DUE CASI DI ILLECITO
EDILIZIO:
1) NIENTE DIA IN SANATORIA
2) NON SEMPRE SI DEVONO DEMOLIRE LE OPERE
(Corte di Cassazione: sentenze n. 41423 e n.41425 del 14/11/2011)
La Corte di Cassazione ha ribadito alcuni aspetti
rilevanti relativamente agli illeciti edilizi.
Con la sentenza 41423 del 14 novembre 2011 la
Corte di Cassazione si è espressa in merito ai limiti al potere di ordinare la
demolizione di un manufatto abusivo e ricorda come in tema di reati edilizi, il
comma 9 dell’art. 31 del D.P.R. 380/2001 (T.U. Edilizia) imponga al giudice
l’obbligo di ordinare, con la sentenza di condanna, la demolizione delle opere
illecitamente realizzate con esclusivo riferimento al tipo di abusi edilizi
previsti dall’intitolazione dell’articolo medesimo. Tali tipi di abuso con
riferimento alla totale difformità dal permesso di costruire sono definiti nel
primo comma come interventi «che comportano la realizzazione di un organismo edilizio
integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche
e di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione
di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un
organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza o autonomamente
utilizzabile». Pertanto gli abusi minori, puniti con l’ammenda prevista dal
primo comma lett. a) dell’art. 44 del D.P.R. 380/2001, non rientrano nella
previsione normativa del medesimo articolo 31.
Altro caso è rappresentato dalla sentenza n. 41425
in cui la Corte si è espressa in merito alla impossibilità di utilizzare, per
la sanatoria di manufatti già realizzati, l’istituto della Dia in sostituzione
del permesso di costruire. Si ricorda che, come già affermato dalla Corte
Suprema, “In materia edilizia, è necessario il permesso di costruire per la
realizzazione di [...] un manufatto che [...] è destinato a trasformare
durevolmente l’area impegnata, come tale qualificabile intervento di nuova
costruzione.” (sez. III, 14.5.2008 n. 35898).
Anche se l’art. 22 comma 3, del DPR n. 380/2001
consente per gli interventi di nuova costruzione conformi agli strumenti
urbanistici, nei casi previsti dalle lett. b) e c) del terzo comma,
l’esecuzione dei lavori a seguito di denuncia di inizio di attività, l’art. 36
dello stesso testo unico stabilisce che la legittimazione dei manufatti già
realizzati possa avvenire solo mediante il rilascio del permesso di costruire
in sanatoria. Sicché per le opere soggette a permesso di costruire, anche se
l’interessato ha optato per l’esecuzione dei lavori mediante denuncia di inizio
attività., ai sensi del citato art. 22, comma 3, non è affatto prevista la
possibilità di sanatoria di dette opere mediante DIA, in considerazione del più
pregnante controllo richiesto alla pubblica amministrazione nell’ipotesi di
sanatoria di costruzioni originariamente abusive, evidenziato dalla necessità
che si proceda ad una valutazione di doppia conformità agli strumenti
urbanistici e dalla previsione del rigetto tacito della richiesta di sanatoria
nell’ipotesi di mancato accoglimento entro il termine di sessanta giorni (terzo
comma dell’art. 36).
La DIA in sanatoria non è perciò conforme allo
strumento urbanistico, in quanto quest’ultimo prevede il ricorso alla DIA per
opere provvisionali ed indifferibili.
CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE III SEZIONE PENALE SENTENZA 41423 del 14/11/2011
Sul ricorso proposto da T. P., n. a T. . il ………., G. A., n. a P. il ……., e G.
M., n. a P. il ………, avverso la sentenza in data
12.1.2010 del Tribunale di Aosta, con la quale è stata applicata nei confronti
dei medesimi, ai sensi dell’ari 444 c.p.p., la pena
di € 2.445,00 di ammenda ciascuno in relazione al reato di cui all’art. 44
lett. a) del DPR n. 380/2001.
