VERIFICA
A CAMPIONE DEI REQUISITI DELLE IMPRESE PARTECIPANTI A GARA
Si
segnala il contenuto della circolare - prot. n. 1285/508/333/UL del 25 ottobre
u.s., con cui il Ministero dei Lavori Pubblici ha fornito agli uffici centrali
e periferici da esso gerarchicamente dipendenti, nonchè al Consiglio Superiore
dei Lavori Pubblici ed all'ANAS, indirizzi interpretativi ai fini
dell'applicazione delle disposizioni contenute nell'art. 10, comma 1-quater,
della legge n. 109/94, come introdotto dalla legge n. 415/98, in tema di
procedura di verifica dei requisiti autodichiarati dagli offerenti, ai fini
dell'ammissione alle gare d'appalto.
Più
in particolare, facendo seguito alle molteplici segnalazioni rappresentate
dalle stazioni appaltanti, nonchè dall'Autorità di Vigilanza sui lavori
pubblici, il Dicastero dei Lavori Pubblici, attesa la rilevanza delle questioni
sollevate, ha ritenuto opportuno fornire alcuni chiarimenti circa le modalità
applicative della disposizione sopra richiamata.
Tale
pronunciamento non vincola l'operatività delle stazioni appaltanti diverse da
quelle cui è indirizzato, ancorchè si prospetti come un ulteriore contributo al
dibattito in essere sul tema.
Può
essere utile rammentare alcuni aspetti tra i più significativi toccati dalla
circolare ministeriale.
E'
opportuno che il bando di gara, o la lettera di invito, prevedano il tipo di
documentazione che gli offerenti sorteggiati saranno tenuti a produrre, per
comprovare quanto dichiarato ai fini dell'ammissione alla gara;
Per
quanto concerne l'ambito oggettivo di applicazione della norma in parola, si
chiarisce che detta procedura deve essere effettuata anche nell'ipotesi di
appalti di lavori di importo pari o inferiore a 1 milione di ECU, ancorchè
l'accertamento dei requisiti di idoneità posseduti dagli offerenti vada
compiuto esclusivamente sulla base del certificato di iscrizione all'ANC. In
merito giova ricordare che il D.P.R. n. 403/98, solo marginalmente richiamato
dalla circolare in questione, equipara il certificato originale di iscrizione
all'Albo, con la relativa copia autentica e con la dichiarazione sostitutiva,
ora resa con firma semplice purchè accompagnata da copia di documento di
identità del sottoscrittore. Detta verifica, invece, non deve essere compiuta
nelle procedure di appalto di importo inferiore a 75 milioni.
Il
pronunciamento del ministero esprime perplessità circa recenti affermazioni
giurisprudenziali che sembrano consentire l'espletamento della verifica in
questione anche dopo l'aggiudicazione, in uno con l'analogo controllo
effettuato sull'aggiudicatario.
Il
termine di 10 giorni fissato dall'art. 10, comma 1-quater, ai fini della
comprova del possesso dei requisiti, da parte degli offerenti sorteggiati,
viene ritenuto "perentorio", posto che la legge ricollega all'inutile
decorso del termine stesso una serie di conseguenze a carico degli offerenti
medesimi, che escludono qualsiasi discrezionalità in capo alla stazione
appaltante, in ordine alla disponibilità o meno delle conseguenze stesse.
Per
quanto attiene il punto di maggior rilevanza, specie per le imprese
partecipanti alle gare, ovvero l'obbligo di verifica degli elementi
tecnico-organizzativi ed economico-finanziari per le gare fino all'importo di 1
milione di Ecu si possono svolgere le seguenti considerazioni in parte
divergenti da quelle rinvenibili nella circolare ministeriale.
Ai
sensi dell'articolo 10, comma 1-quater, della legge n. 109 del 1994, è
necessario che il presidente della gara, dopo aver effettuato l'esame della
documentazione e prima di procedere all'apertura delle buste delle offerte,
proceda a sorteggiare un numero di concorrenti non inferiore al 10%
(arrotondato all'unità superiore) ai quali domandare la verifica dei requisiti
di capacità tecnico-organizzativa ed economico-finanziaria già richiesti nel
bando e che in sede di gara sono dichiarati dal concorrente. Per le gare di
importo da 1 a 5 milioni di Euro tali requisiti sono quelli prescritti
dall'articolo 5, comma 2, lettere a) e b) del d.p.c.m. 10 gennaio 1990, n. 55.
