Giudice relatore Riccardo
Chieppa;
uditi
gli avvocati Giuseppe Lavitola per Cestelli Guidi Riccardo ed altri, Mauro
Mertis per il Comune di Roma, e l'Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per
il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto
in fatto
1.
-Nel corso del giudizio di appello promosso avverso la sentenza 14 aprile 1993,
n. 600 del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione I, che aveva
definito il giudizio di impugnazione avverso delibera della Giunta municipale
di Roma con la quale erano stati reiterati vincoli urbanistici divenuti
inefficaci per scadenza del quinquennio di legge, l'Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato, a cui il ricorso era stato rimesso dalla IV Sezione dello
stesso Consiglio, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli
artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge
urbanistica), e 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187
(Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 aprile 1942, n. 1150), in
riferimento agli artt. 42. terzo comma, 97, 9, secondo comma, e 32, primo
comma, della Costituzione.
Il
giudice rimettente, dopo aver ricostruito l'iter processuale della vicenda,
avente ad oggetto la predetta deliberazione della giunta municipale di Roma, ha
osservato, in via preliminare, che la cognizione della questione è, per
giurisprudenza costante della Corte di cassazione, devoluta al giudice
amministrativo.
In
diritto, il giudice a quo richiama i vari interventi normativi e le sentenze
della Corte costituzionale che, in sostanza, hanno creato la disciplina attuale
dei vincoli inaedificandi.
Conseguentemente,
la legge 19 novembre 1968, n. 1187 ha previsto, all'art. 2, primo comma:
"Le indicazioni di piano regolatore generale, nella parte in cui incidono
su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati
all'espropriazione od a vincoli che comportino l'inedificabilità, perdono ogni
efficacia qualora entro cinque anni dalla data di approvazione del piano
regolatore non siano stati approvati i relativi piani particolareggiati od
autorizzati i piani di lottizzazione convenzionati. L'efficacia dei vincoli
predetti non può essere protratta oltre il termine di attuazione dei piani
particolareggiati e di lottizzazione".
Il
predetto termine di scadenza dell'efficacia delle indicazioni di piano è stato
successivamente prorogato fino all'entrata in vigore della legge sulla
edificabilità dei suoli e delle relative leggi regionali sull'implicito
presupposto che la questione avrebbe trovato definitiva soluzione in quella
sede.
Ciò,
in realtà, non è avvenuto, in quanto-come ritenuto dalla Corte costituzionale
con la sentenza n. 5 del 1980 - lo ius aedificandi continua ad inerire al
diritto di proprietà, con il conseguente obbligo di indennizzo anche nel caso
di espropriazioni di valore.
Sulla
questione è intervenuta la Corte costituzionale, una prima volta con la
sentenza n. 82 del 1982, la quale ha ammesso la legittimità costituzionale
delle disposizioni degli artt. 1, 2 e 5 della legge n. 1187 del 1968, ritenendo
che il legislatore abbia la facoltà di scelta tra la previsione di un
indennizzo e la predeterminazione di un termine di durata dell'efficacia del
vincolo; successivamente, con la sentenza n. 575 del 1989, ha affermato che la
temporaneità e la indennizzabilità dei vincoli urbanistici di natura
espropriativa sono tra loro alternative, per cui l' indeterminatezza temporale
comporta il diritto all'indennizzo.
Ciò
posto, il giudice a quo si pone il problema relativo al trattamento della
reiterazione di vincoli temporanei: reiterazione che sarebbe ammissibile senza
indennizzo a condizione di non superare la soglia massima di temporaneità del
vincolo, al di là della quale la reiterazione integrerebbe gli estremi della
fattispecie espropriativa e determinerebbe la corresponsione dell'indennizzo.
Tale
problema non troverebbe soluzione nella normativa vigente, la quale non
contiene la previsione di una fattispecie espropriativa "tassativa";
il che, ad avviso del giudice a quo, può costituire un primo profilo di
illegittimità costituzionale del sistema, in relazione alla riserva di legge di
cui all'art. 42, terzo comma, della Costituzione, in quanto l'accertamento
degli estremi della fattispecie espropriativa sarebbe rimesso all'apprezzamento
discrezionale dell'amministrazione e del giudice, con compromissione della
certezza del diritto in una materia che esige uniformità di soluzioni.
