L’accessibilità NEI locali o spazi in edifici privati aperti al pubblico
(a cura del geom. Antonio Gnecchi)
Capo I -
Evoluzione della normativa.
Il D.M. n. 236 del 1989 definiva il campo di
applicazione negli edifici privati (oltre all’ERP) di nuova costruzione o
sottoposti a ristrutturazione totale, rimanendo esclusi quelli sottoposti ad
interventi minori rispetto a quelli richiamati, quali la ristrutturazione
parziale, il restauro e la manutenzione straordinaria.
La manutenzione ordinaria e le attività di edilizia
libera non rientrano nel campi di applicazione della normativa
sull’abbattimento delle barriere architettoniche, salvo quanto specificato nel
successivo capo quarto.
Con la modifica introdotta con l’articolo 24 della
legge quadro n. 104 del 1992, sono stati introdotti i seguenti concetti che
riguardano gli edifici pubblici e privati aperti al pubblico:
- Indipendentemente dall’entità dell’intervento,
risultano vietate tutte quelle opere di nuova realizzazione suscettibili di limitare
la visitabilità e l’accessibilità,
- Subordinava l’autorizzazione al cambio di
destinazione d’uso con uso finale come luoghi pubblici o aperti al pubblico,
all’abbattimento delle barriere con le modalità previste dal D.M. 236/89.
La legge 104/92 quindi ha ampliato il campo di
applicazione della normativa, sia in riferimento alla tipologia di edifici, che
rispetto alle categorie di intervento.
In sostanza, la legge 104/92 prendeva in
considerazione gli edifici pubblici, che non rientravano fra quelli considerati
dalla legge 13/89, e sia per tali edifici che per quelli privati aperti al
pubblico introduceva, già a partire dalla semplice manutenzione straordinaria,
l’obbligo del rispetto del DM 236/89, anche se limitatamente alle opere che si
intendono eseguire.
Quello che la legge 104/942 non definisce con
chiarezza, lasciando quindi ampio margine di discrezionalità e di
interpretazione, è il concetto di edificio privato aperto al pubblico: infatti,
se non vi sono dubbi che il bar, il ristorante, il cinema, rientrano a pieno
titolo in tale classificazione, non pare così scontato inserire in tale
categoria gli studi professionali, gli esercizi commerciali di vendita o di
tipo misto (es. riparazione e vendita).
Capo II - Deroghe ed interpretazioni sull’applicazione
delle leggi.
In particolare, la concomitanza temporale del varo dei
provvedimenti statale e regionale del 1989 ha creato, non essendo i due
interventi correlati e non integrativi o sostitutivi l’un dell’altro, molte
difficoltà applicative, specialmente dove esistono sovrapposizioni previsionali
che non contemplino gli stessi minimi prestazionali o gli stessi campi di
applicazione (es. limitazione all’applicazione della normativa nazionale in
relazione alla superficie degli esercizi commerciali, all’esenzione dalla
normativa sul collocamento obbligatorio nei luoghi di lavoro, alle pendenze
delle rampe, etc.).
La differenza più vistosa e rilevante dal punto di
vista pratico consiste nel fatto che la normativa nazionale è applicabile alle
nuove costruzioni e alle ristrutturazioni di interi edifici, mentre quella
regionale si applica anche ai casi di ristrutturazione di singole unità
immobiliari, di restauro e di risanamento conservativo e perfino di
manutenzione straordinaria, sia pure solo se riguardano specificatamente le
parti della costruzione, gli elementi e le attrezzature oggetto delle
prescrizioni stesse.
La GRL, constatate le serie difficoltà operative, ha
deliberato una prima Circolare esplicativa di raccordo tra le due norme, con la
quale sancisce dignità di “principio” alla legge n. 13 e di prescrizione
tecnica del D.M 236/89, specificando che la legge
regionale n. 6/89 nell’applicare le norme di principio della legge nazionale
emana sue prescrizioni tecniche che prevalgono su quelle statali, ove vi sia
concomitanza di intervento o vuoto da parte della normativa statale.
Tra i casi che maggiormente hanno reso controversa
l’applicazione normativa, vi sono:
- mutamenti di destinazione d’uso senza esecuzione di opere
- deroghe
- obbligo dell’installazione dell’ascensore
- accessibilità degli spazi esterni in edifici
unifamiliari.
