LA NUOVA NORMATIVA SULLA
DOCUMENTAZIONE ANTIMAFIA
IL QUADRO
COMPLETO DELLA DISCIPLINA
Il 13
febbraio 2013 è entrata in vigore la parte del Codice delle leggi antimafia
(D.lgs. 6 settembre 2011, n. 159) relativa alla documentazione prefettizia
(libro II, capi I, II, III e IV).
Come si
ricorderà, infatti, il D.lgs. n. 159/2011 prevedeva che il libro II diventasse
operativo due anni dopo l’entrata in vigore dell’ultimo dei regolamenti
destinati a regolare la Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia.
Il primo
decreto legislativo integrativo e correttivo del codice antimafia (D.lgs. 15
novembre 2012, n. 218, pubblicato sulla G.U. del 13 dicembre 2012), ha
anticipato l’operatività di tale normativa, stabilendo la sua entrata in vigore
decorsi due mesi dalla data di pubblicazione dello stesso decreto legislativo
integrativo.
Al fine di
consentire l’applicazione delle nuove norme in materia di certificazione
antimafia, prescindendo dall’attivazione della Banca dati, il decreto prevede
che nell’immediato le prefetture utilizzino il collegamento informatico con le
banche dati già esistenti e cioè il CED interforze del Ministero dell’Interno
ed i collegamenti con le camere di commercio.
Il decreto
correttivo ha apportato alcune modifiche alla normativa del codice antimafia,
il cui contenuto è stato esaminato con la News n. 1478 del 15 novembre 2011.
Al fine di
fornire un quadro completo della disciplina, si ritiene utile riepilogare
quanto già previsto dal codice antimafia, mettendo in evidenza le innovazioni
introdotte dal D.lgs. n. 218/2012. Si tratta perlopiù di adempimenti che non
riguardano le imprese appaltatrici, ma gli enti pubblici committenti. Si
ritiene però opportuno che anche le imprese conoscano quanto ora disposte dalle
citate nuove norme.
La
documentazione antimafia
Il codice
mantiene la distinzione fra comunicazione antimafia ed informazione antimafia:
la prima attesta la sussistenza o meno di cause di decadenza, di sospensione e
di divieto di cui all’art. 67, derivanti dall’adozione di misure di
prevenzione, o di sentenze di condanna, anche non definitive ma confermate in
grado di appello, per talune tipologie di reati particolarmente gravi, connessi
all’attività della criminalità organizzata (reati indicati nell’art. 51, comma
3 bis del codice di procedura penale).
L’informazione
antimafia, invece, comprende, oltre a tali ipotesi, anche l’attestazione della
sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a
condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese.
Viene,
invece, abrogata, come si dirà più diffusamente in seguito, la cd. informazione
atipica.
Vengono
confermate le soglie di valore che indicano l’obbligatorietà dell’una o
dell’altra tipologia di documento, o al di sotto delle quali non è richiesta la
documentazione antimafia.
In
particolare:
- non è
richiesta alcuna documentazione per i contratti di importo non superiore a
150.000 euro;
- la
comunicazione è richiesta per la stipula dei contratti di importo superiore a
150.000 euro ed inferiore alla soglia comunitaria;
-
l’informazione è richiesta per la stipula di contratti di importo pari o
superiore alla soglia comunitaria e per l’autorizzazione di subcontratti di
importo superiore a 150.000 euro.
Scompare,
invece, la previsione contenente l’equiparazione dei certificati camerali alle
comunicazioni delle prefetture.
Dunque, le
amministrazioni appaltanti non potranno più richiedere il certificato della
camera di commercio con dicitura “antimafia”, ma dovranno acquisire la
comunicazione direttamente dal Prefetto della provincia nella quale hanno sede.
Il Prefetto, a sua volta, potrà attingere i dati attraverso il collegamento
informatico del Centro elaborazione dati del Ministero dell’Interno.
Ambito di
applicazione
L’obbligo di
acquisire la documentazione antimafia (secondo le soglie precedentemente
indicate), viene confermato dal codice per le pubbliche amministrazioni e gli
enti pubblici, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente
pubblico, le società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente
pubblico, i concessionari di opere pubbliche.