Altro
profilo di illegittimità costituzionale, sempre in relazione all'art. 42, terzo
comma, della Costituzione, è ravvisato dal giudice a quo nella mancanza, nella
legge, di criteri di determinazione dell'indennizzo per i casi di
espropriazione di valore, determinazione che sarebbe necessaria sia per la
concreta attuabilità del diritto all'indennizzo che per la copertura della spesa.
Infine,
la mancata determinazione con legge dei casi in cui la reiterazione dei vincoli
costituisce espropriazione e comporta la corresponsione dell'indennizzo, appare
al giudice a quo in contrasto con gli artt. 97 della Costituzione, in quanto
deviazione dal modello di buon andamento della pianificazione urbanistica, 9,
secondo comma, e 32, primo comma, della Costituzione in relazione alla tutela
del paesaggio e del diritto alla salute, giacché la mancata determinazione
sarebbe di ostacolo al bilanciamento tra interessi costituzionalmente
rilevanti, quali il diritto di proprietà, da un lato, e gli altri interessi
costituzionalmente protetti cui è preordinata l'attività di pianificazione
urbanistica, dall'altro.
2
-Nel giudizio si sono costituiti il Comune di Roma, il quale ha chiesto la
reiezione della sollevata questione di legittimità costituzionale, e alcune
parti private che hanno chiesto la declaratoria di illegittimità costituzionale
delle disposizioni sottoposte all'esame della Corte.
3.
- Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con il
patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia
dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
Ha
escluso, in particolare, che la questione proposta possa trovare soluzione con
una pronuncia meramente caducatoria delle norme denunciate.
Peraltro,
la stessa ordinanza di rinvio non offrirebbe alcuna indicazione da cui si possa
trarre la convinzione che nel giudizio principale si concretizzi quel
"punto di rottura" prefigurato dalla sentenza della Corte
costituzionale n. 575 del 1989, nel senso che l'esercizio della potestà di
reiterare indefinitamente i vincoli determini situazioni incompatibili con la
garanzia della proprietà, secondo i principi affermati dalle sentenze nn. 6 del
1966 e 55 del 1968 della Corte, giacché sembrerebbe che nel giudizio principale
siano in gioco vincoli di prima reiterazione e, come tali, non collocabili
oltre la soglia di tollerabilità.
4.
- Nell'imminenza della data stabilita per l'udienza pubblica il Comune di Roma
ha depositato una memoria, con cui eccepisce, preliminarmente, la
inammissibilità, per difetto di rilevanza e per difetto di giurisdizione del
giudice amministrativo, delle questioni sottoposte all'esame della Corte, e,
nel merito, chiede che le stesse siano dichiarate manifestamente infondate
Rileva,
in particolare- con riferimento all'eccezione di inammissibilità-che in
relazione alle posizioni fatte valere vi sarebbe un difetto assoluto di
giurisdizione, non sussistendo né la giurisdizione del giudice ordinario, né
quella del giudice amministrativo, e ciò in quanto la situazione fatta valere
non sarebbe configurabile né come diritto soggettivo, né come interesse
legittimo
Tutt'al
più, qualora si volesse ritenere la configurabilità di un diritto soggettivo,
la giurisdizione spetterebbe al giudice ordinario.
In
relazione al difetto di rilevanza, osserva che la questione di costituzionalità
è stata sollevata in relazione ad ipotesi che possono dar luogo ad
indeterminatezza temporale dei vincoli, mentre, nella specie, si tratta di
prima reiterazione.
Nel
merito, conclude per la infondatezza della questione sollevata, sull'assunto
che, in presenza dei principi nei quali si concreta la disciplina dei vincoli
inaedificandi dovrebbe escludersi che la reiterazione per la prima volta ovvero
successive reiterazioni possano concretizzare l'indeterminatezza temporale
censurata.
