ALIQUOTA IVA ERRATA - RESPONSABILITA’ DELL’APPALTATORE
Proponendo un orientamento del tutto nuovo, la Corte
di Cassazione ha concluso che l’appaltatore è responsabile della corretta
applicazione dell’aliquota IVA, non potendo invocare il fatto che non egli non
sia l’esecutore materiale delle finiture. Così la Suprema Corte nella sentenza
n. 3291 del 2 marzo 2012.
La fattispecie trae origine da un avviso di
accertamento notificato dalla Guardia di Finanza nei confronti di una società
che aveva rilevato in appalto la realizzazione di alcune strutture di cemento
armato per la realizzazione di un edificio residenziale asseritamente
“non di lusso”, la quale aveva fatturato le predette opere mediante l’applicazione
dell’aliquota IVA agevolata del 4%.
L’Ufficio riteneva, al contrario, che dovesse
applicarsi l’IVA ordinaria del 21%, dovendo escludersi che si trattasse di un
fabbricato “non di lusso”.
La società ricorreva, assumendo di non essere
responsabile dell’accaduto, dal momento che essa era stata inconsapevolmente
indotta in errore dalla dichiarazione mendace della committente, ma la
Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso.
I giudici di secondo grado, invece, accoglievano il
ricorso, aderendo alla tesi della società ricorrente, secondo la quale, dal
momento che essa aveva costruito soltanto i manufatti in cemento armato senza
le finiture terminali, non poteva accorgersi a quello stadio di lavorazione se
gli alloggi fossero o meno di lusso.
Perciò la committente doveva essere tenuta in proprio
verso l’Erario, non potendo l’appaltatrice rivalersi nei suoi confronti in
virtù del divieto previsto dall’art. 60, comma 7, D.P.R. n. 633/1972.
Contro a tale decisione l’Amministrazione finanziaria
ha presentato ricorso dinanzi alla Suprema Corte evidenziando come il giudice
d’appello abbia erroneamente considerato quale soggetto debitore la committente
e non l’appaltatore; secondo l’AF, inoltre, la CTR non ha considerato che
l’operazione poteva essere corretta mediante emissione di nota di variazione
dell’imposta in aumento.
Accogliendo il ricorso dell’Ufficio, i giudici di
legittimità hanno sostenuto che il sistema dell’IVA nazionale, per conseguire
l’obiettivo comunitario della Prima Direttiva del 1967 e delle Sesta del 1977,
di un’imposta generale sui consumi esattamente proporzionale al prezzo dei
prezzi dei beni e servizi, non può che fondarsi, secondo lo schema della
tassazione analitico-aziendale, sulla presunzione
assoluta di diligenza professionale del soggetto passivo nella verifica della
posizione dei terzi con i quali ha operato e dai quali possono provenire
dichiarazioni o informazioni e dati adoperati per la determinazione
dell’imposta e della sua aliquota, della cui esattezza la parte contribuente è
unica responsabile verso il fisco.
Di talchè, nel caso in cui
l’imposta o la maggiore imposta da versare all’erario venga accertata
successivamente al compimento dell’operazione imponibile, a seguito di
accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria dell’intervenuta
evasione totale o parziale del tributo, è escluso il diritto alla rivalsa, nei
confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi, dell’imposta o
della maggiore imposta dovuta in conseguenza dell’accertamento o della
rettifica della dichiarazione annuale, che resterà pertanto interamente a
carico del cedente del bene o del prestatore del servizio.
Tuttavia, a seguito
delle modifiche apportate all’art. 60, comma 7, D.P.R. n. 633/1972, dal D.L. n.
1/2012, il contribuente ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore
imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei
cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del
pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli
interessi.