Viene
inoltre, espressamente prevista l’estensione della normativa alle stazioni
uniche appaltanti ed ai contraenti generali, ai quali, peraltro, già si
applicava in virtù dell’art. 176, comma 8 del codice dei contratti pubblici.
Tra i
rapporti contrattuali ai quali non si applica la normativa vengono inseriti
quelli con coloro che esercitano attività di lavoro autonomo anche
intellettuale in forma individuale (art. 83) e vengono confermati quelli con
chi esercita attività agricole o professionali non organizzate in forma di
impresa e con gli artigiani individuali.
Informazione
antimafia: le situazioni indizianti
Come detto
in precedenza, l’informazione antimafia attesta, oltre all’assenza delle cause
interdittive di cui all’art. 67, anche l’insussistenza del tentativo di
infiltrazione mafiosa.
La
sussistenza di tale situazione può desumersi da una serie di circostanze,
elencate dalla nuova normativa, che riprende quelle già indicate dalla
legislazione previgente, aggiungendone delle nuove.
Restano
quindi confermate le situazioni indicate nella previgente disciplina (D.P.R. 3
giugno 1998, n. 252):
-
provvedimenti che dispongono una misura cautelare, o il giudizio, o rechino una
condanna anche non definitiva per i reati di estorsione, usura, riciclaggio,
associazione di tipo mafioso, sequestro di persona;
- proposte o
provvedimenti di applicazione di misure di prevenzione;
-
accertamenti disposti dal prefetto nell’esercizio del potere di accesso ai
cantieri, ovvero di accesso presso le amministrazioni pubbliche e gli istituti
finanziari.
Inoltre il
codice amplia l’elenco delle situazioni dalle quali può desumersi il tentativo
di infiltrazione mafiosa che dà luogo all’informazione antimafia. Fra le nuove
fattispecie, si segnalano, in particolare:
-
provvedimenti che dispongono una misura cautelare, o il giudizio o una condanna
anche non definitiva per i reati di turbata libertà degli incanti (art.
353 c.p.), turbata libertà del procedimento di scelta di contraente
(353-bis c.p.) e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni
pubbliche (640-bis c.p.);
- le
fattispecie previste dall’art. 12-quinquies del D.L. n. 306/1992 (sul
trasferimento fraudolento di valori);
- l’omessa
denuncia dei reati di concussione ed estorsione commessi per finalità di tipo
mafioso o avvalendosi di associazioni di stampo mafioso, da parte dei
soggetti di cui alla lett. b) dell’art. 38 del Codice degli appalti, anche
laddove non sottoposti a procedimento per l’applicazione di una misura di
prevenzione o di una condanna. Ai fini della valutazione di questa circostanza,
il D.lgs. n. 218 ha previsto che i procuratori della Repubblica, sulla base di
indizi a fondamento della richiesta di rinvio a giudizio, comunichino alle
Prefetture delle province in cui hanno sede legale ovvero residenza i soggetti
interessati i casi di omessa denuncia degli episodi concussivi o estorsivi
assieme alle generalità di chi ha omesso la denuncia stessa;
- le
sostituzioni negli organi sociali, nella rappresentanza legale della
società nonché nella titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote
societarie, effettuate dai conviventi dei soggetti destinatari dei
provvedimenti giudiziari precedentemente indicati, con modalità che, per i
tempi in cui vengono realizzati, il valore economico delle transazioni, il
reddito dei soggetti coinvolti nonché le qualità professionali dei subentranti,
denotino l’intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia (art.
84);
-
un’ulteriore situazione dalla quale si può desumere il tentativo di
infiltrazione mafiosa è individuata dall’art. 91, comma 6 nei provvedimenti di
condanna, anche non definitiva per reati strumentali all’attività delle
organizzazioni criminali, unitamente a concreti elementi da cui risulti che
l’attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività
criminose e esserne in qualche modo condizionata;
- a tali
fattispecie il decreto integrativo n. 218 ha aggiunto l’accertamento delle violazioni
degli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari di cui all’art. 3
della legge n. 136/2010, se reiterati nell’arco di cinque anni.