La dimostrazione deve avvenire presentando la documentazione indicata nel bando
(così impone la norma), con le modalità di cui all'articolo 4 del decreto
ministeriale 9 marzo 1989, n. 172, specificate nella Circolare del Ministero
dei lavori pubblici 11 aprile 1990, n. 2411 (in quanto applicabile).
La
circostanza che l'articolo 10, comma 1-quater, della legge quadro, parli
letteralmente del "possesso dei requisiti di capacità
economico-finanziaria e tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel
bando di gara" e tenuto conto che la legge disciplina le gare di qualsiasi
importo (anche quelle relative ad appalti di importo inferiore a 1 milione di
Euro, delle quali si dirà in seguito), il termine "eventualmente"
dev'essere inteso nel senso che i requisiti sono richiesti solo dove tale
adempimento è obbligatorio, esistendo gare (appunto quelle di importo non
superiore a 1 milione di Euro) dove essi non potrebbero essere richiesti in
quanto sostituiti dal certificato di iscrizione all'A.N.C. o addirittura
inesistenti (per gli appalti di importo fino a 75 milioni di Lire).
Per
l'apparente portata generale della verifica dei requisiti di cui all'articolo
10, comma 1-quater, potrebbe sembrare che ricadano nella procedura di verifica
anche le gare di importo fino a 1 milione di Euro. Tuttavia a queste gare non è
applicabile la norma citata, per i motivi che seguono.
Per
gli appalti di importo fino a 1 milione di Euro la stazione appaltante deve
richiedere, ai fini dell'accertamento dell'idoneità tecnica e finanziaria
dell'impresa, il solo certificato d'iscrizione all'A.N.C. (articolo 5, comma 1,
del d.p.c.m. n. 55 del 1990).
Ciò
sta a significare che i predetti requisiti si intendono verificati a monte, con
l'iscrizione all'A.N.C. e la revisione della stessa. Nell'ambito di una
divisione che tenga conto del rapporto di economicità dei procedimenti è del tutto
razionale la scelta della norma del 1990 di sollevare i concorrenti dalla
dimostrazione specifica dei requisiti economico-finanziari e
tecnico-organizzativi per ogni gara rendendo sufficiente, ai fini della
qualificazione, il possesso del certificato di iscrizione all'A.N.C. Il
predetto certificato, pertanto, non costituisce un requisito di "capacità
economico-finanziaria e tecnico-organizzativa" bensì un ordinario
requisito per la qualificazione (tanto che è richiesto, nelle gare di importo
superiore a 1 milione di Euro, anche per i concorrenti che dimostrino
dettagliatamente le proprie capacità). In tal senso depone l'articolo 17 della
legge 19 marzo 1990, n. 55, norma della quale il d.p.c.m. citato costituisce il
regolamento attuativo.
Ne
deriva che la verifica, per queste gare minori, si ridurrebbe all'acquisizione
del certificato in originale (o della sua copia autenticata che non può essere
rifiutata) in luogo della dichiarazione sostitutiva presentata in sede di gara,
come peraltro richiesto dal comune appaltante di cui al quesito.
Questa
però non è una richiesta di comprova del possesso dei requisiti di
"capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa" già
dichiarati in un'atto unilaterale, bensì una semplice verifica circa la
veridicità di una dichiarazione sostitutiva di certificazione.
Inoltre,
per i concorrenti da verificare, la stazione appaltante assume la veste di
amministrazione procedente, per cui è tenuta all'acquisizione d'ufficio delle
certificazioni (articolo 18, comma 3, legge 7 agosto 1990, n. 241), ovvero a
richiedere direttamente all'amministrazione competente per il rilascio del
certificato la conferma scritta, anche con l'uso di strumenti informatici o
telematici, della corrispondenza tra la dichiarazione sostitutiva e le risultanze
dei registri conservati, senza l'acquisizione del certificato (articolo 11 del
d.P.R. 20 ottobre 1998, n. 403).
