RITARDO NEI PAGAMENTI DI LAVORI PUBBLICI: INDEROGABILITA’ DEI TEMPI E RICONOSCIMENTO DEGLI INTERESSI PREVISTI DAL D.LGS. N. 231/2002
In relazione ai ritardati pagamenti delle pubbliche
amministrazioni per appalti pubblici e al calcolo degli interessi per ritardato
pagamento, i pronunciamenti qui riportati (fra i molti di univoco indirizzo)
fissano due principi fondamentali:
1) non hanno alcuna validità le clausole predisposte
dalla stazione appaltante in deroga ai tempi di pagamento previsti dal D.Lgs, 231 del 2002 (“Attuazione della direttiva 2000/35/CE
relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni
commerciali”). Principio che rimane immutato anche laddove a corredo
dell’offerta sia stata richiesta una dichiarazione contenente la previsione di
termini differenti.
2) gli interessi per ritardato pagamento scattano
oltre il termine di pagamento fissato dal citato D.Lgs.
231 del 2002 e sono da conteggiarsi secondo la metodologia fissata dal medesimo
Decreto. Si può pertanto ritenere che il meccanismo di conteggio per appalti
pubblici in vigore dal 1962, previsto nel Capitolato Generale dapprima
approvato con il DPR. 1063/1972 e poi
con il D.M. 145/2000, sia superato.
3) i tempi di pagamento fissati dal D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231 (in Gazz.
Uff., 23 ottobre, n. 249) coincidono con quelli previsti dalla norma per
appalti pubblici (art. 143 del DPR 207/2010 e precedentemente DM 145/2000 art.
29):
- dalla data in cui è stato raggiunto l’importo di
lavori per il quale il capitolato prevede l’emissione dello stato di
avanzamento (perciò di norma la data di “lavori a tutto il . . . .”): 30 giorni è il tempo a disposizione
dell’amministrazione per disporre il pagamento, in mancanza del quale iniziano
a decorrere gli interessi.
Decorso inutilmente il termine per il pagamento, nasce
automaticamente, e cioè senza necessità di previa costituzione in mora del
debitore il diritto del creditore alla corresponsione degli interessi moratori
(art.3), il cui saggio è determinato in misura pari al tasso stabilito
periodicamente dalla Banca Centrale Europea per la più recente operazione di
rifinanziamento principale, comunicato tempestivamente dal Ministero
dell'Economia (art.5), maggiorato di sette punti percentuali (dal 1/7/2009 pari
al 1% +7% = 8%)
Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici - Parere
06/10/2011 , n. 170
. . .omissis . .
Per altro verso, però, la direttiva n. 2000/35/CE,
recepita in Italia con il D.Lgs. n. 231/2002,
contiene norme imperative applicabili anche alle pubbliche amministrazioni, che
non sono derogabili mediante la presentazione, nell’ambito di una gara di
appalto, di una offerta che tacitamente accetti dichiarazioni difformi imposte
dalla stazione appaltante. Pertanto, “devono ritenersi inique le clausole di un
bando di gara che prevedono: il pagamento del corrispettivo a 60 giorni dal
ricevimento della fattura, anziché ai 30 giorni, previsti dall'art. 4 del D.Lgs. n. 231/2002; la decorrenza degli interessi moratori
dal 180° giorno, anziché dal 30° giorno successivo alla scadenza del termine di
pagamento, previsto dall'articolo 4; il saggio di interesse dell’1% anziché
dell’8% (1% tasso BCE, più 7 punti di maggiorazione) previsto dall’art. 5”
(cfr. sul punto, Consiglio Stato, sez. V, 1/4/2010, n. 1885; id., sez. IV,
2.2.2010, n. 469; T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 26/06/2009, n. 6277).
Consiglio Stato sez. IV, 02 febbraio 2010, n. 469
Con riguardo al merito della questione, si segnala
Cons. Stato, Sez. V, 30 agosto 2005, n. 3892; TAR Piemonte, Torino, Sez. I, 4
dicembre 2009, n. 3260, secondo cui la normativa comunitaria di cui alla
direttiva 2000/35/CE si applica anche agli appalti pubblici con la conseguente
declaratoria di invalidità delle norme di capitolato che prevedono il pagamento
della fatture oltre i 30 giorni e un saggio di interessi inferiore a quello
prescritto dall'art. 5 del d.lgs. n. 231/2002, che ha recepito detta direttiva.
Ha poi precisato la sentenza in rassegna che la P.A.,
infatti, non ha il potere di stabilire unilateralmente le conseguenze del
proprio inadempimento contrattuale (come gli interessi moratori o le
conseguenze del ritardato pagamento), né può subordinare la possibilità di
partecipare alle gare alla accettazione di clausole aventi simili contenuti, se
non a costo di ricadere sotto le sanzioni di invalidità, per iniquità, vessatorietà e mancanza di specifica approvazione a seguito
di trattative). Aggiunge la sentenza, con riferimento al contenuto delle
statuizioni sintetizzate nella seconda massima, che tali clausole si pongono in
modo indubbio nel senso di introdurre un ingiustificato vantaggio per
l'Amministrazione predisponente, concretandosi nella aperta violazione della
disciplina di riequilibrio delle diverse posizioni di forza, la cui tutela la
direttiva comunitaria è proprio diretta a rafforzare.