Si deve
tener presente che tutte le situazioni indicate dalle norme come elementi dai
quali si possa dedurre la sussistenza di un tentativo di infiltrazione mafiosa
hanno carattere cd. “indiziante” e devono perciò accompagnarsi ad altri
elementi che evidenzino una contiguità dell’impresa con la organizzazione
mafiosa.
In sostanza,
ciascuno degli elementi indicati dalla norma non è significativo di per se
stesso, ma va inserito nell’ambito di un giudizio complessivo.
Secondo la
giurisprudenza amministrativa, infatti, l’informazione interdittiva, pur
basandosi su elementi indiziari non può prescindere dalla sussistenza di un
quadro completo e significativo dal quale possa dedursi, con ogni logica
conseguenza, il tentativo di ingerenza della criminalità organizzata.
La necessità
di una valutazione complessiva da parte del Prefetto ai fini della emanazione
dell’informazione antimafia è stata sottolineata dalla circolare emanata dal
Gabinetto del Ministro dell’Interno in data 8 febbraio 2013 recante le prime
indicazioni interpretative sul D.lgs. n. 218/2012.
In
particolare la circolare rileva come, anche rispetto alle situazioni indizianti
che presentano un maggior grado di certezza perché basate su determinazioni
dell’autorità giudiziaria (ad esempio sentenze di condanna per varie tipologie
di reati) vada sempre verificata la riconducibilità dei fatti evocati nei
provvedimenti giudiziari a contesti di criminalità organizzata o comunque
significativi di atteggiamenti di contiguità con quest’ultima.
In relazione
poi alle situazioni elencate nell’art. 91, c.6 (condanne per reati strumentali
all’attività delle organizzazioni criminali e violazioni reiterate agli
obblighi di tracciabilità) la circolare riconosce che hanno una valenza
indiziante più attenuata, tant’è che la stessa disposizione richiede che il
carattere agevolativo delle organizzazioni di stampo mafioso dei reati e delle
violazioni degli obblighi di tracciabilità debba essere desunto alla luce degli
altri concreti elementi emersi nel corso dell’istruttoria. Dal contenuto della
norma la circolare deduce che, nelle fattispecie sopra indicate, l’ipotesi di
contiguità mafiosa debba essere corroborata dagli esiti di verifiche disposte
dal Prefetto avvalendosi dei poteri di accesso.
Infine la
nota del Gabinetto del Ministro richiama l’attenzione dei prefetti sulla
necessità che in ogni caso, ma soprattutto nelle fattispecie nelle quali vi è
una maggiore discrezionalità di valutazione, l’iter valutativo sia supportato
da elementi esatti, concreti e oggettivamente significanti dei quali occorrerà
dare adeguato conto in sede di motivazione, al fine di superare l’eventuale sindacato
del giudice amministrativo.
Soggetti
sottoposti a verifica antimafia
Il codice
indica con maggiore precisione, rispetto alla normativa precedente, le
categorie dei soggetti sottoposti a verifica al fine del rilascio della
documentazione antimafia, ampliandone altresì l’elenco. Un ulteriore
ampliamento è stato apportato dal decreto correttivo, dimodoché la situazione
attuale dei soggetti sottoposti a verifica risulta la seguente:
a) per le
imprese individuali, il titolare ed il direttore tecnico;
b) per le
associazioni, il legale rappresentante ed i membri del collegio sindacale o
coloro che svolgono compiti di vigilanza ai sensi della legge n. 231/2001;
c) per le
società di capitali, il legale rappresentante, i componenti l’organo di
amministrazione, il socio di maggioranza, nel caso di società con un numero di
soci pari o inferiore a quattro, ovvero il socio, in caso di società con socio
unico;
d) per i
consorzi con attività esterna, per i consorzi cooperativi e per le società
cooperative, il legale rappresentante e gli eventuali altri componenti l’organo
di amministrazione, nonché ciascuno dei consorziati che detenga una
partecipazione pari o superiore al 10 per cento o che, pur avendo
partecipazione inferiore al 10 per cento, abbia stipulato un patto parasociale
riferibile ad una partecipazione pari o superiore al 10 per cento, i soci o
consorziati per i quali le società consortili o i consorzi operino in modo
esclusivo nei confronti della pubblica amministrazione;
e) per i
consorzi senza attività esterna e per i gruppi europei di interesse economico
(G.E.I.E.), il legale rappresentante e tutte le società consorziate;
f) per le
società semplici e in nome collettivo, tutti i soci;
g) per le
società in accomandita semplice, i soci accomandatari;
h) per i
raggruppamenti temporanei di impresa, tutte le imprese costituenti il
raggruppamento;
i) per le
società personali tutti i soci;
j) per tutti
i tipi di società, anche i soggetti membri del collegio sindacale, o il sindaco
unico, e i soggetti che svolgono compiti di vigilanza di cui alla legge n.
