IL NUOVO REGIME TRANSITORIO PER
RESTAURATORI E COLLABORATORI RESTAURATORI
E’ stata
pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 25 del 30 gennaio 2013 la Legge 14 gennaio
2013, n. 7, recante la «Modifica della disciplina transitoria del conseguimento
delle qualifiche professionali di restauratore di beni culturali e di collaboratore
restauratore di beni culturali » così come disciplinata dal Codice dei beni
culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.
42.
In
particolare, la legge. n. 7/2013 ha sostituito la disciplina prevista
nell’articolo 182 del Codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004,
n.42, prevedendo una nuova fase transitoria per l’acquisizione del titolo di
restauratore di beni culturali e di collaboratore restauratore di beni
culturali. Detta fase transitoria - ad oltre un decennio dall’entrata in vigore
del decreto n. 420 del 2001 cui l’articolo 182 del Codice faceva riferimento -
si era, infatti, protratta oltre qualunque ragionevolezza, “lasciando migliaia
di professionisti nell’incertezza e in gravi difficoltà lavorative” (cfr.
relazione della 7^ Commissione permanente del Senato, istruzione pubblica, beni
culturali, ricerca scientifica, spettacolo e sport).
In
proposito, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MiBAC), nel
documento recante le linee guida applicative dell’articolo 182 del Codice, ha
precisato che le disposizioni contenute in questo articolo intendono
disciplinare “la fase transitoria (o meglio: di prima applicazione, poiché gli
effetti abilitanti che ne discendono sono durevoli) finalizzata al conseguimento
delle qualifiche professionali da parte dei soggetti che, al momento
dell’entrata [in vigore] della disposizione, hanno già compiuto un percorso
formativo e/o un’attività di restauro di beni culturali”.
La novella
legislativa riveste carattere di notevole interesse per tutte le imprese
qualificate ad eseguire opere nelle categorie OS 2-A (relativa ad interventi su
superfici decorate di beni architettonici e beni culturali mobili di interesse
storico, artistico, archeologico ed etnoantropologico) e OS 2-B (concernente ad
interventi su beni culturali mobili di interesse archivistico e librario) per
le quali sono previste, come figure obbligatorie, il restauratore di beni
culturali che svolge il ruolo di direttore tecnico, e i collaboratori restauratori,
da inserire in organico (vedi infra cap. 10).
Il nuovo
regime transitorio entrerà in vigore 14 febbraio 2013, ossia 15 giorni dopo la
sua pubblicazione. Ciò premesso, si ritiene opportuno procedere ad una
ricostruzione completa della materia della qualificazione dei restauratori,
indicando l’ordine di argomenti di seguito elencati:
1. Attività
di restauro
2.
Riconoscimento del titolo
3. Procedura
di selezione pubblica
4.
Assegnazione punteggi
5. Punteggio
per l’esperienza professionale
6. Punteggio
dei titoli di studio
7. Prova di
idoneità
8.
Collaboratore restauratore di beni culturali
9.
Suddivisione in settori di qualificazione
10.
Attestazione SOA
11. Sito web
1. Attività
di restauro
L’articolo 1
del D.M. 26 maggio 2009, n. 86 chiarisce che il restauratore di beni culturali
mobili e di superfici decorate di beni architettonici è “il professionista che
definisce lo stato di conservazione e mette in atto un complesso di azioni
dirette e indirette per limitare i processi di degrado dei materiali costitutivi
dei beni e assicurarne la conservazione, salvaguardandone il valore culturale”.
Ai
restauratori di beni culturali, come sopra definiti, competono in via esclusiva
gli interventi di manutenzione e restauro su beni culturali mobili e superfici
decorate di beni architettonici (art. 29, comma 6 del Codice dei beni
culturali).
Secondo il
Codice, la manutenzione è costituita dal “complesso delle attività e degli
interventi destinati al controllo delle condizioni del bene culturale e al
mantenimento dell’integrità, dell’efficienza funzionale e dell’identità del
bene e delle sue parti” (articolo 29, comma 3); il restauro coincide, invece,
con “l’intervento diretto sul bene attraverso un complesso di operazioni
finalizzate all’integrità materiale ed al recupero del bene medesimo, alla
protezione ed alla trasmissione dei suoi valori culturali” (art. 29, comma 4).
L’acquisizione
del titolo di restauratore di beni culturali e di collaboratore restauratore di
beni culturali, è disciplinata dall’articolo 29 del Codice (commi 7, 8, 9 e 10)
nonché, per la disciplina transitoria, dall’articolo 182 del medesimo Codice.
Proprio
quest’ultimo articolo è stato oggetto di massima attenzione da parte del
legislatore (basti pensare alle ben 19 sedute dedicate dalla competente Commissione
presso il Senato), il quale ha voluto risolvere i problemi derivanti
dall’incongruità delle prescrizioni ivi stabilite relative ai requisiti
necessari per il riconoscimento della qualifica di restauratore (e
collaboratore restauratore), che negli ultimi dieci anni hanno fortemente
limitato la possibilità di accesso al titolo (cfr. in proposito anche T.A.R.
