EDIFICABILITÀ DELLE AREE RESIDUE DOPO LA DECADENZA DELLA CONVENZIONE URBANISTICA DI UN PIANO ATTUATIVO
(commento a cura
del geom. Antonio Gnecchi)
Può un lottizzante presentare istanza di permesso di costruire per un nuovo
edificio previsto in un ambito sottoposto a piano di lottizzazione, oltre il
termine di validità della convenzione urbanistica?
Spesso ci si interroga come i comuni debbono comportarsi
nei confronti di piani di lottizzazione
o di recupero convenzionati che
non siano stati completati, ovvero che non siano stati addirittura
attuati, nei termini previsti dalle relative convenzioni sottoscritte.
Innanzitutto va detto che i piani attuativi, comunque
denominati (PP, PL o PR) sono subordinati dalla stipula di una convenzione
urbanistica ai sensi dell’articolo 28 della legge urbanistica n. 1150 del 1942,
sono approvati secondo le disposizioni
di cui all’articolo 16 stessa legge e devono tenere conto di quanto dispone il
successivo articolo 17 sui termini di validità.
Proprio perché l’articolo 16, comma 5, della legge
urbanistica stabilisce il termine non superiore ai 10 anni entro il quale deve
essere attuata l’esecuzione delle opere (opere di urbanizzazione primarie e
secondarie), le convenzioni urbanistiche dei PP (compresi i PL e i PR),
disciplinate dal successivo articolo 28, possono prevedere tempi più brevi in
considerazione della minore entità degli interventi previsti e, quindi, stabilire
una minore durata di validità della convenzione (5 anni e, in alcuni casi,
anche 3 anni).
Come si potrà dedurre dalla successiva esposizione dei
contenuti di alcune sentenze giurisprudenziali, le norme sopra citate, riferite
ai PP, sono applicabili anche ai piani di lottizzazione e ai piani di recupero,
sia per quanto riguarda i termini di validità delle convenzioni urbanistiche
che per gli effetti derivanti dalla mancata attuazione (totale o parziale) dei
piani stessi.
Ne deriva che devono essere completati nei termini
stabiliti, in ogni loro parte ( le nuove costruzioni o il recupero degli
immobili esistenti), sia piani attuativi, comunque denominati, proposti dai
privati e convenzionati con il comune, sia, soprattutto, le opere di
urbanizzazione poiché, in assenza di queste ultime, viene meno il presupposto
per un’eventuale riproposizione di un nuovo piano attuativo o il completamento
della parte non attuata.
Si tenga conto inoltre che l’ente può intervenire in
accordo con il privato per modificare la convenzione urbanistica stipulata
anche una volta terminato il limite temporale di efficacia previsto per i piani
di lottizzazione.
Valutazioni
1- La cessata efficacia di un piano attuativo, in
tutto o in parte non eseguito, non rende l’area interessata priva di disciplina
urbanistica, alla stregua delle c.d. “zone bianche”, per le quali risultano
dettate le rigide prescrizioni di cui all’articolo 4, ultimo comma, della legge
29.1.1977, n. 10 (edificazione a scopo residenziale solo fuori del perimetro del
centro abitato, come definito dall’articolo 17 della legge n. 765/67, ed indice
di fabbricabilità non superiore a metri cubi 0,03 per metro quadrato di area
fabbricabile), poi confluito
nell’articolo 9 del dPR 380/2001. Dette prescrizioni,
infatti, appaiono giustificate per le zone nelle quali si riscontri la mancanza
di qualsiasi programmazione d’uso del territorio. Ciò nella considerazione che,
in assenza di disciplina, in tali zone si riproporrebbe lo “ius
aedificandi” insito nel diritto di proprietà senza
alcuna tutela dell’interesse pubblico ad uno sviluppo edificatorio organico.
Proprio a tale rischio pone rimedio la citata normativa di salvaguardia di cui
all’articolo 4, ultimo comma, della legge n. 10/1977, che interviene appunto
ove non sia altrimenti desumibile la volontà degli organi pubblici preposti
alla pianificazione urbanistica. Quando, invece, sia venuta meno soltanto la
pianificazione attuativa, deve in primo luogo farsi riferimento al PRG per
individuare i limiti della sempre vigente disciplina di uso del territorio.
