MINISTERO
DEL LAVORO - RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO - LEGGE N. 92/2012 - APPRENDISTATO
- APPLICAZIONE DELLE SANZIONI - CIRCOLARE N. 5/2013
In tema di apprendistato, riformato con dal D.Lgs. n.
167/2011( cfr. Not. n. 12/2011) e modificato successivamente dalla L. n. 92/12,
il Ministero del lavoro, con la circolare n. 5 del 21 gennaio 2013, ha diramato
indicazioni di carattere operativo al personale ispettivo, al fine di una
corretta applicazione delle sanzioni, declinando anche una casistica
esemplificativa delle violazioni più ricorrenti. Si informa inoltre che la
circolare in commento è reperibile sul sito del Collegio in calce alla presente
nota
Il Dicastero precisa che, poiché in osservanza dell’articolo
117 della Costituzione, il Testo Unico dell’apprendistato prevede, in relazione
a ciascuna tipologia di apprendistato, un differente riparto di competenze fra
Stato e Regioni quanto ai profili formativi, con conseguente specifica
responsabilità riguardo all’attivazione della formazione, anche l’attività di
vigilanza deve essere diversificata.
La sanzione prevista dall’art. 7, comma 1, del D.Lgs. n.
167/2011 (versamento della differenza tra la contribuzione versata e quella
dovuta con riferimento al livello di inquadramento contrattuale superiore che
sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato,
maggiorata del 100 per cento) in caso di inadempimento nell’erogazione della
formazione, richiede il duplice requisito dell’esclusiva responsabilità del
datore di lavoro e della gravità della violazione, tale da impedire il
raggiungimento dell’obiettivo formativo. Il comma 2 del medesimo articolo
prevede, invece, laddove il debito formativo sia recuperabile, l’adozione di un
provvedimento di disposizione per consentire al datore di lavoro di adempiere.
Ai fini di un adeguato intervento ispettivo è, pertanto,
necessario rilevare, rispetto a ciascuna tipologia di apprendistato, i
“margini” della responsabilità datoriale in ordine agli obblighi formativi.
Accertamento delle violazioni - apprendistato per la
qualifica e per il diploma professionale.
La responsabilità del datore di lavoro - come già chiarito
con la circolare n. 29/2011 - si configura qualora lo stesso non consenta al
lavoratore di seguire i percorsi formativi esterni all’azienda previsti e
attivati dalla regolamentazione regionale e/o non effettui quella parte di
formazione interna, eventualmente prevista dalla stessa regolamentazione
regionale.
In carenza dell’attivazione dei percorsi formativi esterni
all’azienda, il datore di lavoro non potrà ritenersi “esclusivamente”
responsabile dell’obbligo formativo e, pertanto, la sanzione di cui al citato
art. 7, comma 1, del D.Lgs. n.167/2011 non sarà applicabile, fermi restando gli
eventuali adempimenti di carattere amministrativo previsti dalla Regione, ai
fini del coinvolgimento dell’apprendista nei percorsi formativi.
Se, invece, i percorsi formativi siano stati attivati e il
datore di lavoro non abbia posto in essere i citati adempimenti di carattere
amministrativo, il personale ispettivo adotterà la procedura sanzionatoria di
cui all’articolo 7, con emanazione, laddove possibile, del provvedimento di
disposizione.
La circolare sottolinea, quindi, che l’eventuale attivazione
dei percorsi formativi regionali dopo l’avvio del rapporto di apprendistato non
comporterà automaticamente un obbligo di “recupero” in capo al datore di lavoro
di tutta la formazione non effettuata nel periodo antecedente, ferma restando
la possibilità, da parte delle Regioni, di disciplinare specificatamente gli
obblighi formativi per i rapporti di apprendistato già in essere.
Apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere.
In relazione a tale tipologia di apprendistato, le
responsabilità datoriali inerenti il corretto adempimento degli obblighi
formativi sono distinte con riferimento alla formazione trasversale e alla
formazione di tipo professionalizzante o di mestiere.