Alcuni comuni, per ovviare la discrezionalità e
l’incertezza applicativa della normativa nazionale e regionale, hanno inserito
nel proprio Regolamento Edilizio una precisa definizione del concetto di
edificio privato aperto al pubblico, oltre a stabilire che:
- l’insediamento di attività aperte al pubblico,
derivante da mutamento di destinazione d’uso, con o senza opere, sia
subordinato alla verifica dell’accessibilità dei locali,
- l’accessibilità deve essere garantita anche nel caso
di interventi minori, quali trasformazioni interne, installazione o
trasformazione di vetrine,
- l’accessibilità anche nel caso di opere di
manutenzione straordinaria su percorsi comuni, quali scale, cortili, ecc. di
pertinenza dei fabbricati.
- è necessario attenersi ai concetti base espressi
dalla normativa generale e da quella locale, cui attenersi nella progettazione
e nella realizzazione degli interventi.
Qualora, però, i comuni non siano dotati del
Regolamento edilizio che definisca le tipologie d’intervento e le relative prescrizioni tecniche applicative,
bisogna attenersi alla disciplina nazionale e regionale e alle relative norme
tecniche di attuazione.
L’articolo 5, comma 2, della legge regionale n. 6 del
1989, individua il campo di applicazione e genericamente stabilisce, alla
lettera a), che la disciplina riguarda “gli edifici e i locali pubblici e di
uso pubblico, ivi compresi gli esercizi di ospitalità” e non anche “agli
edifici privati aperti al pubblico”.
Le prescrizioni tecniche di attuazione per
l’eliminazione delle barriere architettoniche della LR 6/89 non prevedono
specifiche norme per l’edilizia privata aperta al pubblico (punto 6, mentre il
D.M. 236 del 1989, all’articolo 3 (Criteri generali di progettazione) dispone
che nelle unità immobiliari sedi di attività aperte al pubblico, di superficie
inferiore a 250 mq., il requisito della visitabilità
si intende soddisfatto se sono accessibili gli spazi di relazione, nei quali il
cittadino entra in rapporto con la funzione ivi svolta. (vedasi
Allegato A al decreto ministeriale)
L’accessibilità, per tali luoghi, viene garantita:
- per gli spazi esterni quando sia accessibile il
percorso principale, costituito dallo spazio pubblico e dall’ingresso alla proprietà,
- per gli spazi di relazione quando siano accessibili gli spazi in cui gli
utenti vengono a contatto con la funzione ivi svolta; non viene assicurato
l’accesso al bagno qualora il luogo di lavoro non soggiace al collocamento
obbligatorio.
Un aspetto significativo della legge regionale è
rappresentato dalle deroghe dall’applicazione della normativa sul superamento
delle barriere architettoniche.
Il D.M. n. 236/89, attuativo della legge n. 13 del
1989, infatti, già con l’articolo 7.5
prevede che negli interventi di ristrutturazione, fermo restando il rispetto
dell’art. 1, comma 3 della legge (previsioni della progettazione), ammette
deroghe alle norme del decreto in caso di dimostrata impossibilità tecnica
connessa agli elementi strutturali ed impiantistici.
Anche nella legge regionale n. 6/89 sono previste
deroghe e più precisamente:
- l’articolo 19, che prevede il rilascio del titolo
abilitativo in deroga ai PRG o PGT, ai fini dell’abbattimento delle barriere
architettoniche, per interventi di manutenzione straordinaria, di restauro e di
risanamento conservativo, nonché di ristrutturazione edilizia, su richiesta
motivata e documentata a firma dell’estensore del progetto, esclusivamente per
garantire la fruibilità e l’accessibilità di quelle strutture o di quegli spazi
interessati dall’intervento per i quali non sia possibile intervenire secondo
le prescrizioni della legge a causa di vincoli e delle limitazioni stabilite
dagli strumenti urbanistici vigenti stessi.
- l’articolo 20, regolamenta i casi in cui è possibile
rilasciare il permesso di costruire, ovvero, ammettere la presentazione della
Dia, senza rispettare la normativa per l’eliminazione delle barriere
architettoniche.
Il primo caso è relativo agli interventi di
manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, limitatamente
ai casi in cui il rispetto della normativa sia impedito dall’esistenza di vincoli
posti a tutela di beni ambientali, artistici, archeologici, storici e
culturali, ai sensi delle norme vigenti (legge n. 1497/39, legge n. 431/85,
legge n. 1089/39, ora decreto legislativo n. 42 del 2004;
Il secondo caso si riferisce a qualsiasi tipo di intervento
qualora sia reso tecnicamente
impossibile a causa degli elementi statici ed impiantistici degli edifici
oggetto di intervento; in tal caso deve essere valutato anche l’aspetto
economico relativo al superamento di tale impedimento.