2- Solo un piano regolatore ( o PGT), privo dei
contenuti essenziali di cui all’articolo 7 della legge 1150/1942, nel testo
sostituito dall’articolo 1 della legge n. 1187/1968, potrebbe rendere l’area –
nell’ipotesi di sopravvenuta inefficacia delle norme del piano attuativo –
assimilabile ad una c.d. “zona bianca”, disciplinata alla stregua delle aree
prive di regolamentazione urbanistica. Nella normalità dei casi – una volta
scadute le norme attuative – permane invece la disciplina d’uso del territorio
disposta a livello di PRG (o PGT), con sopravvivenza – o meno – della sola
necessità di ulteriore pianificazione attuativa. Dette prescrizioni, infatti,
appaiono giustificate per le zone prive di qualsiasi prescrizione e disciplina
relativa all’uso del territorio.
3- Qualora venga meno solo la prescrizione relativa
alla pianificazione attuativa, per individuare i limiti della vigente
disciplina di uso del territorio, si deve fare riferimento al PRG (o PGT). E’
pertanto da condividere l’opinione
secondo cui una volta scadute le norme che impongono un piano attuativo,
permanga la disciplina d’uso del territorio disposta a livello di PRG (o PGT),
mentre dovrà essere oggetto di valutazione il persistere della necessità di
ulteriore pianificazione attuativa. “Nell’ipotesi quindi di decadenza dei piani
attuativi è comunque consentita la costruzione di nuovi fabbricati nel rispetto
della normativa edilizia di zona che resta ultrattiva
a tempo indeterminato per la parte che disciplina l’edificazione nelle sue
linee fondamentali ed essenziali”.
4- La decadenza dello strumento attuativo non
determina di per sé l’inedificabilità dell’area
interessata (o degli immobili, nel caso di un piano di recupero) e nemmeno
l’applicazione del regime delle zone bianche ex art. 4 legge 28.1.1977, n. 10,
dovendo considerare se sussiste una disciplina urbanistica sufficientemente
dettagliata, desumibile dallo strumento pianificatorio
generale, tale da escludere la necessità di una rinnovata pianificazione attuativa
per l’utilizzazione dell’area (o degli immobili, nel caso di un piano di
recupero).
5- Il piano attuativo, ancorché scaduto, è da
ritenersi ultrattivo con l’obbligo di osservare nella
costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti gli
allineamenti e le prescrizioni di zona, tenuto conto soprattutto dello stato di
realizzazione delle opere di urbanizzazione, quale elemento (o presupposto)
ostativo al rilascio del permesso di costruire, ancorché a seguito di
un’eventuale trasformazione della
destinazione urbanistica dell’area (o degli immobili, nel caso di un
piano di recupero) mediante variante allo strumento urbanistico generale.
6- Il primo comma dell’articolo 17 della legge n. 1150
del 1942 recita “Decorso il termine stabilito per l’esecuzione del piano
particolareggiato questo diventa inefficace per la parte in cui non abbia avuto
attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo indeterminato l’obbligo di
osservare nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli
esistenti gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano
stesso”. La norma, ancorché riferita espressamente ai piani particolareggiati,
deve ritenersi applicabile anche a tutti gli altri piani attuativi, comunque
denominati, anche di iniziativa privata.
7- Il prevalente orientamento giurisprudenziale in
forza del quale nelle zone in cui il piano attuativo è decaduto, è comunque
consentita la costruzione di nuovi fabbricati nel rispetto della normativa urbanistico-edilizia
di zona che resta automaticamente ultrattiva a tempo
indeterminato per la parte che disciplina l’edificazione nelle sue linee
fondamentali ed essenziali.
8- Le aree residue (o gli immobili, nel caso di un
piano di recupero) all’interno del piano attuativo decaduto, infatti, in forza
del suddetto articolo 17 della legge n. 1150 del 1942, non restano prive di
regolamentazione urbanistica, in quanto permane la disciplina di pianificazione
generale e quella di linea fondamentale ed essenziale di pianificazione
attuativa fino a quando non subentri una nuova disciplina.
9- L’amministrazione deve, innanzi tutto, verificare se il piano attuativo è stato
effettivamente attuato nella parte che riguarda la realizzazione delle opere di
urbanizzazione previste dallo stesso, atteso che il citato articolo 17,
consentendo anche la costruzione di nuovi edifici, implicitamente non include
gli stessi nel concetto di attuazione. Le opere di urbanizzazione, infatti,
costituiscono il presupposto per il
rilascio del titolo abilitativo, qualora conforme alle prescrizioni edilizie.