Per la formazione trasversale, disciplinata e gestita dalle
Regioni, vale quanto già esposto in relazione al contratto di apprendistato per
la qualifica o il diploma professionale, con due precisazioni:
- se la Regione qualifica come facoltativa tale formazione,
non può configurarsi nessun obbligo e quindi in caso di mancata formazione non
è possibile adottare né la sanzione, né la disposizione;
- laddove il contratto collettivo di riferimento preveda
l’obbligo per il datore di lavoro di erogare anche la formazione trasversale,
nelle more dell’intervento regionale, viene a determinarsi un “ampliamento”
delle responsabilità datoriali e, pertanto, dei connessi poteri sanzionatori in
capo al personale ispettivo.
In relazione alla formazione di tipo professionalizzante o di
mestiere si ribadisce che la responsabilità del datore di lavoro potrà configurarsi
nell’ipotesi in cui lo stesso non effettui la formazione interna in termini di
“quantità”, contenuti e modalità, previsti dal contratto collettivo e declinati
nel piano formativo individuale.
Apprendistato di alta formazione e ricerca.
Nel rammentare che, ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. n.
167/2011, la regolamentazione e la durata di tale apprendistato è rimessa alle
Regioni, per i soli profili che attengono alla formazione, (…), il Dicastero
richiama, per analogia, quanto affermato per l’apprendistato per la qualifica e
per il diploma professionale, sancendo l’adottabilità dei provvedimenti
sanzionatori solo qualora, disciplinati e attivati i percorsi formativi, il
datore di lavoro non ottemperi ai relativi adempimenti amministrativi.
La norma prevede, tuttavia, che in assenza di
regolamentazioni regionali, l’attivazione dell’apprendistato in esame è rimessa
ad apposite convenzioni stipulate dai singoli datori di lavoro o dalle loro
associazioni con le Università, gli istituti tecnici e professionali e altre
istituzioni formative o di ricerca, comprese quelle in possesso di
riconoscimento istituzionale di rilevanza nazionale o regionale, e aventi come
oggetto la promozione delle attività imprenditoriali, del lavoro, della
formazione, della innovazione e del trasferimento tecnologico.
In tali ipotesi il personale ispettivo, al fine di
individuare le responsabilità datoriali, avrà come unico parametro di
riferimento le citate convenzioni, adottando i provvedimenti sanzionatori
quando la formazione interna non è stata rispettata in “quantità”, contenuti e
modalità di erogazione, ovvero quando la formazione esterna risulta affidata al
datore di lavoro.
Sanzioni
Ai sensi dell’art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 167/2011,
l’inadempimento formativo “di cui sia esclusivamente responsabile il datore di
lavoro”, qualora recuperabile, deve essere oggetto di disposizione e solo
laddove ciò non sia possibile, sarà applicabile direttamente la sanzione, con
esclusiva competenza - rammenta il dicastero - degli ispettori del lavoro.
L’ambito di indagine degli ispettori attiene solo la c.d.
“formazione formale”, nel senso di “apprendimento formale” (quale si evince
dalla Riforma Fornero e dal Decreto interministeriale del 26 settembre 2012 che
ha recepito l’accordo CSR del 19 aprile 2012) che richiede “un contesto
organizzativo e strutturato appositamente progettato” e “si conclude in una
convalida e in una certificazione”.
In fase di accertamento, il personale ispettivo dovrà quindi
effettuare una disamina del contratto collettivo e del piano formativo
individuale in ordine all’enucleazione dell’obbligo formativo, provvedendo sia
a verificare la documentazione che certifica la formazione svolta, sia ad
acquisire le dichiarazioni dell’apprendista e di quanti possano confermarne
l’effettivo svolgimento.
L’emanazione della disposizione dovrà quindi tener conto
della possibilità di recuperare il debito formativo, il che appare
proporzionalmente più difficile in relazione all’approssimarsi della scadenza
del periodo formativo inizialmente individuato.
