COSTRUZIONI IN ADERENZA IN ZONA SISMICA
(sentenza n. 23854 del 15 novembre 2011)
La Corte di Cassazione, con riferimento alle
costruzioni in zona sismica, dichiara la prevalenza dell’attuazione delle
specifiche norme tecniche rispetto alle norme civilistiche. La stessa Corte,
con la sentenza n. 23854 del 15 novembre 2011 della 2^ Sezione civile, con
riferimento ad una sopraelevazione fra due edifici contigui, realizzata
innestando nel muro di confine le travi di sostegno del tetto della nuova
costruzione, ha concluso per la riduzione in pristino in quanto i due edifici,
pur formando ai piani sottostanti un corpo strutturalmente unico, nella
sopraelevazione si presentavano come due distinte fabbriche, che, come
accertato dal C.T.U., “non risponde ai dettami delle norme antisismiche in tema
di giunto tecnico di oscillazione, per avere il ricorrente appoggiato
completamente la parte superiore, senz’alcun collegamento strutturale”.
Si ricorda come nelle zone nelle quali deve essere
applicata la normativa in materia di costruzioni in zona sismica, non trovano
applicazione le disposizioni di carattere generale contenute negli articoli
874, 876 e 884 del codice civile, qui riportati:
- art. 874: “Il proprietario di un fondo contiguo al
muro altrui può chiederne la comunione [2932] per tutta l’altezza o per parte
di essa, purché lo faccia per tutta l’estensione della sua proprietà. Per
ottenere la comunione deve pagare la metà del valore del muro, o della parte di
muro resa comune, e la metà del valore del suolo su cui il muro è costruito.
Deve inoltre eseguire le opere che occorrono per non danneggiare il vicino”;
- art.876: “Se il vicino vuole servirsi del muro
esistente sul confine solo per innestarvi un capo del proprio muro, non ha
l’obbligo di renderlo comune a norma dell’articolo 874, ma deve pagare
un’indennità per l’innesto”;
- art. 884: “Appoggio e immissione di travi e catene
nel muro comune:
o [I]. Il
comproprietario di un muro comune può fabbricare appoggiandovi le sue
costruzioni e può immettervi travi, purché le mantenga a distanza di cinque
centimetri dalla superficie opposta, salvo il diritto dell’altro
comproprietario di fare accorciare la trave fino alla metà del muro, nel caso
in cui egli voglia collocare una trave nello stesso luogo, aprirvi un incavo o
appoggiarvi un camino. Il comproprietario può anche attraversare il muro comune
con chiavi e catene di rinforzo, mantenendo la stessa distanza. Egli è tenuto
in ogni caso a riparare i danni causati dalle opere compiute.
o [II]. Non
può fare incavi nel muro comune, né eseguirvi altra opera che ne comprometta la
stabilità o che in altro modo lo danneggi.”
Si ricorda inoltre (come è già osservato nella sentenza di Cass. SS.UU.
n. 7396 del 1998) che << Ai sensi dell’art. 9, comma 3 della legge sulle
zone sismiche 25 novembre 1962 n. 1684, “In caso di costruzioni contigue,
ciascun edificio deve costituire un organismo a sé stante mediante la adozione
di giunti od altri opportuni accorgimenti idonei a consentire la libera e
indipendente oscillazione di ciascuno di essi”>>.
CORTE DI CASSAZIONE CIVILE
Sez. II, 15 novembre 2011, n. 23854
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 26 maggio 1997
PI.Fr. evocava, dinnanzi al Tribunale di L’Aquila, MA.Da.
esponendo di essere proprietaria di un fabbricato sito in ….., edificato a
confine con il fabbricato di proprietà del convenuto, il quale aveva di recente
sopraelevato il proprio immobile e vi aveva realizzato una canna fumaria senza
rispettare le distanze di legge, contravvenendo la sopraelevazione anche alle
norme dettate per le costruzioni in zone sismiche, avendo il MA. innestato nel
muro di proprietà dell’attrice le travi che, a seguito di sopraelevazione,
sorreggevano il tetto del suo edificio; tanto premesso chiedeva che il
convenuto venisse condannato alla rimozione delle travi dal proprio muro e a
demolire le opere realizzate a distanza inferiore a quella di legge, oltre al
risarcimento dei danni.