5.-È
stata, altresì, depositata memoria nell'interesse di alcune parti private, con
cui, da un lato, viene evidenziata la rilevanza della questione di
costituzionalità, a nulla valendo che si tratti di reiterazione plurime di
vincoli ovvero di prima reiterazione, e viene confutata l'eccezione di
inammissibilità sollevata dalla difesa dello Stato.
Dall'altro,
passando all'esame del merito, viene negata la illegittimità costituzionale
delle norme denunciate, con argomentazioni miranti a sostenere la legittimità
del sistema alla stregua della legislazione vigente in base ad una
interpretazione del complesso sistema attuale in senso conforme ai principi
costituzionali, nel senso di ammettere, cioè, l'indennizzo nei casi come quello
di specie, anche alla luce della normativa internazionale, di diretta
applicazione nel nostro ordinamento, con particolare riferimento alle norme
della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
libertà fondamentali e del protocollo addizionale alla convenzione stessa.
In
subordine, qualora non si ritenga che il sistema, nel suo complesso, possa
offrire adeguata tutela al diritto di proprietà, si insiste per la declaratoria
di incostituzionalità delle norme impugnate.
Considerato
in diritto
1.-Le
questioni sottoposte all'esame della Corte hanno per oggetto gli artt. 7,
numeri 2, 3, e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (come risultante
rispettivamente a seguito degli artt. 1 e 5 della legge 19 novembre 1968, n.
1187) e 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187, sotto il profilo
della violazione dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione, in quanto -come
si evince dalla interpretazione corrente-consentono all'Amministrazione di
reiterare il vincolo scaduto indefinitamente nel tempo, ponendo in essere una
fattispecie sostanzialmente espropriativa senza la previsione di indennizzo e,
comunque, senza la previsione di criteri per la determinazione dello stesso;
viene altresì denunciata la violazione dell'art. 97, sotto il profilo della
deviazione dal modello del buon andamento della pianificazione urbanistica,
dell'art. 9, secondo comma, per il contrasto con la tutela del paesaggio,
nonché dell'art. 32, primo comma, della Costituzione in relazione al diritto
alla salute.
2.-Preliminarmente,
devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità proposte dal Presidente
del Consiglio e dal Comune di Roma.
Le
eccezioni di inammissibilità, per mancanza di rilevanza e per difetto di
giurisdizione, sono prive di fondamento, in quanto l'ordinanza di rimessione
contiene una motivazione tutt'altro che implausibile sia sulla rilevanza delle
questioni, in relazione ai motivi di appello ritenuti prioritari, sia sulla
giurisdizione esercitata in materia di vincoli. Il ragionamento del giudice
rimettente si svolge sulla base della duplice considerazione di dover fare
applicazione delle norme denunciate (di cui è evidente l'incidenza, in quanto
il giudizio a quo riguarda l'impugnazione ai una delibera comunale di
reiterazione di vincoli urbanistici divenuti inefficaci per scadenza del
quinquennio di legge) e di ritenere le questioni medesime, rientranti
nell'ambito della giurisdizione del giudice amministrativo sulla base di un
indirizzo interpretativo della Corte di cassazione con argomentazioni anche
esse non implausibili e non palesemente arbitrarie (v. per tutte, le sentenze
della Cassazione, sez. un., 28 ottobre 1995, n. 11308, e 15 ottobre 1992, n.
11257).
Ciò
è sufficiente per respingere le eccezioni formulate, non potendosi procedere,
in questa sede, ad un sindacato (diverso dal controllo esterno) sul giudizio di
rilevanza, espresso dall'ordinanza di rimessione in modo non implausibile (v.
per tutte, sentenza n. 286 del 1997) e con motivazione tutt'altro che carente
(v. ordinanza n. 62 del 1997).
Allo
stesso modo la inammissibilità delle questioni incidentali di legittimità
costituzionale, sotto il profilo della carenza della giurisdizione del giudice
a quo, può verificarsi solo quando il difetto di giurisdizione emerga in modo
macroscopico e manifesto, cioè ictu oculi (sentenza n. 98 del 1997; ordinanza
n. 167 del 1997).