231/2001;
k) per le
società costituite all’estero, coloro che le rappresentano stabilmente nel
territorio dello Stato. Se sono prive di sede secondaria in Italia, coloro che
esercitano poteri di amministrazione, di rappresentanza o di direzione.
Da ultimo
occorre segnalare che il codice conferma il principio, già desumibile dalla
preesistente normativa, secondo cui l’informazione antimafia debba rifarsi
anche ai familiari conviventi dei soggetti sottoposti a verifica.
Questa
disposizione è conseguente al fatto che l’art. 67, comma 4 del codice (che
peraltro riproduce in maniera pedissequa l’art. 10, comma 4 della legge n.
575/1965, come modificata dalla legge n. 646/1982) stabilisce che i divieti ivi
previsti, tra i quali quelli di concludere contratti con la P.A. o di
autorizzazioni al subappalto, operano anche nei confronti di chiunque conviva
con la persona sottoposta a misura di prevenzione. Ne consegue che la verifica
sui familiari conviventi va effettuata ai fini del rilascio tanto della
comunicazione, quanto dell’informazione, essendo l’assenza di provvedimenti di
irrogazione di misure di prevenzione contenuto comune ai due tipi di
documentazione.
Validità
della documentazione antimafia
Il Codice
conferma la validità semestrale della comunicazione. Viene invece
ampliata la durata di validità dell’informazione antimafia, che da sei mesi
viene portata a dodici mesi, qualora non siano intervenuti mutamenti
nell’assetto societario e gestionale dell’impresa. A tali fini le imprese hanno
l’obbligo di comunicare al prefetto che ha rilasciato l’informazione copia
degli atti da cui risulta la modificazione in ordine ai soggetti destinatari
delle verifiche antimafia. La violazione di tale obbligo è punita con una sanzione
pecuniaria da 20.000 a 60.000 euro
I termini di
validità decorrono non più dal rilascio da parte del prefetto, bensì
dall’acquisizione da parte dell’amministrazione che, come si vedrà, è l’unica
modalità di rilascio possibile.
Modalità per
il rilascio della documentazione antimafia
La nuova
normativa prevede procedure più snelle per il rilascio della documentazione,
che diverranno, però, pienamente operative allorché entrerà in funzione la
banca dati.
Il decreto
legislativo correttivo, dando attuazione al principio della “decertificazione”
sancito dall’art. 15 della legge 11 dicembre 2011, n. 183, ha soppresso le
previsioni del codice che consentivano ai soggetti privati interessati di
chiedere al prefetto la comunicazione antimafia.
Ne consegue
che tanto la comunicazione, quanto l’informazione antimafia sono acquisite
direttamente dalle amministrazioni che le richiedono al Prefetto.
La
comunicazione è conseguita mediante consultazione della banca dati. Qualora
dalla banca dati non emerga alcun provvedimento ostativo a carico di un
soggetto che sia già stato censito, il prefetto rilascia immediatamente la
comunicazione antimafia liberatoria.