La causa non veniva iscritta a ruolo nei termini
dall’attrice, non risultando essere stato concesso il termine di comparizione
al convenuto ex articolo 163 bis c.p.c., né tale
incombente veniva assolto dal convenuto, per cui con successivo atto notificato
il 22 luglio 1997 il giudizio veniva riassunto dal procuratore dell’attrice che
a tal fine si avvaleva della procura apposta a margine dell’originario atto di
citazione.
Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza del
convenuto, il quale eccepiva preliminarmente la inesistenza dell’atto di
riassunzione per difetto di valida procura, nel merito negava fosse mutata la
volumetria o l’altezza dell’edificio, nonchè che le
travi di sostegno del tetto fossero infisse nel muro dell’attrice, mentre il
camino esisteva in quella posizione da oltre venti anni, all’esito
dell’istruzione della causa, il Tribunale adito, con sentenza non definitiva ,
respingeva l’eccezione di nullità della citazione. Disposto con separata
ordinanza il prosieguo del giudizio, all’esito della istruttoria, lo stesso
Tribunale condannava il convenuto alla riduzione in pristino del fabbricato
mediante demolizione della sopraelevazione e l’asportazione delle travi in
appoggio sul muro, oltre alla rimozione e/o all’adeguamento del comignolo. In
virtù di rituale appello interposto dal MA., con il quale censurava sia la
sentenza non definitiva (n. 8199) per avere disatteso l’eccezione di nullità
sia quella definitiva (n. 1671\2002) per erronea applicazione della normativa
di cui alla Legge n. 64 del 1974 (e relativi decreti attuativi), giacche nel
caso di specie le due porzioni di fabbricato costituivano un unico organismo
edilizio strutturale, la Corte di Appello di L’Aquila, nella resistenza
dell’appellata, rigettava integralmente l’appello.
A sostegno dell’adottata sentenza, la corte
territoriale evidenziava che, condividendo l’orientamento giurisprudenziale di
parte della Suprema Corte, doveva ritenersi la validità della procura apposta a
margine della originaria citazione, che non veniva travolta dalla nullità
dell’atto in cui era inserita, conservando una sua specifica identità negoziale
ed una sua autonomia logica e giuridica rispetto al contenuto dell’atto.
Nel merito, osservava che correttamente il giudice di
prime cure aveva fatto applicazione della normativa indicata in quanto
dall’accertamento tecnico era emerso che tra le due unità immobiliari non
esisteva completa solidarietà strutturale, per cui avrebbero dovuto essere
dotate di completa autonomia statica, e, in applicazione del medesimo D.M., avrebbero
pure dovuto essere collegate da un giunto tecnico. In assenza di tali
requisiti, andava ordinata la riduzione in pristino.
Aggiungeva, quanto al camino, che dalla medesima
consulenza si evinceva che la sua posizione, a circa m. 2,20 dal confine, coincidente
con il fabbricato dalla PI. , innalzandosi per un metro rispetto al tetto del
MA. , e trovandosi la bocca dello stesso poco al di sopra del piano di
calpestio della terrazza della appellata, la collocazione poneva in pericolo la
salubrità dell’immobile della PI. , minacciata dalle immissione dei fumi
combustibili provenienti dalla canna fumaria.
Avverso l’indicata sentenza della Corte di Appello di
L’Aquila ha proposto ricorso per cassazione il MA. , che risulta articolato su
due motivi, al quale ha resistito la PI. con controricorso.
Ha presentato memoria illustrativa la controricorrente.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la
violazione e/o falsa applicazione degli articoli 83, 156 e 159 c.p.c., nonchè la omessa, insufficiente
e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (articolo
360 c.p.c., nn. 3 e 5), per
avere la corte di merito ritenuto la validitàdella
procura pacificamente inserita in un atto di citazione nullo per inosservanza
del termine minimo di comparizione in giudizio. La censura non ha pregio.