3.-Passando
all'esame delle questioni sollevate, occorre premettere che il problema di un
indennizzo a seguito di vincoli urbanistici-come alternativa non eludibile tra
previsione di indennizzo ovvero di un termine di durata massima dell'efficacia
del vincolo (sentenza n. 55 del 1968; n. 82 del 1982; n. 344 del 1995)-si può
porre sul piano costituzionale quando si tratta di vincoli che:
-siano
preordinati all'espropriazione, ovvero abbiano carattere sostanzialmente
espropriativo, nel senso di comportare come effetto pratico uno svuotamento, di
rilevante entità ed incisività, del contenuto della proprietà stessa, mediante
imposizione, immediatamente operativa, di vincoli a titolo particolare su beni
determinati (sentenza n. 6 del 1966, sviluppata nella successiva n. 55 del
1968, e, tra le più recenti, le sentenze n. 344 del 1995; n. 379 del 1994; n.
186 e n. 185 del 1993; n. 141 del 1992), comportanti inedificabilità assoluta,
qualora non siano stati discrezionalmente delimitati nel tempo dal legislatore
dello Stato o delle Regioni (v., con riferimento alle Regioni a statuto
speciale, sentenza n. 344 del 1995; n. 82 del 1982; n. 1164 del 1988);
-superino
la durata che dal legislatore sia stata determinata come limite, non
irragionevole e non arbitrario, alla sopportabilità del vincolo urbanistico da
parte del singolo soggetto titolare del bene determinato colpito dal vincolo,
ove non intervenga l'espropriazione (sentenza n. 186 del 1993), ovvero non si
inizi la procedura attuativa (preordinata all'esproprio) attraverso
l'approvazione di piani particolareggiati o di esecuzione, aventi a loro volta
termini massimi di attuazione fissati dalla legge; o minore incidenza che il
sacrificio imposto ha sul contenuto del diritto": sentenza n. 6 del 1966)
la normale tollerabilità secondo una concezione della proprietà, che resta
regolata dalla legge per i modi di godimento ed i limiti preordinati alla
funzione sociale (art. 42, secondo comma, della Costituzione).
Nello
stesso tempo, occorre sottolineare l'indirizzo secondo cui "è propria
della potestà pianificatoria la possibilità di rinnovare nel tempo i vincoli su
beni individuati, purché, come ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa,
risulti adeguatamente motivata in relazione alle effettive esigenze
urbanistiche" (sentenza n. 575 del 1989) Essendo i due requisiti della
temporaneità e della indennizzabilità tra loro alternativi, l'indeterminatezza
temporale dei vincoli, resa possibile dalla potestà di reiterarli nel tempo
anche con diversa destinazione o con altri mezzi, è costituzionalmente
legittima a condizione che l'esercizio di detta potestà non determini
situazioni incompatibili con la garanzia della proprietà secondo i principi
affermati dalle sentenze n. 6 del 1966 e n. 55 del 1968" (sentenza n. 575
del 1989)
4.
- La giurisprudenza della Corte ha inoltre affermato che non sono inquadrabili
negli schemi dell'espropriazione, dei vincoli indennizzabili e dei termini di
durata i beni immobili aventi valore paesistico-ambientale, "in virtù
della loro localizzazione o della loro inserzione in un complesso che ha in
modo coessenziale le qualità indicate dalla legge" (sentenze n. 417 del
1995; n 56 del 1968, da interpretarsi in maniera unitaria con la coeva sentenza
n 55 del 1968, n. 9 del 1973; n. 202 del 1974; n 245 del 1976; n. 648 del 1988;
n. 391 del 1989; n. 344 del 1990).
Più
in generale si è ritenuto che la legge può non disporre indennizzi quando i
modi ed i limiti imposti - previsti dalla legge direttamente o con il
completamento attraverso un particolare procedimento amministrativo- attengano,
con carattere di generalità per tutti i consociati e quindi in modo obiettivo
(sentenze n. 6 del 1966 e n. 55 del 1968), ad intere categorie di beni, e per
ciò interessino la generalità dei soggetti con una sottoposizione indifferenziata
di essi-anche per zone territoriali- ad un particolare regime secondo le
caratteristiche intrinseche del bene stesso. Non si può porre un problema di
indennizzo se il vincolo, previsto in base a legge, abbia riguardo ai modi di
godimento dei beni in generale o di intere categorie di beni, ovvero quando la
legge stessa regoli la relazione che i beni abbiano rispetto ad altri beni o
interessi pubblici preminenti.