10- La presenza delle opere di urbanizzazione rende
irrilevante la necessità di un nuovo
piano attuativo stabilito dall’amministrazione comunale anche in ragione del
fatto che si tratti di interventi edilizi
su lotti residui in ordine ai quali la redazione di un formale piano di
lottizzazione (o di recupero)
rappresenta un aggravio procedimentale.
Conclusioni
Si riassumono le valutazioni che i comuni devono fare
in ordine all’edificabilità delle aree residue (o degli edifici non ancora
recuperati) dopo la decadenza della convenzione urbanistica di un piano
attuativo. Valutazione da effettuare con particolare riguardo alla
realizzazione delle opere di urbanizzazione - quale presupposto determinante al
fine dell’eventuale riproposizione di un piano attuativo - ovvero alla sua
modifica (più o meno incisiva) nei casi di nuova classificazione urbanistica
nel PRG (o PGT) alla quale si accompagna la relativa normativa edilizia.
1. A seguito dell’intervenuta scadenza di un piano
attuativo, il responsabile del procedimento deve, innanzi tutto,
verificare le condizioni di attuazione
dell’ambito sottoposto a lottizzazione o a un piano di recupero, valutando sia l’entità di
esecuzione delle opere di urbanizzazione che l’edificabilità prevista in
termini quantitativi e qualitativi, comunicando agli interessati la mancata
attuazione (totale o parziale) delle previsioni
urbanistiche dello stesso e la conseguente dichiarazione di avvenuta decadenza
della convenzione, tenuto conto però
che continuano a mantenersi efficaci le previsioni urbanistiche di dettaglio,
fin tanto che non intervenga una nuova disciplina urbanistica tesa a confermare
la sola necessità di ulteriore pianificazione attuativa, ovvero, a stabilire
diverse previsioni urbanistiche.
2. Un eventuale provvedimento di diniego
sull’edificabilità delle aree residue (o degli immobili non ancora recuperati)
dopo la decadenza dello strumento urbanistico attuativo, deve essere preceduto
dalla comunicazione ex articolo 10-bis della legge n. 241 del 1990. Nel
contempo, lo stesso responsabile del procedimento deve tener conto che la
decadenza del PA non determina di per sé l’inedificabilità
dell’area (o il recupero degli edifici esistenti).
3. La giurisprudenza amministrativa prevalente e costante afferma che un piano
attuativo, ancorché decaduto, sia comunque applicabile e ultrattivo
per allineamenti e le prescrizioni di zona, in difetto di specifiche nuove
prescrizioni, analogamente a quanto previsto dall’articolo 17, comma 2, n. 1150
del 1942 per i PA di iniziativa pubblica, in modo che nulla impedisca al
lottizzante (o al recuperante) ed all’amministrazione, ove questa lo reputi
conveniente nel pubblico interesse affidato alla sua competenza, di accordarsi
per prorogare gli effetti del piano scaduto o per introdurre modifiche anche
sostanziali al medesimo.
4. L’amministrazione comunale, quindi, non può inibire
l’edificazione della parte rimanente di un piano attuativo senza aver opportunamente
valutato lo stato di attuazione del piano, compreso l’esecuzione delle opere di
urbanizzazione, valutando altresì la possibilità di confermare nuovamente il
piano di attuazione per la parte non completata, ovvero, in caso di manifesta
volontà o mancata attuazione delle
previsioni del piano da parte dei lottizzanti (o recuperanti), di stabilire una
nuova e diversa disciplina urbanistica per l’intero (o parte) dell’ambito
interessato.
5. L’amministrazione comunale, nel rivedere la propria
pianificazione, non può prescindere totalmente dalle legittime aspettative dei
privati che hanno sottoscritto la convenzione (proprietari o aventi causa) e
deve soppesare le nuove scelte urbanistiche che tengano conto dello stato di
esecuzione delle opere di urbanizzazione verificandosi diverse situazioni:
a) la pretesa dei lottizzanti al rilascio dei titoli
abilitativi nel caso le opere di urbanizzazione primaria siano state
completamente realizzate,
b) la riproposizione di un nuovo piano attuativo per
la parte non attuata,
c) un nuovo assetto urbanistico della zona qualora non
ancora urbanizzata.