Questa corte ha da tempo abbandonato l’indirizzo
interpretativo (svolto nelle sentenze nn. 10331 del
1994, 4157 del 1983 e 1797 del 1983) a termini del quale la procura apposta in
calce o a margine di un atto di citazione nullo non sarebbe idonea a conferire
al difensore il potere di rappresentanza della parte, sicché - ove il difensore
volesse rinnovare l’originario atto introduttivo, perchè,
ad esempio, come nel caso di specie, non iscritto a ruolo per irregolarità del
termine a comparire - dovrebbe munirsi di altra procura ad litem,
non potendo avvalersi di quella apposta sul precedente atto nullo, per lo
stretto collegamento funzionale, stante tra l’altro la vocativo in ius e il mandato ad litem. Con la
decisione n. 1935 del 2003 questa corte ha affermato che la procura ad litem validamente rilasciata a margine o in calce di un
atto di citazione nullo per insufficienza del termine a comparire, non è
travolta dalla nullità dell’atto in cui è inserita, conservando una sua
specifica identità ed una sua autonomia logica e giuridica rispetto al
contenuto dell’atto in cui occasionalmente ha sede.
Tale orientamento (peraltro di recente ripreso nella
decisione n. 10231 del 2010) deve essere condiviso.
Infatti, la procura ad litem
rilasciata al difensore, quand’anche a margine o in calce alla citazione, è
atto autonomo rispetto ad essa e non è con questa in rapporto di dipendenza o
subordinazione, sicché ove sia nullo l’atto introduttivo del giudizio consegua,
necessariamente, la nullità del mandato alle liti. Quest’ultimo, anzi, si pone
sovente come prius temporale ed è sempre un prius logico dell’attività svolta dal difensore tecnico, in
ragione del conferimento dello ius postulandi che esso attribuisce.
A questo diverso principio si è correttamente ispirata
la corte di merito, per cui la rinnovazione di un atto di citazione nullo non
postula un nuovo mandato, non estendendosi al mandato già rilasciato, principio
anche coerente con ragioni di speditezza del processo civile e pertanto va data
continuità all’indirizzo richiamando le condivise argomentazioni.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce la
violazione e falsa applicazione della legge per avere ritenuto la fattispecie
disciplinata dalla Legge n. 64 del 1974 e relativi decreti attuativi in luogo
degli articoli 884, 874 e 876 c.c., nonchè l’omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione (ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5), non vertendosi in ipotesi di edifici “giuntati” e/o comunque
costituenti corpi di fabbrica separati. Anche detto motivo è infondato.
Va ricordato come sia stato ritenuto (v. Cass. 16
febbraio 2006 n. 3425) che nelle zone nelle quali deve essere applicata la
Legge n. 1684 del 1962, ratione temporis
Legge n. 64 del 1974 (c.d. legge sismica), non possono trovare applicazione le
disposizioni di carattere generale contenute negli articoli 884, 874 e 876
c.c., che attribuiscono al proprietario del fondo finitimo il diritto,
rispettivamente, di costruire in appoggio al muro del vicino ottenendo la
comunione forzosa del muro e di innestare il proprio muro in quello del vicino.
Ancora, si è osservato (v. Cass. SS.UU.
n. 7396 del 1998) che in caso di costruzioni contigue ciascun edificio deve
costituire un edificio a sé stante mediante l’adozione di giunti o altri
opportuni accorgimenti idonei a consentire la libera ed indipendente
oscillazione tra gli stessi. E pertanto stata vietata, nei casi di costruzioni
in contiguità, la c.d. aderenza rigida, dovendo i due edifici osservare precise
modalità tecniche al fine di evitare spinte in danno del vicino.
Il principio è stato esattamente applicato nel caso di
specie dalla corte di merito.
Come emerge dalla chiara e dettagliata motivazione
della sentenza, i due edifici, pur formando ai piani sottostanti un corpo
strutturalmente unico, nella sopraelevazione si presentavano come due distinte
fabbriche, che, come accertato dal C.T.U., non rispondeva ai dettami delle
norme antisismiche in tema di giunto tecnico di oscillazione, per avere il
ricorrente appoggiato completamente la parte superiore, senz’alcun collegamento
strutturale (v. foglio 7 della decisione impugnata: “la parte di edificio che
va dal piano campagna fino alla quota estradosso del solaio di paiano - e
segnatamente fino all’altezza mt. 2,96 - realizza un
unico elemento strutturale col fabbricato della Pi. “).
Poiché, come verificato dall’ausiliario, non era
possibile adottare, nella situazione data, altro accorgimento tecnico, la
sentenza ha correttamente concluso che il ricorrente era obbligato alla
riduzione in pristino della sopraelevazione.
Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con
condanna del MA. , soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità sostenute dalla PI. , liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente
alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in
complessivi euro 2.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori,
come per legge.