In questi casi sarà possibile imporre, nell’atto autorizzativo, l’adozione di soluzioni tecniche che
comunque salvaguardino le finalità della legge regionale 6/89, pur con
riferimento a minimi prestazionali diversi da quelli previsti dall’Allegato
alla legge stessa (comma 3).
Come si può notare sia il D.M. 236 del 1989 che le
norme tecniche di attuazione della legge regionale n. 6 del 1989 ammettono
deroghe per gli stessi motivi, qualora si parli di interventi edilizi di
recupero edilizio, mentre gli interventi di cui all’articoli 6 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo Unico dell’Edilizia),
quali appunto quelli di attività edilizia libera, sono esclusi
dall’applicazione delle prescrizioni normative della legge regionale n. 6 del 1989 nei limiti di cui al
comma 2, dell’articolo 13 della stessa, che riguarda l’obbligo di applicare le
prescrizioni dell’Allegato agli interventi di straordinaria manutenzione.
Il permesso edilizio in deroga all’Allegato tecnico
alla legge regionale n. 6/89 è, quindi,
ammesso nei soli interventi di recupero edilizio e nei soli casi di
impossibilità ad intervenire secondo le prescrizioni a causa di vincoli o di
limitazioni del PRG (o PGT), ovvero di impossibilità tecnica connessa agli
elementi statici ed impiantistici degli edifici oggetto dell’intervento.
Relativamente alla nozione di
“edificio privato aperto al pubblico” è ragionevole sostenere che comprenda tutti quegli
ambienti spazi o edifici privati dove si
svolge un’attività professionalmente organizzata a scopo di lucro, diretta allo
scambio ed alla produzione di servizi, quali, ad esempio, teatri,
cinematografi, club privati, alberghi, ristoranti, centri commerciali, negozi,
bar ed altri. Secondo la Corte Costituzionale (9 aprile 1970, n. 56) un locale
deve considerarsi pubblico quando si accerti che in esso si svolge attività
professionalmente organizzata a scopo di lucro diretta allo scambio e/o alla
produzione di beni e servizi. La Cassazione ha attribuito il carattere pubblico
ai locali che prevedono il pagamento di un biglietto d’ingresso, il rilascio di
tessere, un biglietto d’ingresso, il rilascio di tessere associative a chiunque
acquisti il biglietto, a quelli che pubblicizzano la propria attività o che
abbiano una struttura tale da rendere evidente lo svolgimento di un’attività imprenditoriale, nonché a quelli
che consentano l’ingresso ad un rilevante numero di persone.
Sembra pertanto
pacifico che per le unità immobiliari che si identificano come sedi di attività
aperte al pubblico, con superficie netta inferiore a mq. 250 mq. (in assenza di
specifico regolamento comunale), devono risultare accessibili gli spazi di
relazione nei quali il cittadino entra in rapporto con la funzione svolta (D.M.
236/89, art. 3.4-lett.e). Ne deriva che i locali aperti al pubblico, senza
il collocamento obbligatorio, per gli interventi di ristrutturazione (e minori)
sono subordinati al rispetto, in sede di presentazione del progetto, dei
requisiti di visibitabilità e adattabilità. In queste
unità immobiliari, sedi di attività aperte al pubblico, di superficie netta inferiore a 250 mq, il requisito della visitabilità si
intende soddisfatto se, nei casi in cui sono previsti spazi di relazione nelle
quali il cittadino entra in rapporto con la funzione ivi svolta, sono
accessibili.
In tal caso l’accessibilità deve essere garantita per
quanto riguarda:
a) gli spazi esterni; il requisito si considera
soddisfatto se esiste almeno un percorso agevolmente fruibile anche da parte di
persone con ridotte o impedite capacità motorie o sensoriali; si tratta, quindi
di garantire un percorso esterno accessibile con la viabilità pubblica, che
consenta l’accessibilità agli spazi di relazione.
b) le parti comuni (se ce ne sono).
Non deve essere, invero, richiesta l’accessibilità al
servizio igienico per edilizia privata aperta al pubblico che abbia superficie
inferiore a mq. 250.
L’accessibilità deve prevedere porte esterne allo
stesso livello dei percorsi pedonali (marciapiede o sede stradale) o con essi
raccordati mediante rampe e nel rispetto delle seguenti prestazioni minime:
- gli accessi devono avere una luce netta minima di mt. 1,50
- zone antistanti e retrostanti l’accesso devono
essere in piano, estendersi per ciascuna zona per una profondità non inferiore
a mt. 1,50 ed essere protette dagli agenti atmosferici,
- il piano dei collegamenti verticali deve essere allo
stesso livello dell’accesso,
- eventuali differenze di quota non devono superare i
cm. 2,5 ed essere sempre arrotondati; in caso contrario devono essere
raccordati con rampe conformi a quanto previsto dallo stesso Allegato (punto
2.1.2)
Per interventi sul patrimonio
edilizio esistente, pertanto, bisogna rispettare le prescrizioni sopra esposte,
salvo richiedere la deroga prevista dalle norme citate nel caso di
impossibilità tecnica documentata, ovvero, nel caso sia possibile, adottare
sistemi o accorgimenti tecnici che, in linea con le prescrizioni tecniche
previste, consentano di assolvere al requisito dell’accessibilità all’unità
immobiliare e ai suoi spazi di relazione.