Qualora,
invece, emergano cause di divieto o decadenza, ovvero il soggetto non risulti
già censito nella banca dati, il prefetto effettua verifiche entro un termine
di quarantacinque giorni (prorogabile di altri trenta giorni per verifiche di
particolare complessità). All’esito delle verifiche il prefetto rilascia una
comunicazione interdittiva o liberatoria a seconda che le cause ostative siano
accertate o confermate, o che viceversa non risulti alcuna causa di divieto.
Anche
l’informazione antimafia (che, si ricorda, è necessaria per la stipula di
contratti di importo pari o superiore alla soglia comunitaria e per l’autorizzazione
di subcontratti di importo superiore a 150.000 euro) è rilasciata mediante
consultazione della banca dati. Ma in questo caso la richiesta da parte delle
stazioni appaltanti deve essere effettuata al momento dell’aggiudicazione
ovvero trenta giorni prima della stipula del contratto.
Quando dalla
banca dati non emergano cause di divieto o decadenza di cui all’art. 67, o un
tentativo di infiltrazione mafiosa a carico di soggetti già censiti nella banca
dati, viene rilasciata immediatamente l’informazione antimafia liberatoria.
Quando,
invece, emergano provvedimenti ostativi o tentativi di infiltrazione mafiosa,
ovvero risulti che il soggetto non è già censito nella banca dati, il prefetto
compie i necessari accertamenti e verifiche e, se confermati o accertati i
provvedimenti ostativi o il tentativo di infiltrazione mafiosa, rilascia
l’informazione interdittiva nel termine di quarantacinque giorni, ai quali si
aggiungono ulteriori trenta giorni in caso di verifiche di particolare
complessità. In caso contrario rilascia l’informazione liberatoria.
La circolare
del Ministero dell’Interno ha chiarito che le previsioni dell’art. 88, comma 1
e 92, comma 1, secondo cui il rilascio delle comunicazioni e informazioni
antimafia deve avvenire immediatamente (se non risultano cause ostative o
tentativi di infiltrazione mafiosa ed il soggetto sia già stato censito) si
riferiscono all’ipotesi in cui la banca dati sarà divenuta operativa. Nella
fase transitoria le prefetture ricevono le istanze delle amministrazioni
secondo le modalità tradizionali e devono espletare i consueti adempimenti ai
fini del rilascio della documentazione.
In coerenza
con tale aspetto, il decreto legislativo correttivo richiama i termini
stabiliti dagli artt. 88, c. 4 e 92, c. 2 (45 giorni prorogabili di altri 30).
Tale
disposizione, unitamente alla scomparsa del certificato camerale con dicitura
antimafia, potrà comportare un allungamento dei tempi per il rilascio della
documentazione antimafia nella fase transitoria, con particolare riferimento
alla comunicazione prefettizia.
L’appesantimento burocratico sarà ovviamente superato con l’entrata in funzione
della banca dati che, secondo le previsioni del Ministero, dovrebbe avvenire
entro la fine del 2013.
Autocertificazione
sostitutiva della comunicazione antimafia
E’ stata
riconfermata la possibilità di ricorrere alla autocertificazione sostitutiva
della comunicazione antimafia in caso di urgenza ovvero di provvedimenti di
rinnovo o conseguenti a provvedimenti già disposti.
Casi di
urgenza o ritardo dell’informazione
Per quanto
riguarda l’informazione antimafia, la possibilità di ricorrere
all’autocertificazione non è ammessa.
Tuttavia,
decorso il termine di quarantacinque giorni dalla richiesta, ovvero di
quindici, in caso di urgenza, il contratto è stipulato sotto condizione
risolutiva ed, in caso di informazione interdittiva, le stazioni appaltanti
hanno l’obbligo (in passato la facoltà) di recedere dal contratto, o di
revocare l’autorizzazione al subcontratto, fatto salvo il pagamento del valore
delle opere già eseguite e delle spese sostenute per l’esecuzione del
rimanente, nei limiti delle utilità conseguite.