Lazio, Sez. II quater, sent. n. 38556/2010).
La proposta
di legge è stata approvata in via definitiva in Commissione alla Camera il 18
dicembre 2012 (cfr. sulle considerazioni generali la news Ance del 21 Dicembre
2012). Giova, però, ricordare che il lavoro di elaborazione del testo è stato
assiduamente seguito anche dal Ministero per i beni e le attività culturali e
dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca,
L’obiettivo
è quello di disciplinare al meglio il “doppio canale di reclutamento”, già
previsto dall’articolo 182 del Codice, concernente l’inquadramento diretto per
gli operatori in possesso di elevati requisiti di qualificazione professionale
e la sottoposizione a una prova di idoneità per coloro che siano in possesso di
una qualificazione inferiore.
La modifica
del regime transitorio è partita dalla consapevolezza di una disciplina in
materia che, caratterizzata dalla sovrapposizione di varie norme, ha costruito
un sistema di qualificazione incapace di riconoscere tutti i percorsi formativi
e tutte le competenze professionali operanti nel campo della salvaguardia e del
recupero del patrimonio culturale.
Il punto di
maggiore criticità della normativa previgente risiedeva, infatti, nella
circostanza che ai professionisti, qualora gli stessi non avessero voluto
sottoporsi alla prova di idoneità, era richiesto di dimostrare la loro
competenza attraverso la certificazione dell’attività svolta e dei periodi di
formazione sostenuti alla data di entrata in vigore del regolamento di cui al
decreto del Ministro per i beni e le attività culturali 24 ottobre 2001, n.
420.
Tuttavia, se
il termine del 2001 era giustificabile nel 2004, quando fu approvato il codice
dei beni culturali e del paesaggio, questo doveva essere necessariamente
aggiornato, considerato che nel frattempo la procedura di selezione pubblica
prevista dall’articolo 182 del Codice, concernente l’acquisizione dei titoli
professionali nel restauro, non ha mai avuto una reale attuazione.
La maggiore
innovazione della nuova normativa risiede, pertanto, nella possibilità data ai
restauratori (e collaboratori restauratori) di dimostrare, indipendentemente
dallo svolgimento di una prova di idoneità, la competenza acquisita anche
attraverso i periodi di formazione sostenuti e/o i lavori svolti
successivamente al 2001 (che in determinati casi erano, tuttavia, considerati
sino al 2009).
2.
Riconoscimento del titolo
Nel Codice
dei beni culturali il riconoscimento del titolo di restauratore e di
collaboratore restauratore dei beni culturale è previsto negli articoli 29 e
182.
L’articolo
29 del Codice ha demandato a un regolamento ministeriale la definizione dei
profili di competenza dei restauratori e degli altri operatori che svolgono
attività complementari al restauro. Ha inoltre previsto un ulteriore
regolamento ministeriale per la definizione dei criteri e dei livelli di
qualità dell’insegnamento del restauro. Tali regolamenti sono stati emanati con
i decreti del Ministero dei Beni culturali nn. 86/2009 e 87/2009, in materia di
formazione dei restauratori in relazione ai diversi settori di attività.
Come
accennato, l’articolo 182 del Codice dei beni culturali (sia nella vecchia sia
nella nuova formulazione) definisce la disciplina che consente il
riconoscimento della qualifica di restauratore o di collaboratore restauratore
a chi abbia maturato adeguata competenza professionale nell’ambito del
restauro, con equiparazione ai soggetti che abbiano seguito i percorsi
formativi di cui al regime ordinario (art. 29 cit.).
Ai fini
dell’art. 182, la qualifica di restauratore è acquisita direttamente, ope
legis, nel caso in cui l’interessato sia in possesso di determinati requisiti,
oppure può essere acquisita attraverso il superamento di una prova di idoneità
cui è possibile accedere in presenza di minori requisiti. Una disciplina di
similare impostazione consente l’acquisizione della qualifica di collaboratore
restauratore di beni culturali.
3. Procedura
di selezione pubblica
La prova di
idoneità era in precedenza disciplinata dal decreto n. 53/2009, con cui il
Ministero per i Beni e le Attività Culturali definiva le modalità di
acquisizione, attraverso lo svolgimento di prove teoriche e pratiche di
idoneità, sia della qualifica di “restauratore” che di “collaboratore
restauratore”, ai sensi dell’art. 182 del Codice.
Lo
svolgimento della relativa prova di idoneità avrebbe finalmente sbloccato
l’accesso ai titoli di restauratore e collaboratore restauratore per tutti i
soggetti che erano impossibilitati a richiedere il riconoscimento diretto, ope
legis, della propria professionalità.
