CESSIONE DI IMMOBILI - ACCERTAMENTO
(Ord. Cassazione
n.1972/2012)
Nelle compravendite immobiliari, è legittimo
l’accertamento a carico dell’impresa cedente, ai fini IVA e delle imposte
dirette, basato sia sullo scostamento tra “valore normale” e corrispettivo di
vendita, sia su ulteriori elementi di prova.
Questo il disposto dell’Ordinanza n.1972 del 10
febbraio 2012 della Corte di Cassazione relativamente ad una fattispecie avente
ad oggetto la legittimità di una verifica, ai fini IVA e delle imposte sul
reddito, in materia di cessione di immobili.
Nel caso di specie, la vicenda riguarda un’impresa di
costruzioni, che aveva venduto tre unità immobiliari ad un prezzo inferiore al
valore di mercato (ossia al cd. “valore normale”)[1], operando, altresì,
un’anomala contabilizzazione dei ricavi e dei costi sostenuti per la
costruzione delle medesime unità.
L’impresa, sottoposta ad accertamento, aveva proposto
ricorso ed era risultata soccombente in entrambi i gradi di giudizio,
presentando, poi, ricorso, in Cassazione.
Esaminando il caso di specie, la citata Ordinanza
n.1972/2012 conferma quanto stabilito in appello dalla CTR (Regione Lombardia),
ritenendo legittimo l’accertamento eseguito nei confronti dell’impresa
venditrice.
In particolare, la Suprema Corte ribadisce la validità
della verifica fiscale, poichè correttamente fondata
sia sullo scostamento tra “valore normale” e corrispettivo di cessione, sia su
una serie di «altri elementi presuntivi, i quali, tra loro associati, sono
astrattamente idonei a sostenere la pretesa tributaria in fase contenziosa».
Gli ulteriori elementi idonei a giustificare
l’accertamento[2], si legge nell’Ordinanza, sono i seguenti:
- «la grave incongruenza tra i ricavi contabilizzati
delle tre operazioni immobiliari, pari ad una frazione del tutto esigua dei
prezzi e dei costi contabilizzati, e i ricavi ragionevolmente ritraibili dalle
condizioni di esercizio dell’attività».
A parere della Cassazione, dalle risultanze contabili
dell’impresa emergeva una sorta di antieconomicità dell’operazione, stante la
sostanziale equiparazione tra i ricavi dichiarati (di molto inferiori a quelli
ottenibili in base alla tipologia di attività esercitata) ed i costi sostenuti.
- l’applicazione di corrispettivi simili per unità
immobiliari (abitazioni e box) aventi metrature assai differenti tra loro;
- l’importo dei mutui contratti dagli acquirenti,
nettamente superiore al corrispettivo di vendita (cd. “incongruenze
estrinseche”).
In tal ambito, l’orientamento espresso nell’Ordinanza
1972/2012 sembra recepire le indicazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate
(C.M. n.18/E/2010), a seguito dell’abrogazione della disposizione[3] che
consentiva l’accertamento sulle compravendite immobiliari in base al “valore
normale”, sia ai fini IVA che delle imposte sul reddito (art.24, comma 4, lett.f, e 5, legge 88/2009 - legge Comunitaria 2008).
Infatti, nella citata C.M. n.18/E/2010, riconoscendo
l’efficacia retroattiva dell’eliminazione della norma sul “valore normale”,
l’Amministrazione finanziaria raccomanda ai propri Uffici di riesaminare gli
elementi a fondamento della pretesa tributaria.
In particolare, alla luce dell’intervenuta modifica
normativa, devono restare pendenti unicamente i giudizi nei quali l’infedeltà
del corrispettivo dichiarato sia sostenuta, oltre che dal mero riferimento allo
scostamento dello stesso dal “valore normale”, anche da ulteriori elementi
presuntivi idonei ad integrare la prova della pretesa del Fisco[5].
In ogni caso, come chiarito dalla C.M. n.18/E/2010,
nel riesaminare le controversie gli Uffici devono verificare «la presenza di
tali ulteriori elementi presuntivi, i quali, tra loro associati, siano idonei a
sostenere la pretesa tributaria in fase contenziosa, tenuto conto, altresì,
delle ragioni rappresentate dal contribuente».
A tal riguardo, si ricorda che l’abrogazione delle
regole che consentivano agli Uffici fiscali di rettificare i corrispettivi
relativi alle cessioni degli immobili, nell’ipotesi in cui gli stessi fossero
inferiori al “valore normale” è conseguente alla formale denuncia presentata
dall’ANCE alla Commissione europea, relativa all’incompatibilità di tali regole
con la Direttiva 2006/112/CE (in materia di IVA).
In merito, si evidenzia che l’orientamento espresso
nella citata Ordinanza, pur tenendo conto del nuovo assetto normativo, e
recependo i citati chiarimenti ministeriali, secondo cui il mero scostamento
dal “valore normale” non legittima l’accertamento ai fini IVA e delle imposte
sul reddito, finisce per minare la libertà imprenditoriale, attribuendo al
Fisco il potere di sindacare le scelte economiche, quali, ad esempio,
l’autonomia di determinare in modo insindacabile il prezzo di vendita di un
immobile, o la convenienza economica di un affare.
Pertanto, si richiama l’attenzione delle imprese associate
a tenere in debita considerazione le determinazioni dell’Ordinanza, in modo da
prevenire ulteriori contestazioni nella definizione del prezzo di vendita,
basate sugli elementi presuntivi addotti dall’Amministrazione finanziaria.
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[1] Per “valore normale” si intende il prezzo,
o corrispettivo, mediamente praticato per beni della stessa specie (cfr., ai
fini IVA, l’art.14 del D.P.R. 633/1972, e ai fini delle imposte sul reddito,
art.9, comma 3, del D.P.R. 917/1986-TUIR). Per le compravendite immobiliari, il
“valore normale” viene ricavato in base ai dati dell’Osservatorio del mercato
immobiliare (O.M.I. - Cfr. Provvedimento del
Direttore dell’Agenzia delle Entrate 27 luglio 2007).
[2] L’art.38, D.P.R. n.600/1973, disciplina
l’accertamento cd. “induttivo”, che permette di quantificare un maggior
reddito, rispetto a quello dichiarato, sulla base di elementi extra-contabili e
si differenzia dall’accertamento analitico (art.39 del medesimo D.P.R.), che si
basa su prove dirette, cioè di dati emergenti da scritture contabili.
[3] La norma che consentiva di
fondare le verifiche fiscali, per le compravendite immobiliari, in base al
“valore normale” era stata introdotta dall’art. 35, commi 2-3 del D.L.
223/2006, convertito, con modifiche, dalla legge 248/2006 - cd. Decreto “Visco-Bersani”, ora abrogato dalla legge Comunitaria 2008.
Allo stesso modo, per
coordinamento normativo, deve intendersi abrogato anche l’art.35, comma 23-bis,
della legge 248/2006, in base al quale, ai fini IVA, nel caso di trasferimento
immobiliare finanziato con mutuo ipotecario o finanziamento bancario, il
“valore normale” non può essere inferiore all’ammontare del mutuo o del
finanziamento erogato.
[4]
A titolo meramente esemplificativo, tali ulteriori elementi sono stati
individuati dall’Agenzia delle Entrate nel valore del mutuo di importo
superiore a quello della compravendita (come nel caso di specie), nei prezzi
che emergono dagli accertamenti effettuati con la ricostruzione dei ricavi
sulla base delle risultanze delle indagini finanziarie, nonchè
quelli risultanti da precedenti atti di compravendita del medesimo immobile.