La circolare riporta apposite tabelle con le quali sono
illustrati i casi in cui è possibile emanare il provvedimento di disposizione
ovvero applicare direttamente la sanzione pecuniaria.
Presenza del tutor o referente aziendale.
Innanzitutto, il dicastero chiarisce che l’affiancamento
della figura del referente aziendale accanto a quella del tutor rappresenta una
“formalizzazione” di terminologie che non determina conseguenze sul piano delle
attività rimesse a tali soggetti.
La disciplina in materia è, infatti, demandata esclusivamente
alla contrattazione collettiva (art. 2, comma 1, lettera d), del D.Lgs. n.
167/2011), ferma restando la possibilità di prevedere analoghe disposizioni da
parte delle Regioni in relazione al corretto adempimento degli obblighi
formativi di loro competenza.
Il tutor o referente aziendale deve essere in possesso
esclusivamente dei requisiti individuati dalla contrattazione collettiva,
poiché è da ritenersi sostanzialmente abrogato il relativo D.M. 28 febbraio
2000.
Al tutor possono essere assegnati compiti assolutamente
diversificati, che vanno dall’insegnamento delle materie oggetto di formazione
interna a quello della semplice “supervisione” circa il corretto svolgimento
della formazione. Talvolta il tutor può quindi svolgere delle funzioni
esclusivamente di “controllo” della corretta effettuazione della formazione e/o
di “raccordo” tra apprendista e soggetto formatore.
Le violazioni relative alla “presenza di un tutore o
referente aziendale” non determinano, pertanto, automaticamente l’applicazione
del regime sanzionatorio di cui all’art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 167/2011 per
mancata formazione dell’apprendista.
In tali ipotesi occorre verificare se la formazione è stata
comunque effettuata secondo “quantità”, contenuti e modalità previste dal
contratto collettivo e quale sia il ruolo assegnato al tutor dallo stesso
contratto.
Se il tutor ha un ruolo esclusivamente di “controllo”, la sua
assenza non potrà mai comportare una mancata formazione ed il personale
ispettivo dovrà eventualmente documentare le carenze formative derivanti
dall’assenza del tutor che ricadono sul mancato raggiungimento dell’obiettivo
formativo.
Eventuali violazioni in materia saranno dunque sanzionabili
esclusivamente ai sensi dell’art. 7, comma 2, del D.Lgs. n. 167/2011, con
sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 600 euro (in caso di recidiva la
sanzione varia da 300 a 1.500 euro) diffidabile ai sensi dell’art. 13 del
D.Lgs. n. 124/2004.
Limiti numerici di assunzione.
Ai sensi dell’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n.167/2011, così
come sostituito dalla Riforma Fornero, dal 1° gennaio 2013, nelle imprese di
medie o grandi dimensioni che occupano dalle 10 unità in poi, il numero
complessivo di apprendisti assunti, direttamente o indirettamente per il
tramite delle agenzie di somministrazione di lavoro ai sensi dell’articolo 20
del D.Lgs. n. 276/2003, “non può superare il rapporto di 3 a 2 rispetto alle
maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il medesimo datore di
lavoro”.
Vale a dire che ogni 2 lavoratori specializzati o qualificati
è possibile assumere 3 apprendisti.
Per i datori di lavoro che occupano un numero di lavoratori
inferiore a dieci unità resta invece confermato il precedente rapporto del 100%
fra maestranze specializzate e qualificate e apprendisti.
La normativa conferma, inoltre, che il datore di lavoro che
non abbia alle proprie dipendenze lavoratori qualificati o specializzati, o che
comunque ne abbia in numero inferiore a 3, può assumere apprendisti in numero
non superiore a 3.
Quanto predetto non attiene le imprese artigiane, per le
quali trova applicazione la speciale disciplina di cui all’art. 4 della Legge
n. 443/1985.