Per
questi motivi il bando di gara, limitatamente agli appalti di lavori di importo
fino a 1 milione di Euro, non dovrebbe prevedere la verifica dei requisiti, pur
essendo sempre possibile (e in molti casi auspicabile) che la stazione
appaltante proceda al controllo della veridicità delle dichiarazioni
sostitutive, sia per principio generale, sia in attuazione dell'articolo 11 del
d.P.R. 20 ottobre 1998, n. 403.
Il
controllo circa la veridicità delle dichiarazioni sostitutive delle
certificazioni, e quindi anche del certificato di iscrizione all'A.N.C. (a
prescindere dall'importo dell'appalto), avvengono con le modalità che il
presidente di gara, o prima ancora l'ente stesso, ritiene più efficaci e più
celeri, senza seguire la procedura di cui all'articolo 10, comma 1-quater della
legge quadro. Anche le conseguenze saranno diverse, perché oltre all'esclusione
dalla gara (decadenza immediata dai benefici conseguiti sulla base della
dichiarazione non veritiera) colui che non ha dichiarato il vero sarà soggetto
alla sanzione penale di cui all'articolo 26 della legge 4 gennaio 1968, n. 15,
ma non potrà applicarsi la sanzione della perdita della cauzione provvisoria e
della segnalazione all'Autorità di vigilanza.
Circolare
del Ministero dei Lavori pubblici n. 1285/508/333 U.L. del 25 ottobre 1999
Problematiche
connesse all'interpretazione dell'articolo 10, comma 1-quater, della legge 11
febbraio 1994, n. 109 e successive modifiche e integrazioni
Al
Consiglio Superiore dei Lavori pubblici
Agli
Uffici centrali, decentrati e periferici dell'Amministrazione
All'ANAS
Sono
pervenuti a questo ufficio numerosi quesiti vertenti sull'applicazione dell'articolo
10, comma 1-quater, della legge 109/1994, come introdotto dalla recente legge
n. 415 del 1998.
Attesa
la rilevanza di massima delle questioni poste, segnalata anche dall'Autorità
per la vigilanza sui lavori pubblici, e la loro incidenza sulle procedure di
affidamento di lavori pubblici, si ritiene opportuna la trattazione unitaria
del problema al fine di rendere il più possibile diffusa ed esaustiva la
risposta.
La
norma in questione, come è noto, così recita: "I soggetti di cui
all'articolo 2, comma 2, prima di procedere all'apertura delle buste delle
offerte presentate, richiedono a un numero di offerenti non inferiori al 10%
delle offerte presentate, arrotondato all'unità superiore, scelti con sorteggio
pubblico, di comprovare, entro dieci giorni dalla data della richiesta
medesima, il possesso dei requisiti di capacità economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa, eventualmente richiesti nel bando di gara, presentando
la documentazione indicata in detto bando o nella lettera di invito. Quando
tale prova non sia fornita, ovvero non confermi le dichiarazioni contenute
nella domanda di partecipazione e nell'offerta, i soggetti aggiudicatori
procedono all'esclusione del concorrente dalla gara, all'escussione della
relativa cauzione provvisoria e alla segnalazione del fatto all'Autorità per i
provvedimenti di cui all'articolo 4, comma 7, nonché per l'applicazione delle
misure sanzionatorie di cui all'articolo 8 comma 7. La suddetta richiesta è,
altresì, inoltrata, entro dieci giorni dalla conclusione delle operazioni di
gara, anche all'aggiudicatario e al concorrente che segue in graduatoria,
qualora gli stessi non siano compresi fra i concorrenti sorteggiati, e nel caso
in cui essi non forniscano la prova o non confermino le loro dichiarazioni si
applicano le suddette sanzioni e si procede alla determinazione della nuova
soglia di anomalia dell'offerta e alla conseguente eventuale nuova
aggiudicazione".
La
disposizione, contrariamente a quello che potrebbe apparire a una prima
lettura, non introduce un principio radicalmente nuovo nella contrattualistica
pubblica.