Nel caso in
cui i tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati nel corso di
esecuzione del contratto o del subcontratto, la nuova disciplina stabilisce
l’obbligo di recesso dal contratto o di revoca dell’autorizzazione al
subcontratto, eliminando la valutazione discrezionale che la previgente
normativa lasciava all’amministrazione appaltante in ordine all’opportunità di
interrompere il rapporto contrattuale.
Le
disposizioni in commento, dunque, superano le precedenti controversie
interpretative sull’obbligatorietà o facoltatività delle misure da adottarsi da
parte delle amministrazioni in caso di sopravvenienza di informazione antimafia
interdittiva.
Invio
telematico delle informazioni interdittive
Il decreto
legislativo correttivo ha introdotto una disposizione che ha lo scopo di
veicolare l’informazione antimafia interdittiva oltre la cerchia delle
prefetture e delle forze di polizia e delle amministrazioni competenti ad
emanare i provvedimenti o stipulare i contratti per i quali la documentazione è
stata richiesta. Le informazioni devono infatti essere comunicate in via
telematica anche alla Direzione nazionale antimafia; alla camera di commercio
del luogo dove ha sede l’impresa; all’osservatorio dei contratti pubblici
istituito presso l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici per
l’inserimento nel casellario informatico e nella banca dati nazionale dei contratti
pubblici; all’Autorità garante della concorrenza e del mercato per la
valutazione del “rating di legalità” delle imprese; ai Ministeri dello Sviluppo
Economico e delle Infrastrutture e Trasporti; agli uffici dell’Agenzia delle
entrate.
Attività a maggior
rischio
Di
particolare importanza appare la nuova disposizione di cui all’art. 91, comma
7, che, riprendendo la norma di identico contenuto della legge delega (art. 2
legge n. 136/2010), prevede l’emanazione di un Regolamento, che individui le
diverse tipologie di attività suscettibili di infiltrazione mafiosa
nell’attività di imprese per le quali, in relazione allo specifico settore
d’impiego e alle situazioni ambientali che determinano un maggiore rischio di
infiltrazione mafiosa, è sempre obbligatoria l’acquisizione della
documentazione, indipendentemente dal valore del contratto, subcontratto,
concessione, erogazione o provvedimento di cui all’art. 67 dello stesso Codice
antimafia.
La norma
trova un precedente nella direttiva emanata dal Ministro dell’Interno il 23
giugno 2010, che ha individuato alcune attività che si sono rivelate più
permeabili al pericolo di condizionamento mafioso e pertanto vanno sottoposte
ad un controllo più stringente. Si tratta di quelle attività che si pongono a
valle dell’aggiudicazione degli appalti per la realizzazione di opere
pubbliche, tra le quali tutte quelle legate al ciclo del calcestruzzo e del
bitume, i noli a caldo e a freddo, lo smaltimento in discarica dei residui di
lavorazione, l’attività di cava, la fornitura di ferro lavorato, la guardiania
dei cantieri.
La
disposizione si ricollega anche all’art. 1, commi 5 e seguenti della legge 6
novembre 2012, n. 190 (anticorruzione) che prevede la costituzione presso le
competenti prefetture di elenchi nei quali possano iscriversi le imprese
esercenti le attività sopra indicate previa verifica dell’insussistenza del
tentativo di infiltrazione mafiosa. La verifica viene ripetuta periodicamente.
Ai soggetti
iscritti negli elenchi possono rivolgersi gli appaltatori dei lavori per
l’affidamento dei subcontratti avendo la certezza di non venire in contatto con
imprese mafiose.
Poteri di
accesso e accertamento del prefetto
L’art. 93
del codice disciplina il potere del prefetto di disporre accessi ed
accertamenti nei cantieri delle imprese interessate all’esecuzione di lavori
pubblici, già previsto dall’art. 5 bis del D.lgs. n. 490/1994 e recepisce
integralmente il D.P.R. 2 agosto 2010, n. 150 sul rilascio delle informazioni
antimafia a seguito degli accessi.
Si chiarisce
che le imprese interessate alla esecuzione dei lavori sono tutti i soggetti che
intervengono a qualunque titolo nel ciclo di realizzazione dell’opera, anche
con noli, forniture di beni e prestazioni di servizi, anche di natura
intellettuale indipendentemente dall’importo dei contratti.