6. Il termine che viene assegnato per il compimento di
un PA, stabilito per legge, non superiore a dieci anni, serve per esercitare le
attività di trasformazione di una parte del territorio comunale, oltre il
quale, l’autorità competente riacquista il potere-dovere di dare un nuovo
assetto urbanistico alle parti non realizzate, anche, in ipotesi, con una nuova
convenzione. Si tenga conto però che,
se, e fino a quando, tale potere non viene esercitato, la disciplina
urbanistica dell’area (o degli immobili non ancora recuperati) rimane definita
nei termini di cui alla convenzione precedentemente sottoscritta.
7. Per effetto del principio secondo il quale le aree
(o gli edifici) all’interno di un PA, comunque denominato, attuato ma decaduto,
ai sensi dell’articolo 17 della legge n. 1150 del 1942, l’amministrazione non
può negare il permesso di costruire sul semplice rilievo dell’avvenuta scadenza
della convenzione, se non previa verifica se il PA sia stato effettivamente
attuato nella parte oggetto degli interventi richiesti attraverso la
realizzazione delle opere di urbanizzazione previste dallo stesso, quale presupposto per il rilascio del titolo
abilitativo, qualora conforme alle prescrizioni edilizie, tenuto conto che la
costruzione degli edifici non rientrano appieno nel concetto di attuazione del
piano.
8. Risulta di primaria importanza l’accertamento da
parte dell’amministrazione pubblica sulla disciplina da applicare a seguito
della scadenza del PA: tale amministrazione dovrà verificare se l’area (per i
PL) diventi “zona bianca” e se venga come tale normata,
ovvero se riemerga la disciplina dello strumento urbanistico propria della zona
in cui è il PL scaduto.
9. Dopo la scadenza della convenzione urbanistica il
comune può disciplinare la parte del piano che non ha avuto attuazione mediante
un nuovo piano e dovrà, quindi agire nel rispetto delle procedure previste
dalla legge per l’approvazione di PA; non può, perciò limitarsi alla stipula di
una nuova convenzione che modifichi quanto previsto dal PA divenuto inefficace,
ma deve seguire il procedimento previsto per l’approvazione di un nuovo piano,
in variante di quello originario, coinvolgendo tutti i proprietari (o gli aventi
causa) delle aree interessate.
10. Dopo la scadenza del termine stabilito dalla
convenzione, l’amministrazione non perde il potere di rilasciare permessi di
costruire funzionali al completamento di
un PA, ferma restando la disciplina urbanistica edilizia dell’area da esso
dettata che, anche per la parte rimasta inattuata,
continua a trovare applicazione fino all’approvazione di una nuova e diversa
previsione urbanistica. Nel contempo, la
stessa amministrazione deve dar conto delle ragioni sottese alla necessità di
rendere inoperanti le relative previsioni rimaste inattuate,
dando altresì conto delle valutazioni effettuate circa il rapporto tra le opere
ultimate e quelle non ancora eseguite.
11. Va detto che la presenza delle opere di
urbanizzazione rende irrilevante la necessità di un nuovo PA da parte di
un’amministrazione poiché la costruzione di nuovi edifici su lotti residui in
ordine ai quali la redazione di un formale PA rappresenta un aggravio
procedimentale.
COMMENTO DELLE SENTENZE
(CdS,
Sez. IV; sentenza 4.12.2007, n. 6170)
Decorso il termine stabilito per l’esecuzione del PP
(ovvero di un piano di lottizzazione), questo diventa inefficace per la parte
in cui non abbia avuto attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo
indeterminato l’obbligo di osservare, nella costruzione di nuovi edifici e
nella modificazione di quelli esistenti, gli allineamenti e le prescrizioni di
zona stabiliti dal piano.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato, in materia
di efficacia del piano di lottizzazione dopo la scadenza del termine previsto
per la sua esecuzione, si è soffermata sul significato del principio generale
contenuto nell’articolo 17, primo comma, della legge n. 1150/42.
E’ stato affermato che da tale norma, debbono trarsi i
seguenti principi (di per sé applicabili anche al piano di lottizzazione,
equiparato al PP di iniziativa pubblica):
a) le previsioni dello strumento attuativo comportano
la concreta e dettagliata conformazione della proprietà privata (con
specificazione delle regole disposte dal PRG, ai sensi dell’articolo 869 del
codice civile;
b) in linea di principio, le medesime previsioni
rimangono efficaci a tempo indeterminato (nel senso che costituiscono le regole
determinative del contenuto della proprietà delle aree incluse nel piano
attuativo),
c) col decorso del termine (di 10 anni, per il piano
di lottizzazione), diventano inefficaci unicamente le previsioni del piano
attuativo che non abbiano avuto concreta attuazione, nel senso che non è più
consentita la sua ulteriore esecuzione, salva la possibilità di ulteriori
costruzioni coerenti con le vigenti previsioni del PRG e con le prescrizioni
del PA (anche gli allineamenti), che per questa parte ha efficacia ultrattiva.