Devono
di conseguenza essere considerati come normali e connaturali alla proprietà, quale
risulta dal sistema vigente, i limiti non ablatori posti normalmente nei
regolamenti edilizi o nella pianificazione e programmazione urbanistica e
relative norme tecniche, quali i limiti di altezza, di cubatura o di superficie
coperta, le distanze tra edifici, le zone di rispetto in relazione a talune
opere pubbliche, i diversi indici generali di fabbricabilità ovvero i limiti e
rapporti previsti per zone territoriali omogenee e simili.
5.-Inoltre
è da precisare esplicitamente che sono al di fuori dello schema
ablatorio-espropriativo con le connesse garanzie costituzionali (e quindi non
necessariamente con l alternativa di indennizzo o di durata predefinita) i
vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico)
realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non
comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa
pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità
di previa ablazione del bene. Ciò può essere il risultato di una scelta di
politica programmatoria tutte le volte che gli obiettivi di interesse generale,
di dotare il territorio di attrezzature e servizi, siano ritenuti realizzabili
(e come tali specificatamente compresi nelle previsioni pianificatorie) anche
attraverso l'iniziativa economica privata - pur se accompagnati da strumenti di
convenzionamento. Si fa riferimento, ad esempio, ai parcheggi, impianti
sportivi, mercati e complessi per la distribuzione commerciale, edifici per
iniziative di cura e sanitarie o per altre utilizzazioni quali zone artigianali
o industriali o residenziali; in breve, a tutte quelle iniziative suscettibili
di operare in libero regime di economia di mercato.
6.
-Sulla base delle anzidette premesse può essere confermato che la reiterazione
in via amministrativa degli anzidetti vincoli decaduti (preordinati
all'espropriazione o con carattere sostanzialmente espropriativo), ovvero la
proroga in via legislativa o la particolare durata dei vincoli stessi prevista
in talune regioni a statuto speciale (v., per quest'ultimo profilo, sentenze n.
344 del 1995; n. 82 del 1982; n. 1164 del 1988) non sono fenomeni di per sé
inammissibili dal punto di vista costituzionale. Infatti possono esistere
ragioni giustificative accertate attraverso una valutazione procedimentale (con
adeguata motivazione) dell'amministrazione preposta alla gestione del
territorio o rispettivamente apprezzate dalla discrezionalità legislativa entro
i limiti della non irragionevolezza e non arbitrarietà (v. sentenze n. 344 del
1995; nn 186 e 185 del 1993; n. 1164 del 1988).
Invece,
assumono certamente carattere patologico quando vi sia una indefinita
reiterazione o una proroga sine die o all'infinito (attraverso la reiterazione
di proroghe a tempo determinato che si ripetano aggiungendosi le une alle
altre), o quando il limite temporale sia indeterminato, cioè non sia certo,
preciso e sicuro e, quindi, anche non contenuto in termini di ragionevolezza
(sentenza n. 344 del 1995). Ciò ovviamente in assenza di previsione alternativa
dell'indennizzo (sentenze n 344 del 1995; n. 575 del 1989), e fermo, beninteso,
che l'obbligo dell'indennizzo opera una volta superato il periodo di durata
(tollerabile) fissato dalla legge (periodo di franchigia).
Del
resto la giurisprudenza amministrativa, a proposito della reiterazione dei
vincoli, ha delineato un diritto vivente (che deve essere tenuto presente per
risolvere la questione di legittimità costituzionale prospettata), secondo cui
la reiterazione dei vincoli urbanistici decaduti per effetto del decorso del
termine può ritenersi legittima sul piano amministrativo se corredata da una
congrua e specifica motivazione sulla attualità della previsione, con nuova ed
adeguata comparazione degli interessi pubblici e privati coinvolti, e con
giustificazione delle scelte urbanistiche di piano, tanto più dettagliata e
concreta quante più volte viene ripetuta la reiterazione del vincolo.