Questo potrebbe essere il caso di modesti dislivelli
tra la sede stradale o il marciapiede e il pavimento d’accesso dei locali
privati aperti al pubblico, per i quali
può essere consentita, nei casi in cui l’esecuzione delle opere per
rendere accessibili i locali, oltre a
compromettere le strutture o gli impianti dell’edificio non possono
occupare il suolo pubblico, consentano di installare una rampa in legno che
abbia le caratteristiche di quelle prescritte dal punto 2.1.2 dell’Allegato. In
questo caso, però è necessario un meccanismo di chiamata secondo le
prescrizioni delle stesse norme tecniche.
Si tenga conto infatti che per gli interventi sul
patrimonio edilizio esistente (esclusa la ristrutturazione edilizia) è
possibile invocare la “visitabilità condizionata”
prevista dall’articolo 5.7 del D.M. n. 236 del 1989.
La norma sopra richiamata infatti stabilisce che, negli edifici, unità
immobiliari o ambientali aperti al pubblico esistenti, che non vengano
sottoposti a ristrutturazione e che non siano in tutto o in parte rispondenti
ai criteri per l’accessibilità contenuti
nel decreto, ma nei quali esista la possibilità di fruizione mediante personale
di aiuto anche per le persone a ridotta o impedita capacità motoria, deve
essere posto in prossimità dell’ingresso un apposito pulsante di chiamata al
quale deve essere affiancato il simbolo internazionale di accessibilità di cui
all’articolo 2 del dPR 384 del 1978.
Il tutto deve essere rappresentato sul progetto e
contenuto nella relazione tecnica da allegare alla richiesta del permesso di
costruire o alla presentazione della Dia, quale soluzione alternativa alle
prescrizioni di legge, ma pur sempre conformi ad esse.
Capo III -
Mutamento della destinazione d’uso senza esecuzione di opere.
Nel caso di modifica della destinazione d’uso le norme
di riferimento sono contenute nell’articolo 24.6 della legge n. 104 del 1992,
nell’articolo 1.3 del dPR n. 503 del 1996 e nell’articolo
21.1 della legge regionale n. 6 del 1989.
Le tre norme sopra citate riguardano sostanzialmente
le modifiche destinate ad un utilizzo di
carattere collettivo, con obbligo di osservare le prescrizioni della legge
regionale n. 6 del 1989 e articolo 24 della legge n. 104 del 1992, mentre per
la residenza e altra attività non aperte al pubblico, non viene previsto alcun
adempimento
Ne consegue che, fermo restando gli obblighi
prescritti per i luoghi pubblici di dimostrare l’accessibilità dell’intera struttura,
per gli spazi aperti al pubblico (non rientranti nella precedente categoria
(quali negozi, banche, assicurazioni, etc), deve
essere dimostrata l’accessibilità della
parte della struttura in cui si entra in relazione con la specifica destinazione
d’uso.
Fermo restando le norme sopra richiamate, vale quanto
sopra già detto e cioè che i comuni possono inserire nel proprio Regolamento Edilizio le tipologie
d’intervento e le relative prescrizioni
tecniche applicative, anche per i casi che prevedano la modifica della
destinazione d’uso senza opere, che riguardano l’abbattimento delle barriere
architettoniche.
In sintonia con l’articolo 25 della legge n. 47 del
1985, il legislatore regionale doveva provvedere a dettare la disciplina di
regolamentazione della destinazione d’uso.
Il legislatore nazionale, con la legge 104 del 1992 ha previsto che la
richiesta di modifica di destinazione d’uso sia accompagnata dalla
dichiarazione sull’accessibilità e superamento delle barriere architettoniche
(questo anche nel caso di modificazioni d’uso senza opere).
Prima con l’articolo 3 della legge regionale n. 19 del
1992 e successivamente con l’articolo 52 della legge regionale n. 12 del 2005,
il legislatore regionale ha stabilito che i mutamenti di destinazione d’uso di
immobili, anche non comportanti la realizzazione di opere edilizie, purché
conformi alle previsioni urbanistiche comunali, sono soggette esclusivamente a
preventiva comunicazione dell’interessato al comune.