In altri termini, l’articolo 17 della legge n. 1150
del 1942 si ispira al principio secondo cui, mentre le previsioni del piano
regolatore rientrano in una prospettiva dinamica dell’utilizzazione dei suoli
(e determinano ciò che è consentito e ciò che è vietato nel territorio comunale
sotto il profilo urbanistico ed edilizio, con la devoluzione al piano attuativo
delle determinazioni sulle specifiche conformazioni delle proprietà), le
previsioni dello strumento attuativo hanno carattere di tendenziale stabilità
(perché specificano in dettaglio le consentite modifiche del territorio, in una
prospettiva in cui l’attuazione del piano esecutivo esaurisce la fase della
pianificazione, determina l’assetto definitivo della parte del territorio
presa in considerazione e inserisce gli
edifici in un contesto compiutamente definito).
In considerazione della stabilità delle previsioni del
piano attuativo, va dunque affermato il
principio per il quale le prescrizioni urbanistiche di un piano attuativo
rilevano a tempo indeterminato, anche dopo la sua scadenza.
(CdS, Sez. IV; sentenza
19.2.2007, n. 851) La sentenza ha
chiarito il significato da attribuire agli articoli 16, 17 e 28 della legge n.
1150 del 1942, secondo cui l’efficacia dei PP, ai quali si assimilano
analogamente le lottizzazioni convenzionate, ha un termine entro il quale le opere
debbono essere eseguite, che non può essere superiore a 10 anni.
L’imposizione del suddetto termine, infatti, va inteso
nel senso che le attività dirette alla realizzazione dello strumento
urbanistico, sia convenzionale che autoritativo, non
possono essere attuate ai sensi di legge oltre in certo termine scaduto il
quale l’autorità competente riacquista il potere-dovere di dare un nuovo
assetto urbanistico alle parti non realizzate, anche, in ipotesi, con una nuova
convenzione di lottizzazione. Con la conseguenza che, se, e fino a quando, tale
potere non viene esercitato, l’assetto urbanistico dell’area rimane definito
nei termini di cui alla convenzione di lottizzazione.
Dispone in tal senso anche l’obbligo, sancito
dall’articolo 28 della legge urbanistica di procedere a cura degli interessati
alla trascrizione della convenzione.
La sentenza ha fatto rilevare che, ai sensi
dell’articolo 2645 del codice civile, sono soggetti a trascrizione anche tutti
gli atti o provvedimenti che producono, in relazione a beni immobili o a
diritti immobiliari, taluno degli effetti dei contratti menzionati
nell’articolo 2643.
(CdS, Sez. V; sentenza
15.3.2006, n. 1375) L’avvenuta
decadenza del piano di recupero non rende applicabili gli indici generali di
edificabilità previsti per la zona dal PRG né rende possibile
all’amministrazione comunale di valutare caso per caso singole domande di
intervento edilizio diretto sulla stregua di una ricognizione di fatto dello
stato di urbanizzazione della zona, ma, in mancanza di una compiuta
programmazione urbanistica, consente solo di effettuare quegli interventi
previsti dall’articolo 4, ultimo comma, della legge 28 gennaio 1977, n. 10.
L’articolo 17 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 va
inteso nel senso che, scaduto il termine di efficacia stabilito per
l’esecuzione del PP, nella parte in cui è rimasto inattuato
non possono più essere eseguiti i previsti espropri come preordinati alla
realizzazione delle opere pubbliche e delle opere di urbanizzazione primaria,
in particolare (prima parte del comma primo) e, per converso, non si può
procedere all’edificazione residenziale per assenza di tale fondamentale
presupposto (vedi articolo 31 stessa legge). Dove, invece il detto piano ha
avuto attuazione, con la realizzazione di strade, piazze ed altre opere di
urbanizzazione, l’edificazione residenziale è consentita secondo un criterio di
armonico inserimento del nuovo nell’edificato esistente (seconda parte del
primo comma), e cioè in base alle norme del piano attuativo scaduto che mantengono
la loro integrale applicabilità.