Da
quanto sopra deriva, come ulteriore conseguenza, che deve essere separato e
distinto il profilo della ammissibilità e legittimità delle reiterazioni in via
amministrativa dei vincoli urbanistici c.d. espropriativi, attuate in
conformità ai principi ricavabili dalla giurisprudenza succitata, di modo che
la reiterazione può essere ritenuta giustificata dalle esigenze appositamente
valutate e motivate come attuali e persistenti: ciò non di meno si realizza un
obbligo indennitario.
Infatti,
per i vincoli derivanti da pianificazione urbanistica (come sopra delimitati),
l'obbligo specifico di indennizzo deve sorgere una volta superato il primo
periodo di ordinaria durata temporanea (a sua volta preceduto da un periodo di
regime di salvaguardia) del vincolo (o di proroga per legge in regime
transitorio), quale determinata dal legislatore entro limiti non irragionevoli,
come indice della normale sopportabilità del peso gravante in modo particolare
sul singolo, qualora non sia intervenuta l'espropriazione ovvero non siano
approvati i piani attuativi
In
altri termini, una volta oltrepassato il periodo di durata temporanea (periodo
di franchigia da ogni indennizzo), il vincolo urbanistico (avente le anzidette
caratteristiche), se permane a seguito di reiterazione, non può essere
dissociato, in via alternativa all'espropriazione (o al serio inizio
dell'attività preordinata all'espropriazione stessa mediante approvazione dei
piani attuativi), dalla previsione di un indennizzo.
Il
potere della pubblica amministrazione di programmazione urbanistica e di
realizzazione dei progetti relativi alle esigenze generali (richiamate dalla
ordinanza dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato) non si può consumare
per il semplice fatto della scadenza dei termini di durata dei vincoli
urbanistici innanzi delimitati, ove persistano o sopravvengano situazioni che
ne impongano la realizzazione anche se per differenti finalità, per cui deve
essere esclusa in radice la denunciata violazione degli artt. 9, 32 e 97 della
Costituzione.
Tuttavia,
negli anzidetti casi, la mancata previsione di qualsiasi indennizzo si pone in
contrasto con i principi costituzionali ricavabili dall'art. 42, terzo comma,
della Costituzione, e di conseguenza ne deve essere dichiarata l'illegittimità
costituzionale. Tale dichiarazione non può tradursi in una sentenza
caducatoria, posto che una simile pronuncia colpirebbe nel complesso i poteri
di programmazione del territorio, che devono poter essere esercitati nonostante
la intervenuta scadenza dei vincoli, ferma la necessità di previsione di
indennizzo.
8.
- Neppure si può ottenere in questa sede un completo adeguamento alla legalità
costituzionale mediante una pronuncia che provveda a fissare i criteri per la
concreta liquidazione del quantum dell'indennizzo nei casi sopra specificati.
Per
la determinazione concreta dell'indennizzo in conseguenza della reiterazione di
vincoli urbanistici esistono molteplici variabili, che non possono essere
definite in sede di verifica di legittimità costituzionale con una sentenza
additiva, in quanto detto indennizzo non è, nella quasi totalità dei casi (in
ciò sta la netta differenza rispetto alla diversa - anche per natura -
indennità di esproprio), rapportabile a perdita di proprietà. Né può essere
utilizzato un criterio di liquidazione ragguagliato esclusivamente al valore
dell'immobile, in quanto il sacrificio subito consiste, nella maggior parte dei
casi, in una diminuzione di valore di scambio o di utilizzabilità. Inoltre
l'indennizzo per il protrarsi del vincolo è un ristoro (non necessariamente
integrale o equivalente al sacrificio, ma neppure simbolico) per una serie di
pregiudizi, che si possono verificare a danno del titolare del bene immobile
colpito, e deve essere commisurato o al mancato uso normale del bene, ovvero
alla riduzione di utilizzazione, ovvero alla diminuzione di prezzo di mercato
(locativo o di scambio) rispetto alla situazione giuridica antecedente alla
pianificazione che ha imposto il vincolo.