Il Dicastero, richiamando quanto esposto con l’interpello n.
11/2010 in relazione al D.Lgs. n. 276/2003, conferma che i limiti numerici sono
connessi alla necessità di garantire una adeguata formazione e affiancamento
del lavoratore per cui è possibile il computo di lavoratori comunque rientranti
nella medesima realtà imprenditoriale, anche se operanti in unità produttive o
sedi diverse da quelle in cui opera l’apprendista.
Ai fini dell’individuazione dei limiti numerici, debbono
considerarsi quali “maestranze specializzate e qualificate”, anche i soci o i
coadiuvanti familiari che prestano attività lavorativa con carattere di
continuità e abitualità, a condizione che abbiano adeguate competenze, per
accertare le quali è sufficiente verificare, in via alternativa, il possesso
dei requisiti richiesti per rivestire la qualità di tutor o referente aziendale
o il possesso di una qualifica o specializzazione derivante da un precedente
rapporto di lavoro subordinato in applicazione di un contratto collettivo.
Le assunzioni effettuate in violazione dei citati limiti
numerici saranno ricondotte dal personale ispettivo ad ordinari rapporti di
lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Stante che il contratto di apprendistato è già un contratto
di natura subordinata a tempo indeterminato, la “trasformazione” dei rapporti
determinerà azioni di recupero contributivo (senza applicazione della sanzione
di cui all’art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 167/2011 ricollegabile esclusivamente
ad un inadempimento sul piano formativo), fermo restando il divieto per il
datore di lavoro di recedere dal rapporto senza giusta causa o giustificato
motivo e fatta salva l’applicazione delle sanzioni amministrative sopra
richiamate.
Viene quindi chiarito che solo la violazione dei limiti
legali comporta la trasformazione dei rapporti di lavoro, non così l’eventuale
violazione di limiti numerici eventualmente introdotti dalla contrattazione
collettiva, dalla quale potrà scaturire una responsabilità di tipo civilistico
e non pubblicistico.
Apprendistato e pregresse esperienze lavorative.
Un’ulteriore problematica affrontata dalla circolare attiene
la “qualificazione” dell’apprendista che, ovviamente, non deve essere già
posseduta al momento dell’instaurazione del rapporto, poiché in tal caso il
contratto di apprendistato sarebbe nullo per l’impossibilità di formare il
lavoratore rispetto a competenze già acquisite.
Secondo i chiarimenti ministeriali, però, un rapporto di
lavoro preesistente di durata limitata, anche di apprendistato, fra le stesse
parti, non pregiudica la possibilità di instaurare un successivo rapporto
formativo.
In assenza di esplicite previsioni normative o contrattuali,
il dicastero - come sostenuto con l’interpello n. 8/2007 - ribadisce che
occorre valutare se nell’ambito del piano formativo individuale sia ravvisabile
un percorso di natura addestrativa di carattere teorico e pratico volto ad un
effettivo arricchimento complessivo delle competenze di base trasversali e
tecnico professionali del lavoratore.
Rileva, peraltro, anche la durata del rapporto di lavoro
precedentemente intercorso con il datore di lavoro, in quanto tale elemento
incide inevitabilmente sul bagaglio complessivo delle competenze già acquisite
dal lavoratore.
Non è ammissibile la stipula di un contratto di apprendistato
da parte di un lavoratore che abbia già svolto un periodo di lavoro, continuativo
o frazionato, in mansioni corrispondenti alla stessa qualifica oggetto del
contratto formativo, per un durata superiore alla metà di quella prevista dalla
contrattazione collettiva.
Disconoscimento del rapporto di apprendistato - Benefici
“normativi”.