Al termine
degli accertamenti il prefetto valuta se dai dati raccolti possano desumersi,
in relazione alle persone che determinano gli indirizzi dell’impresa, elementi
relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa. In tal caso emette
l’informazione interdittiva, eventualmente previa audizione del responsabile
dell’impresa.
Per quanto
riguarda gli effetti delle informazioni interdittive rilasciate a seguito di
accesso ai cantieri, è confermato che nel caso in cui dall’informazione
antimafia emerga la sussistenza di cause di decadenza, sospensione o divieto
derivanti dall’adozione di misure di prevenzione o elementi relativi a
tentativi di infiltrazione mafiosa, le stazioni appaltanti non possano
procedere alla stipulazione, approvazione o autorizzazione dei contratti o dei
subcontratti, né autorizzare, rilasciare o consentire concessioni ed erogazioni
ovvero debbano revocare le autorizzazioni e le concessioni o recedere dai
contratti, se l’accertamento delle cause ostative è effettuato successivamente
all’adozione dei provvedimenti o stipula dei contratti. Viene, poi, stabilito
che gli unici casi in cui le amministrazioni possano non procedere a revoche o
recessi siano quelli in cui l’opera sia in corso di ultimazione oppure, nel caso
di forniture di beni o servizi ritenute essenziali per il perseguimento
dell’interesse pubblico, quando il soggetto che le fornisce non sia
sostituibile in tempi rapidi.
Ulteriori
disposizioni sui contratti pubblici
L’art. 95
conferma due rilevanti disposizioni già contenute nel D.P.R. n. 252/98: la
prima consente alle ATI di estromettere, sostituendola, l’impresa mandante per
la quale il prefetto abbia comunicato un’informazione interdittiva, in modo da
evitare che le cause ostative al contratto si estendano alle altre imprese
associate; la seconda impone alle amministrazioni appaltanti di informare i
prefetti della pubblicazione di bandi relativi a contratti di importo pari o
superiore alla soglia comunitaria in modo da consentire ai prefetti di svolgere
accertamenti preliminari sulle imprese del luogo dove si eseguiranno i lavori
per le quali è maggiore il rischio di infiltrazione mafiosa ed, in caso di
accertamento di tale situazione, di emettere l’informativa interdittiva. E’
proprio su questa disposizione che si basano le direttive del Ministero
dell’Interno del 23 giugno 2010, precedentemente citate.
L’acquisizione
dei dati ai fini della documentazione antimafia
Come detto
precedentemente il decreto legislativo correttivo del codice antimafia consente
di sbloccare l’operatività della nuova normativa sulla documentazione
antimafia, superando l’ostacolo della mancata costituzione della “Banca dati
nazionale unica della documentazione antimafia” prevista presso il Ministero
dell’Interno, ma per la cui organizzazione si richiedono dei regolamenti
attuativi che avrebbero dovuto essere adottati entro sei mesi dall’entrata in
vigore del codice.
Con la messa
a regime della banca dati unica a livello nazionale, si realizzerà un sistema
integrato di dati che consentirà un costante monitoraggio delle imprese edili
Inoltre, si
attuerà una semplificazione delle procedure per l’ottenimento della
documentazione antimafia, in quanto l’accertamento dell’insussistenza delle
condizioni ostative a contrarre con la pubblica amministrazione verrà
verificato in via informatica direttamente dalle stazioni appaltanti, dalle
Camere di commercio e dagli ordini professionali.
Fino
all’attivazione della banca dati, secondo quanto disposto dal D.lgs. n.
218/2012, le amministrazioni acquisiranno d’ufficio la documentazione antimafia
per il tramite delle prefetture. Queste ultime utilizzeranno il collegamento
informatico al Centro elaborazione dati del Ministero degli Interni, oltreché i
collegamenti informatici con le Camere di commercio.