Alla
luce delle considerazioni che precedono, deve essere dichiarata la
illegittimità costituzionale non dell'intero complesso normativo che consente
la reiterazione dei vincoli, ma esclusivamente della mancata previsione di
indennizzo in tutti i casi di permanenza del vincolo urbanistico (preordinato
all'espropriazione o comportante l'assoluta inedificabilità) oltre i limiti di
durata fissati dal legislatore (quali indici di ordinaria sopportabilità da
parte dei singoli), ove non risulti in modo inequivocabile l'inizio della
procedura espropriativa. Con la conseguenza che la reiterazione del vincolo
deve comportare la previsione di indennizzo nei sensi suindicati, restando al
legislatore ogni possibilità di intervento, anche attraverso procedure
semplificate, per la concreta liquidazione dell' indennizzo stesso.
Naturalmente-occorre
di nuovo sottolineare- non da qualsiasi reiterazione di vincolo urbanistico
discende un pregiudizio al soggetto titolare del bene e un correlativo obbligo
a carico dell'amministrazione di corrispondere un indennizzo. Nell'ambito del
modello indennitario si possono presentare una pluralità di soluzioni
astrattamente ipotizzabili, idonee ad assicurare un serio ristoro a favore del
soggetto che subisce il vincolo, in armonia con i principi costituzionali tra
le quali il legislatore può operare una scelta.
Il
necessario intervento legislativo dovrà precisare le modalità di attuazione del
principio dell' indennizzabilità dei vincoli a contenuto espropriativo nei
sensi sopra indicati, delimitando le utilità economiche suscettibili di ristoro
patrimoniale nei confronti della pubblica amministrazione, e potrà esercitare
scelte tra misure risarcitorie, indennitarie, e anche, in taluni casi, tra
misure alternative riparatorie anche in forma specifica (v. ordinanza n. 165
del 1998), mediante offerta ed assegnazione di altre aree idonee alle esigenze
del soggetto che ha diritto ad un ristoro (v., come esempio di misura
sostitutiva di indennità, art. 30, primo e secondo comma, della legge 28
febbraio 1985, n. 47), ovvero mediante altri sistemi compensativi che non
penalizzano i soggetti interessati dalle scelte urbanistiche che incidono su
beni determinati.
9.-L'esigenza
di un intervento legislativo sulla quantificazione e sulle modalità di
liquidazione dell'indennizzo non esclude che-anche in caso di persistente
mancanza di specifico intervento legislativo determinativo di criteri e
parametri per la liquidazione delle indennità- il giudice competente sulla
richiesta di indennizzo, una volta accertato che i vincoli imposti in materia
urbanistica abbiano carattere espropriativo nei sensi suindicati, possa
ricavare dall'ordinamento le regole per la liquidazione di obbligazioni
indennitarie, nella specie come obbligazioni di ristoro del pregiudizio subito
dalla rinnovazione o dal protrarsi del vincolo.
10.
- In conclusione restano al di fuori dell'ambito dell'indennizzabilità i
vincoli incidenti con carattere di generalità e in modo obiettivo su intere
categorie di beni - ivi compresi i vincoli ambientali-paesistici -, i vincoli
derivanti da limiti non ablatori posti normalmente nella pianificazione
urbanistica, i vincoli comunque estesi derivanti da destinazioni realizzabili
anche attraverso l'iniziativa privata in regime di economia di mercato, i
vincoli che non superano sotto il profilo quantitativo la normale tollerabilità
e i vincoli non eccedenti la durata (periodo di franchigia) ritenuta
ragionevolmente sopportabile.
Pertanto
deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale del combinato disposto
degli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge
urbanistica) e 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187 (Modifiche
ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150) nella parte in
cui consente all'Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti,
preordinati all' espropriazione o che comportino l'inedificabilità, senza la
previsione di indennizzo secondo modalità legislativamente previste ed in
conformità ai principi sopra richiamati.
PER
QUESTI MOTIVI
LA
CORTE COSTITUZIONALE
dichiara
l'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 7, numeri 2,
3 e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica) e 2, primo
comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187 (Modifiche ed integrazioni alla
legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), nella parte in cui consente
all'Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati
all'espropriazione o che comportino l'inedificabilità, senza la previsione di
indennizzo.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 12 maggio 1999.