Tuttavia, il
riconoscimento dei titoli suddetti non è mai avvenuto, a causa delle
problematiche applicative ed interpretative emerse per l’attestazione dei
requisiti da parte delle amministrazioni pubbliche competenti, tanto che sono
stati ripetutamente prorogati i termini fissati nel bando di selezione pubblica
del 29 settembre 2009 (a 5 anni dall’entrata in vigore del Codice!). Il bando,
che coinvolgeva tutti i canali di reclutamento previsti dall’art. 182 del
Codice, non è mai riuscito a risolvere alcuni problemi basilari (come ad esempio
la presentazione delle domande, la trasmissione delle attestazioni in ordine
all’attività di restauro svolta, la maturazione del periodo di pratica
professionale necessario per l’acquisizione delle qualifiche, etc.), tanto che
lo stesso Ministero per i Beni e le Attività Culturali è stato costretto a
disporre la sospensione della procedura di selezione nel novembre 2010, in
attesa dell’iter parlamentare necessario alla revisione dell’articolo 182 del
Codice.
Il testo del
nuovo articolo 182 rappresenta l’esito dell’iter parlamentare sopra richiamato,
che modificando la disciplina transitoria relativa all’acquisizione della
qualifica di restauratore di beni culturali e di collaboratore restauratore di
beni culturali, va a sostituire i commi da 1 a 1-quinquies previsti nella
precedente formulazione del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
La novità
più importante della nuova disciplina transitoria è costituita dalla
riscrittura del riconoscimento diretto, ope legis, del titolo di restauratore e
di collaboratore restauratore di beni culturali.
In
particolare, il nuovo comma 1-bis dell’articolo 182 conferma che la qualifica
di restauratore di beni culturali sia attribuita in esito ad apposita procedura
di selezione pubblica, da concludere entro il 30 giugno 2015. Tale procedura
non prevede per i soggetti che rientrano nella casistica di cui al successivo
comma 1-ter (ossia, come si dirà oltre, quelli maggiormente qualificati) la
necessità di essere sottoposti ad una prova di idoneità di cui al successivo comma
1-quinquies dello stesso articolo; tale prova si rende invece necessaria
qualora il soggetto manchi, anche solo parzialmente, dei requisisti minimi
previsti per il riconoscimento ope legis della qualifica di restauratore.
La procedura
di selezione pubblica per il riconoscimento ope legis, che secondo la
disposizione avrebbe dovuto essere indetta entro il 31 dicembre 2012, non
include alcuna prova posta a carico del candidato restauratore, ma sottintende
una valutazione dei titoli conseguiti e delle attività svolte dall’interessato.
Tale valutazione è effettuata attribuendo un punteggio, assegnato sulla base
delle tabelle previste nel neo introdotto allegato B al Codice (art. 182, commi
1-bis e 1-ter).
Il
riconoscimento ope legis, pertanto, non comporta alcun automatismo
nell’attribuzione del titolo di restauratore, ma occorre comunque attendere
l’esito della procedura cui consegue l’inserimento in un apposito elenco,
tenuto dal Ministero competente (art. 182, cc. da 1-bis a 1 1-quater).
Riguardo
alla procedura di selezione pubblica, il MiBAC, con decreto, ne definirà le
linee guida per l’espletamento, sentite, come auspicato dall’Ance, le
organizzazioni imprenditoriali e sindacali più rappresentative. Considerate le
difficoltà applicative della precedente stesura dell’articolo 182 del Codice, è
auspicabile che questa disposizione si traduca in un più generale, e maggiore,
coinvolgimento dei diretti interessati nell’elaborazione della disciplina di
dettaglio.
4.
Assegnazione punteggi
Come sopra
accennato, è l’attribuzione dei punteggi che, all’esito della procedura di
selezione pubblica, consente al professionista di acquisire il titolo di
restauratore di beni culturali. Tale riconoscimento è attribuito qualora
l’interessato abbia raggiunto un punteggio almeno pari ai 300 crediti
formativi, previsti dal vigente ordinamento dell’insegnamento universitario,
ossia 300 punti (cfr. articolo 1 del regolamento di cui al D.M. 26 maggio 2009,
n. 87).
La
corrispondenza tra un determinato elemento di valutazione ed i singoli punteggi
attribuiti è prevista dalle tabelle 1, 2 e 3 dell’allegato B, che prevede
l’elencazione dettagliata dei punteggi da assegnare per:
a. i titoli
di studio conseguiti alla data del 30 giugno 2012, nonché per quelli conseguiti
entro la data del 31 dicembre 2014 da coloro i quali risultino iscritti ai
relativi corsi alla data del 30 giugno 2012;
b. la
posizione di inquadramento formalizzata entro la data del 30 giugno 2012, a
favore del personale dipendente delle amministrazioni pubbliche preposte alla
tutela dei beni;
c.
l’attività di restauro presa in carico alla data di entrata in vigore della
disposizione in esame, ovvero il 14 febbraio 2013, e conclusasi entro il 31
dicembre 2014.
Riguardo ai
punti “a” e “c”, la possibilità di considerare, ai fini del punteggio, anche
quanto conseguito o svolto entro la data del 31 dicembre 2014, costituisce una
grande apertura del legislatore rispetto alla precedente formulazione della
norma in cui, come sopra evidenziato, era di riferimento l’anno 2001.
In altri
termini, l’accesso alla professione di restauratore è consentito sia ai
soggetti che abbiano già conseguito i 300 punti necessari, sia a coloro che al
momento dell’emanazione del bando, pur non avendo ancora tutti i requisiti
necessari, possano maturarli in seguito.
