LA CORTE EUROPEA CENSURA L’AUTORITA’ E AMMETTE AGLI APPALTI PUBBLICI
ANCHE LE SOCIETA’ SEMPLICI
Il Collegio Costruttori di Brescia ha seguito l’istanza di una società
semplice (patrocinata dall’avv. Davide Epicoco,
corrente in Brescia), operante nel settore agricolo, nella sua richiesta di
qualificazione SOA per la categoria del verde pubblico OS24.
Ottenuta la qualificazione, l’Autorità di vigilanza è intervenuta
presso la SOA per imporre la revoca dell’attestazione che a, a parere
dell’Autorità stessa, non poteva esser concessa ad una società semplice. La
presa di posizione muoveva dall’assunto che il Codice degli appalti prevede tra
i possibili assuntori di appalti pubblici solo le società commerciali, che, a
suo dire, non comprendono la società semplice prevista dal Codice Civile.
Il TAR, chiamato ad esprimersi sulla questione, ha sposato il filone
interpretativo dell’Autorità. Nel successivo ricorso, il Consiglio di Stato,
pur condividendo la posizione del primo giudice, ha ritenuto sussistenti i
motivi per richiedere il pronunciamento della Corte europea circa la disparita
di trattamento in funzione della natura giuridica del concorrente.
La Corte Europea, con la sentenza che qui si pubblica, ha sostenuto che
ogni offerente qualificabile come «imprenditore» ai sensi della direttiva
93/37,può partecipare ad appalti pubblici indipendentemente dalla sua natura
giuridica. In conclusione la posizione dell’Autorità di Vigilanza perde di
efficacia ed ogni società semplice potrà chiedere e conseguire la
qualificazione SOA.
CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA ORDINANZA DELLA CORTE (Settima Sezione)
4 ottobre 2012 *
«Appalti pubblici di lavori – Direttiva 93/37/CEE – Articolo 6 –
Principi di parità di trattamento e di trasparenza – Ammissibilità di una
normativa che limita la partecipazione delle gare d’appalto alle società che
esercitano un’attività commerciale, con esclusione delle società semplici –
Fini istituzionali e statutari – Imprese agricole»
Nella
causa C 502/11, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale
proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Consiglio di Stato,
con decisione del 21 settembre 2011, pervenuta in cancelleria il 30 settembre
2011, nel procedimento
Vivaio
dei Molini Azienda Agricola Porro Savoldi
(patrocinata da Davide Epicoco)
contro
Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture
con l’intervento di:
SOA
CQOP Costruttori Qualificati Opere Pubbliche SpA,
Unione
Provinciale Agricoltori di Brescia,
LA
CORTE (Settima Sezione),
composta
dal sig. J. Malenovský, presidente di sezione, e dai
sigg. T. von Danwitz (relatore) e D. Šváby, giudici,
avvocato
generale: sig. J. Mazák
cancelliere:
sig. A. Calot Escobar
intendendo
statuire con ordinanza motivata in conformità dell’articolo 104, paragrafo 3,
primo comma, del suo regolamento di procedura,
sentito
l’avvocato generale,
ha
emesso la seguente
Ordinanza
1 La domanda di pronuncia
pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 6 della direttiva
93/37/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, che coordina le procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori (GU L 199, pag. 54), come
modificata dalla direttiva 2001/78/CE della Commissione, del 13 settembre 2001
(GU L 285, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva 93/37»).
2 Tale domanda è stata
presentata nell’ambito di una controversia tra la Vivaio dei Molini Azienda
Agricola Porro Savoldi (in prosieguo: la «Savoldi»), società costituita nella forma di una società
semplice, e l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture (in prosieguo: l’«Autorità»), vertente sulla revoca
dell’attestazione di cui beneficiava tale società al fine di poter partecipare
alle gare d’appalto.
Contesto
normativo
La normativa dell’Unione
3 L’articolo 6 della
direttiva 93/37, che figurava al titolo primo della stessa, rubricato
«Disposizioni generali», conteneva un paragrafo 6 che enunciava quanto segue:
«Le
amministrazioni aggiudicatrici provvedono affinché non vi siano discriminazioni
fra i vari imprenditori».