Il decorso del decennio priva di efficacia l’intera
normativa del piano attuativo, visto che, per espressa previsione del citato
articolo 17 della legge n. 1150/1942, continua a rimanere fermo a tempo
indeterminato il contenuto inerente alle prescrizioni di zona, nel rispetto sia
dell’interesse pubblico per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione, sia di
quello volto all’edificazione dei lotti.
La norma in parola, invero, ha l’effetto di far venir
meno i vincoli espropriativi, in applicazione del principio generale della loro
temporaneità, mentre lascia impregiudicata l’applicabilità delle previsioni che
disciplinano l’attività edilizia privata.
Il Collegio ritiene che questione di primaria
importanza sia rappresentata dall’accertare se a seguito dell’inefficacia per
scadenza del piano di recupero l’area controversa diventi “zona bianca” – e
venga come tale normata – ovvero se riemerga la
disciplina dello strumento urbanistico propria della zona in cui è inserito il piano
di recupero scaduto.
In proposito la giurisprudenza (cfr. CdS, Sez. V, 15.3.2006, n. 1375) ha affermato che “anche
dopo la scadenza del piano debbono continuare ad osservarsi le prescrizioni di
zona previste dal piano scaduto, giusta l’articolo 17, comma primo, legge n.
1150/1942”. Lo stesso CdS ha ribadito il principio
suddetto affermando che “l’avvenuta decadenza del PR non rende applicabili gli
indici generali di edificabilità previsti per la zona dal PRG né rende
possibile all’amministrazione comunale di valutare caso per caso singole
domande di intervento edilizio diretto sulla stregua di una ricognizione di
fatto dello stato di urbanizzazione della zona, ma, in mancanza di una compiuta
programmazione urbanistica, consente solo di effettuare quegli interventi
previsti dall’articolo 4, ultimo comma della legge 28.1.1977, n. 10”.
Con altre sentenze delCdS
(Sez. IV 27.10.2009, n . 6572; 12.12.2008, nn.
6178 ss; n. 6170/2007) si è precisato che “i piani particolareggiati
attuativi dei PRG hanno efficacia decennale, con esclusione degli allineamenti
e delle previsioni di zona stabiliti dal piano stesso destinati ad essere
applicati a tempo indeterminato anche in presenza di uni strumento urbanistico
generale” e che, conseguentemente, “in considerazione della stabilità
delle previsioni del piano attuativo, va
affermato il principio per il quale le prescrizioni urbanistiche di un PA
rilevano a tempo indeterminato, anche dopo la sua scadenza”.
Si è dunque dell’avviso che l’articolo 17 della legge
n. 1150/42 vada inteso nel senso che, scaduto
il termine di efficacia stabilito per l’esecuzione del piano
particolareggiato, nella parte in cui è rimasto inattuato
non possono più eseguirsi i previsti espropri come preordinati alla
realizzazione delle opere pubbliche e delle opere di urbanizzazione primaria e,
di conseguenza, non si può procedere all’edificazione residenziale per assenza
di tale fondamentale presupposto.
Dove invece il detto piano ha avuto attuazione, con la
realizzazione di strade, piazze ed altre opere di urbanizzazione,
l’edificazione residenziale è consentita in base alle norme del piano attuativo
scaduto che mantengono la loro integrale applicabilità.
In definitiva deve escludersi che il decorso del
decennio privi di efficacia l’intera normativa del piano attuativo, visto che,
per espressa previsione del citato articolo 17 della legge n. 1150/42, continua
a rimanere fermo a tempo indeterminato
il contenuto inerente alle previsioni di
zona, nel rispetto sia dell’interesse pubblico per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione, sia
quello volto all’edificazione dei lotti,
la norma in parola, invero, ha l’effetto di far venir meno i vincoli
espropriativi, in applicazione del principio generale della loro temporaneità,
mentre lascia impregiudicata
l’applicabilità delle previsioni
che disciplinano l’attività edilizia privata.
(cfr. CdS, Sez. VI, sentenza
201.2003, n. 200; TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
10.6.2010, n. 2274; TAR Sardegna- Cagliari, Sez. II,
19.2.2010, n. 187; TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
26.7.2011, n. 1979)
Le disposizioni di cui agli artt. 16 e 17 della legge
n. 1150 del 1942, si applicano anche ai piani di lottizzazione, con la
conseguenza che va riconosciuta anche ad essi l’applicabilità del termine
massimo di validità decennale entro il quale devono essere attuati e decorso il
quale divengono inefficaci per la parte inattuata.