In
quest’ottica di apertura del legislatore ai soggetti che comunque non riescano
a raggiungere neppure al 31 dicembre 2014 il punteggio minimo, oppure che non
possano/vogliano aspettare tale data, è riservata un’ulteriore possibilità: il
distinto conseguimento della qualifica di collaboratore restauratore, per la
quale, pur non essendo previsti titoli dissimili, non sono, tuttavia, richiesti
i 300 punti previsti per il restauratore.
L’articolo
182 o gli atti parlamentari non chiariscono come debba essere interpretata la
“presa in carico”. Tuttavia, volendo dare una definizione, questa potrebbe
intendersi come quel processo in cui un soggetto, a fronte di una domanda, un
contratto o comunque sulla base di un mandato del committente, prende
l’incarico di progettare/realizzare uno o più interventi rivolti al restauro o
alla conservazione di un bene sottoposto a tutela.
A tale
proposito, è possibile osservare che la “presa in carico” non deve essere
intesa come sinonimo della (solitamente successiva) “consegna dei lavori”; tale
interpretazione, ad avviso dell’Ance, trae forza dal dato letterale della
norma, poiché, quando il legislatore ha voluto, ha impiegato una terminologia
più esplicita; ne è esempio la modalità di calcolo della durata dell’attività
di restauro che è documentata dai termini di “consegna” e completamento dei
lavori.
Un altro
passaggio delicato è quello che si riferisce all’esperienza pregressa del
restauratore, peraltro oggetto di diverse modifiche durante l’iter
parlamentare. Ai fini interpretativi giova, pertanto, richiamare quanto
osservato dal Governo davanti alla 7ª Commissione - Istruzione Pubblica, Beni
Culturali, istituita presso il Senato.
In occasione
della 409ª seduta della suddetta Commissione, tenutasi il 18 settembre 2012, è
stato chiarito dal Governo che i lavori pregressi, ossia già conclusi, rispetto
“alla data di entrata in vigore” della disposizione, devono essere considerati
rilevanti ai fini del conseguimento del punteggio. Per i lavori in corso è,
invece, stato evidenziato che l’attività di restauro, utile per il calcolo del
punteggio finale, è quella presa in carico dalla data di entrata in vigore
della disposizione e dovrà essere conclusa entro il 31 dicembre 2014.
Nell’intervento
del Governo, è stato, altresì, evidenziato che l’esclusione dal periodo
transitorio dei lavori presi in carico dopo all’entrata in vigore del nuovo
articolo 182 del Codice, esprime la volontà di evitare “che il periodo venga
interpretato nel senso che l’attività può essere consegnata anche dopo
l’entrata in vigore della legge, purché sia conclusa entro il termine finale”,
perché altrimenti si tradirebbe la ratio della previsione, ossia quella di
scongiurare una incontrollabile corsa all’affidamento di lavori.
Riguardo al
punto “b” dell’elenco sopra riportato, il nuovo testo dell’articolo 182 del
Codice sana l’incongruenza della normativa previgente, che non riconosceva
appieno l’attività svolta da restauratori e collaboratori restauratori già
assunti dalle Amministrazioni preposte alla tutela, a seguito di idonee
selezioni. E’, infatti, assegnato un punteggio pari a 300 punti, e pertanto non
è prevista alcuna prova di “idoneità”, per il soggetto inquadrato nei ruoli
delle amministrazioni pubbliche preposte alla tutela dei beni culturali a
seguito del superamento di un pubblico concorso relativo al profilo di
restauratore di beni culturali.
Identico
punteggio di 300 punti è assegnato ai soggetti inquadrati come docenti di
restauro presso le Accademie di belle arti (per i settori disciplinari ABPR24,
ABPR25, ABPR26, ABPR27 e ABPR28).
Un
trattamento di minor favore (225 punti) è, invece, riservato all’assistente
tecnico restauratore che, a seguito del superamento di un pubblico concorso, è
inquadrato nei ruoli delle amministrazioni pubbliche preposte alla tutela dei
beni culturali. Qualora il singolo tecnico restauratore interessato raggiunga
un punteggio totale inferiore ai 300 punti, potrà, comunque, superare
l’apposita procedura di selezione pubblica, per l’acquisizione del titolo di
collaboratore restauratore di beni culturali.
5. Punteggio
per l’esperienza professionale
La relazione
tecnica al disegno di legge, che ha portato al nuovo dettato dell’articolo 182
del codice, evidenzia come l’intervento in esame intenda rimuovere le criticità
riscontrate negli adempimenti previsti dalla disciplina di settore, provvedendo
in particolare ad un ampliamento equilibrato dei requisiti richiesti per il
conseguimento delle qualifiche professionali, tale da garantire la disponibilità
nel settore di professionisti.
A tale
proposito, nel nuovo articolo 182 del Codice è stabilito che, ai fini
dell’attribuzione della qualifica di restauratore di beni culturali, sia
necessario valutare i titoli di studio conseguiti e l’esperienza maturata (e
certificata dagli organismi preposti alla tutela del bene) da coloro i quali
abbiano maturato un’adeguata competenza professionale nell’ambito del restauro
dei beni culturali mobili e delle superfici decorate dei beni architettonici.