4 Il titolo IV di tale
direttiva, dedicato alle «[n]orme comuni di partecipazione», conteneva un
capitolo 1, intitolato «Disposizioni generali», che comprendeva l’articolo 21,
così formulato:
«I
raggruppamenti di imprenditori sono autorizzati a presentare offerte. La
trasformazione di tali raggruppamenti in una forma giuridica determinata non
può essere richiesta per la presentazione dell’offerta, ma il raggruppamento
prescelto può essere obbligato ad assicurare tale trasformazione quando
l’appalto gli è stato aggiudicato».
5 L’articolo 24 della
suddetta direttiva, inserito nel capitolo 2 di detto titolo, rubricato «Criteri
di selezione qualitativa», così disponeva al suo primo comma:
«Può
essere escluso dalla partecipazione all’appalto ogni imprenditore:
a)
che sia in stato di fallimento, di liquidazione, di cessazione d’attività, di
regolamento giudiziario o di concordato preventivo o in ogni altra analoga
situazione risultante da una procedura della stessa natura prevista dalle
legislazioni e regolamentazioni nazionali;
b)
relativamente al quale sia in corso una procedura di dichiarazione di
fallimento, di amministrazione controllata, di concordato preventivo oppure
ogni altra procedura della stessa natura prevista dalle legislazioni e
regolamentazioni nazionali;
c)
nei confronti del quale sia stata pronunziata una condanna, con sentenza
passata in giudicato, per qualsiasi reato che incida sulla sua moralità
professionale;
d)
che, in materia professionale, abbia commesso un errore grave, accertato
mediante qualsiasi mezzo di prova addotto dall’amministrazione aggiudicatrice;
e)
che non sia in regola con gli obblighi relativi al pagamento dei contributi di
sicurezza sociale secondo le disposizioni legali del paese dove egli è
stabilito o del paese dell’amministrazione aggiudicatrice;
f)
che non sia in regola con gli obblighi relativi al pagamento delle imposte e
delle tasse secondo le disposizioni legali del paese dove egli è stabilito o
del paese dell’amministrazione aggiudicatrice;
g)
che si sia reso gravemente colpevole di false dichiarazioni nel fornire le
informazioni che possono essere richieste in applicazione del presente
capitolo».
6 Ai sensi dell’articolo 26
della direttiva 93/37, contenuto all’interno del medesimo capitolo:
«1.
La prova della capacità finanziaria ed economica dell’imprenditore può essere
fornita di norma mediante una o più delle referenze seguenti:
a)
idonee dichiarazioni bancarie;
b)
presentazioni di bilanci o di estratti dei bilanci dell’impresa quando la
pubblicazione dei bilanci è prescritta dalla legislazione del paese dove
l’imprenditore è stabilito;
c)
dichiarazione concernente la cifra d’affari, globale e in lavori, dell’impresa
per i tre ultimi esercizi.
2.
Le amministrazioni aggiudicatrici precisano nel bando di gara o nell’invito a
presentare l’offerta quale o quali delle referenze sopra menzionate hanno
scelto e le altre referenze probanti, diverse da quelle di cui alle lettere a),
b) e c), che intendono ottenere.
3.
Se per una ragione giustificata l’imprenditore non è in grado di dare le
referenze chieste dall’amministrazione aggiudicatrice, egli è ammesso a provare
la propria capacità economica e finanziaria mediante qualsiasi altro documento
considerato idoneo dall’amministrazione aggiudicatrice».
La
normativa italiana
7 La legge quadro n. 109 in
materia di lavori pubblici dell’11 febbraio 1994 (Supplemento ordinario alla
GURI n. 41, del 19 febbraio 1994; in prosieguo: la «legge n. 109/1994»), come
risulta dall’ordinanza di rinvio, all’articolo 10, rubricato «Soggetti ammessi
alle gare», prevedeva quanto segue:
«1.
Sono ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici
i seguenti soggetti, salvo i limiti espressamente indicati:
a)
gli imprenditori individuali, anche artigiani, le società commerciali, le
società cooperative;
(…)».
8 Ai sensi dell’articolo 2082 del codice civile,
intitolato «Imprenditore»:
«È
imprenditore chi esercita professionalmente una attività economica organizzata
al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi».