(cfr. CdS, Sez. VI,
20.1.2003, n. 200).
Una volta sopravvenuta l’inefficacia del piano,
l’articolo 17 della citata legge prevede, al comma 2, che”ove il comune non
provveda a presentare un nuovo piano per il necessario assetto della parte di
PP che sia rimasta inattuata per decorso di termine,
la compilazione potrà essere disposta dal prefetto a norma del secondo comma
dell’articolo 14”.
Il comune può, dunque, disciplinare la parte di piano
che non ha avuto attuazione mediante un nuovo piano e dovrà, quindi, agire nel
rispetto delle procedure previste dalla legge per l’approvazione dei piani attuativi divenuti inefficaci.
(CdS,
Sez. IV; sentenza 10.8.2011, n. 4761) Anche questa sentenza conferma che il termine decennale di efficacia
dei PP è applicabile anche ai PL e che dopo la loro scadenza, devono continuare ad osservarsi le prescrizioni di
zona previste dal piano scaduto, in applicazione dell’articolo 17, comma 1,
legge n. 1150/42.
Ne consegue che, in considerazione della stabilità
delle previsioni urbanistiche del PA, queste ultime rilevano a tempo
indeterminato, anche dopo la sua scadenza, e ciò in quanto l’articolo sopra
citato va inteso nel senso che, scaduto il termine di efficacia stabilito per
l’esecuzione del PA, nella parte in cui è rimasto inattuato
non possono più eseguirsi i previsti espropri, preordinati alla realizzazione
delle opere pubbliche e delle opere di urbanizzazione primaria, e non si può
più procedere all’edificazione residenziale; dove invece il detto piano ha
avuto attuazione, con la realizzazione di strade, piazze ed altre opere di
urbanizzazione, l’edificazione residenziale è consentita secondo un criterio di
armonico inserimento del nuovo nell’edificato esistente e in base alle norme
del PA scaduto (cfr. CdS,
Sez. IV, 27.10.2009, n. 6572; Sez. V, 30.4.2009, n. 2768).
Alla luce di quanto esposto, consegue che, una volta
scaduto il termine di efficacia della convenzione di lottizzazione, nella zona
considerata non è più possibile l’edificazione, proprio perché tale zona
rientra nella parte che non ha trovato attuazione.
Ai fini della verifica delle conseguenze della
scadenza del termine decennale di efficacia dei PL, non rileva se la mancata
attuazione del piano dipenda dal privato ovvero dalla pubblica amministrazione,
rilevando esclusivamente, alla luce dell’articolo 17, legge n. 1150/42, il dato
oggettivo della mancata attuazione del piano.
(CdS,
Sez. V; sentenza 7 aprile 2004, n. 1968) Sull’inidoneità della delibera consiliare per interpretare le norme di
PRG e sulla necessità di procedere mediante variante; la correzione dell’errore
materiale può portare alla modifica del PRG nei soli casi in cui l’imperfezione
descrittiva sia ravvisabile senza dar luogo ad un’attività di interpretazione
della volontà dell’amministrazione.
Lo stabile collegamento localizzativo che attribuisce l’interesse legittimo a
ricorrere non è limitato alla distanza tra il ricorrente e l’intervento contestato
ma va valutata con riferimento al verosimile perimetro dei rispettivi bacini
socio-economici di utenza. Ne consegue che tre chilometri tra due multisale
cinematografiche non sono un ostacolo al riconoscimento di siffatta
legittimazione.
Il piano particolareggiato
decaduto è comunque applicabile e ultrattivo per
quanto attiene gli allineamenti e le prescrizioni di zona, in difetto di
specifiche nuove prescrizioni.
Tra i motivi dell’appello, si contesta che il PP
decaduto possa avere efficacia alcuna, anche perché la mancata previsione di
nuove prescrizioni di zona nella variante urbanistica adottata nel 1994 ed
approvata nel 1997 sarebbe frutto di un macroscopico errore materiale.
Ad avviso del Collegio, la censura è priva di pregio,
poiché il PP, come correttamente rilevato dal Giudice di primo grado, è da
ritenersi ultrattivo nei limiti degli allineamenti e
delle prescrizioni di zona, in difetto di specifiche nuove prescrizioni.