Il peso di
ciascun elemento formativo è valutato in una tabella allegata (corrispondente
all’allegato B, I parte, del Codice) ed è espresso in punteggi.
Il punteggio
complessivo si ottiene sommando i titoli di studio conseguiti e l’esperienza
maturata attraverso l’attività di restauro, purché svolta dall’interessato,
“direttamente e in proprio ovvero direttamente e in rapporto di lavoro
dipendente o di collaborazione coordinata e continuativa o a progetto, ovvero
nell’ambito di rapporti di lavoro alle dipendenze di amministrazioni pubbliche
preposte alla tutela dei beni culturali, con regolare esecuzione certificata
nell’ambito della procedura di selezione pubblica” (art. 182, c. 1-quater,
lett. “b”);
Ai fini
dell’attribuzione del punteggio, è considerata attività di restauro di beni
culturali mobili e superfici decorate di beni architettonici, l’attività
caratterizzante il profilo di competenza del restauratore di beni culturali,
ossia ad. es. l’esecuzione degli interventi di conservazione, la direzione dei
lavori od operativa nell’ambito dell’ufficio di direzione dei lavori, il
supporto tecnico alle attività del responsabile del procedimento, effettuazione
dei collaudi tecnici, etc. (cfr. D.M. 26 maggio 2009, n. 86).
La durata
dell’attività di restauro, svolta dai termini di consegna e di completamento
dei lavori, deve risultare da atti di data certa provenienti dall’Autorità
preposta alla tutela del bene oggetto dei lavori o dagli istituti formati in
occasione dell’affidamento dell’appalto (art. 182, c. 1-quater, lett. “c”).
Al riguardo,
si osserva che, a differenza del previgente testo, non è più previsto che i
competenti organi ministeriali rilascino agli interessati le necessarie
attestazioni entro trenta giorni dalla richiesta. Per i restauratori è,
tuttavia, possibile dimostrare la propria esperienza pregressa attraverso atti
concernenti l’organizzazione ed i rapporti di lavoro dell’impresa appaltatrice.
Come nella
previgente disciplina, è ancora previsto un sistema favorevole per il computo
del periodo documentato, in quanto vi è possibilità di cumulare la durata di
più lavori eseguiti nello stesso periodo (art. 182, c. 1-quater, lett. “d”).
Ogni lavoro seguito dà quindi diritto a 37,5 punti per anno, indipendentemente
dal fatto che l’interessato abbia seguito più lavori contemporaneamente.
6. Punteggio
dei titoli di studio
Rispetto
alla previgente disciplina, non è mutato l’accesso diretto al titolo di
restauratore - ancorché sempre condizionato all’esito della procedura di
selezione pubblica - per i soggetti che abbiano conseguito un diploma presso
una scuola di restauro statale di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 20
ottobre 1998, n. 368 (Scuole di alta formazione e di studio che operano presso
l’Istituto centrale del restauro, l’Opificio delle pietre dure e l’Istituto
centrale per la patologia del libro). Tali scuole assegnano, infatti, ben 300
punti.
Nella
tabella allegata (corrispondente all’allegato B, I parte, del codice) è altresì
specificato che, in alternativa alla scuola di restauro statale, il soggetto
può dimostrare di aver seguito altri corsi di studio, i cui titoli (molti dei
quali non considerati nella previgente disciplina) assegnano un punteggio
variabile a 37,5 a 75 punti per ciascun anno di corso.
In
particolare, sono riconosciuti i seguenti titoli di studio:
1) diploma
conseguito presso una scuola di restauro statale di durata almeno biennale (75
punti per ciascun anno di durata del corso),
2) attestato
di qualifica professionale conseguito presso una scuola di restauro regionale
ai sensi dell’articolo 14 della legge 21 dicembre 1978 n. 845, ovvero titoli
esteri ritenuti equipollenti nell’ambito della procedura di selezione pubblica
(75 punti per ciascun anno di durata del corso)
3) laurea in
Beni culturali (L1) ovvero laurea in Tecnologie per la conservazione e il
restauro dei beni culturali (L43) (37,50 punti per ciascun anno di durata del
corso),
4) laurea
specialistica in Conservazione e restauro del patrimonio storico-artistico
(12/S) (37,50 punti per ciascun anno di durata del corso),
5) laurea
magistrale in Conservazione e restauro dei beni culturali (LM11) (37,50 punti
per ciascun anno di durata del corso),
6) diploma
di laurea in Conservazione dei beni culturali, se equiparato dalle università
alle classi 12/S o LM11, ai sensi dell’articolo 2 del decreto ministeriale 9
luglio 2009 (37,50 punti per ciascun anno di durata del corso),
7) diploma
in Restauro di primo o di secondo livello, conseguito presso le Accademie di
belle arti, con almeno un insegnamento annuale in restauro per ciascun anno di
corso (50 punti per ciascun anno di durata del corso),
8) titoli
riconosciuti equipollenti al diploma in Restauro conseguito presso le Accademie
di belle arti (50 punti per ciascun anno di durata del corso, fino ad un
massimo di 150 punti).