9 L’articolo 2135 dello
stesso codice, nel testo risultante dall’articolo 1 del decreto legislativo n.
228 del 18 maggio 2001, così dispone sotto la rubrica «Imprenditore agricolo»:
«È
imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione
del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.
(...)».
10 L’articolo 2195 del codice
civile, rubricato «Imprenditori soggetti a registrazione», fornisce
l’indicazione delle categorie di imprenditori che si considerano esercitare
attività commerciali. Esso è del seguente tenore:
«Sono
soggetti all’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese gli
imprenditori che esercitano:
1)
un’attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi;
2)
un’attività intermediaria nella circolazione dei beni;
3)
un’attività di trasporto per terra, per acqua o per aria;
4)
un’attività bancaria o assicurativa;
5)
altre attività ausiliarie delle precedenti.
Le
disposizioni della legge che fanno riferimento alle attività e alle imprese
commerciali si applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività
indicate in questo articolo e alle imprese che le esercitano».
11 L’articolo 2249 del codice
civile, rubricato «Tipi di società», dispone quanto segue:
«Le
società che hanno per oggetto l’esercizio di un’attività commerciale devono
costituirsi secondo uno dei tipi regolati nei capi III e seguenti di questo
titolo.
Le
società che hanno per oggetto l’esercizio di un’attività diversa sono regolate
dalle disposizioni sulla società semplice, a meno che i soci abbiano voluto
costituire la società secondo uno degli altri tipi regolati nei capi III e
seguenti di questo titolo.
Sono
salve le disposizioni riguardanti le società cooperative e quelle delle leggi
speciali che per l’esercizio di particolari categorie d’imprese prescrivono la
costituzione della società secondo un determinato tipo».
12 Gli articoli 2251 2290 del
codice civile disciplinano la società semplice. Secondo una consolidata
interpretazione di diritto interno, la società semplice può essere costituita
soltanto per l’esercizio di attività non commerciali – ossia per attività
diverse da quelle menzionate dall’articolo 2195 del codice civile –, nel cui
ambito viene tradizionalmente ricondotto l’esercizio delle attività agricole.
Quindi, nella prassi nazionale, la forma della società semplice è solitamente
riferita, anche se in modo non esclusivo, alla figura dell’imprenditore
agricolo di cui all’articolo 2135 di detto codice.
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
13 La Savoldi
è un «imprenditore agricolo» ai sensi dell’articolo 2135 del codice civile,
costituito nella forma della società semplice ai sensi degli articoli 2251 e
seguenti dello stesso codice.
14 Durante il periodo in cui
l’ordinamento italiano prevedeva, ai fini della partecipazione alle gare per
appalti pubblici di lavori, l’iscrizione all’albo nazionale dei costruttori, in
applicazione della legge n. 57 del 10 febbraio 1962, la Savoldi
aveva ottenuto l’iscrizione a tale albo nella categoria S1, avente ad oggetto
opere di «movimento terra, demolizioni, sterri, sistemazione agraria e
forestale, verde pubblico e relativo arredo urbano».
15 A seguito della
soppressione, il 1° gennaio 2000, del sistema basato sull’albo, è stato
istituito un sistema diffuso di qualificazione delle imprese che intendono
partecipare alle pubbliche gare d’appalto. La gestione di tale sistema è stata
affidata a società private, le società organismi di attestazione (in prosieguo:
le «SOA»), che, fra l’altro, verificano ex ante la sussistenza in capo a
ciascun operatore dei requisiti per la partecipazione alle pubbliche gare
d’appalto. Le SOA sono sorvegliate dall’Autorità.
16 Con comunicazione n.
42/04, del 24 novembre 2004, l’Autorità ha vietato alle SOA di rilasciare
l’attestazione per la partecipazione alle pubbliche gare d’appalto in favore
delle società semplici.
17 Con atto del 3 agosto
2005, l’Autorità ha chiesto alla SOA CQOP Costruttori Qualificati Opere
Pubbliche SpA le ragioni per cui aveva ritenuto di
poter rilasciare alla Savoldi un’attestazione,
nonostante il contenuto della comunicazione n. 42/04, che vieta in maniera
generale la concessione di una siffatta attestazione a società costituite in
tale forma.