In tutte le ipotesi in cui il rapporto di apprendistato venga
“disconosciuto”, sia per violazione degli obblighi di carattere formativo, che
per assenza dei presupposti di instaurazione del rapporto stesso (ad es.,
violazione dei limiti numerici, violazione degli oneri di stabilizzazione,
assenza dei requisiti anagrafici, ecc.), il lavoratore è considerato titolare
di un ordinario contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
I benefici di carattere “normativo”, già concessi in
relazione al rapporto di apprendistato (“non computo” del lavoratore
nell’organico aziendale, “sottoinquadramento” dello stesso o
“percentualizzazione” della retribuzione), decadono automaticamente, in quanto
vengono meno le caratteristiche essenziali della tipologia contrattuale.
Per quanto attiene ai profili retributivi, il personale
ispettivo provvederà ad adottare il provvedimento di diffida accertativa in
relazione al “differenziale” derivante dal diverso inquadramento contrattuale
del lavoratore.
Apprendistato e somministrazione di lavoro.
Ferma restando la possibilità di ricorrere a personale
apprendista fornito da una agenzia di somministrazione, ai sensi dell’innovato
art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 167/2011 (applicabile esclusivamente alle
assunzioni con decorrenza dal 1° gennaio 2013), il dicastero puntualizza che è
in ogni caso esclusa la possibilità di assumere apprendisti con contratto di
somministrazione a tempo determinato, mentre è legittima l’assunzione con
contratto di apprendistato solo in forza di una somministrazione a tempo
indeterminato (c.d. staff leasing).
Onere di stabilizzazione.
Con esclusivo riferimento ai datori di lavoro che occupano
almeno 10 dipendenti, “l’assunzione di nuovi apprendisti è subordinata alla
prosecuzione del rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato,
nei 36 mesi precedenti la nuova assunzione, di almeno il 50% degli apprendisti
dipendenti dallo stesso datore di lavoro”.
La percentuale di stabilizzazione è tuttavia fissata al 30%
per i primi 36 mesi dall’entrata in vigore della legge n. 92/2012 che ha
introdotto tale disposizione, ossia dal 18 luglio 2012.
Come già chiarito con la circolare n. 18/2012, viene ribadito
che, a decorrere dal 18 luglio 2015, la percentuale di stabilizzazione da
rispettare sarà del 50% e andrà, anche in tal caso, verificata in relazione ai
periodi formativi venuti a scadenza nei 36 mesi precedenti.
Dal computo della percentuale sono esclusi i rapporti cessati
per:
- recesso durante il periodo di prova;
- dimissioni;
- licenziamento per giusta causa.
Qualora non sia rispettata la predetta percentuale, è
consentita l’assunzione di un ulteriore apprendista rispetto a quelli già
confermati, ovvero di un apprendista in caso di totale mancata conferma degli
apprendisti pregressi.
Poiché il Testo Unico (art. 2, comma 1, lettera i) già
riconosceva alla contrattazione collettiva interconfederale o nazionale la
possibilità di prevedere forme e modalità per la conferma in servizio, (...) al
termine del percorso formativo, al fine di effettuare ulteriori assunzioni in
apprendistato (…), il dicastero chiarisce che:
- i datori con meno di 10 dipendenti dovranno rispettare
esclusivamente la clausola di stabilizzazione eventualmente prevista dal Ccnl;
- i datori di lavoro con almeno 10 dipendenti dovranno,
invece, rispettare esclusivamente la clausola di stabilizzazione legale.
In ogni caso, l’inosservanza degli oneri di stabilizzazione
comporterà, secondo un criterio “cronologico”, la “trasformazione” del rapporto
in un normale rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla
data di costituzione (senza applicazione della sanzione di cui all’art. 7,
comma 1, del D.Lgs. n. 167/2011 ricollegabile esclusivamente ad un
inadempimento sul piano formativo).
Infine, viene evidenziato che il datore di lavoro che non
abbia stabilizzato alcun lavoratore perché privo di apprendisti o perché, nel
periodo considerato, non sia venuto a “scadenza” nessun apprendistato, non è
evidentemente soggetto a particolari limitazioni in ordine a nuove assunzioni,
ferme restando quelle di carattere numerico.
circolare sito.