I punteggi
relativi ai titoli di studio suindicati sono cumulabili fino al raggiungimento
di un punteggio complessivo di 200 punti, ad eccezione di quelli relativi ai
titoli di studio delle Università e delle Accademie di belle arti che sono
cumulabili solo fra loro, e comunque entro il punteggio complessivo di 200
punti, con delle particolarità illustrate nel predetto allegato B al Codice.
7. Prova di
idoneità
L’articolo
182, comma 1-quinquies, del Codice prevede che la qualifica di restauratore di
beni culturali possa essere acquisita anche da coloro i quali abbiano acquisito
la qualifica di collaboratore restauratore di beni culturali, ma in questo caso
è necessario il superamento di una prova di idoneità con valore di esame di
Stato abilitante.
Una distinta
prova d’idoneità, anch’essa finalizzata al conseguimento della qualifica di
restauratore di beni culturali, è prevista per coloro i quali, entro il termine
e nel rispetto delle condizioni previste dal comma 1-ter dell’articolo 182 del
Codice (relative ai titoli di studio conseguiti alla data del 30 giugno 2012,
nonché per quelli conseguiti entro il 31 dicembre 2014 dagli iscritti ai corsi
alla data del 30 giugno 2012) abbiano conseguito la laurea o il diploma
accademicodi primo livello inRestauro delle Accademie di belle arti, nonché´ la
laurea specialistica o magistrale ovvero il diploma accademico di secondo
livello in Restauro delle Accademie di belle arti, attraverso un percorso di
studi della durata complessiva di almeno cinque anni.
8.
Collaboratore restauratore di beni culturali
Quanto
all’acquisizione della qualifica di collaboratore restauratore, nelle more
dell’operatività dell’articolo 29, comma 10 del codice, l’articolo 182, comma
1-sexies dispone, anche in questo caso, un’apposita procedura (che avrebbe
dovuto essere indetta entro il 31 dicembre 2012), di selezione pubblica
destinata a coloro i quali, alla data di pubblicazione del bando, siano in possesso
di uno dei seguenti requisiti:
a. laurea
specialistica in Conservazione e restauro del patrimonio storico-artistico
(12/S) ovvero laurea magistrale in Conservazione e restauro dei beni culturali
(LM11), ovvero diploma di laurea in Conservazione dei beni culturali, se
equiparato dalle università alle summenzionate classi, ai sensi dell’articolo 2
del decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 9
luglio 2009, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 233 del 7 ottobre 2009;
b. laurea in
Beni culturali (L1) ovvero in Tecnologie per la conservazione e il restauro dei
beni culturali (L43);
c. diploma
in Restauro presso accademie di belle arti con insegnamento almeno triennale;
d. diploma
presso una scuola di restauro statale ovvero un attestato di qualifica
professionale presso una scuola di restauro regionale ai sensi dell’articolo 14
della legge 21 dicembre 1978, n. 845, con insegnamento non inferiore a due
anni;
e.
inquadrato nei ruoli delle amministrazioni pubbliche preposte alla tutela dei
beni culturali a seguito del superamento di un pubblico concorso relativo al
profilo di assistente tecnico restauratore;
f. attività
di restauro di beni culturali mobili e superfici decorate di beni
architettonici, per non meno di quattro anni, con regolare esecuzione
certificata nell’ambito della procedura di selezione pubblica. L’attività
svolta è dimostrata mediante dichiarazione del datore di lavoro, ovvero
autocertificazione dell’interessato ai sensi del testo unico di cui al decreto
del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.
Per i
collaboratori restauratori, a differenza di quanto accade per il ruolo di
maggior responsabilità rivestito dal restauratore, il legislatore ha lasciato
maggiori possibilità di dimostrare al soggetto l’attività pregressa. Al
collaboratore restauratore è, infatti, sufficiente, ai fini dimostrativi, una
dichiarazione del datore di lavoro o addirittura una autocertificazione. Nel
caso del restauratore è, invece, necessario che l’esperienza risulti da atti di
data certa provenienti dall’Autorità preposta o dagli istituti formati per
l’affidamento dell’appalto.
Va, infine,
evidenziato che può acquisire la qualifica di collaboratore restauratore di
beni culturali anche colui il quale abbia conseguito i requisiti sopra
illustrati nel periodo compreso tra il 31 ottobre 2012 e il 30 giugno 2014. In
questo caso, è, tuttavia, previsto il superamento di una prova di idoneità.
Per il
candidati alla qualifica di restauratore di beni culturali che abbiano
sostenuto con esito negativo la relativa prova di idoneità è venuta meno,
rispetto alla previgente disciplina, la possibilità di essere giudicati
comunque idonei ad acquisire la qualifica di collaboratore restauratore di beni
culturali.
Infine, così
come per i restauratori, la qualifica di collaboratore restauratore di beni
culturali è attribuita con provvedimenti del Ministero che danno luogo
all’inserimento in un apposito elenco reso accessibile a tutti gli interessati.