18 Con decisione el 9 settembre 2005, la SOA CQOP Costruttori Qualificati
Opere Pubbliche SpA ha revocato l’attestazione
rilasciata alla Savoldi, che, di conseguenza, ha
proposto un ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio.
19 Quest’ultimo, con sentenza
n. 1206/06, ha respinto tale ricorso, ritenendo che l’articolo 10 della legge
n. 109/1994 consenta la partecipazione alle pubbliche gare d’appalto solamente
alle società commerciali e non anche alle società semplici, le quali non
svolgono in via ordinaria e prevalente attività commerciale. Infatti, queste
ultime non possono essere considerate «imprese», in quanto non esercitano, in generale,
le attività commerciali previste all’articolo 2195 del codice civile.
20 La Savoldi
ha proposto appello avverso detta sentenza dinanzi al Consiglio di Stato,
facendo valere argomenti vertenti sulla violazione del diritto interno e del
diritto dell’Unione.
21 Dopo aver respinto gli
argomenti relativi al diritto interno, il Consiglio di Stato ritiene che
l’esito della controversia ad esso sottoposta dipenda dall’interpretazione che
occorre fornire all’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva 93/37.
22 A tale riguardo, esso
ritiene che il diritto dell’Unione osti, in linea di principio, a una
disposizione quale l’articolo 10 della legge n. 109/1994, che vieta a una
persona giuridica avente natura di «imprenditore» ai sensi del diritto
dell’Unione di partecipare alle gare d’appalto.
23 Per contro, il Consiglio
di Stato si chiede, facendo riferimento alla sentenza del 16 dicembre 2008, Michaniki (C 213/07, Racc. pag. I
9999), se l’esclusione discussa nella fattispecie non possa considerarsi
conforme al diritto dell’Unione alla luce della giurisprudenza della Corte che
riconosce agli Stati membri un certo margine discrezionale nell’adozione delle
misure destinate a garantire il rispetto dei principi della parità di
trattamento e di trasparenza.
24 A tale riguardo, il
Consiglio di Stato ricorda che, secondo la giurisprudenza nazionale, il divieto
per le società semplici di partecipare alle pubbliche gare d’appalto è
considerato ragionevole e non discriminatorio, in quanto giustificato dalla
natura e dalla particolare disciplina di tali società.
25 Infatti, secondo tale
giudice, la normativa nazionale non prescrive, anzitutto, per la società
semplice, il possesso di un capitale o di un patrimonio minimo. Inoltre, nei
confronti dei creditori di una simile società, risponderebbero dei debiti
solamente, da un lato, il patrimonio della società – il quale può, tuttavia,
essere di ammontare ridottissimo e del tutto insufficiente a soddisfare le
pretese dei creditori – e, dall’altro, salvo patto contrario, i soci che hanno
agito in nome e per conto della società. Infine, la normativa fallimentare
italiana escluderebbe in linea di principio la società semplice dal fallimento,
in quanto essa non esercita attività commerciale.
26 Il Consiglio di Stato si
chiede altresì, richiamandosi alla sentenza del 23 dicembre 2009, CoNISMa (C 305/08, Racc. pag. I
12129), se il legislatore nazionale possa limitare la capacità giuridica di
determinati operatori – come quelli costituiti nella forma di una società
semplice, che dovrebbero essere considerati «imprenditori» ai sensi della
direttiva 93/37 –, non consentendo loro di partecipare a gare d’appalto
riguardanti diverse prestazioni, in ragione del fatto che tali prestazioni
sarebbero incompatibili con i fini istituzionali e statutari di tali operatori.
27 In tali circostanze, il
Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla
Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)
Se l’ordinamento comunitario e, segnatamente, l’articolo 6 della direttiva 93/37
(...) osti in via di principio a una previsione normativa nazionale [quale
l’art. 10, comma 1, lettera a), della legge [n. 109/1994] (...)], il quale
limita alle sole società che esercitano attività commerciali la possibilità di
partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici, in tal modo
escludendo taluni imprenditori (quali le società semplici) che non esercitano
in via ordinaria e prevalente siffatta tipologia di attività; ovvero se il
divieto in questione risulti ragionevole e non discriminatorio alla luce della
particolare disciplina e del peculiare regime patrimoniale delle società
semplici.