Consiglio di Stato, Sezione Quarta, N. 00469/2010
. . . . omissis . . . . .
4.Non è accoglibile la
censura, consistente nel sostenere una pretesa inapplicabilità della direttiva
in questione, sulla celerità dei pagamenti nelle transazioni commerciali, alla
pubblica amministrazione.
Anzi, vale il richiamo specifico dell’articolo 2 del D.Lgs., che definisce la nozione di pubblica amministrazione,
ritenendo anche essa imprenditore forte ai sensi e per i fini del medesimo
decreto.
Inoltre, proprio la presenza di alcune clausole
contrattuali contrastanti con le previsioni imperative della direttiva e in
conflitto con lo spirito del D.Lgs.231 del 2002, che tutela la posizione
presuntivamente debole dei creditori fornitori della P.A., dimostra come la
fattispecie si attagli alla situazione di “esorbitanza” di poteri, tipica del
soggetto che si pone in modo autoritativo (autorità
pubblica o privata che sia).
In effetti tale condotta dell’amministrazione (che può
essere contestata dai partecipanti sia nella fase antecedente che in quella del
rapporto contrattuale e che nella specie viene contestata in via preventiva ai
sensi del citato articolo 8 da associazioni rappresentative di imprese medie e
piccole) integra e concreta proprio uno di quei comportamenti abusivi della
parte contrattualmente più forte che il legislatore ha inteso contrastare
attraverso la introduzione di un “diritto diseguale”, mirante a stabilire un
equilibrio giuridico antitetico rispetto al potere reale dei paciscenti (in tal senso, Consiglio di Stato, V, 11 gennaio
2006, n.43).
5.Con riguardo all’altra deduzione del Ministero
appellante, il Collegio osserva che non può sostenersi, come pretende
l’amministrazione, che tali regole imperative sarebbero derogabili e che
sarebbe consentito un diverso accordo, rinvenibile, nella specie, nella
presentazione della offerta, che implicherebbe acquiescenza-accettazione alla
sostanziale iniquità.
L’amministrazione pubblica, infatti, non ha il potere
di stabilire unilateralmente le conseguenze del proprio stesso inadempimento
contrattuale (come gli interessi moratori o le conseguenze del ritardato
pagamento) né potrebbe subordinare la possibilità di partecipare alle gare alla
accettazione di clausole aventi simili contenuti, se non a costo di ricadere
sotto le sanzioni di invalidità, per iniquità, vessatorietà,
mancanza di specifica approvazione a seguito di trattative, sanzioni sopra
descritte (in tal senso, Consiglio Stato, V, 30 agosto 2005, n.3892).
Non può sostenersi la prevalenza di tali clausole
rispetto a quanto previsto dal decreto legislativo di recepimento della
direttiva comunitaria: a parte il valore di supremazia della disciplina di
derivazione comunitaria, oltre che della normativa nazionale imperativa, vale
il principio per cui il contratto obbliga le parti non solo alle regole
previste dal medesimo, ma anche al rispetto delle regole imperative e a tutto
ciò che deriva dalla legge, dagli usi o dalla equità (articoli 1339, 1419, 1418
e 1374 del codice civile).
Le norme imperative hanno pertanto un valore anche
sostitutivo (arttt. 1339 e 1419 c.c.) di quanto
previsto in violazione di esse.
Conseguentemente: 1) è invalida ogni clausola
contrattuale che preveda regole diverse e inique rispetto alle regole
imperative, che automaticamente si sostituiscono a quelle invalide; 2) sarebbe
illegittima ogni esclusione basata sulla non-accettazione o sull’espresso
dissenso, da parte di una partecipante, di una clausola contrattuale iniqua; 3)
in sede di esecuzione contrattuale, le clausole invalide si porrebbero nel
nulla a richiesta di parte o di ufficio (ai sensi del terzo comma dell’art. 7
il giudice dichiara anche di ufficio la nullità e applica i termini di legge o
riconduce ad equità il contenuto dell’accordo medesimo: si tratta di una
cosiddetta nullità speciale di derivazione comunitaria); 4) infine, e ciò
rileva nel caso di specie, in caso di azione inibitoria intentata da associazioni
di categoria a tutela di interessi collettivi le clausole da ritenersi inique
sono poste nel nulla e quindi non applicabili, anche se comunque mantiene la
sua funzione l’ordine inibitorio, a causa dell’effetto dissuasivo che tali
clausole inique, per quanto insuscettibili di produrre effetti, potrebbero
avere sulla volontà a partecipare delle imprese medie e piccole.
Lo scopo del particolare strumento di tutela
individuato dalla legge è quello di impedire l’inserimento di tali clausole,
prima ancora della loro applicazione o invalidazione.