Anche
se sotto il vigore della normativa di recepimento delle direttive comunitarie
(art. 19 della legge n. 584 del 1977 e art. 30 del d.lgs. n. 406 del 1991) la
giurisprudenza aveva costantemente affermato l'illegittimità di un'imposizione
a tutte le imprese dell'obbligo della preventiva dimostrazione del possesso dei
requisiti economici e tecnici, riguardando tale obbligo solo ed esclusivamente l'aggiudicatario
(vedi la precedente circolare di questo ministero 2 febbraio 1988, n. 2180), è
però vero che si è sempre ritenuto appartenere in via generale
all'amministrazione il potere di successivamente controllare la veridicità e
l'effettività delle dichiarazioni di parte circa il possesso dei requisiti
abilitanti alla partecipazione alla procedura, proprio in considerazione del
carattere anticipatorio e "salvo verifica" che le stesse
dichiarazioni hanno in seno alle procedure concorsuali (vedi conferma anche nel
recente art. 1, comma 1, dello stesso d.P.R. n. 403 del 1998).
Ciò
premesso, si chiede in primo luogo se la procedura di controllo a campione
prevista dalla nuova disposizione sia obbligatoria o meno.
Sembra
a tale proposito potersi affermare che essa non sia facoltativa, ma che
l'amministrazione debba procedervi senza alcun margine di discrezionalità, a
eccezione di quanto attiene alla mera individuazione del numero di imprese da
assoggettare a verifica, nel rispetto comunque del limite minimo fissato: la
norma infatti è formulata utilizzando il verbo all'indicativo ("i
soggetti... richiedono"), in modo da non consentire diverse scelte in capo
alla stazione appaltante. In altri termini, non vi è alcuna necessità di
preventivamente indicare negli atti di gara né l'attivazione della procedura di
verifica, né il numero di soggetti che ne saranno interessati la sola
indicazione destinata a essere previamente espressa riguarda, per esplicita
disposizione della norma in esame, il tipo di documentazione che le imprese
sorteggiate saranno tenute a produrre per dimostrare la verità di quanto
dichiarato.
Si
pone in secondo luogo il problema dell'ambito oggettivo della norma, e del suo
coordinamento con le norme in materia di semplificazione.
Il
dubbio se essa riguardi tutte le gare indipendentemente dal loro valore deriva
dalla formulazione letterale del testo, che impone la verifica di effettivo
possesso solo in relazione ai requisiti di capacità economico-finanziaria e
tecnico-organizzativa "eventualmente" richiesti nel bando di gara,
così lasciando intendere che vi possano essere procedure nelle quali l'obbligo
di verifica non operi.
Secondo
una delle interpretazioni prospettate la norma non dovrebbe applicarsi nelle
procedure di affidamento di appalti di valore pari o inferiore al milione di
ecu, in quanto in esse nessun requisito sarebbe richiesto oltre al mero
certificato di iscrizione all'albo nazionale costruttori in virtù delle
disposizioni sul bando tipo attualmente ancora in vigore (d.p.c.m. n. 55 del
1991), mentre specifici requisiti aggiuntivi sarebbero invece richiesti per le
gare di importo superiore.
Ad
avviso di questo ufficio detta interpretazione, che sembra confondere il
termine "eventualmente" con l'avverbio "ulteriormente", non
può essere seguita. In realtà, anche per gli appalti di valore pari o inferiore
al milione di ecu è richiesto il possesso di requisiti economico-finanziari e
tecnico-organizzativi, se non altro perché essi sono necessari per ottenere
quell'iscrizione all'albo nazionale costruttori, obbligatoria ex art. 2 della
legge n. 57 del 1962 per tutti gli esecutori di lavori pubblici. Non dovendosi
peraltro nemmeno confondere il possesso dei requisiti con la loro
dimostrazione, ne deriva che per partecipare a gare di valore pari o inferiore
al milione di ecu devono essere posseduti i requisiti di idoneità tecnica e
finanziaria adeguati al lavoro da eseguire, solo che ai sensi dell'art. 5,
comma 1, del d.p.c.m. 55 del 1991 (che, tra l'altro, espressamente menziona i
requisiti di idoneità) il relativo accertamento non può che essere condotto
alla stregua del certificato di iscrizione all'albo, per categoria e classifica
corrispondente a quel lavoro.