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il
ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione del
Consigliere Dott. A. M. L.;
Udito il P.M., in persona del Sost. Procuratore
Generale Dott. G. V., che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della
sentenza limitatamente all’ordine di demolizione; rigetto nel resto.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata il Tribunale di Aosta ha
applicato la pena concordata dalle parti, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., nei confronti di T. P., G. A.e
G. M. in relazione al reato di cui all’art. 44 lett. a) del DPR n. 380/2001,
così diversamente qualificata l’originaria contestazione di cui alla lett. b)
del medesimo articolo, ascritta agli imputati per avere, in qualità di
committenti, eseguito opere in violazione delle prescrizioni inerenti al
permesso di costruire loro rilasciato per la esecuzione di lavori di restauro
di un fabbricato. La sentenza ha, inoltre, disposto la demolizione delle opere
abusivamente realizzate. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso gli imputati,
che la denunciano per violazione di legge.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo mezzo di annullamento i ricorrenti
denunciano la violazione ed errata applicazione dell’art. 129 c.p.p. Previa esposizione delle vicende afferenti al
permesso di costruire rilasciato dalla pubblica amministrazione ed ai lavori
eseguiti, i ricorrenti, in estrema sintesi, deducono che nel caso in esame
doveva essere rilevata l’inesistenza dell’elemento soggettivo del reato, stante
l’affidamento degli imputati nella ritenuta legittimità degli atti della
pubblica amministrazione, e la conformità del loro operato al titolo
abilitativo. Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia la violazione ed
errata applicazione dell’art. 31, comma 9, del DPR n. 380/2001.
In sintesi, si deduce la incompatibilità
dell’ordine di demolizione con la diversa qualificazione attribuita dal giudice
di merito al fatto quale violazione di cui all’art. 44, primo comma lett. a),
del DPR n. 380/2001. Si deduce anche che i ricorrenti hanno provveduto al
pagamento della sanzione pecuniaria irrogata dalla pubblica amministrazione in
sostituzione dell’ordine di demolizione o ripristino dello stato dei luoghi. Il
primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La verifica demandata al
giudice di merito, a seguito di domanda di applicazione della pena sull’accordo
delle parti, può condurre al proscioglimento dell’imputato solo se le
risultanze processuali siano tali da rendere evidente l’esistenza di una delle
cause di non punibilità previste dalla nonna, senza la necessità di alcun
approfondimento probatorio (sez. un. 22.2.1999 n. 3, Messina, RV 212437).
Inoltre, la sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p.
può formare oggetto di controllo in sede di legittimità, in relazione alla
mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p., solo se
dal testo della stessa sentenza appaia evidente la sussistenza di una delle
condizioni previste dalla disposizione citata (sez. I, 17.6.1991 n. 2742, Scupola, RV 188377; sez. III, 18.6.1999 n. 2309, Bonacchi, RV 215071), mentre le parti non sono legittimate
a mettere in discussione, mediante il ricorso, i fatti su cui si fonda
l’accordo (sez. I, 143.1995 n. 1549, Sinfisi, RV 201160). Nella specie il
giudice di merito ha dato atto nella sentenza di avere effettuato la richiesta
verifica della inesistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., mentre la doglianza dei ricorrenti appare comunque
sprovvista della necessaria concretezza per una declaratoria immediata di non
punibilità, richiedendo un accertamento di fatto inammissibile in sede di
legittimità.
E’, invece, fondato il secondo motivo di gravame.L’art. 31 del DPR n. 380/2001 riguarda gli
“Interventi eseguiti in assenza di permesso dì costruire, in totale difformità
o con variazioni essenziali”; interventi puniti ai sensi dell’art. 44, primo
comma lett. b) ovvero c) (nel caso di interventi edilizi eseguiti nelle zone
sottoposte a vincolo), del medesimo Testo Unico. E’, pertanto, evidente che il
comma 9 dell’art. 31, nell’imporre al giudice l’obbligo di ordinare, con la
sentenza di condanna, la demolizione delle opere di cui al presente articolo si
riferisce esclusivamente al tipo di abusi edilizi previsti dall’intitolazione
dell’articolo medesimo, meglio descritti nel primo comma con riferimento
all’ipotesi della totale difformità dal permesso di costruire (interventi “che
comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per
caratteristiche tipologiche, planovolumetriche e di
utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di
volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un
organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza o autonomamente
utilizzabile”). Non rientrano, pertanto, nella previsione normativa dell’art.