Provvede alla tenuta dell’elenco il Ministero medesimo (art. 182, comma
1-octies).
9.
Suddivisione in settori di qualificazione
Nella
stesura della norma è prevalsa la linea di attribuire la qualifica per settori
specifici e, a tal fine, il testo è corredato di un allegato (corrispondente
all’allegato B, II parte, del codice) che reca il seguente elenco dei diversi
settori di competenza:
1) Materiali
lapidei, musivi e derivati,
2) Superfici
decorate dell’architettura,
3) Manufatti
dipinti su supporto ligneo e tessile,
4) Manufatti
scolpiti in legno, arredi e strutture lignee,
5) Manufatti
in materiali sintetici lavorati, assemblati e/o dipinti,
6) Materiali
e manufatti tessili, organici e pelle,
7) Materiali
e manufatti ceramici e vitrei,
8) Materiali
e manufatti in metallo e leghe,
9) Materiale
librario e archivistico e manufatti cartacei e pergamenacei,
10)Materiale
fotografico, cinematografico e digitale,
11)Strumenti
musicali,
12)Strumentazioni
e strumenti scientifici e tecnici.
10.Attestazione
SOA
Quanto alle
norme che disciplinano i titoli di restauratore e di collaboratore restauratore
in rapporto alla qualificazione SOA nelle categorie OS 2-A e OS2-B, previste
dal D.P.R. 5 ottobre 2010 n. 207, Regolamento sui contratti pubblici, ed
entrate in vigore il 5 dicembre 2012, si evidenzia quanto segue.
Nelle
disposizioni transitorie del Regolamento sui contratti pubblici (art. 357,
comma 8) è chiarito che, fino alla data di entrata in vigore della disciplina
regolamentare di cui al comma 3 dell’articolo 201 del D.lgs. n. 163/2006,
Codice dei contratti pubblici, continua ad applicarsi per i lavori riguardanti
i beni del patrimonio culturale il decreto MiBAC 3 agosto 2000, n. 294 (così
come modificato dal D.M. n. 420/2001), attuativo dell’art 8, comma 11-sexies
della c.d. legge “Merloni” 11 febbraio 1994, n. 109.
A quasi
sette anni dall’approvazione del Codice dei contratti pubblici, si è, tuttavia,
persa traccia del decreto contenente la disciplina della qualificazione delle
imprese operanti sul patrimonio culturale (di cui all’articolo 201, comma 3,
cit.); ciò nonostante che a questo decreto fosse stato assegnato il compito di
definire gli “ulteriori specifici requisiti di qualificazione dei soggetti
esecutori dei lavori riguardanti i beni del patrimonio culturale”, ad integrazione
di quelli definiti dal regolamento sui contratti pubblici.
La mancata
emanazione di un decreto sulla qualificazione dei beni culturali comporta due
implicazioni:
1. le
stazioni appaltanti possono individuare, quale ulteriore requisito di partecipazione
al procedimento di appalto, l’avvenuta esecuzione, nell’ultimo decennio, di
lavori nello specifico settore cui si riferisce l’intervento, individuato in
base alla tipologia dell’opera oggetto di appalto. E, ai fini della valutazione
della sussistenza di detto requisito, possono essere utilizzati unicamente i
lavori effettivamente realizzati dal soggetto esecutore, anche in esecuzione di
cottimi e subaffidamenti (art. 253, comma 30, del Codice dei contratti
pubblici),
2. le SOA
continuano ad applicare il predetto decreto ministeriale 3 agosto 2000, n. 294.
Tale decreto, così come modificato dal DM 24 ottobre 2001, n. 420, prevede
rispettivamente negli articoli 4, 5 e 6 che, a fini del rilascio dell’Attestato
di qualificazione nelle categorie OS 2-A e OS 2-B di cui al vigente Regolamento
sui contratti pubblici, sia presente:
a.
un’adeguata idoneità tecnica, dimostrata dalla presenza di un direttore
tecnico, eventualmente coincidente con il titolare dell’impresa, restauratore
di beni culturali e dell’avvenuta esecuzione lavori in tali categorie di
importo commisurato alla classifica di importo richiesta (per maggiori dettagli
cfr. art 4, comma 1, lett. “b” e “c” del citato D.M. n. 294/2000 e s.m.);
b.
un’adeguata idoneità organizzativa (prevista per le imprese con più di quattro
addetti) per “teste”, dimostrata dalla presenza di restauratori, in numero non
inferiore al 20% dell’organico complessivo, e dalla presenza di collaboratori
restauratori di beni culturali, in numero non inferiore al 40% del medesimo organico
(il calcolo è effettuato tenendo conto della tipologia di rapporto di lavoro
intercorrente con l’impresa). In alternativa, la medesima idoneità per “costi”
è dimostrata dall’aver sostenuto per il personale dipendente con qualifica di
restauratore e di collaboratore restauratore di beni culturali un costo
complessivo non inferiore rispettivamente al 20% e al 30% dell’importo dei
lavori che rientrano nelle categorie sopra elencate;
c. idonea
capacità economica e finanziaria, dimostrata anche con le sole “idonee
referenze bancarie”, senza necessità di una cifra d’affari minima e neppure di
un valore positivo riferito all’ultimo bilancio depositato, come invece
previsto per tutte le altre categorie di qualificazione (cfr. art. 78, comma 2,
del Regolamento sui contratti pubblici).