Non
potrebbe fondatamente dirsi dunque che per le gare in questione non è richiesto
nei bandi di possesso di requisiti tecnici ed economici, in quanto tali devono
intendersi anche quelli attestati dall'iscrizione all'albo, e che hanno natura
uguale a quella degli ulteriori requisiti richiesti per gli appalti di valore
superiore. Ne consegue quindi che non vi è ostacolo alcuno a eseguire verifica
a campione alle procedure di importo pari o inferiore al milione di ecu.
In
tale prospettiva potrebbe persino dirsi che l'avverbio
"eventualmente", ha nel testo un significato addirittura pleonastico,
nel senso che la verifica dell'esistenza di determinati requisiti va condotta
ogni qualvolta la legge ne esiga il possesso. Certo, poiché la legge deve
essere interpretata attribuendo alle parole un significato logico piuttosto che
nessun significato, ne conseguirebbe ulteriormente che la verifica non dovrebbe
essere compiuta nella sola ipotesi in cui la legge non esiga il possesso di
specifici requisiti tecnici e finanziari, e tale caso nell'ordinamento attuale
pare essere quello dell'affidamento di appalti di valore inferiore ai 75
milioni di lire, ovviamente qualora la stazione appaltante intenda procedere a
gara.
Stabilito
l'ambito oggettivo di applicazione della norma in esame, le relative modalità
non possono che essere individuate alla luce della vigente normativa, che nel
caso di specie risulta dalla correlazione tra leggi in materia di lavori
pubblici e le recenti disposizioni in materia di semplificazione.
Sennonché,
è bene innanzitutto precisare che le due normative non hanno la medesima sfera
di destinatari, dal momento che l'art. 10, comma 1-quater, della legge n. 109
del 1994 si rivolge a tutti i soggetti
di cui all'art. 2, comma 2, della stessa legge (tra cui, come noto, figurano
soggetti estranei alla pubblica amministrazione), mentre le disposizioni in
materia di semplificazione si applicano nei rapporti con la pubblica
amministrazione e con i concessionari e gestori di servizi pubblici. Per alcune
categorie di stazioni appaltanti, per esempio, gli enti pubblici economici e i
soggetti privati, non si pone dunque alcun problema di coordinamento tra i due
complessi normativi.
Per
quanto riguarda gli altri soggetti, tuttavia, deve comunque propendersi per la
tesi dell'integrale applicazione dell'art. 10, comma 1-quater da un lato
infatti quest'ultima norma è contenuta in legge, la n. 415 del 1998, posteriore
alle disposizioni di semplificazione, dall'altro lato in ogni caso essa sarebbe
destinata a prevalere sulle altre in virtù del suo carattere di specialità.
Pare quindi ragionevole affermare, anche per ovvi motivi di omogeneità di
comportamento all'interno delle stazioni appaltanti, che la piena applicazione
dell'articolo in esame, soprattutto per quanto concerne il rispetto delle
modalità di verifica, non trovi ostacolo nelle disposizioni di cui alla legge
n. 127 del 1997 e al d.P.R. n. 403 del 1998. E, del resto, lo stesso articolo 2
di quest'ultimo testo fa espressamente salve le eccezioni previste per legge.
Ne
deriva che i soggetti individuati a seguito di sorteggio pubblico devono comprovare
il possesso dei requisiti richiesti mediante la presentazione della necessaria
documentazione, pure se questa consista in atti (come nel caso del certificato
di iscrizione all'albo nazionale costruttori) già in possesso di altra pubblica
amministrazione.
Sono
inoltre stati formulati più specifici quesiti; in particolare è stato chiesto
se la procedura di controllo a campione debba precedere la fase dell'ammissione
delle offerte, se possa applicarsi alla trattativa privata, se possa riguardare
anche altri elementi soggettivi oltre i requisiti tecnici e finanziari e infine
quale sia la natura dei termini entro i quali la dimostrazione deve essere
data.