Abrogazioni
– Le “Informazioni atipiche”
L’art. 120,
comma 2 del codice individua le disposizioni, in materia di documentazione
antimafia, che vengono abrogate con l’entrata in vigore del libro II. In
particolare, sono indicati il D.lgs. n. 490/1994, il D.P.R. n. 252/1998 ed il
D.P.R. n. 150/2010, poiché la materia normata da tali fonti è stata
integralmente ridisciplinata dal codice.
Con le
modifiche introdotte dal decreto legislativo correttivo n. 218 è stato espunto
dal novero delle norme soppresse, ed è, pertanto, ancora vigente, l’art. 1
septies del D.L. 6 settembre 1982, n. 629, convertito nella legge 12 ottobre
1982, n. 726. Tale disposizione consente ai prefetti di comunicare alle amministrazioni
competenti all’emanazione di provvedimenti di carattere discrezionale “elementi
di fatto ed altre indicazioni utili alla valutazione” di cui le amministrazioni
possono tener conto nell’ambito del proprio apprezzamento circa l’opportunità
di emettere il provvedimento stesso.
Questa norma
era stata estesa alla materia dei contratti della pubblica amministrazione, ed
in particolare al sistema della documentazione antimafia, dall’art. 10, comma 9
del D.P.R. n. 252/1998, che consentiva ai prefetti di comunicare alle stazioni
appaltanti situazioni suscettibili di valutazione discrezionale, anche in quei
casi in cui non fossero stati accertati tentativi di infiltrazione mafiosa.
Tali
comunicazioni sono state classificate dalla dottrina e giurisprudenza sotto la
denominazione di “informazioni atipiche” o “supplementari”, non aventi di per
se stesse carattere interdittivo. In sostanza con le informazioni atipiche i
prefetti comunicano all’amministrazione appaltante elementi di fatto che non
sono sufficienti a costituire il quadro complessivo dal quale possa dedursi il
tentativo di ingerenza della criminalità organizzata, rimettendoli comunque
alla sua valutazione.
Con tali
strumenti, dei quali peraltro viene fatto un uso assai frequente, si verifica
uno scarico di responsabilità da parte della Autorità di pubblica sicurezza,
che pure avrebbe gli strumenti per approfondire le indagini, sulle
amministrazioni aggiudicatrici, che ne sono viceversa prive, con la conseguenza
che l’amministrazione spesso paralizza la propria azione, oppure procede alla
rescissione dei contratti sulla base di semplici elementi indiziari.
Ora la nuova
normativa, se ha mantenuto invita l’art. 1 septies del D.L. n. 629/82, ha
invece abrogato l’art. 10, comma 9 del D.P.R. n. 252/89, senza riprodurne il
contenuto in alcuna disposizione del codice.
E’ dunque da
ritenere che le informazioni atipiche, che avevano appunto la loro fonte
normativa nella norma abrogata, siano da considerare espunte dall’ordinamento,
mentre il potere dei prefetti previsto dal citato art. 1 septies è limitato
alle fattispecie ivi previste (provvedimenti incidenti su attività economiche
soggette a controllo pubblico).
Questa
interpretazione è stata confermata dalle linee guida emanate dal Comitato per
il coordinamento per l’alta sorveglianza sulle grandi opere (C.A.S.GO.) di cui
al comunicato in data 19 dicembre 2012.
Secondo le
linee guida, infatti, il recupero nel sistema antimafia dell’articolo 1¬
septies non corrisponde “al mantenimento tout cours delle informazioni
“atipiche”. Infatti, il codice antimafia, come anche il nuovo “correttivo”, non
vengono meno all’impostazione secondo cui l’esito degli accertamenti antimafia
riconducibili alla disciplina delle informazioni non può che avere un esito
binario, nel senso che si potrà concludere o con il rilascio di una liberatoria
ovvero con un’interdittiva, riportando a maggiore certezza il sistema stesso
nel suo esito saliente”.
La circolare
del Ministero dell’Interno precedentemente citata ha fatto propri gli indirizzi
interpretativi del C.A.S.G.O., assumendoli come linee guida a validità generale
cui dovranno far riferimento tutte le prefetture.