LEGGE 26 FEBBRAIO 2011 N. 10 - MILLEPROROGHE - ASPETTI in materia di lavoro

 

La legge 26 febbraio 2011 n. 10, di conversione del D.L. 29 dicembre 2010 n.225 ha introdotto alcune disposizioni di interesse giuslavoristico, che incidono sulle disposizioni della L. 183 /2010 (cosiddetto “Collegato lavoro”).

In primo luogo, l’art. 2 co. 54 della citata legge 10 /2011 introduce nell’art. 32 della L. 183/10 il seguente comma 1 bis:

“In sede di prima applicazione, le disposizioni di cui all’articolo 6 primo comma, della legge 15 luglio 1966 n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, relativa al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, acquistano efficacia a decorrere dal 31 dicembre 2011”.

Si rinvia, quindi, l’entrata in vigore della disposizione che aggiunge al termine di impugnazione dei licenziamenti di 60 giorni, un ulteriore termine di decadenza, di 270 giorni, per l’instaurazione del giudizio, attraverso il deposito del ricorso o la richiesta del tentativo di conciliazione od arbitrato.

Ne deriva che, fino al 30 dicembre 2011, rivive la disciplina precedente al cd. “Collegato lavoro” e, quindi, occorre impugnare il licenziamento entro 60 giorni, mentre la proposizione dell’azione in giudizio segue l’ordinario termine di prescrizione.

L’articolo 32, commi 3 e 4, del Collegato lavoro estende il meccanismo fondato sul doppio termine di decadenza per l’impugnazione anche ad una serie di fattispecie diverse dal licenziamento (quali collaborazioni coordinate e continuative, trasferimento del lavoratore, cessione di contratti di lavoro avvenute in occasioni di trasferimenti di azienda ed altre).

Ci si chiede se il differimento dell’entrata in vigore della disposizione riguardi solo i licenziamenti ovvero anche queste diverse ipotesi.

A favore della prima ipotesi milita il fatto che la disposizione fa espresso riferimento solo “all’impugnazione del licenziamento”.

A favore della tesi opposta vi è, oltre all’elemento sistematico, la difficoltà di estendere il campo di efficacia di una disposizione non entrata in vigore.

In ogni caso, il Governo, a seguito dell’ ordine del giorno 9/4086/12 , si è impegnato a emanare disposizioni al fine di evitare ogni incertezza interpretativa in proposito. Sarà nostra cura dare tempestiva informazione dell’emanazione di tali disposizioni (fermo restando che solo interventi aventi natura legislativa possono vincolare il giudice a seguire una data interpretazione).

Un ulteriore profilo problematico concerne la disciplina applicabile alle decadenze intervenute fino all’entrata in vigore della nuova disposizione.

Secondo i principi generali, con la scadenza del termine di decadenza, le posizioni giuridiche soggettive interessate dalla mancata impugnazione si perfezionano e non sono più suscettibili di contestazioni in sede giudiziaria, salvo che intervenga una disposizione dotata di efficacia retroattiva, quale non è quella in esame.

Pertanto, deve escludersi che l’entrata in vigore del “milleproroghe” possa rendere nuovamente oggetto di contestazione posizioni soggettive ormai consolidate.

Un’altra disposizione di interesse contenuta nel “milleproroghe” è l’art. 2 comma 49, che introduce nell’art. 1 comma 1 del D.P.R. n. 180/1950 il seguente periodo: “Fino alla data di cessazione del rapporto di lavoro e del relativo rapporto previdenziale, i trattamenti di fine servizio ( indennità di buona uscita,indennità di anzianità, indennità premio di servizio) non possono essere ceduti”.

Si evidenzia che il temine “indennità di anzianità” è stato sostituito dalla legge 297/1982 con la dizione “trattamento di fine rapporto”; per questo il Servizio studi della Camera dei Deputati, nell’illustrazione predisposta in sede di esame della legge di conversione, ha evidenziato che “ sotto il profilo della tecnica legislativa, si segnala l’opportunità di modificare la dizione indennità di anzianità con la dizione trattamento di fine rapporto”.