LA CANNA FUMARIA DEVE SUPERARE IL COLMO DELL’EDIFICIO
(Consiglio di Stato, Sentenza n. 5474 del 05/10/2011)
La canna, nel caso in esame – proprio in ragione della
particolare architettura del fabbricato – non supera il colmo dell’edificio,
come emerge chiaramente dalla documentazione fotografica, ponendosi,
conseguentemente, a distanza inferiore a quanto disposto, dalle aperture e
finestre prospicienti. La ratio della norma è quella
di evitare che le canne fumarie provochino immissioni nocive o comunque
disturbo a terzi e pertanto, laddove, come nel caso in esame, per la peculiare
configurazione architettonica a scaloni, lo stabile abbia due o più piani di
copertura di diverso livello, le canne fumarie debbono innalzarsi oltre l’ultimo
piano al fine di evitare immissioni nocive a terzi.
. . . omissis . . .
FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso in primo grado il dottor Francesco
Paolo Fulci, proprietario dell’appartamento sito in Roma, via Bruxelles n. 34,
terzo piano, int. 7, esponeva che in data 15.9.2006, accortosi di un’occlusione
della canna fumaria dell’appartamento di sua proprietà, aveva provveduto ad
inoltrare alla Asl RM/A una nota con cui richiedeva un intervento al fine di
accertare le cause del predetto evento. All’ esito del sopralluogo, la Asl, con
la nota prot. 407 del 29.11.2006, inibiva l’uso del
camino perché la canna non superava il colmo dell’edificio. Pertanto, con la d.i.a. protocollata al II°
Municipio del Comune di Roma in data 19.6.2007, il ricorrente provvedeva a
richiedere il nulla osta per i lavori di innalzamento della canna fumaria
predetta e, trascorsi 30 giorni, nel silenzio dell’amministrazione, avviava i
relativi lavori. Con successiva nota prot. n.
411/07Ei/SISP II del 17.1.2008, l’amministrazione, preso atto dell’innalzamento
della canna fumaria, informava l’istante del venir meno delle cause
dell’inibizione all’uso del camino. Tuttavia, con la successiva nota prot. 203 del 24.7.2008, infine, l’amministrazione
nuovamente comunicava, a rettifica del precedente provvedimento, che poiché la
canna fumaria, anche se rialzata, non risultava superare il colmo
dell’edificio, come previsto dalla normativa vigente in materia, che si
intendeva come confermata la nota del 2006, di inibizione dell’uso della canna
fumaria sino all’adeguamento della stessa.
Pertanto, l’interessato impugnava dinanzi al Tar il
provvedimento predetto, deducendo i seguenti vizi:
- violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 7, 8
e 10, l. n. 241 del 1990 e s.m.i., eccesso di potere
in tutte le figure sintomatiche ed in particolare per difetto di motivazione,
di istruttoria e contraddittorietà;
- eccesso di potere anche per travisamento dei fatti,
sviamento di potere, perplessità dell’azione amministrativa.
Il Tar con la sentenza appellata respingeva il
ricorso.
L’appellante censura la sentenza per avere
superficialmente valutato le circostanze di fatto e di diritto concernenti la
vicenda e in particolare per avere fondato il proprio convincimento sulle
disposizioni, non già del Regolamento edilizio del Comune di Roma, ma del
Comune di Albano Laziale, erroneamente depositato dalla Asl nel corso del
giudizio di primo grado. Evidenzia inoltre come la canna fumaria supera il
piano di copertura dell’edificio tenuto conto che l’immobile al cui interno è
ubicato l’appartamento ha due distinti piani di copertura posti ad altezze
diverse.
Si è costituita la Azienda Usl RM A chiedendo con
dovizia di argomentazioni il rigetto del ricorso.
Sono state depositate ulteriori memorie difensive.
La causa è stata trattenuta per la decisione
all’udienza del 24 giugno 2011.
2. Si puo’ prescindere
dall’esame della eccezione di inammissibilità per mancata notifica al controinteressato, sollevata dalla difesa della Azienda Usl
RM/A (peraltro infondata mancando nel provvedimento impugnato alcun elemento
per la esatta individuazione del soggetto controinteressato)
in quanto nel merito l’appello è infondato.
3. La sentenza di primo grado, pur richiamando
erroneamente il Regolamento edilizio del Comune di Albano, ha correttamente
accertato la oggettiva situazione fattuale e cioè che “.. la canna – proprio in
ragione della particolare architettura del fabbricato – non supera il colmo
dell’edificio, come emerge chiaramente dalla documentazione fotografica,
ponendosi, … conseguentemente, a distanza inferiore a quanto disposto, dalle
aperture e finestre prospicienti”.
In concreto è stata data quindi applicazione
all’articolo 64 del Regolamento di Igiene del Comune di Roma, approvato con
deliberazione n.7.395 del 12.11.1932 e succ. modifiche e integrazioni, secondo
il quale “Nella città e nei centri abitati i fumaioli dovranno essere elevati
al di sopra del fabbricato e, ove questo sia più basso di quelli contigui,
prolungati sino ad una altezza sufficiente per evitare danno o incomodo ai
vicini”.
Risulta evidente che la ratio
di tale norma sia quella di evitare che le canne fumarie provochino immissioni
nocive o comunque disturbo a terzi e pertanto, laddove, come nel caso in esame,
per la peculiare configurazione architettonica a scaloni, lo stabile abbia due
o più piani di copertura di diverso livello, le canne fumarie debbono
innalzarsi oltre l’ultimo piano al fine di evitare immissioni nocive a terzi.
Nel caso in esame, come risulta evidente dalla
documentazione fotografica depositata, il comignolo dell’appellante, pur
elevandosi oltre il piano in cui è ubicato l’appartamento di sua pertinenza, ha
però sbocco proprio all’altezza del terrazzo dell’appartamento sito al piano
superiore, determinando quindi la concreta possibilità di immissioni nocive
nell’appartamento medesimo.
Con l’effetto che i rilievi contenuti nel ricorso in
appello sono ininfluenti e strumentali dal momento che il provvedimento
impugnato non si è basato sulla erronea applicazione del Regolamento Edilizio
del Comune di Albano Laziale, ma sull’esatto rilievo che la canna fumaria non
supera il colmo dell’edificio.
Ne deriva che il provvedimento di inibizione, a
seguito di più approfondito esame, da parte dell’amministrazione, della
documentazione prodotta, appare giustificato dalla necessità di adeguamento,
come indicato, peraltro nella stessa nota, a tutela delle disposizioni
igieniche sanitarie vigenti ed idoneamente motivato, a seguito della attività
di verifica operata dall’amministrazione e dell’apporto partecipativo
dell’interessato, senza che possano trovare accoglimento i vizi dedotti da
parte istante.
Infondate in particolare sono le censure relative ad
una asserita carenza di attività istruttoria della Azienda che a contrario,
come emerge dalla documentazione depositata, ha effettuato sopralluoghi
acquisendo due relazioni redatte da un tecnico di fiducia del dottor Fulci al
quale ha assicurato la partecipazione al procedimento.
4. Per quanto sopra esposto, l’appello deve essere
respinto.
5. Sussistono motivi, data la peculiarità della
fattispecie e l’andamento della vicenda amministrativa, per compensare le spese
di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Terza)
definitivamente pronunciando sull’appello, come in
epigrafe proposto,
lo respinge.
Spese compensate.