Riguardo
all’attestazione SOA, si comprende, da quanto sopra evidenziato, come la
qualificazione nel restauro sia strettamente dipendente, più che nelle altre
categorie di opere, dai titoli professionali conseguiti dal direttore tecnico e
dal personale dell’impresa. La peculiare attività svolta dagli operatori
economici operanti nel restauro comporta, infatti, che la professionalità
espressa dai singoli restauratori e collaboratori restauratori rappresenti la
vera garanzia ad una corretta esecuzione dell’opera.
Tanto
premesso, si evidenzia come nel più volte citato D.M. n. 294/2000 e s.m. gli
articoli 7 e 8, mai abrogati, i requisiti sulla base di cui le SOA dovrebbero
verificare la presenza delle figure di restauratore e collaboratore
restauratore di beni culturali per la qualificazione dell’impresa, differiscano
oramai sensibilmente dai requisiti previsti 13 anni dopo dall’articolo 182 del
Codice dei beni culturali. Tra le discrepanze più significative, si prenda ad
esempio l’articolo 7, comma 1, del predetto D.M. 294/00 ove si chiarisce che
per restauratore di beni culturali si intende anche colui che abbia conseguito
“un diploma di laurea universitaria specialistica in conservazione e restauro
del patrimonio storico-artistico”, mentre l’Allegato “B” al Codice dei beni
culturali assegna solamente 37,5 punti per anno di corso. La durata di detto
diploma è, tuttavia, inferiore agli 8 anni necessari a coprire i 300 punti
previsti per il riconoscimento del titolo di restauratore.
A risolvere
ogni possibile dubbio in merito, è intervenuta l’Autorità per la Vigilanza sui
Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture che ha chiarito come
“indipendentemente dall’istituzione degli elenchi previsti dall’art. 182 del
Codice dei Beni Culturali, il possesso della qualifica di restauratore deve
essere accertata dagli Organismi di Attestazione con riferimento alla griglia
di requisiti previsti dal succitato art. 182 ai commi 1, 1-bis, 1-ter, 1-quater
ed 1-quinquies” (cfr. Comunicato alle SOA n. 74 del 1 agosto 2012, recante i
«criteri da seguire nell’esercizio dell’attività di attestazione per la
valutazione dei requisiti per la dimostrazione dell’idonea Direzione Tecnica
delle imprese alla luce delle innovazioni introdotte dal D.P.R. n. 207/2010»).
Ad avviso
dell’Ance, si ritiene plausibile che le stesse considerazioni possano essere
estese ai collaboratori restauratori, per il riconoscimento dei quali la SOA
provvederà sulla base di quanto previsto dai commi 1-sexies, 1-septies e
1-octies dell’articolo 182 del Codice dei beni culturali.
Il
superamento della disciplina prevista nei citati articoli 7 e 8 del D.M. 294/00
e s.m. impone, quindi, alla SOA di accertare la presenza nell’impresa delle
idonee figure professionali, sulla base della documentazione presentata
dall’impresa che ha proposto la domanda di qualificazione. Il riconoscimento
delle professionalità, basato sui titoli e sull’esperienza dei singoli
professionisti operanti nell’impresa, deve essere valutato dalla SOA secondo le
stesse modalità e limiti previsti dall’articolo 182 sopra analizzato.
Come
precisato dall’Autorità per la Vigilanza non è, invece, più in vigore la norma
prevista dall’articolo 357, comma 29, che, in via transitoria, consentiva
l’assunzione della direzione tecnica per la qualificazione SOA nelle categorie
concernenti interventi di restauro (OS 2-A e OS 2-B), per le sole classifiche
inferiori alla III, da parte di soggetti che operano con esperienza
professionale acquisita nei suddetti interventi per un periodo non inferiore a
cinque anni (cfr. Comunicato alle SOA n. 74 del 1 agosto 2012 e news ANCE del
13 Settembre 2012).
11.Sito web
Da
evidenziare, infine, che a seguito dell’approvazione definitiva della nuova
normativa sul riconoscimento della qualifica di restauratore e di collaboratore
restauratore di cui all’articolo 182 del Codice, il sito “
www.restauratori.beniculturali.it” è stato attualmente chiuso. Sarà, tuttavia,
data ampia pubblicità sul portale e sul sito istituzionale del Ministero per i
Beni e le Attività Culturali della riapertura e delle modalità di accesso allo
stesso.
In attesa di
nuova elaborazione delle procedure che i potenziali interessati dovranno
seguire, sul proprio sito il suddetto Ministero precisa, altresì, che è
prematura e inutile ogni iscrizione al portale, ai fini della partecipazione
alla selezione pubblica ed alla prova di idoneità per l’acquisizione delle
qualifiche professionali.