lavori pubblici - VALUTAZIONE GRAVITA’ CONDANNE PER REATI INCIDENTI SULLA MORALITA’ PROFESSIONALE

(Consiglio di Stato sez. VI 21/12/2010 n. 9324)

 

1. Si è detto di recente che “laddove il bando richiede genericamente una dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione dell’art. 38 del Codice degli appalti, esso giustifica una valutazione di gravità/non gravità compiuta dal concorrente, sicché questi non può essere escluso per il solo fatto dell’omissione formale, cioè di non aver dichiarato tutte le condanne penali o tutte le violazioni contributive; andrà escluso solo ove la stazione appaltante ritenga che le condanne o le violazioni contributive siano gravi e definitivamente accertate. La dichiarazione del concorrente, in tal caso, non può essere ritenuta falsa. Diverso discorso deve essere fatto quando il bando sia più preciso e non si limiti a chiedere una generica dichiarazione di insussistenza delle cause di esclusione di cui all’art. 38, Codice, ma specifichi che vanno dichiarate tutte le condanne penali o tutte le violazioni contributive; in tal caso, il bando esige una dichiarazione dal contenuto più ampio e più puntuale rispetto a quanto prescritto dal citato art. 38, all’evidente fine di riservare alla stazione appaltante la valutazione di gravità o meno dell’illecito, al fine di esclusione. In siffatta ipotesi, la causa di esclusione non è solo quella, sostanziale, dell’essere stata commessa una grave violazione, ma anche quella, formale, di aver omesso una dichiarazione prescritta dal bando.”(Consiglio Stato , sez. VI, 04 agosto 2009 , n. 4905).

2. La valutazione di “gravità” rientrante nella potestà delle stazioni appaltanti non debba limitarsi a tenere in considerazione meri riferimenti categoriali (fattispecie delittuosa piuttosto che contravvenzionale; dolosa piuttosto che colposa, etc), ovvero rapportarsi soltanto a parametri previsti nel precetto penale (quantificazione della pena edittale, possibilità di disporre misure cautelari, riconducibilità dei reati alle disposizioni di cui agli artt. 380 e 381 c.p.p., etc) ma debba prendere in considerazione ulteriori parametri, legati a fatti (il decorso del tempo, il legame con l’oggetto dell’appalto, il numero delle condanne, etc) più direttamente riconducibili al possibile futuro rapporto negoziale intrattenuto con l’offerente.

3. La giurisprudenza di legittimità ha sempre costantemente ribadito che l’effetto estintivo ricollegato al mero decorrere del tempo è equiparabile alla riabilitazione( “in tema di decreto penale di condanna, il comma 5 dell’art. 460 c.p.p. - il quale, nel testo emendato dall’art. 37, comma 2, lett. b), l. n. 479/99, prevede che nel caso di condanna inflitta con decreto il reato è estinto qualora, entro i termini stabiliti, il condannato non commetta altri reati - trova applicazione, trattandosi di norma di natura sostanziale, anche con riguardo ai reati oggetto di decreti penali divenuti esecutivi prima dell’entrata in vigore della novella ed i termini per l’estinzione decorrono, anche in tale ipotesi, dalla data dell’esecutività. “- Cassazione penale , sez. V, 20 maggio 2004, n. 27988-) e tale opzione ermeneutica è condivisa dalla giurisprudenza di merito penale ex multis: (“poiché l’eliminazione di ogni effetto penale consentente alla riabilitazione è del tutto equivalente a quella conseguente all’estinzione del reato per decorrenza dei termini previsti dall’art. 460, comma 5, c.p.p., non sussiste alcun interesse a richiedere la riabilitazione quando la pena sia stata applicata con decreto penale di condanna e siano utilmente decorsi i termini predetti.- Sezione Sorveglianza Torino, 28 marzo 2007-”).

4. Perché operi la causa estintiva (anche quella prevista ex art. 460 co.5 c.p.p.) è necessario che essa sia dichiarata dal giudice dell’esecuzione penale ( e, a contrario, che sino a quando non sia stato reso il formale provvedimento di cui all’art. 676 c.p.p. non può farsi riferimento al concetto di “reato estinto”).