Sotto
il primo profilo, riferendosi la norma alle offerte "presentate" e
non a quelle "ammesse", si pone il dubbio che la verifica debba
precedere nel tempo ogni altra operazione di gara, ivi compresa quella
dell'accertamento della regolarità formale e della tempestività delle offerte,
che come è noto condiziona l'ammissione stessa alla gara. Seppure fondata su
un'apparente imprecisione terminologica, l'incertezza interpretativa deve ad
avviso di questo ufficio risolversi nel senso che la verifica a campione non
può che riguardare le sole offerte ammesse a concorrere: da un lato, infatti,
la stessa norma impone che il controllo avvenga prima dell'apertura delle buste
di offerta, e quindi sembra presupporre esaurita la fase dei riscontri formali,
dall'altro lato l'effettività stessa della verifica a campione sarebbe
seriamente attenuata qualora si sottoponesse a verifica anche offerte destinate
a non partecipare comunque alla gara, con evidente spreco di attività
amministrativa. Peraltro, non può trascurarsi che la procedura di verifica
prevista dalla norma in esame non costituisce un quid distinto dalla fase di
ammissione delle offerte, attenendovi invece essa stessa in quanto ha a oggetto
il controllo della veridicità di quanto l'impresa dichiara per essere ammessa a
concorrere quello che la distingue è solo la sua collocazione cronologica tra
le operazioni di gara, logicamente successiva a quelle proposte a controlli
formali circa la regolarità delle offerte.
Le
considerazioni che precedono inducono a perplessità di fronte ad alcune recenti
affermazioni giurisprudenziali che sembrano consentire l'espletamento della
verifica in questione anche dopo l'aggiudicazione, in uno con l'analogo
controllo effettuato sull'aggiudicatario. Se infatti la verifica a campione
attiene alla fase dell'ammissione, e non potrebbe essere diversamente, dovendo
precedere l'apertura delle buste, essa non può svolgersi dopo l'aggiudicazione,
soprattutto tenendo conto che i suoi risultati sono potenzialmente idonei a
condizionare l'individuazione stessa dell'aggiudicatario soggetto alla verifica
finale, in forza di eventuali precedenti esclusioni capaci di influire sulla
determinazione della media.
Sotto
il secondo profilo, pare si debba escludere che la norma in commento si possa
riferire all'ipotesi della trattativa privata. A prescindere dal fatto che la
ratio sottesa alla verifica discende dalla necessità di evitare che la
partecipazione alla procedura di gara da parte di imprese non aventi i
requisiti dichiarati possa condizionare le regole della gara stessa, e in
particolare l'effettività di quella media delle offerte che assume decisivo
rilievo ai fini della disciplina dell'anomalia ai sensi dell'art. 21 comma
1-bis, della legge quadro (situazione che non ricorre evidentemente nella
trattativa privata, ancorché preceduta da gara informale), non può non
osservarsi che nell'ipotesi di affidamento diretto, anche secondo quanto
previsto nello schema di regolamento approvato in via preliminare dal consiglio
dei ministri, il possesso dei requisiti viene in rilievo esclusivamente con
riguardo al migliore offerente, senza che alcuna dichiarazione sia richiesta
agli altri soggetti interpellati.
Sotto
il terzo profilo la questione appare più delicata, dal momento che la norma in
esame prevede l'assoggettabilità a controllo delle sole dichiarazioni aventi a
oggetto il possesso dei requisiti tecnici e finanziari.
Peraltro,
sarebbe notevolmente illogico se solo questi ultimi fossero suscettibili di
controllo, e non lo fossero invece quelli, altrettanto importanti e
condizionanti in merito alla gara, di natura soggettiva legati all'inesistenza
di condanne penali, di fallimento e altri analoghi.
Se
tuttavia si deve aver riguardo al principio di carattere generale sopra
ricordato, per cui rientra nel generale potere dell'amministrazione procedere
alla verifica dell'effettività e della veridicità delle dichiarazioni ricevute,
principio di recente ribadito dall'art. 11 del d.P.R. n. 403 del 1998, non
sembra esservi dubbio circa l'esistenza in capo alla stazione appaltante del
potere di verificare tutte le dichiarazioni di parte, anche oltre lo specifico
ambito di applicazione. dell'art. 10, comma 1-quater, della legge quadro. La
sola conseguenza che discende da quanto detto è che l'eventuale falsità delle
dichiarazioni relative ai requisiti soggettivi non potrà trovare disciplina,
quanto alle conseguenze, nella norma della legge n. 109 del 1994 (per esempio
per ciò che attiene alla titolarità dell'onere di dimostrazione e alle
sanzioni), ma dovrà obbedire alle regole ordinarie sulle modalità di verifica a
carico della pubblica amministrazione e sulle responsabilità, salva
naturalmente l'esclusione dalla gara.