2)
[In caso di risposta negativa alla prima questione: s]e l’ordinamento
comunitario e, segnatamente, l’articolo 6 della direttiva 93/37 (...) nonché il
principio della libertà della forma giuridica dei soggetti ammessi a
partecipare alle gare consenta al legislatore nazionale di limitare la capacità
giuridica di un imprenditore (...), in considerazione delle peculiarità che
caratterizzano la disciplina nazionale di tale imprenditore, precludendo allo
stesso di partecipare alle gare pubbliche di appalto, ovvero se una tale
limitazione risulti violativa dei principi di
ragionevolezza e non discriminazione».
Sulle questioni pregiudiziali
28 Ai sensi dell’articolo
104, paragrafo 3, primo comma, del suo regolamento di procedura, qualora la
risposta ad una questione pregiudiziale possa essere chiaramente desunta dalla
giurisprudenza, la Corte, dopo aver sentito l’avvocato generale, può statuire
in qualsiasi momento con ordinanza motivata.
29 Con le sue questioni, che
occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se
il diritto dell’Unione, e segnatamente l’articolo 6 della direttiva 93/37, osti
ad una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che
vieta a una società semplice, qualificabile come «imprenditore» ai sensi della
direttiva 93/37, di partecipare alle gare d’appalto esclusivamente a causa
della sua forma giuridica.
30 A tale riguardo, il
giudice del rinvio si interroga, più precisamente, sulla possibilità di
giustificare una siffatta esclusione generale dalla partecipazione alle gare
d’appalto alla luce dei principi di parità di trattamento e di trasparenza, o
sulla base della circostanza che la partecipazione alle gare d’appalto dovrebbe
considerarsi incompatibile con i fini istituzionali e statutari di una società
semplice.
31 Per fornire una risposta a
tali interrogativi, occorre rammentare che la Corte ha dichiarato che uno degli
obiettivi della normativa dell’Unione in materia di appalti pubblici è
costituito dall’apertura alla concorrenza nella misura più ampia possibile e
che è nell’interesse del diritto dell’Unione che venga garantita la
partecipazione più ampia possibile di offerenti ad una gara d’appalto. È d’uopo
aggiungere, in proposito, che tale apertura alla concorrenza più ampia
possibile è prevista non soltanto con riguardo all’interesse dell’Unione alla
libera circolazione dei prodotti e dei servizi, bensì anche nell’interesse
stesso dell’amministrazione aggiudicatrice considerata, la quale disporrà così
di un’ampia scelta circa l’offerta più vantaggiosa e più rispondente ai bisogni
della collettività pubblica interessata (sentenza CoNISMa,
cit., punto 37 e la giurisprudenza ivi citata).
32 Analogamente, la Corte ha
dichiarato che la normativa dell’Unione osta a qualsiasi normativa nazionale
che escluda dall’aggiudicazione di appalti pubblici di servizi, il cui valore
superi la soglia di applicazione delle direttive, candidati od offerenti
autorizzati, in base alla normativa dello Stato membro nel quale sono
stabiliti, ad erogare il servizio in questione per il solo motivo che tali
candidati od offerenti non hanno la forma giuridica corrispondente ad una
determinata categoria di persone giuridiche (sentenza CoNISMa,
cit., punto 39 e la giurisprudenza ivi citata).
33 Infine, in base alla
giurisprudenza della Corte, la normativa dell’Unione non richiede che il
soggetto che stipula un contratto con un’amministrazione aggiudicatrice sia in
grado di realizzare direttamente con mezzi propri la prestazione pattuita
perché il medesimo possa essere qualificato come imprenditore, ossia come
operatore economico. È sufficiente che tale soggetto abbia la possibilità di
fare eseguire la prestazione di cui trattasi, fornendo le garanzie necessarie a
tal fine (sentenza CoNISMa, cit., punto 41 e la
giurisprudenza ivi citata).