Il cambio di destinazione d’uso degli immobili è di
fatto tuttora regolamentato, sul territorio regionale, dall’articolo 21 della
legge regionale Lombardia n. 6 del 1989 che prevede che il Sindaco accerti il possesso, da parte
dell’immobile, delle caratteristiche previste in materia di barriere architettoniche,
(in caso di richiesta di modificazione d’uso) quando sia necessaria o “la
concessione” o “l’autorizzazione”, rimanendo, pertanto esclusi i mutamenti di
destinazione d’uso, senza effettuazione di opere, demandati alla semplice
comunicazione al comune in base all’articolo 52 della LR 12/05.
Di particolare importanza ed interesse, al fine di
rendere gli edifici e le unità immobiliari ed ambientali accessibili, superando
pertanto l’ostacolo rappresentato dalle barriere architettoniche, è quanto previsto
dall’articolo 5.7 del D.M. n. 236 del 1989.
Con questo disposto di legge, avente ad oggetto: «Visitabilità condizionata», si consente, in sostanza, al
proprietario di un edificio privato di uso pubblico che sia in tutto o in parte
non rispondente ai criteri per l’accessibilità, di rendere il manufatto
edilizio pienamente usufruibile anche alle persone con ridotta o impedita
capacità motoria, attraverso interventi molto semplici e poco costosi.
E’ sufficiente che in prossimità dell’accesso venga
posto un apposito pulsante di chiamata al quale venga affiancato il simbolo
internazionale della disabilità e che all’interno dell’edifico ci sia personale
in grado di aiutare il disabile a superare la barriera architettonica
esistente.
L’unica condizione affinché ci si possa avvalere
dell’istituto della visitabilità condizionata è che
l’edifico o unità immobiliare o ambientale non venga sottoposta a
ristrutturazione, ma rientri nei casi di manutenzione ordinaria, di
manutenzione straordinaria, di restauro
e di risanamento conservativo previsti dall’articolo 3 del dPR
n. 380 del 2001.
Da quanto sinora esposto ne discende un quadro
legislativo e normativo che, per quanto riguarda la regione Lombardia, gradua i
possibili e necessari interventi per rendere gli edifici privati aperti al
pubblico nel seguente modo:
- cambi di destinazione d’uso senza opere: applicare
la visitabilità condizionata ex art. 5.7 del D.M.
236/89,
- cambi di destinazione d’uso con interventi che
ricadono nell’articolo 27, comma 1, lettere a), b) e c) della LR n. 12 del
2005: applicazione dell’istituto della visitabilità
condizionata, ex articolo 5.7 del D.M. n. 236 del 1989,
- cambi di destinazione d’uso con interventi di
ristrutturazione: applicazione delle disposizioni antibarriere vigenti.
Capo IV - Attività edilizia libera.
E’ rappresentata dagli
interventi edilizi previsti dall’articolo 6 del dPR
n. 380 del 2001 che possono essere eseguiti senza alcun titolo abilitativo
(permesso di costruire o Dia).
Alcuni di questi sono subordinati alla sola preventiva
comunicazione di inizio lavori al comune, con l’obbligo per quelli di
manutenzione straordinaria (lettera a)comma 2) di ulteriori adempimenti.
Il comma 1 dell’articolo 6 fa salve, però, le
previsioni dello strumento urbanistico comunale e il rispetto delle altre
normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia
(quindi, aggiungerei a quelle elencate dal testo, anche quella in materia di barriere architettoniche).
Alle regioni spetta il compito di regolamentare
ulteriormente tale disciplina.
La regione Lombardia ha adeguato le proprie normative
all’articolo 5, comma 2, del DL 70/2011 e
all’articolo 19 della legge 241 del 1990, ribadendo, di fatto, l’esecuzione
degli interventi di cui all’articolo 6, comma 1, lettera a), b), c), d) ed e), dPR 380/01 senza obbligo di titolo abilitativo e alla
semplice preventiva comunicazione di inizio lavori al comune per quelli
elencati al successivo comma 2.
Gli interventi di manutenzione straordinaria,
pertanto, che rientrano nella fattispecie di cui all’articolo 6, comma 2,
lettera a), dPR 380/01, sono ammessi all’inizio dei
lavori, previa semplice comunicazione o, in alternativa, alla SCIA o alla DIA.
Resta però il problema di valutare, per quanto riguarda l’aspetto degli obblighi derivanti dall’osservanza delle norme in materia di barriere architettoniche, dei requisiti della visitabilità e accessibilità, come sopra esposto.