31 gli abusi minori, puniti ai sensi dell’art. 44, primo comma lett. a), del
DPR n. 380/2001.
Per tali violazioni le sanzioni amministrative
costituite dal ripristino dello stato dei luoghi o dalla irrogazione di una
sanzione pecuniaria sostitutiva, ai sensi dell’art. 34 del Testo Unico, restano
di esclusiva competenza della pubblica amministrazione, mentre l’autorità
giudiziaria può solo irrogare la pena dell’ammenda comminata dalla norma.
La sentenza impugnata, pertanto, deve essere
annullata senza rinvio limitatamente all’ordine di demolizione, che va
eliminato.
Il ricorso deve essere rigettato nel resto.
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio la sentenza
impugnata limitatamente all’ordine di demolizione, che elimina. Rigetta nel
resto il ricorso.
Così deciso in Roma nella pubblica udienza del
29.92011.
CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE III SEZIONE PENALE SENTENZA 41425/11 del 14/11/2011
Sul ricorso proposto dall’Avv. Leonardo Casciere, difensore di fiducia di Eramo
Emanuele Cesidio, n. a Bisegna
11 19.5.1949, avverso la sentenza in data 29.3.2010 della Corte di Appello di
L’Aquila, con la quale, a conferma di quella del Tribunale di Avezzano in data
9.1.2009, venne condannato alla pena di mesi uno di arresto ed E 6.000,00 di
ammenda, quale colpevole dei reati: a) di cui all’art. 44 lett. b) del DPR n.
380/2001; b) di cui agli art. 64 e 71 del DPR n. 380/2001, unificati sotto il
vincolo della continuazione.
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il
ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere
Dott. Alfredo Maria Lombardi;
Udito il P.M., in persona del Sost. Procuratore
Generale Dott. Giuseppe Volpe, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di
L’Aquila ha confermato la dichiarazione di colpevolezza di Eramo
Emanuele Cesidio in ordine ai reati: a) di cui
all’art. 44 lett. b) del DPR n. 380/2001; b) di cui agli art. 64 e 71 del DPR
n. 380/2001, a lui ascritti per avere realizzato un muro in calcestruzzo armato
dell’altezza di mt. 4 e della lunghezza di mt. 10, nonché una gabbionata con riempimento in pietrame
dell’altezza di mt. 1 e la lunghezza di mt. 9 ed un altro muro in pietrame senza il permesso di
costruire e senza avere fatto la prescritta denuncia per le opere in cemento
armato.
La Corte territoriale ha rigettato i motivi di
gravame con i quali l’appellante aveva dedotto che le opere di cui alla
contestazione potevano essere realizzate in base a DIA, la cui carenza non
costituisce reato, e dedotto che, in ogni caso, i reati dovevano dichiararsi
estinti per effetto di una DIA in sanatoria.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il
difensore dell’imputato, che la denuncia per violazione di legge e vizi di
motivazione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente
denuncia violazione ed errata applicazione di legge.
Si deduce che la sentenza impugnata ha
erroneamente escluso che il muro di contenimento di cui alla contestazione
fosse assentibile mediante DIA, in base al rilievo che lo stesso si eleva al di
sopra del suolo, poiché tale accertamento deve essere riferito alla posizione
del muro a monte e non a valle, da cui soltanto si nota la parete in
sopraelevazione.
Si deduce, poi, che, anche se si ritenesse il
manufatto soggetto a permesso di costruire, l’interessato può, con scelta
discrezionale, optare, ai sensi dell’art. 22, comma 2, del DPR n. 380/001 per
la
richiesta dì permesso di costruire o edificare
previa denuncia di inizio attività, la cui mancanza è sanzionabile penalmente
per il disposto di cui all’art. 44, ultimo comma, del citato DPR n. 380/2001.
Si inferisce da tale disposto normativo che
l’abuso può essere sanato mediante il rilascio di DIA in sanatoria, che
l’imputato aveva ottenuto nel caso in esame. Sul punto si richiamano anche le
disposizioni del codice civile che non considerano costruzione, ai fini
dell’osservanza delle distanze legali, i muri di contenimento.
Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia
carenza di motivazione in ordine alla destinazione dell’opera a servizio
dell’edificio principale, essendo finalizzata a impedire smottamenti della
scarpata con la conseguente natura pertinenziale
della stessa.