34 Di conseguenza, sia dalla
normativa dell’Unione sia dalla giurisprudenza della Corte risulta che è
ammesso a presentare un’offerta o a candidarsi qualsiasi soggetto o ente che,
considerati i requisiti indicati in un bando di gara, si reputi idoneo a
garantire l’esecuzione di detto appalto, in modo diretto oppure facendo ricorso
al subappalto, indipendentemente dal suo status nonché dal fatto di essere
attivo sul mercato in modo sistematico oppure soltanto occasionale. L’effettiva
capacità di detto ente di soddisfare i requisiti posti dal bando di gara è
valutata durante una fase ulteriore della procedura (v. sentenza CoNISMa, cit., punto 42 e la giurisprudenza ivi citata).
35 Dalle suesposte
considerazioni risulta che non si può vietare, per principio, a un
«imprenditore» ai sensi della direttiva 93/37 di partecipare a gare d’appalto
esclusivamente a causa della sua forma giuridica.
36 Orbene, il giudice del
rinvio si chiede se dalle citate sentenze Michaniki e
CoNISMa emerga che, in deroga al principio secondo
cui non può essere imposta alcuna forma giuridica determinata, l’esclusione
delle società semplici dalla partecipazione alle gare d’appalto sia
ammissibile. A tale proposito il giudice del rinvio si interroga, da un lato,
sulla portata dei principi di parità di trattamento e di trasparenza e,
dall’altro, sull’importanza dei fini istituzionali e statutari delle società
semplici per determinare la loro capacità a partecipare alle gare d’appalto.
37 Quanto ai principi di
parità di trattamento e di trasparenza, secondo costante giurisprudenza,
l’elenco tassativo di cui all’articolo 24, primo comma, della direttiva 93/37
delle cause di esclusione di un imprenditore dalla partecipazione ad un appalto
fondate su elementi oggettivi, concernenti le qualità professionali di tale
soggetto, non esclude la facoltà degli Stati membri di mantenere o di adottare
norme materiali dirette, in particolare, a garantire, in materia di appalti
pubblici, il rispetto del principio di parità di trattamento, nonché del
principio di trasparenza che quest’ultimo implica, i quali s’impongono alle
amministrazioni aggiudicatrici in tutte le procedure di aggiudicazione di un
siffatto appalto (sentenza Michaniki, cit., punto 44
e la giurisprudenza ivi citata).
38 Detti principi, che
implicano, in particolare, che gli offerenti debbano trovarsi su un piano di
parità sia al momento in cui preparano le loro offerte sia al momento in cui
queste ultime sono valutate dall’amministrazione aggiudicatrice, costituiscono,
infatti, la base delle direttive relative ai procedimenti di aggiudicazione
degli appalti pubblici, e l’obbligo delle amministrazioni aggiudicatrici di
assicurarne il rispetto corrisponde all’essenza stessa di tali direttive
(sentenza Michaniki, cit., punto 45 e la
giurisprudenza ivi citata).
39 L’articolo 6, paragrafo 6,
della direttiva 93/37 precisa del resto che le amministrazioni aggiudicatrici
provvedono affinché non vi siano discriminazioni tra i vari imprenditori
(sentenza Michaniki, cit., punto 46).
40 Ne consegue che uno Stato
membro ha il diritto di prevedere, in aggiunta alle cause di esclusione fondate
su considerazioni oggettive di qualità professionale, tassativamente elencate
all’articolo 24, primo comma, della direttiva 93/37, misure di esclusione
destinate a garantire il rispetto dei principi di parità di trattamento di
tutti gli offerenti, nonché di trasparenza, nel contesto delle procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici (sentenza Michaniki,
cit., punto 47).
41 In tale contesto, quindi, occorre riconoscere a ciascuno Stato membro un
certo margine di discrezionalità ai fini dell’adozione di provvedimenti
destinati a garantire i principi di parità di trattamento degli offerenti e di
trasparenza (sentenza Michaniki, cit., punto 55).
42 Infatti, ogni Stato membro
è nella osizione migliore per individuare, alla luce
di considerazioni di ordine storico, giuridico, economico o sociale che gli
sono proprie, le situazioni favorevoli alla comparsa di comportamenti idonei a
provocare violazioni del rispetto di tali principi (v. sentenza Michaniki, cit., punto 56).
43 Tuttavia, gli obiettivi
perseguiti nel caso di specie dalla normativa italiana non possono
giustificare, a titolo dei principi di parità di trattamento e di trasparenza,
l’esclusione, per principio, delle società semplici dalla partecipazione alle
gare d’appalto.
