IVA SULL’INVENDUTO - LE POSSIBILI VIE D’USCITA
(Il Sole 24 Ore - 19/7/2010 - articolo a cura di Marco
Zandonà Direttore dell’area fiscale dell’Ance)
Pubblichiamo un interessante articolo scritto da Marco
Zandonà, Direttore dell’area fiscale dell’Ance, sul
problema dell’Iva sull’invenduto.
Accanto all’Ici e all’indeducibilità degli interessi
passivi dopo l’ultimazione dei lavori, sull’invenduto delle imprese edili c’è
anche la questione dell’Iva in un momento di grave difficoltà economica e
finanziaria.
L’attuale regime delle cessioni di abitazioni
“trasforma” l’Iva, da imposta neutra ad un vero e proprio costo industriale,
proprio quando le imprese vedono lievitare il loro magazzino per effetto della
crisi in itinere. Le imprese scommettono di vendere prima dei 4 anni
dall’ultimazione della costruzione, ma se ciò non succede, a partire da tale
data le cessioni devono avvenire in regime di esenzione, anziché di
imponibilità Iva, e ciò impone alle imprese proprietarie di rettificare l’Iva
detratta durante la realizzazione degli immobili.
Non basta la mancata vendita per 4 anni, ma
l’imprenditore si vede anche schiacciato dalla norma fiscale, introdotta dal
2006 dall’allora ministro Visco, e che aveva come obiettivo dichiarato quello
di evitare l’evasione dell’Iva nel comparto immobiliare (in particolare per le
operazioni di trading), ma che si è trasformata in una grave penalizzazione per
le imprese del settore che rischia di far chiudere aziende serie sul mercato da
anni.
Il provvedimento poteva avere un senso in un mercato
immobiliare attivo e per così dire vivace, in cui la rotazione del magazzino
delle imprese era sicuramente inferiore a 4 anni, ma in questo momento di
stagnazione delle vendite determina tutta una serie di penalizzazioni
amministrative e soprattutto economiche, che rendono inique le disposizioni
varate quattro anni fa.
Da un calcolo medio, è possibile stimare in oltre il
20% del prezzo di vendita l’Iva da restituire sulle cessioni in esenzione da
imposta, percentuale che non solo va ad assorbire completamente l’utile
dell’impresa, ma determina una rilevante perdita. In sostanza, viene a
determinarsi un notevole incremento dei costi di produzione, penalizzando anche
le imprese virtuose che non riescono a vendere interamente gli immobili
costruiti entro 4 anni, per le avverse condizioni di mercato.
Da qui la necessità di rimetter mano alla disciplina
attuale, introducendo meccanismi che, in conformità alle regole stabilite
dall’Unione europea, consentano di mantenere l’applicazione dell’Iva anche per
le vendite effettuate dopo i 4 anni dall’ultimazione della costruzione.
Una delle soluzioni più facilmente adottabili (accanto
a quella di un prolungamento del termine dei 4 anni) è quella che da tempo
l’Ance propone a Governo e al Parlamento: l’applicazione dell’Iva su opzione
del cedente anche per le abitazioni, come già avviene per la vendita di
fabbricati strumentali.
L’Europa lo consente. Infatti, la direttiva
2006/112/CE prevede un regime generale di esenzione per le cessioni dei fabbricati,
ma riconosce, comunque, la possibilità di accordare ai soggetti passivi Iva il
diritto di optare per l’imposizione, senza distinzioni tra immobili
residenziali e non.
Da un’indagine Ance sulla normativa degli Stati membri
con ordinamento tributario più similare a quello italiano, è emerso che alcuni
sistemi impositivi, pur utilizzando regole analoghe a quelle italiane, adottano
dei meccanismi che permettono di fatto, alle imprese di costruzioni, di
effettuare cessioni di immobili residenziali in regime di imponibilità ad Iva
(superando, così, il problema della limitazione alla detrazione dell’imposta).
Così avviene in Spagna e Belgio e soprattutto in
Francia, dove, dallo scorso marzo, proprio a seguito delle crisi del settore
edilizio, è stato introdotto un nuovo sistema impositivo per le operazioni
immobiliari, che prevede non solo che la cessione di un’abitazione sia soggetta
ad Iva, se effettuata entro 5 anni (e non 4 anni, come in Italia)
dall’ultimazione dei lavori, ma che l’impresa venditrice, anche dopo tale
termine, abbia in ogni caso la possibilità di optare per il mantenimento
dell’Iva.
In sostanza, con tale
soluzione, entro 4 anni dall’ultimazione dei lavori permarrebbe il regime di
Iva obbligatoria, oltre tale termine verrebbe introdotto, anche per le
abitazioni, il regime di Iva su opzione (ipotesi residuale, ma che eviterebbe
una grave diseconomia nei bilanci delle imprese in difficoltà). Tale soluzione,
tra l’altro, non produce effetti valutabili sulle entrate erariali, in quanto,
senza ombra di dubbio, non si può mettere a bilancio «Entrate per Iva
indetraibile», conseguenti alla mancata vendita delle case da parte dei
costruttori. Semmai, le mancate entrate sono proprio quelle per il decremento
delle compravendite (imposte sui ricavi delle imprese e sui trasferimenti) e
non quelle derivanti dalla restituzione dell’Iva, che per le imprese deve
rimanere comunque una partita di giro.