Con l’ultimo mezzo di annullamento si denuncia
carenza e illogicità della motivazione con riferimento alla interpretazione
della DIA in sanatoria.
Si deduce che la sentenza impugnata ha affermato
erroneamente che la DIA in sanatoria non è conforme allo strumento urbanistico,
in quanto quest’ultimo prevede il ricorso alla DIA per opere provvisionali ed
indifferibili, nonché carenza di motivazione con riferimento alle dichiarazioni
del tecnico comunale esaminato come teste, che aveva ritenuto la sanatoria
legittima.
Il ricorso non è fondato.
E’ stato già affermato da questa Suprema Corte che
“In materia edilizia, è necessario il permesso di costruire per la
realizzazione di un muro di contenimento, in quanto si tratta di un manufatto
che si eleva al di sopra del suolo ed è destinato a trasformare durevolmente
l’area impegnata, come tale qualificabile intervento di nuova costruzione.”
(sez. III, 14.5.2008 n. 35898, Russo e altro, RV 241075)
E’ evidente che tale massima si riferisce a
qualsiasi muro di contenimento, in considerazione delle rilevanti dimensioni
che l’opera in genere assume ed alla modificazione edilizia permanente del
territorio che essa determina, non in considerazione del fatto che l’opera si
elevi al di sopra del suolo a monte o a valle, trattandosi di una distinzione
che non ha senso in relazione alla funzione del manufatto.
Quanto alla DIA in sanatoria, anche se l’art. 22
comma 3, del DPR n. 380/2001 consente per gli interventi di nuova costruzione
conformi agli strumenti urbanistici, nei casi previsti dalle lett. b) e c) del
terzo comma, l’esecuzione dei lavori a seguito di denuncia di inizio di
attività, l’art. 36 dello stesso testo unico stabilisce che la legittimazione
dei manufatti già realizzati possa avvenire solo mediante il rilascio del
permesso di costruire in sanatoria.
Sicché per le opere soggette a permesso di
costruire, anche se l’interessato ha optato per l’esecuzione dei lavori
mediante denuncia di inizio attività, ai sensi del citato art. 22, comma 3, non
è affatto prevista la possibilità di sanatoria di dette opere mediante DIA, in
considerazione del più pregnante controllo richiesto alla pubblica
amministrazione nell’ipotesi di sanatoria di costruzioni originariamente
abusive, evidenziato dalla necessità che si proceda ad una valutazione di
doppia conformità agli strumenti urbanistici e dalla previsione del rigetto
tacito della richiesta di sanatoria nell’ipotesi di mancato accoglimento entro
il termine di sessanta giorni (terzo comma dell’art. 36). Nel caso in esame,
peraltro, la sentenza impugnata ha rilevato che il muro di contenimento non
risultava neppure conforme al PRG, in quanto detto strumento urbanistico
prevede esclusivamente l’esecuzione di “opere provvisionali di assoluta
urgenza, indispensabili per evitare pericoli e danni”, mentre le opere
incriminate, secondo la sentenza impugnata, non possono assolutamente essere
considerate tali, essendo di tipo “durevole e permanente”.
Il richiamo alle norme civilistiche in materia di
distanze è del tutto improprio con riferimento alla disciplina edilizia ed
urbanistica sotto il profilo penale
E’ noto che rientrano nella nozione di pertinenza
solo manufatti di modeste dimensioni posti durevolmente a servizio di un
edificio principale.
Tale certamente non può essere ritenuto il muro di
contenimento di cui all’imputazione considerate le notevoli dimensioni
dell’opera e la naturale destinazione del muro di contenimento ad una più ampia
funzione di prevenzione in relazione alle eventuali modificazioni naturali del
territorio. Sull’ultimo motivo la sentenza ha correttamente osservato che le
diverse valutazioni degli organi amministrativi non possono avere incidenza su
quella del giudice ordinario e quanto affermato in punto di diritto in
relazione al primo motivo di gravame risulta assorbente di qualsivoglia diversa
opinione espressa dal tecnico comunale quale teste.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con le
conseguenze di legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma nella
pubblica udienza del 29.9.2011.