6.Con altro mezzo di appello il Ministero della Difesa
sostiene, la non iniquità nei contenuti delle clausole contestate, che invece
ai sensi dell’articolo 7, sarebbero motivate giustamente sulla base delle
ragioni oggettive dell’amministrazione pubblica e in particolare a causa della
lunghezza della procedura di pagamento.
Il motivo svolto dalla Amministrazione è infondato.
Le clausole contestate e ritenute nulle perché inique
dal primo giudice riguardano: il pagamento del corrispettivo a 60 giorni dal
ricevimento della fattura, anziché ai 30 giorni, previsti dall’art. 4 del
D.Lgs.231 del 2002; la decorrenza degli interessi moratori dal 180° giorno
anziché dal 30° giorno successivo alla scadenza del termine di pagamento,
previsto dall’articolo 4; il saggio di interesse dell’1% anziché dell’8% (1%
tasso BCE, più 7 punti di maggiorazione) previsto dall’art. 5.
Le clausole suddette si pongono in diretta violazione
degli articolo 4 e 5 del D.Lgs.231 del 2002, la cui deroga non è ammessa dalla
legge né nella presentazione della offerta può rinvenirsi il diverso accordo
contrattato dalle parti solo a seguito di apposita contrattazione e trattativa
sul punto, che evoca un concetto di contatto di tipo pararapportuale
(o precontrattuale) che non può rinvenirsi certo nel binomio “bando-
presentazione dell’offerta”, che già integra (quantomeno in parte) la
conclusione del contratto.
Inoltre, tali clausole si
pongono in modo indubbio nel senso di introdurre un ingiustificato vantaggio
per la amministrazione predisponente, concretandosi nella aperta violazione
della disciplina di riequilibrio delle diverse posizioni di forza, la cui
tutela la direttiva comunitaria è proprio diretta a rafforzare.
Consiglio di Stato, Sezione Quinta,n. 01885/2010
Ritenuto di poter definire il giudizio con sentenza
succintamente motivata come da avviso dato alle parti all’odierna camera di
consiglio;
Rilevato che con l’impugnata sentenza il Tar ha
accolto il ricorso proposto da alcune associazioni di categoria avverso un
bando di gara indetto da una azienda sanitaria, ritenendo inique e illegittime
- perché in contrasto con il d. lgs. n. 231/2002 - le
clausole aventi ad oggetto un termine dilatorio per i pagamenti e una misura
degli interessi moratori difformi e peggiorative rispetto alle previsioni degli
artt. 4 e 5 del citato d. lgs. n. 231/02;
Ritenuto che il ricorso in appello proposto
dall’azienda ospedaliera con riguardo alla legittimazione al ricorso e alla
erroneità della tesi accolta dal Tar è privo di fondamento, in quanto:
a) la censura attinente la presunta assenza di
legittimazione al ricorso, peraltro riferita solo a una delle associazioni
appellate, non è condivisibile, tenuto conto che non sussiste alcuna situazione
di conflitto tra l’associazione e i propri associati per il mero fatto che
l’azione tende a migliorare le clausole contrattuali e, quindi, ad ottenere un
potenziale beneficio per tutti gli associati, a prescindere dalla eventuale
partecipazioni di questi a questa o analoghe procedure di gara;
b) nel merito, non si ritiene di doversi discostare
dai precedenti di questo Consiglio di Stato, con cui è stato ritenuto che la
direttiva n. 2000/35/CE (556), recepita in Italia con il d.lgs. 9 ottobre 2002,
n. 231, sulla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni
commerciali, contiene norme imperative, applicabili anche alle p.a., che non
sono derogabili mediante la tacita accettazione delle condizioni difformi con
la presentazione di una offerta in una gara pubblica di appalto, con
conseguente iniquità delle clausole di un bando di gara che prevedono: 1) il
pagamento del corrispettivo a 60 giorni dal ricevimento della fattura, anziché
ai 30 giorni, previsti dall'art. 4 del d.lgs. n. 231/2002; 2) la decorrenza
degli interessi moratori dal 180° giorno anziché dal 30° giorno successivo alla
scadenza del termine di pagamento, previsto dall'articolo 4; 3) il saggio di
interesse dell'1% anziché dell'8% (1% tasso BCE, più 7 punti di maggiorazione)
previsto dall'art. 5 (Consiglio Stato , sez. IV, 2 febbraio 2010 , n. 469);
c) nella sostanza, non possono le stazioni appaltanti
inserire autoritativamente nei bandi di gara clausole
che prevedono il pagamento entro un termine superiore a quello fissato
dall'art. 4, del d.lgs. 9 ottobre 2002 n. 231 o una misura degli interessi
difforme da quella ex art. 5 dello stesso decreto, al quale è possibile
derogare non per atto unilaterale ed autoritativo
della stazione appaltante, ma a seguito di accordo o comunque libera
accettazione delle parti interessate (Consiglio Stato, sez. V, 28 settembre
2007 , n. 4996);
Ritenuto, pertanto, di dover respingere il ricorso in
appello, con compensazione delle spese di giudizio in considerazione della
parziale novità della questione;
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione
Quinta, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.
Compensa tra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita
dall'autorità amministrativa.