44 Infatti, nessun elemento
del fascicolo consente di concludere che determinate caratteristiche delle
società di cui al procedimento principale possano essere idonee a ledere, nel
corso della procedura di aggiudicazione degli appalti pubblici, i principi di
trasparenza e di parità di trattamento.
45 A tale riguardo occorre
sottolineare che dalla decisione di rinvio emerge che le società semplici si
caratterizzano, rispetto alle società commerciali, per l’assenza di un capitale
minimo, per la responsabilità, in linea di principio, limitata ai soci che
hanno agito in nome e per conto della società nonché per l’esclusione dalle
procedure fallimentari. Orbene, non può ritenersi che, a causa di tali caratteristiche,
la partecipazione delle società semplici alle procedure di aggiudicazione degli
appalti pubblici possa essere idonea a ledere i principi di trasparenza e di
non discriminazione.
46 Quanto alla questione
della possibilità di ammettere una deroga al principio secondo cui non può
essere imposta alcuna forma giuridica determinata per la partecipazione alle
gare d’appalto, a causa di un’eventuale incompatibilità derivante dai limiti
inerenti agli obiettivi istituzionali e statutari di società quali le società
semplici, occorre richiamare la giurisprudenza pertinente della Corte.
47 Secondo tale
giurisprudenza, è pur vero che gli Stati membri possono disciplinare le
attività di soggetti, quali le università e gli istituti di ricerca, non aventi
finalità di lucro, ma volte principalmente alla didattica e alla ricerca. In
particolare, essi possono autorizzare o non autorizzare tali soggetti ad
operare sul mercato in funzione della circostanza che l’attività in questione
sia compatibile, o meno, con i loro fini istituzionali e statutari (sentenza CoNISMa, cit., punto 48).
48 Tuttavia, occorre
sottolineare che l’attività degli imprenditori agricoli costituiti nella forma
della società semplice consiste, conformemente all’articolo 2135 del codice
civile, nella «coltivazione del fondo, [nella] selvicoltura, [nell’]allevamento
di animali e [nelle] attività connesse». Inoltre, secondo le osservazioni
scritte del governo italiano, le società semplici possono altresì svolgere
attività «commerciale», purché essa sia accessoria e complementare all’attività
principale, come emerge dal citato articolo 2135.
49 Tali società, quindi,
perseguono incontestabilmente una finalità di lucro, ragion per cui non possono
essere assimilate ad enti quali le università e gli istituti di ricerca,
oggetto della citata sentenza CoNISMa, per i quali la
Corte ha riconosciuto la facoltà degli Stati membri di autorizzarli o meno ad
operare sul mercato.
50 In tali circostanze, la
giurisprudenza derivante dalla citata sentenza CoNISMa
non può consentire di derogare, per società quali le società semplici, al
principio secondo cui non può essere imposta alcuna forma giuridica determinata
ai fini della partecipazione alle gare d’appalto.
51 Alla luce dell’insieme delle suesposte considerazioni, occorre
rispondere ai quesiti posti che il diritto dell’Unione, e segnatamente
l’articolo 6 della direttiva 93/37, osta ad una normativa nazionale, come
quella di cui al procedimento principale, che vieta a una società quale una
società semplice, qualificabile come «imprenditore» ai sensi della direttiva
93/37, di partecipare alle gare d’appalto esclusivamente a causa della sua
forma giuridica.
Sulle spese
52 Nei confronti delle parti
nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente
sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.
Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non
possono dar luogo a rifusione.
Per
questi motivi, la Corte (Settima Sezione)
dichiara:
Il
diritto dell’Unione, e segnatamente l’articolo 6 della direttiva 93/37/CEE del
Consiglio, del 14 giugno 1993, che coordina le procedure di aggiudicazione
degli appalti pubblici di lavori, come modificata dalla direttiva 2001/78/CE
della Commissione, del 13 settembre 2001, osta ad una normativa nazionale, come
quella di cui al procedimento principale, che vieta a una società quale una
società semplice, qualificabile come «imprenditore» ai sensi della direttiva
93/37, di partecipare alle gare d’appalto esclusivamente a causa della sua
forma giuridica.
Firme