Sotto
il quarto profilo infine, deve ritenersi che i termini fissati dalla norma in
esame abbiano natura perentoria. Secondo il consolidato orientamento della
giurisprudenza amministrativa, i termini stabiliti all'interno del procedimento
hanno natura ordinatoria se la legge diversamente non statuisce o se dalla loro
inosservanza non discende decadenza (vedi per tutti Cons. Stato, sez. IV, 6
aprile 1987, n. 204); poiché nel caso di specie è la stessa legge a ricollegare
all'inutile decorso del termine di dieci giorni una serie di conseguenze
sfavorevoli per l'impresa offerente, esclusione dalla gara, escussione della
cauzione provvisoria, inizio del procedimento sanzionatorio, e poiché ancora al
rispetto del termine stesso sono connesse esigenze di celerità dell'azione
amministrativa e di continuità del procedimento di gara, non pare possa
dubitarsi della natura perentoria del termine stesso, anche nella
considerazione che la tutela della par condicio fra i concorrenti esclude che
la stazione appaltante possa godere del benché minimo margine di
discrezionalità in ordine alla disponibilità o meno delle conseguenze derivanti
dall'inutile decorso del tempo.
Diversa
conclusione deve invece assumersi con riferimento all'analogo termine stabilito
dall'ultima parte del comma 1-quater dell'art. 10 con riguardo alla verifica
dei requisiti in capo all'aggiudicatario e al secondo classificato. Nella
vigenza dell'art. 19 della legge n. 584 del 1977 e dell'art. 30 del d.lgs. n.
406 del 1991, che, com'è noto, prevedevano la stessa verifica dei requisiti in
esito alla gara, la giurisprudenza ha affermato la natura non perentoria del
relativo termine e il carattere non vincolante dalla comminatoria della
decadenza dall'aggiudicazione (Cons. Stato, sez. V, 789/1996; Tar Toscana
723/1989; Tar Umbria, 268/1988).
Vero
è che in questo caso la formulazione della norma, con l'espressa previsione di
sanzioni e di nuova media, sembra più categorica delle precedenti, ma è
altrettanto vero che, in coerenza con la natura disponibile della decadenza,
deve ritenersi permanere in capo all'amministrazione il potere di avvalersi o
meno del decorso del termine, se ciò non determini violazione di norme
inderogabili, soprattutto in considerazione dell'interesse pubblico
all'affidamento dell'opera secondo l'offerta più vantaggiosa. Nessuna
discrezionalità invece può configurarsi se l'esito della verifica riveli la
falsità delle dichiarazioni rese, in quanto tale situazione incide
sull'esistenza dei presupposti soggettivi per l'affidamento del lavoro.
Ultima
notazione relativamente all'aspetto trattato riguarda il rapporto tra le
vicende della gara e il potere dell'Autorità per la vigilanza sui lavori
pubblici in materia.
La
legge ricollega i provvedimenti dell'amministrazione aggiudicatrice (esclusione
dell'offerente, incameramento della cauzione, riformulazione della media e
segnalazione all'Autorità) al fatto obiettivo dell'inutile decorso del termine
di dieci giorni o della mancata conferma dei dati dichiarati, senza che possano
rilevare altri elementi di giudizio, le stesse stazioni appaltanti devono
dunque procedere a quanto di competenza ove il soggetto sorteggiato non
fornisca nei dieci giorni la necessaria dimostrazione confermativa delle dichiarazioni
già rese, salvi naturalmente gli ordinari rimedi giurisdizionali.
Ulteriori
valutazioni attinenti all'elemento psicologico dell'omissione, all'eventuale
esistenza di cause di giustificazione e a quant'altro possa influire sul
comportamento dell'offerente, attengono più propriamente all'esercizio del
potere sanzionatorio da parte dell'Autorità per la vigilanza sui lavori
pubblici, al fine di applicare o graduare la sanzione prevista dall'art. 4,
comma 7, della legge quadro, ma si ritiene non debbano interferire sulle
operazioni di gara già concluse.
Ulteriori
aspetti della complessa problematica potranno essere esaminati in seguito, se
gli uffici ne segnaleranno la rilevanza.